Brevi riflessioni dalla lettura della sentenza del T.A.R. Piemonte 30 giugno 2016, n. 945
di Alberto PIEROBON
T.A.R. Piemonte, Sez. I 30 giugno 2016, n. 945 - Giordano, pres.; Masaracchia, est. - Nuovo Caffè Soleluna di Scarafia Laura Chantal e Scarafia Luca s.n.c. ed a. (avv.ti Comba, Imarisio) c. Comune di Carmagnola (avv.ti Vecchione, Fogagnolo) ed a.
Nella tariffa per la gestione dei rifiuti è ammissibile la superficie anche nell’applicazione della quota variabile, come pure sono ammissibili i coefficienti che derogano al metodo normalizzato. Non è censurabile l’introduzione di criteri di merito che discriminano, tra varie categorie, il carico tariffario all’utenza non domestica. La tariffa a corrispettivo comunque ha natura tributaria.
(Omissis)
FATTO
1. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 35, del 22 maggio 2015, il Comune di Carmagnola (TO) ha approvato il regolamento sull’imposta unica comunale (IUC) per l’anno 2015, comprensivo delle norme per l’applicazione dell’imposta municipale propria (IMU), del tributo sui rifiuti (TARI) e del tributo sui servizi indivisibili (TASI). Nella stessa data, con separata deliberazione n. 36, sono state determinate le aliquote IMU, TARI e TASI relative all’anno 2015 e, con particolare riferimento alla TARI, è stato anche approvato il Piano finanziario per l’anno 2015 redatto dall’ente gestore del servizio (il Consorzio Chierese per i Servizi).
Con il ricorso in epigrafe le imprese ricorrenti, che gestiscono esercizi commerciali situati in Carmagnola, hanno impugnato le citate delibere consiliari, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, nella parte in cui esse hanno stabilito le tariffe TARI per l’anno 2015. Le ricorrenti riferiscono, in proposito, di appartenere alla categoria delle «utenze non domestiche» (quali, in particolare, individuate ai nn. 15, 22, 24 e 27 del regolamento TARI impugnato) e lamentano di subire, per effetto degli atti in questa sede contestati, «una maggiore tassazione». In particolare, secondo le ricorrenti, le tariffe TARI per l’anno 2015 sarebbero state «ingiustificatamente aumentate a carico delle UND» (utenze non domestiche), in applicazione di una «misura non proporzionale sia rispetto alle UD [utenze domestiche, n.d.r.] sia alle diverse categorie delle stesse UND». Oggetto di impugnazione, inoltre, è il regolamento comunale sulla TARI dell’anno 2014 (individuato quale atto presupposto), il già citato Piano finanziario per il 2015, nonché i pareri del Settore Servizi Finanziari del 19 maggio 2015 (anch’essi, quali atti presupposti delle deliberazioni consiliari del 22 maggio 2015).
Questi, in diritto, i motivi di impugnazione sollevati (che qui si riportano in sintesi):
- violazione dell’art. 1, commi 651 e 652, della legge n. 147 del 2013, in punto di fissazione delle tariffe TARI per le utenze non domestiche: ciò, con riguardo sia alla determinazione della quota fissa della tariffa (laddove, per le categorie nn. 22 e 27 delle utenze non domestiche, sarebbe stato utilizzato il coefficiente «KcIPLA», in luogo del coefficiente «Kc» previsto dal Regolamento comunale del 2014 e, soprattutto, dalle Tabelle 3a e 3b allegate al d.p.r. n. 158 del 1999), sia alla determinazione della quota variabile (laddove il regolamento comunale del 2015, così come già quello del 2014, hanno previsto quale base imponibile gli «svuotamenti» anziché la «superficie imponibile»);
- violazione del principio di trasparenza (in quanto gli atti impugnati «non prevedono alcuna giustificazione e spiegazione della nuova base imponibile e di come siano stati calcolati gli svuotamenti») ed incompetenza (in quanto, in ordine alla determinazione delle aliquote, la competenza sarebbe rimessa alla Giunta comunale, giusto il disposto dell’art. 42, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 267 del 2000);
- violazione dell’art. 1, comma 668, della legge n. 147 del 2013, nell’ipotesi in cui si ritenga che il Consiglio comunale abbia introdotto la «tariffa corrispettivo» di cui alla citata norma: ciò, in quanto illegittimamente sarebbe stata prevista una tariffa binomia (derivante dalla su riportata distinzione tra quota fissa e quota variabile) anziché una «tariffa unitaria» come da apposite precisazioni derivanti dal Ministero delle finanze e dall’Istituto di finanza ed economia locale - IFEL; situazione che inoltre, nell’ingenerare una «confusione» in capo ai contribuenti, avrebbe determinato la violazione dei princìpi sulla conoscenza dell’imposizione tributaria di cui all’art. 5 della legge n. 212 del 2000;
- illegittimità del Piano finanziario 2015 dell’ente gestore del servizio sotto i seguenti profili: a) mancata individuazione e classificazione dei costi delle varie attività in relazione alle voci di bilancio indicate dall’Allegato n. 1, par. n. 2.1, del d.p.r. n. 158 del 1999; b) incongruenza relativa ai crediti inesigibili riferiti alla tariffa igiene ambientale - TIA 2009 e 2010, crediti che, pur riportati nella voce relativa ai costi comuni (CCD), non possono giovarsi di un apposito fondo rischi per l’eventuale mancata riscossione della TARI; c) incongruità dell’aumento della quota variabile per le utenze non domestiche, alla luce del fatto che alcune voci di costo (quelle, in particolare, riferite al trattamento ed allo smaltimento - CTS, quelle relative alla raccolta differenziata - CRD e quelle relative al trattamento e riciclo - CTR) risultano essere inferiori rispetto alle corrispondenti voci del Piano finanziario 2014; d) mancanza di proventi indicati nella voce relativa alla valorizzazione dei rifiuti, nonostante che il Comune di Carmagnola sia stato insignito della prima posizione nella classifica dei «Comuni Ricicloni»; e) mancanza di chiarezza sulle voci relative alla gestione e smaltimento dei rifiuti nel bilancio di previsione del Comune 2015-2017, sotto diversi profili;
- irragionevolezza, violazione dell’art. 53 Cost., disparità di trattamento, sproporzionalità, sotto diversi profili: a) in quanto «La percentuale di divisione del costo per la gestione e smaltimento dei rifiuti è stata iniquamente distribuita con una percentuale troppo elevata a carico delle UND (45 per cento), visto la quantità di rifiuti prodotti dalle UD»; b) in quanto si avrebbe una violazione del principio «chi inquina paga» con riferimento alla tariffa fissata per la categoria n. 25 delle utenze non domestiche («Supermercati, pane e pasta, macellerie, salumi e formaggi») la quale produrrebbe una quantità di rifiuti non differenziati pari al doppio rispetto a quanto producono le categorie corrispondenti alle attività commerciali dei ricorrenti; c) in quanto non si sarebbe operata alcuna differenziazione tra le varie attività riconducibili alle utenze non domestiche in punto di «pagamento di 4 svuotamenti per tutte le categorie delle UND», così giungendo a stabilire un’unica tariffa per la quota variabile; d) in quanto sarebbe iniquo aver stabilito soltanto per le utenze non domestiche, e non anche per quelle domestiche, la quota variabile per la carta, il vetro e l’organico.
2. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Carmagnola, in persona del Sindaco pro tempore, ed il Consorzio Chierese per i Servizi, in persona del Presidente pro tempore del Consiglio di amministrazione, entrambi depositando documenti e chiedendo, previa disamina delle varie censure, il rigetto del gravame, non senza sollevare alcuni profili in rito (irricevibilità ed improcedibilità) relativamente al primo motivo di impugnazione.
In vista della discussione della domanda cautelare, i ricorrenti hanno depositato una memoria riepilogativa delle proprie doglianze.
Alla camera di consiglio del 16 settembre 2015, chiamata per la discussione dell’incidente cautelare, le imprese ricorrenti hanno rinunciato alla domanda di sospensiva.
3. Con motivi aggiunti depositati il 25 novembre 2015 le imprese ricorrenti hanno impugnato ulteriori atti, da loro conosciuti nelle more del giudizio, ed in particolare: il «verbale» del 18 maggio 2015, concernente una riunione della I Commissione consiliare avente ad oggetto la determinazione delle tariffe TARI per l’anno 2015; lo «scenario 3» citato in detto verbale e le tabelle ed i documenti attestanti la ripartizione dei rifiuti e dei costi in percentuale tra utenze domestiche ed utenze non domestiche, così come depositati in giudizio dall’amministrazione comunale; le deliberazioni dell’Assemblea del Consorzio resistente del 13 maggio 2013, del 23 gennaio 2014 e del 20 maggio 2015; la convenzione (tra Comune e Consorzio) allegata alla deliberazione del Consiglio comunale n. 108, del 25 novembre 2014.
Sulla base di questi atti le ricorrenti hanno individuato i seguenti, ulteriori profili di censura, così riassumibili:
- eccesso di potere per «mancata proporzionalità nella determinazione delle tariffe delle UND per la TARI e delle agevolazioni ed esenzioni”, difetto di istruttoria, violazione degli artt. 5 e 7 della legge n. 212 del 2000 e violazione del principio “chi inquina paga»: ciò, in quanto, come emergerebbe dal citato «scenario 3», l’amministrazione avrebbe deciso “di caricare i costi delle categorie agevolate al 73 per cento sulle UND e al 93 per cento sulla quota variabile”;
- illegittimità della convenzione stipulata tra il Comune ed il Consorzio per violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997, dell’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 241 del 1990 e degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché per eccesso di potere «nell’interpretazione della clausola dello Statuto del Consorzio, nonché del regolamento TARI». Vengono qui sollevati i seguenti profili di legittimità: a) la previsione della convenzione (art. 1, comma 4), secondo cui è rimessa al Comune la determinazione della base imponibile per l’applicazione della TARI, sarebbe in contrasto con quanto prevede l’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997; b) riguardo alla previsione della convenzione (art. 6, comma 2, dell’Allegato n. 4) che disciplina le «Cessioni pro soluto dei crediti relativi ai precedenti prelievi», in relazione alla quale il Comune avrebbe riconosciuto al Consorzio «la percentuale del 100 per cento sull’importo dei crediti ceduti», le ricorrenti affermano che le parti avrebbero agito «in palese violazione delle norme generali di interpretazione del contratto», in quanto, in base alle norme invocate a parametro, la cessione dei crediti avrebbe potuto essere effettuata solo a titolo gratuito ovvero con un corrispettivo agevolato, ma non certo dietro pagamento dell’intero credito; c) arbitrarietà e sproporzionalità nella definizione dei «coefficienti stimati di produzione», per le categorie da 1 a 30, «utilizzati per determinare il volume dei contenitori da assegnare alle utenze non domestiche per calcolare gli svuotamenti».
4. In vista della pubblica udienza di discussione, tutte le parti hanno svolto difese, anche nella forma delle rispettive repliche.
Alla pubblica udienza del 13 aprile 2016, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. È controversa, nel presente giudizio, la legittimità delle delibere consiliari, adottate dal Comune di Carmagnola, riguardanti la fissazione delle tariffe per la TARI (tariffa rifiuti) per l’anno 2015 (nonché per l’anno 2014).
Le ricorrenti, tutte imprese commerciali ubicate nel territorio comunale, contestano in sostanza l’aumento delle tariffe per le utenze non domestiche (in particolare, l’aumento della quota variabile di dette tariffe), denunziando anche una disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per le utenze domestiche, nonché altri e diversi profili di irragionevolezza e di violazione di legge, sottoponendo peraltro ad impugnazione anche il «Piano finanziario per l’anno 2015» presentato dall’ente che gestisce il servizio (il Consorzio Chierese per i Servizi), ed approvato dal Comune, in base al quale sono state approvate le tariffe de quibus. Oggetto di impugnazione, inoltre (mediante i motivi aggiunti), è pure la convenzione stipulata tra il Comune ed il gestore (ed approvata dal Consiglio comunale in data 25 novembre 2014).
Resistono in giudizio il Comune di Carmagnola ed il Consorzio Chierese per i Servizi (gestore del servizio rifiuti).
2. Il ricorso introduttivo, anzitutto, è irricevibile nella parte in cui impugna il Regolamento comunale sulla TARI per l’anno 2014.
Tale impugnativa, nell’ambito del ricorso introduttivo, è rinvenibile nell’ambito del primo motivo di gravame, laddove le imprese ricorrenti hanno contestato la modalità di calcolo della quota variabile della tariffa TARI, sia per come stabilita già nel Regolamento comunale 2014, sia per come confermata nel Regolamento comunale 2015. È tuttavia evidente che l’impugnativa, per la parte in cui si riferisce al Regolamento comunale 2014, avrebbe dovuto essere proposta, a norma dell’art. 29 c.p.a., entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto o del suo effetto lesivo, conoscenza che si è pacificamente determinata, in capo alle imprese ricorrenti, dal giorno della pubblicazione, avvenuta (come riferisce il Comune resistente, in ciò non più smentito dalle controparti) il 23 maggio 2014.
Non è invece fondata l’eccezione di inammissibilità (per carenza di interesse) del gravame, per la parte in cui esso si riferisce al regolamento comunale 2015. Tale eccezione è sollevata dall’amministrazione resistente sull’assunto per cui la mancata tempestiva impugnazione dell’atto presupposto (il regolamento 2014) determinerebbe la carenza di interesse all’impugnazione dell’atto presupponente (il regolamento 2015), alla luce del fatto che quest’ultimo ha recepito e confermato gli stessi criteri già adottati dal precedente regolamento 2014 per la determinazione della tariffa TARI. In contrario, va tuttavia rilevato che l’approvazione del regolamento 2015 non può dirsi meramente confermativa del regime tariffario in vigore nel 2014, trattandosi invece di un’autonoma deliberazione del Consiglio comunale che, nell’esercizio della propria potestà in materia, ha deciso di rinnovare le medesime modalità di calcolo della tariffa anche per il nuovo anno. Anche il regolamento comunale per il 2015, quindi, al pari di quello dell’anno precedente, proprio perché determinava un autonomo e distinto interesse al ricorso in capo ai soggetti cui è destinato, poteva formare oggetto di una nuova impugnazione, nei termini stabiliti dalla legge e decorrenti dalla data della sua pubblicazione ufficiale.
2.1. In ogni caso, il primo motivo di impugnazione, nella parte in cui è diretto a contestare le modalità di calcolo della quota fissa della tariffa TARI, per l’anno 2015, è inammissibile per una diversa ragione.
La difesa comunale ha infatti illustrato che la contestata applicazione del coefficiente «KcIPLA» (derivante dall’apposito studio sperimentale condotto nel 2008 dall’I.P.L.A. - Istituto per le piante da legno e l’ambiente) ha determinato un effetto favorevole per le imprese ricorrenti, trattandosi di un coefficiente più basso rispetto a quello (il «Kc») invocato nel ricorso e previsto dal d.p.r. n. 158 del 1999: si tratta, infatti, di un coefficiente la cui applicazione ha consentito di «agevolare le UND rientranti nelle Categorie che erano state più colpite dagli aumenti della T.I.A. e della TARES basata su un’applicazione rigida del d.p.r. 158/1999» (così la memoria difensiva del Comune depositata in giudizio il 12 settembre 2015, pag. 16). Del resto, quanto affermato dall’amministrazione trova una conferma per tabulas nell’ambito della deliberazione consiliare n. 36, del 22 maggio 2015 (che è quella che ha stabilito le tariffe TARI per il 2015), ed in particolare nella tabella relativa alla tariffa fissa per le singole categorie di utenze non domestiche: dai valori ivi riportati emerge, infatti, che per tutte le categorie considerate la tariffa fissa per il 2015 è più bassa di quella che era stata stabilita per il 2014. Riguardo a questo particolare aspetto, peraltro, le ricorrenti nulla hanno replicato, né hanno indicato, come sarebbe stato loro onere, alcun elemento concreto dal quale poter desumere, con certezza, che l’applicazione del contestato coefficiente abbia determinato un qualche effetto lesivo a loro danno: con ciò, quindi, lasciando nell’ombra il profilo del proprio interesse a ricorrere.
3. Nel merito delle rimanenti censure, il ricorso introduttivo non è fondato.
Sul criterio adottato per la determinazione della quota variabile della tariffa TARI, il riferimento come base imponibile agli «svuotamenti», anziché alla superficie imponibile, si mostra complessivamente in linea con la normativa di riferimento. Al riguardo, deve anzitutto ricordarsi che l’ultima riforma di settore, in dichiarata attuazione del principio di derivazione comunitaria «chi inquina paga», ha inteso favorire l’adozione, da parte dei Comuni, di «sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico» al fine di «attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi» (così l’art. 1, comma 667, della legge n. 147 del 2013). In tale quadro si svela quindi coerente la scelta del Comune intimato di avvalersi, ai fini della determinazione della tariffa, di un sistema che, mediante il riferimento al dato tangibile del numero di «svuotamenti» effettuato per utente, riesce a misurare, quantomeno in via presuntiva, il quantitativo di rifiuti prodotti da ogni singolo utente, commisurando la tariffa ai costi effettivi del servizio. In ogni caso, non può dimenticarsi che l’art. 1, comma 651, della legge n. 147 del 2013 ha espressamente vincolato il Comune, ai fini della commisurazione della tariffa, a tenere conto dei criteri determinati dal regolamento di cui al d.p.r. n. 158 del 1999: e l’art. 6, comma 2, di tale regolamento, proprio in punto di calcolo della quota variabile della tariffa per le utenze non domestiche, già stabiliva che «gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze». Da qui un’ulteriore conferma della legittimità del criterio di calcolo adottato dall’amministrazione resistente.
Affermano le ricorrenti, al contrario, che «il criterio degli svuotamenti non è legato all’effettiva produzione di rifiuti» (cfr. loro memoria depositata il 23 marzo 2016, pag. 9) e ciò sarebbe «dimostrato dal doc. 38» recante una tabella: ma si tratta di una tabella che riporta solo i volumi di produzione dei rifiuti per ciascuna categoria (e sottocategoria) di utenza, senza alcun intellegibile riferimento al dato degli «svuotamenti2, e perciò manifestamente non utile a dimostrare l’assunto delle ricorrenti. Non sussistono elementi, pertanto, tali da far dubitare che il calcolo degli «svuotamenti» possa al momento costituire un valido elemento di misurazione delle quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico.
Non si apprezza, poi, alcuna violazione del principio di trasparenza. La base imponibile degli «svuotamenti» – come riconosciuto dagli stessi ricorrenti – era stata infatti già adottata nell’ambito delle determinazioni comunali per la TARI del 2014, senza che alcuna contestazione fosse mai stata mossa al riguardo; tale criterio, in particolare, era stato oggetto di adeguati chiarimenti nell’ambito della delibera consiliare di approvazione delle tariffe per il 2014, laddove erano stati espressamente indicati sia i riferimenti al d.p.r. n. 158 del 1999, sia i parametri elaborati dall’I.P.L.A., così mettendo i cittadini nella condizione di poter comprendere le modalità individuate dall’amministrazione per il calcolo delle tariffe. Del resto, come ha di recente osservato il Consiglio di Stato in una fattispecie analoga (concernente il calcolo delle tariffe TARSU), l’esplicito richiamo dei riferimenti normativi, ed in particolare di quelli ex d.p.r. n. 158 del 1999, non solo rende palese la base normativa per giungere all’effettiva determinazione delle tariffe, ma concretizza anche una motivazione per relationem del tutto legittima ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, con la conseguenza che la motivazione degli atti amministrativi con i quali si determinano le tariffe può consistere in un mero rinvio ai criteri tecnici, indicati dalla normativa, dei quali può contestarsi eventualmente l’erroneità in sede applicativa, ma non la loro astratta sufficienza ed idoneità (così Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 504 del 2015).
Non è dato poi ravvisare il vizio di incompetenza sollevato dalle ricorrenti, in punto di determinazione delle aliquote. In proposito, chiaro è il dettato dell’art. 1, comma 683, della legge n. 147 del 2013: «Il Consiglio comunale deve approvare, entro il termine fissato da norme statali per l’approvazione del bilancio di previsione, le tariffe della TARI in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani...». È dunque evidente che spetta alla competenza del Consiglio comunale, e non della Giunta, la determinazione delle tariffe della TARI, evidentemente comprensive della fissazione delle relative aliquote, con ciò dovendosi quindi ritenere superato, per questo settore particolare di attività, il riparto di competenze generale ricavabile dall’art. 42, comma 2, lett. f, del d.lgs. n. 267 del 2000.
Non fondato, in punto di fatto, è il terzo motivo di gravame, incentrato sull’illegittimità della scelta di istituire una tariffa binomia (suddivisa in quota fissa e quota variabile) anziché una «tariffa unitaria». Erroneo è, infatti, il presupposto di partenza: quella approvata dal Comune non è una tariffa-corrispettivo, ai sensi dell’art. 1, comma 668, della legge n. 147 del 2013, ma mantiene i caratteri tipici dell’imposizione tributaria, pur essendo fondata – come visto – su criteri che consentono, almeno in via presuntiva, di parametrare l’importo dovuto al quantitativo di rifiuti prodotto da ciascun utente. In sostanza (e come già visto), l’amministrazione ha applicato l’art. 1, comma 651, della legge n. 147 del 2013, a norma del quale nella commisurazione della tariffa si deve tener conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al d.P.R. n. 158 del 1999, con richiamo quindi anche all’art. 3, comma 2, di quest’ultimo che, in applicazione del c.d. metodo normalizzato, scompone la tariffa in una parte fissa ed in una parte variabile. Il punto, del resto, trova esplicita conferma nella relazione di accompagnamento al Piano Finanziario 2015, predisposto dall’ente gestore del servizio ed approvato dal Consiglio comunale, dove si legge che il piano stesso è stato redatto «come TARI tributo», pur aderendo «al metodo normalizzato approvato con d.p.r. 27.04.1999, n. 158, che consente di mantenere il calcolo con la determinazione del metodo puntuale, in applicazione del principio europeo ‘chi inquina paga”».
3.1. Parimenti non fondato è il quarto motivo del ricorso introduttivo, nelle singole sue articolazioni riguardanti, sotto diversi profili, la legittimità del Piano finanziario 2015 redatto dall’ente gestore del servizio (ed approvato dal Consiglio comunale con la deliberazione n. 36 del 22 maggio 2015).
Anzitutto, sul piano formale, vi è da precisare che il Piano finanziario de quo è stato redatto secondo lo schema diramato dall’ANPA - Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, a sua volta predisposto secondo quanto previsto dal d.p.r. n. 158 del 1999: rispetto a questa precisazione, fornita in giudizio dal Consorzio resistente, i ricorrenti non hanno specificamente replicato. Peraltro, nel formulare questa censura, i ricorrenti hanno preso a parametro di legittimità il punto 2.1 dell’Allegato n. 1 al d.p.r. n. 158 del 1999, relativo alla suddivisione dei costi operativi di gestione: ebbene tale parametro, nella formulazione complessiva del citato d.p.r., non riguarda direttamente la compilazione del Piano Finanziario che deve essere approvato dal soggetto gestore del ciclo dei rifiuti (e che trova disciplina nell’art. 8 del regolamento), ma si riferisce alla sola definizione delle componenti di costo che concorrono a determinare il metodo normalizzato ai fini della determinazione della tariffa di riferimento, giusto il richiamo all’art. 1 del medesimo d.P.R. (richiamo effettuato nell’epigrafe dell’Allegato n. 1).
Passando ai profili sostanziali delle censure di parte ricorrente, deve per prima cosa rilevarsi che l’indicazione, tra i costi comuni, dei crediti inesigibili relativi alla TIA del 2009 e del 2010 trova adeguata base normativa nel disposto dell’art. 1, comma 654 bis, della legge n. 147 del 2013, a norma del quale «Tra le componenti di costo vanno considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili con riferimento alla tariffa di igiene ambientale, alla tariffa integrata ambientale, nonché al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES)». Del tutto legittimamente, pertanto, il Consorzio resistente ha indicato tra le voci di costo (ossia, tra i crediti non esigibili) proprio i mancati ricavi relativi alla TIA degli anni precedenti, a nulla potendo rilevare la circostanza che nessun accantonamento nel fondo «rischi su crediti» sia stato imputato negli ultimi esercizi.
Riguardo alle voci di costo, indicate nel Piano finanziario 2015 e che hanno formato oggetto di disamina da parte delle ricorrenti (si tratta, in particolare, delle voci di costo riferite al trattamento ed allo smaltimento - CTS, alla raccolta differenziata - CRD ed al trattamento e riciclo - CTR), si deve osservare quanto segue. È pur vero che, effettuando una semplice comparazione con le voci indicate nel Piano finanziario 2014, queste voci di costo risultano più basse nel 2015; ma è anche vero che, da questa circostanza (presa da sola), non è possibile concludere, come vorrebbero le ricorrenti, circa un conseguente e necessario abbassamento (o, quantomeno, invarianza) della quota variabile della tariffa TARI per le utenze non domestiche. Per un verso, va infatti chiarito che le richiamate voci di costo non sono le uniche che afferiscono al complessivo ciclo dei rifiuti, ma ve ne sono anche altre che, rispetto al 2014, hanno registrato un leggero aumento (come accaduto, ad esempio, per i costi per la raccolta dei rifiuti solidi urbani indifferenziati - CRT, passati da euro 280.996,00 del 2014 ad euro 282.381,00 del 2015), con un risultato finale e complessivo dei costi che, peraltro, si assesta solo in leggera diminuzione rispetto al 2014; per altro verso, appare rilevante la circostanza (evidenziata nella relazione di accompagnamento al Piano finanziario 2015) per cui, nell’anno 2015, è stata prevista una diminuzione, rispetto al 2014, dei proventi derivanti dalle entrate tariffarie, a causa di agevolazioni, contributi ed esenzioni deliberati dal Comune a favore dell’utenza. Inoltre, non corrisponde al vero che il gestore del servizio non avrebbe indicato, nel Piano finanziario, la voce relativa al provento da valorizzazione dei rifiuti: essa è invero riportata, a pag. 6 del Piano, sotto la voce «Contributo CONAI», pari ad euro 348.480,00 (voce nella quale sono inclusi i proventi derivanti dalla vendita di carta, cartone, vetro, plastica, ferro e legno e che, nel suo valore numerico, ben coincide con quanto iscritto nel Bilancio di previsione del 2015 alla risorsa n. 3010985 rubricata «Proventi raccolta rifiuti»: cfr. la contestazione dei ricorrenti a pag. 22 del ricorso introduttivo).
In ogni caso, la determinazione della tariffa variabile per le utenze non domestiche (che costituisce l’aspetto principale delle doglianze di parte ricorrente) è solo uno degli elementi che concorrono, insieme ad altri, a completare il quadro complessivo delle tariffe per la TARI, oggetto di approvazione consiliare. Accanto a detta tariffa variabile vi sono, infatti, anche le singole quote fisse per ciascuna delle categorie di utenze non domestiche e vi sono, ancora prima, le tariffe per le utenze domestiche (anch’esse ripartite tra quota fissa e quota variabile). Nell’ambito del Piano finanziario del gestore del servizio (che, a norma dell’art. 1, comma 683, della legge n. 147 del 2013, è la base di partenza per l’approvazione delle tariffe TARI), le singole voci di costo indicate devono pertanto essere considerate, da parte del Consiglio comunale, in maniera necessariamente complessiva ed unitaria, avendo di mira l’obiettivo di fissare tariffe che consentano la copertura integrale dei costi del servizio (cfr. già gli artt. 2 e 3 del d.p.r. n. 158 del 1999) e che verranno poi ripartite tra utenze domestiche ed utenze non domestiche, nelle rispettive partizioni di quote fisse e quote variabili. A fronte di questo quadro complessivo, le contestazioni di parte ricorrente di cui al quarto motivo scontano una duplice carenza: per un verso, si limitano a considerare solo alcune delle voci di costo che afferiscono al complessivo ciclo dei rifiuti, senza contestualizzarle nell’ambito dell’intero Piano finanziario; per altro verso, esse si indirizzano a contestare unicamente l’aumento della quota variabile per le utenze non domestiche, dimenticando di considerare che l’impugnata deliberazione del Consiglio comunale n. 36, del 22 maggio 2015, ha però diminuito, rispetto ai valori fissati nel 2014, tutte le quote fisse per le singole categorie di utenze non domestiche ed ha anche (sia pur di poco) diminuito le tariffe, sia fisse che variabili, per le utenze domestiche. Non possono pertanto essere positivamente apprezzate, da parte del Collegio, le contestazioni solo genericamente allegate dai ricorrenti in ordine al fatto che le tariffe individuate dal Comune non avrebbero seguito il criterio della copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio e che l’amministrazione, mediante il contestato aumento, avrebbe «cercato un modo di fare cassa» (cfr., in particolare, pag. 21 del ricorso introduttivo). Né appare di alcun ausilio, alle tesi dei ricorrenti, l’elencazione delle presunte incongruità da loro desunte dal bilancio di previsione 2015-2017 con riguardo alle «voci relative alla gestione e smaltimento dei rifiuti», in quanto si tratta di meri dati numerici presi isolatamente e (di nuovo) non contestualizzati in una più ampia ed intellegibile dimostrazione di natura contabile, tale da rendere evidente il nesso di causa/effetto tra l’antecedente (in tesi, lo sviamento commesso dall’amministrazione, desiderosa di «fare cassa» mediante manovre poco trasparenti) ed il susseguente (il denunciato aumento della quota variabile della tariffa per le utenze non domestiche).
3.2. Considerazioni non dissimili valgono per il quinto motivo del ricorso introduttivo, anch’esso non fondato con riguardo a tutti i profili sollevati.
In questo caso le ricorrenti lamentano, sostanzialmente, la mancata proporzionalità nella determinazione delle tariffe, ponendo a raffronto ora la categoria complessivamente considerata delle utenze non domestiche rispetto a quella delle utenze domestiche (ciò, sotto il profilo sia dell’accollo dei costi per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti, avuto riguardo alla quantità di rifiuti prodotti da tali categorie, sia della fissazione della quota variabile della tariffa per la carta, il vetro e l’organico) ora, tra di loro, le singole sotto-categorie afferenti alle utenze non domestiche (con riguardo sia alla proporzione tra le quote di tariffa fissa stabilite per ciascuna di esse, sia alla previsione dell’obbligo di pagamento di quattro «svuotamenti» per tutte tali sotto-categorie «senza alcuna differenziazione delle attività svolte»). In proposito, trattandosi di scelte ampiamente discrezionali, afferenti al problema della ripartizione interna, tra le singole categorie di utenze, dei costi di gestione del servizio, vale premettere che il sindacato di legittimità di questo T.A.R. incontra il limite della non manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà delle scelte compiute dall’amministrazione.
Sotto il profilo del raffronto tra le due categorie, complessivamente considerate, delle utenze non domestiche e di quelle domestiche, la percentuale dei costi di gestione è stata distribuita per il 45 per cento a carico delle prime e per il restante 55 per cento a carico delle seconde (secondo le ricorrenti, si tratterebbe di un dato iniquo e sbilanciato a loro sfavore). Non si tratta di una scelta manifestamente irragionevole: come documentato dalla difesa dell’amministrazione (nonché dalla difesa del Consorzio, in replica ai motivi aggiunti), infatti, negli ultimi anni sono state proprio le utenze non domestiche ad aver frenato nella realizzazione degli obiettivi di raccolta differenziata, dimostrandosi molto meno efficienti e «virtuose» rispetto alle utenze domestiche; ed anzi, la contestata ripartizione, se fosse stata effettuata in modo più aderente ai dati disponibili, avrebbe dovuto condurre ad un accollo dei costi ben maggiore per le utenze non domestiche (il 48 per cento, anziché solo il 45 per cento: cfr. doc. n. 5 del Comune). Non si ravvisano, pertanto, gli estremi dell’«iniquità» lamentata nel ricorso; né tali estremi emergono con riguardo alla circostanza, appena accennata nel ricorso introduttivo, per cui la quota variabile della tariffa per lo smaltimento della carta, del vetro e dell’organico sia stata stabilita solo per le utenze non domestiche: al riguardo, valgono le precise considerazioni esposte dalla difesa del Comune (cfr., in particolare, la memoria depositata in giudizio il 12 settembre 2015, a pagg. 30 ss.), considerazioni non smentite dai successivi scritti difensivi delle ricorrenti e che delineano un quadro complessivo del tutto ragionevole e rapportato all’effettivo «carico» sul servizio.
Riguardo, poi, al raffronto tra le singole sotto-categorie delle utenze non domestiche, deve anzitutto precisarsi che l’amministrazione ha individuato le tariffe fisse in ragione del coefficiente potenziale di produzione (Kc) riferibile a ciascuna utenza ed indicato dall’apposita Tabella 3a di cui al d.p.r. n. 158 del 1999. Le contestate differenze tra le singole sotto-categorie, pertanto, dipendono esclusivamente dall’applicazione dei diversi coefficienti, a norma del citato regolamento, ed alla scelta del valore di riferimento all’interno della forbice indicata dalla richiamata tabella (scelta che, a sua volta - come riferito in giudizio dall’amministrazione - è stata compiuta sulla base della «virtuosità» dei comportamenti, desunta dai dati degli anni passati): in tal modo, ed in assenza di più precise allegazioni di parte ricorrente, non si apprezza alcuna violazione del principio «chi inquina paga». Quanto, poi, alla previsione indifferenziata di n. 4 svuotamenti per tutte le sotto-categorie della utenze non domestiche, per i rifiuti non recuperabili, essa non appare irragionevole, se si considera che il dato è riferibile all’intero anno solare. Riguardo, infine, alla previsione di un’unica tariffa indifferenziata, per la parte variabile, le imprese ricorrenti non hanno indicato entro quali termini una diversa previsione avrebbe potuto loro giovare, ben potendosi astrattamente ipotizzare che una tariffa così individuata possa risultare per loro più favorevole rispetto ad un’altra calcolata in modo non differenziato a seconda delle attività svolte.
4. Non sono fondati neanche i motivi aggiunti.
Per comodità espositiva, la seguente disamina verrà suddivisa in base alla numerazione dei paragrafi di cui all’atto di motivi aggiunti.
4.1. Con il motivo sub A), al paragrafo n. (i), dell’atto di motivi aggiunti, le associazioni ricorrenti hanno sollevato alcune lamentele riguardo al «verbale» della seduta della I Commissione consiliare del 18 maggio 2015 (riunione nella quale sono stati discussi i possibili criteri per la determinazione delle tariffe TARI per l’anno 2015) affermando che esso non conterrebbe i nominativi di tutti i presenti alla riunione e che non certificherebbe fedelmente le attività compiute. In realtà, quello che viene impropriamente chiamato «verbale» (doc. n. 29) altro non è che un’e-mail a firma di un’impiegata comunale nella quale viene riportata, in modo del tutto informale e ad uso interno, una brevissima sintesi di quella riunione. Non trattandosi di un verbale vero e proprio, pertanto, sono fuori luogo tutte le contestazioni delle associazioni ricorrenti.
Nel paragrafo n. (ii) del motivo sub A, dedicato al problema della copertura dei costi per le categorie agevolate, si contesta al Comune di aver «travisato» i fatti, avendo messo a disposizione dati privi di «correttezza e completezza», e di aver illegittimamente caricato i suddetti costi al 73 per cento sulle utenze non domestiche (e al 93 per cento sulla quota variabile). Sul punto va anzitutto chiarito che l’incidenza dei costi per le categorie agevolate, sul fabbisogno 2015, è stata ricondotta alla percentuale del 2,99 per cento, ossia a quella che era stata indicata nello «scenario n. 3» (cfr. doc. n. 16 del Consorzio Chierese per i Servizi), come l’amministrazione pacificamente ha riconosciuto nelle proprie difese (cfr. la memoria del Comune depositata in giudizio l’11 marzo 2016): non è dunque fondata l’accusa delle ricorrenti secondo cui, nei propri atti difensivi, l’amministrazione avrebbe «travisato» i fatti. Nel merito, le associazioni ricorrenti hanno compiuto un’erronea lettura dei dati disponibili: come messo in luce dalla difesa comunale e da quella consortile, infatti, le contestate percentuali si riferiscono alla ripartizione, tra utenze domestiche e non domestiche (rispettivamente, 27 per cento e 73 per cento), del contributo comunale di euro 101.295,00, contributo che è andato a ridurre l’onere gravante sugli utenti (ciò emerge da un’attenta lettura della scheda n. 1, allegata al doc. n. 16 del Consorzio), mentre - per ciò che concerne il contributo ministeriale per le scuole statali - esso è stato interamente imputato a favore delle utenze non domestiche (cfr. sempre la scheda n. 1, sub doc. n. 16 cit.).
Nel paragrafo (iii) del motivo sub A, infine, le associazioni ricorrenti ripropongono, nella sostanza, le censure - di cui già al ricorso introduttivo - relative ad una presunta iniquità e sproporzionalità delle tariffe approvate dall’amministrazione, in quanto esse non avrebbero tenuto conto del principio «chi inquina paga», sulla premessa per cui le utenze non domestiche, a differenza di quelle domestiche, avrebbero dato prova di essere una categoria «virtuosa» in punto di differenziazione dei rifiuti. Sul punto, ai fini della non fondatezza, è sufficiente richiamare quanto già supra evidenziato al par. n. 3.2.
4.2. Al paragrafo sub B) dei motivi aggiunti le associazioni ricorrenti hanno sottoposto ad impugnazione, nello specifico, «la convenzione tra il Comune di Carmagnola e il Consorzio Chierese per i servizi per l’effettuazione del servizio di gestione della TARI», da loro asseritamente conosciuta solo il 12 settembre 2015. Trattasi del documento allegato al verbale di deliberazione del Consiglio comunale n. 108, del 25 novembre 2014, già depositato in giudizio dal Comune resistente in data 12 settembre 2015 (suo doc. n. 13) e ridepositato dalle ricorrenti il 25 novembre 2015 (loro doc. n. 37).
La prima censura solleva la violazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 in quanto tale convenzione, a detta delle ricorrenti, «all’art. 1 comma 4» rimetterebbe alla competenza del Comune la determinazione dei criteri e della base imponibile per l’applicazione della TARI. Questa censura è manifestamente infondata in fatto, in quanto, nel testo di detta convenzione (lunga poco meno di mezza pagina e costituita, in tutto, da quattro brevi articoli, aventi ad oggetto i rapporti economici tra il Comune ed il Consorzio), non è dato rinvenire alcuna simile disposizione, tantomeno nell’art. 1 (il quale si occupa di tutt’altra questione e recita testualmente: «Il COMUNE ed il CONSORZIO, con la seguente Convenzione, determinano la cessione pro soluto dei crediti relativi alla Tariffa Igiene Ambientale degli utenti del COMUNE per gli anni 2008 e 2009 ammontanti a totali Euro 515.525,16 al netto delle perdite già appostate nei Piani Finanziari consuntivi»).
La seconda censura ha ad oggetto la previsione, di cui agli artt. 1 e 2 della convenzione, in base alla quale il Consorzio ha ceduto al Comune, pro soluto, i propri crediti relativi alla tariffa igiene ambientale (TIA) per gli anni 2008 e 2009 e, in cambio, il Comune ha riconosciuto al Consorzio la percentuale del 100 per cento sull’importo dei crediti ceduti. Secondo le ricorrenti, questo patto avrebbe ricadute per loro negative in punto di determinazione delle tariffe TARI e sarebbe in contrasto con le norme dello Statuto consortile e con le stesse intenzioni delle parti. In realtà, come ben argomenta la difesa del Comune, l’operazione si giustifica proprio alla luce dello Statuto consortile, ed in particolare del suo art. 4, comma 6, laddove è prevista la possibilità che il Consorzio possa cedere al Comune i crediti derivanti dalla tariffa rifiuti, che siano scaduti da almeno tre anni, facendo salva la facoltà del Comune di riconoscere una percentuale sull’importo dei crediti ceduti; determinante, in particolare, è l’ultima parte della citata norma statutaria, secondo cui «Tutti i crediti verso gli utenti derivanti dalle fatture della tariffa non incassate sono di esclusiva competenza dei Comuni ove sono ubicate le utenze debitrici e verranno coperti con fondi di bilancio del Comune, a totale copertura dei crediti avanzati dal Consorzio...»: è quindi evidente che, proprio per non gravare sulle casse degli altri Comuni consorziati, quei crediti non riscossi avrebbero dovuto rimanere a carico del Comune di Carmagnola, come in effetti è avvenuto mediante la pattuizione oggetto di impugnativa.
La terza censura, infine, ha ad oggetto la fissazione dei coefficienti stimati di produzione, ai fini della parte variabile della tariffa per le categorie delle utenze non domestiche dalla n. 1 alla n. 30: fissazione che si rinviene all’Allegato n. 1 del «Regolamento consortile per la gestione dei rifiuti urbani», nel testo risultante dalle modifiche approvate, da ultimo, con deliberazione dell’Assemblea consortile n. 27 del 13 maggio 2013 (doc. n. 8 del Consorzio). Secondo le associazioni ricorrenti tale fissazione sarebbe arbitraria, incongrua e sproporzionata laddove prevede un coefficiente pari a 61 (in kg/mq/anno) per la categoria n. 24 (bar, caffè, pasticcerie), in confronto ai coefficienti più bassi previsti per le categorie n. 25 (supermercati, pane e pasta, macellerie, salumi e formaggi, generi alimentari) e n. 28 (ipermercati di generi misti), rispettivamente pari a 40 e 24,5 kg/mq/anno. In realtà, i coefficienti così individuati sono perfettamente in linea con i valori indicati dalla tabella n. 4a allegata al d.p.r. n. 158 del 1999, previo loro aggiustamento, in eccesso o in difetto, a norma dell’art. 1, comma 652, della legge n. 147 del 2013, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lett. e bis, del decreto legge n. 16 del 2014, convertito in legge n. 68 del 2014, poi ulteriormente modificato dalla legge n. 208 del 2015 (norma secondo cui «Nelle more della revisione del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158, al fine di semplificare l’individuazione dei coefficienti relativi alla graduazione delle tariffe il comune può prevedere, per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017, l’adozione dei coefficienti di cui alle tabelle 2, 3a, 3b, 4a e 4b dell’allegato 1 al citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, inferiori ai minimi o superiori ai massimi ivi indicati del 50 per cento...»).
5. In considerazione della complessità delle questioni trattate, il Collegio stima equo disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione I, definitivamente pronunciando,
a) dichiara irricevibile ed inammissibile il ricorso introduttivo, rispettivamente nelle parti indicate in motivazione;
b) respinge, per il resto, il ricorso introduttivo, nei sensi di cui in motivazione;
c) respinge i motivi aggiunti, nei sensi di cui in motivazione;
d) compensa le spese di lite tra le parti.
(Omissis)
Brevi riflessioni dalla lettura della sentenza del T.A.R. Piemonte 30 giugno 2016, n. 945
Non si condivide la pronuncia nel suo complesso, pur considerando che i ricorrenti (un insieme di esercizi pubblici e di associazioni no profit) forse non hanno sfoderato tutti gli argomenti attingibili dall’arsenale del tributo/tariffa rifiuti, limitandosi (così pare) a svolgere argomentazioni perlopiù sul versante giuridico.
Quel che risulta, tra altro, confermato in questa pronuncia è che la «corrispettività» di una tariffa puntuale comunque rientra (il che non potrebbe non essere) nella galassia tributaria, non però come automatica conseguenza sillogistica di quanto viene affermato dai giudici nel caso posto al loro esame.
Emerge – dalla sentenza – la legittimità dell’uso, per la quota variabile (QV) della tariffa dei coefficienti cosiddetti «sperimentali» (supportati da uno studio effettuato sul campo, non quelli per così dire... «casarecci») in luogo di quelli del metodo normalizzato, di cui al d.p.r. n.158/1999.
Non viene poi censurato l’obbligo delle utenze non domestiche (UND) di pagare n. 4 svuotamenti «fissi», indipendentemente dalla produzione di rifiuti e/o dal loro conferimento al servizio pubblico (al contenitore).
Si opina sul quantum percentuale della divisione del costo gestione e smaltimento rifiuti tra le UND e le utenze domestiche (UD), come pure tra le diverse loro categorie (es. i supermercati che produrrebbero il doppio di rifiuti rispetto ai ricorrenti – bar, pasticcierie, etc. – pagherebbero una uguale tariffa).
Qui bisognerebbe entrare però in valutazioni di altro segno: di giustizia distributiva e assiologiche.
I giudici, a nostro modesto avviso, sbagliano nell’affermare che, in presenza di una misurazione effettiva i costi sono automaticamente effettivi: oltre che apodittico, è un forte errore metodologico, a tacer d’altro.
Si è venuto così a tenere indenne dalle critiche, non solo dalle censure, questo sistema di calcolo, senza entrare nel merito (anzi con l’usbergo) delle «scelte ampiamente discrezionali», salvo dire che i ricorrenti non hanno svolto (come sembra vero) una analisi ad hoc, diversamente da quanto ha svolto il Comune e (conoscendo la bravura diremmo: soprattutto) dal consorzio resistente.
Ciò vale anche per la ripartizione interna, tra le singole categorie di utenza, dei costi di gestione dei servizi.
Per la quota fissa (QF) della tariffa, atteso che sono stati adottati – entro la prevista forbice tabellare – i coefficienti del cit. d.p.r. n. 158/99, le scelte del Consiglio comunale sarebbero poi state effettuate secondo un «criterio di virtuosità» dei produttori.
Si tratta – a nostra modesta esperienza (quantomeno riferita ad altre realtà) – di criteri che seppure approvati nel consesso consigliare, sono stati (molto probabilmente) aridamente redatti dai tecnici, più che da politici solidali.
Piuttosto, serve una coscienza che «disturbi», tenendo conto (anche in questo ambito) del rapporto con gli altri, delle relazioni tra persone, non tanto del primato della economia e della tecnica come trasfusa in statistiche, formule, tabelle.
Al posto delle persone e delle storie personali abbiamo oramai solo modelli e astrazioni tecnocratiche che rappresentano una realtà che viene letta col vizio del come si prevedono debbano svolgersi le relazioni sociali, in sudditanza all’applicazione della tariffa.
Il meccanismo va lubrificato e va tenuto a regime, va fatto girare come si prevede.
Però, ignorando le esigenze degli altri – soltanto perché non si sposano le scelte funzionali alle ragioni dell’imprenditoria monopolistica e delle consorterie pubbliche – si smarrisce un senso, non si fa più sintesi tra cultura e politica, meglio: non si fa «comunità».
Manca (a noi pare) in queste – ancorché piccole e modeste – tribolazioni, una più profonda capacità da parte di noi tutti di cogliere una visione globale, le esigenze sotterranee ma pulsanti degli altri, gli aspetti emergenti che interagiscono tra la richiesta di una tariffa e la società dei cittadini-utenti.
Insomma, occorre cercare un senso di giustizia che vuole non solamente la salute psichica e fisica della popolazione, ma ancor più, la diffusione in tutti gli spazi sociali, di etica, di pietas.
Chiariti (si fa per dire) questi aspetti, va evidenziato come la sentenza non faccia risuonare le aporie del funzionamento (effettivo o potenziale) di un sistema tariffario per la gestione dei rifiuti.
Si insegue, invece, un ragionamento che sembra «santificare» gli atti presupponendo... l’angelicità della fonte.
In altre parole, si fa un atto di fede: se la tariffa viene formalmente «costruita» riparandosi dietro al regolamento, alla convenzione stipulata tra il Comune e il gestore, al piano economico finanziario e così via, sembra affermarsi che... tutto va bene! Ad esempio (come sembra qui arguirsi), non si discute sul perché la QF sia applicata anche all’elemento della superficie, come pure sul perché la QV sia agganciata al solo numero degli svuotamenti (tralasciando altresì il come viene costruito il costo per ogni svuotamento, il suo rapporto causa-effetto) e così via.
Ma così (a noi sommessamente pare) si tradiscono i «fini» della tariffa, non si va oltre l’apparenza di un sistema tariffario – sicuramente ben congeniato e coerente nella sua orbita gestionale – che sembra silenziare gli aspetti di valore e le esigenze sociali.
Insomma, qual è qui il «mondo» che detta le regole del gioco? Con chi veramente bisogna rapportarsi (burocrazie, tecnici, apparati, magistratura, etc.) nel nostro vivere sociale?
pubblicato su www.osservatorioagromafie.it