Classificazione c.d. voci specchio: quando lo specchio va in frantumi
di Roberto MASTRACCI
Con la Sentenza del 21 Novembre 2019 n° 42788 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla Classificazione dei rifiuti cd voci specchio; il tutto dopo la pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 29 Marzo 2019 a seguito del rimando sempre della Corte di Cassazione n° 37460 del 27 Luglio 2017.
A questo punto dovrebbe essere arrivata la parola fine a tutti i dubbi interpretativi ed alle correnti di pensiero tipiche del nostro Belpaese, sulla classificazione dei rifiuti.
Ma il silenzio assordante degli addetti ai lavori dopo l’ultima Sentenza della Corte di Cassazione, al contrario di quanto accaduto con le precedenti Sentenze, fa presagire che non c’è alcuna schiarita totale nelle menti di chi deve classificare i rifiuti.
Certo il Legislatore europeo, circa un ventennio fa, quando ha introdotto per la prima volta i c.d. rifiuti voci a specchio, non immaginava nemmeno lontanamente il caos che si sarebbe generato in Italia.
A parere di chi scrive, in Italia abbiamo qualche problema anche più urgente delle c.d. voci specchio: vedi la superficialità con cui molti produttori classificano i propri rifiuti; vedi tanti (per fortuna non molti) laboratori che avanzano ipotetiche classificazioni sui rifiuti a specchio senza un minimo di fondamento scientifico e legale e con grotteschi tentativi di non prendersi responsabilità, con improbabili giudizi sui risultati (Pardon! Ultimamente qualcuno le chiama opinioni sui risultati avuti: in un paese di opinionisti questo ci mancava).
La carenza impiantistica per la gestione dei rifiuti urbani; la gestione dei fanghi di depurazione alquanto problematica, una economia circolare legata all’ End of Waste tutta in divenire, e mi fermo qui.
Ma in questi giorni che precedono la fine del 2019 tengono banco i c.d. rifiuti voci specchio e come riportato anche nella Sentenza di Cassazione, ognuno tenta di estrapolare un concetto della Sentenza della Corte di Giustizia Europea o della stessa Cassazione.
“4. Ciò posto, occorre far rilevare come le considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia in relazione ai quesiti formulati sono state riassunte riportando, per quanto possibile, gli stessi termini utilizzati in motivazione e ciò allo scopo di evitare distorte letture di quella che altro non è se non una mera sintesi, predisposta per una migliore comprensione della vicenda esaminata, della motivazione della Sentenza, cui deve ovviamente essere fatto riferimento”.
Invece è come se lo specchio fosse andato in frantumi ed ogni parte interessata, guardando i propri fini ed interessi attraverso i “frammenti di specchio”, estrapola dalle sentenze solo ciò che vuole sentire.
Comunque a giudizio di chi scrive, nella Sentenza della Corte di Giustizia Europea ed in quella della Corte di Cassazione ci sono tutti gli elementi, lavorando in scienza e coscienza, per classificare correttamente i rifiuti anche c.d. voci specchio.
Una sintesi molto concreta riportata dalla Corte di Cassazione e da cui partire per valutare la classificazione dei rifiuti è la seguente:
“Va peraltro osservato che la Sentenza della Corte di Giustizia, tanto nella risposta ai primi tre quesiti, quanto nella motivazione, porta ad escludere radicalmente la possibilità di arbitrare scelte da parte del detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed accertamento della pericolosità; in altre parole, ritiene il Collegio che il necessario riferimento della Corte Europea, in precedenza richiamato, all’impossibilità di imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di vista tecnico che economico, non può assolutamente, a fronte di quanto più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende evidentemente non necessaria l’analisi), il detentore deve raccogliere informazioni, tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza di tale composizione e l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato".
La raccolta delle informazioni, inoltre, va necessariamente effettuata secondo la precisa metodologia specificata, che non prevede esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica, le quali, come espressamente indicato (punto 44) devono peraltro offrire garanzie di efficacia e rappresentatività”
Quello che da un punto di vista giuridico ha espresso la Corte di Giustizia Europea e richiamato la suprema Corte, per gli addetti ai lavori, da un punto di vista tecnico è espresso in maniera chiara e dettagliata dalla Comunicazione della Commissione Europea – Orientamenti Tecnici sulla classificazione dei rifiuti (2018/C124/01).
In particolare, la Comunicazione fornisce chiarimenti e orientamenti alle autorità nazionali, ivi incluse le autorità locali, e alle imprese, riguardo alla corretta interpretazione e applicazione della pertinente normativa UE in materia di classificazione dei rifiuti, segnatamente in merito all’identificazione delle caratteristiche di pericolo, valutando se i rifiuti presentano una qualche caratteristica di pericolo e, in ultima analisi, classificando i rifiuti come pericolosi o non pericolosi.
Quindi non si tratta come molti hanno pensato di nuova normativa Europea ma di chiarimenti ed orientamenti di quella esistente.
La Comunicazione è costituita da tre capitoli e quattro allegati che forniscono tutti i chiarimenti ed orientamenti necessari per applicare correttamente la vigente normativa sui rifiuti.
A titolo di mero esempio in Italia dibattiamo ormai da 1998 su quale sia il contenuto massimo di rifiuti in un imballaggio prima che lo stesso perda la definizione di imballaggio.
Il D.M. 05/02/1998 aveva dato una certa percentuale in peso come limite.
La Comunicazione oltre a riportare un diagramma di flusso per la classificazione dei rifiuti di imballaggio chiarisce anche con esempi concreti.
Per potere classificare un imballaggio occorre che lo stesso sia “ nominalmente vuoto”, con ciò interpretando che i contenuti del prodotto sono stati rimossi in maniera efficace.
Un approccio pratico a tale definizione ci viene dall’Austria, dove si intende imballaggio completamente vuoto, privo di gocciolamenti ( ad esclusione della pulizia dei contenitori) cioè nel caso di ulteriore tentativo di svuotamento, come ad esempio il capovolgimento del contenitore, quest’ultimo non rilascia più gocciole e nè residui solidi.
Perché questo esempio che non c’entra con le c.d. voci specchio?
Solo per dimostrare quanto chiara e lineare è stata scritta la comunicazione della Commissione.
E come nel caso delle voci specchio, sono decenni che in Italia non si riescono a classificare correttamente gli imballaggi, vedendo fusti e cisternette addirittura mezzi pieni e che sono stati trattati con il codice CER degli imballaggi.
Si badi bene non si tratta di un errore formale di attribuzione del CER, ma di un errore sostanziale di gestione dei rifiuti pregiudizievole per l’ambiente.
In conclusione avendo tutti gli strumenti sia legislativi che tecnici non resta che operare in scienza e coscienza per la corretta classificazione dei rifiuti.
E a parare di chi scrive ulteriori linee guida o pareri più o meno autorevoli sia a livello nazionale che locale, oltre che essere del tutto inutili rischiano solo di creare confusione come se quella che c’è già non basta ed avanza.