LA
VICENDA DEI PIANI TERRITORIALI PAESISTICI DELLA SARDEGNA
Nota
ai provvedimenti dei Giudici amministrativi che hanno annullato
Premessa.
Con le recenti sentenze del T.A.R. Sardegna nn. 1203, 1204, 1206, 1207 e 1208 del 6 ottobre 2003 sono stati annullati altri sei decreti presidenziali di esecutività di altrettanti piani territoriali paesistici della Sardegna, dopo il precedente annullamento, avvenuto nel corso del 1998, di sette decreti presidenziali di esecutività di piani territoriali paesistici su ricorso straordinario al Capo dello Stato con relativi pareri del Consiglio di Stato. E’ stata così sostanzialmente posta nel nulla l’intera attività di pianificazione territoriale paesistica portata avanti dalla Regione autonoma della Sardegna[1], fatto che non appare avere precedenti nel nostro Paese e che, per i criteri e gli indirizzi forniti dai Giudici amministrativi, merita particolare attenzione.
1.
L’esperienza della pianificazione territoriale paesistica in
Sardegna.
La
“storia” della pianificazione territoriale paesistica in Sardegna è stata,
come in altre regioni d’Italia, particolarmente travagliata[2].
Di piani paesistici o piani territoriali paesistici, previsti come
facoltativi per le aree tutelate con il vincolo paesaggistico (art. 5 della
legge 29 giugno 1939, n. 1497) ne venne definitivamente approvato soltanto uno,
quello del Molentargius e del Monte Urpinu[3],
già redatto dalla locale Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici,
artistici e storici e successivamente revisionato da specifica commissione
regionale nominata in conseguenza del trasferimento della competenza in materia
di redazione ed approvazione dei piani paesistici e piani territoriali
paesistici dallo Stato alla Regione autonoma della Sardegna in forza dell’art.
6 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480[4].
Nessun
esito, purtroppo, avevano avuto studi e lavori propositivi per piani paesistici
svolti da alcuni fra i più importanti urbanisti italiano nel corso degli anni
‘60[5].
L’obbligo
posto in capo alle regioni “di redazione
di piani paesistici o piani urbanistico-territoriali con specifica
considerazione dei valori paesistici ed ambientali” con cui tutelare e
valorizzare il proprio territorio (in primo luogo le aree tutelate con specifico
vincolo paesaggistico) dall’art. 1 bis della
legge 8 agosto 1985, n. 431 (la c.d. legge Galasso) ha, senza dubbio, dato
impulso all’Amministrazione regionale.
Dopo un primo periodo durante il quale aveva addirittura negato
l’applicabilità di buona parte delle disposizioni della legge n. 431/1985
(nota Presidente Giunta regionale n. 11563 del 20 ottobre 1985), la Regione
autonoma della Sardegna provvide ad individuare sedici zone di varia ampiezza
sottoposte al vincolo temporaneo di non trasformabilità ai sensi dell’art. 1 ter della legge n. 431/1985 fino all’approvazione dei previsti
strumenti di pianificazione territoriale[6].
Con
la legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 veniva ampliato l’ambito vincolante
della pianificazione territoriale paesistica, giungendo a prevederla, oltre che
per le aree tutelate con vincolo paesaggistico, perlomeno per la fascia costiera
dei due km. dalla battigia marina: con gli artt. 12 e 13 venivano, nel contempo,
posti vincoli temporanei (più volte reiterati) e graduali finalizzati
all’approvazione definitiva dei
piani territoriali paesistici[7].
Dopo
l’adozione da parte della Giunta regionale ex
art. 11 della legge regionale n. 45/1989 ed il prescritto periodo di
pubblicazione negli albi pretori per le “osservazioni” da parte di chiunque
vi avesse interesse, venne emanata la legge regionale 7 maggio 1993, n. 23 che,
principalmente, conferì all’Esecutivo regionale la competenza già del
Consiglio sull’approvazione definitiva dei piani territoriali paesistici ed
individuò una serie di beni territoriali (in primo luogo la fascia dei 300
metri dalla battigia marina) tutelati con vincolo di integrale conservazione
delle caratteristiche naturali e, conseguentemente, inedificabili.
Per dare organicità all’operazione pianificatoria vennero approvate il
13 maggio 1993 ulteriori disposizioni di omogeneizzazione e coordinamento dei
piani territoriali paesistici mentre nella seduta del 16 giugno 1993 la
Commissione consiliare competente in materia urbanistica espresse il proprio
parere ai sensi dell’art. 7 della legge regionale n. 23/1993.
Nelle sedute del 3 e del 6 agosto 1993 la Giunta regionale deliberò
l’approvazione dei quattordici piani territoriali paesistici, i quali vennero
resi esecutivi con altrettanti decreti del Presidente della Giunta, dal n. 266
al n. 279 del 6 agosto 1993 e successivamente pubblicati sul supplemento
ordinario n. 1 al B.U.R.A.S. n. 44 del 19 novembre 1993[8].
2.
I provvedimenti di annullamento dei piani territoriali paesistici.
La
concreta possibilità di forte “trasformabilità” senza particolari
motivazioni di vaste aree di elevato valore ambientale (soprattutto lungo le
coste) spinse l’associazione ecologista Friends of the Earth International -
Amici della Terra ad impugnare tutti i decreti di esecutività dei piani
territoriali paesistici chiedendone l’annullamento: sette davanti al T.A.R.
Sardegna, i rimanenti con ricorso straordinario al Capo dello Stato.
A conclusione del prescritto iter procedimentale
(relazioni del Ministero per i beni culturali ed ambientali e delle locali
Soprintendenze ai beni ambientali ed ai beni archeologici, controdeduzioni degli
Assessorati regionali competenti in materia di beni culturali e di difesa
dell’ambiente) sette decreti del Presidente della Repubblica, quattro adottati
in data 29 luglio 1998 e tre in data 20 ottobre 1998, hanno annullato
altrettanti decreti di esecutività di piani territoriali paesistici su conformi
pareri del Consiglio di Stato (sezione II), resi in sede consultiva
rispettivamente nelle adunanze del 13 e del 20 maggio 1998[9].
I
pareri del Consiglio di Stato, accogliendo pressochè in
toto le motivazioni addotte nei ricorsi ecologisti, hanno “demolito”
l’operazione pianificatoria regionale.
Nella prima serie di pareri (adunanza del 13 maggio 1998) il Collegio ha
ritenuto, accogliendo un motivo di ricorso, che nell’individuazione degli
ambiti territoriali qualificati da graduali interventi di trasformazione (“2
a”, “2 b”, “2 c”, “2 d” e “2 e”), indicati dall’art. 17
della normativa di attuazione dei piani territoriali paesistici, venissero
previsti interventi ammissibili (artt. 18 e 22 della normativa di attuazione) “per
tabulas ... in assoluto contrasto con la primaria esigenza di tutela del
paesaggio. ... Sul piano pratico, risultano ammissibili una serie d’interventi
in antinomia giuridica con la ratio di tutela del paesaggio”.
La Sezione aveva puntualmente osservato che “risultano
autorizzabili interventi per la realizzazione di opere pubbliche o d’interesse
pubblico: opere stradali, aereoportuali, ferroviarie, idriche, “B a” (parco
giochi acquatici), “D b” (discariche ed impianti di depurazione), “D d”
(dighe ed acquedotti), “F f” (insediamenti di tipo industriale), “G”
(interventi di carattere estrattivo), “H” (interventi di carattere
turistico: alberghi, residence) ed “I” (attività a carattere produttivo)”,
mentre il successivo art. 21 della normativa di attuazione disponeva, in
relazione alle aree classificate “2 d” una “gamma
illimitata di usi consentiti in palese contrasto con l’interesse generale
della salvaguardia del paesaggio”.
Conseguentemente, “l’eccesso di
potere ha determinato l’adozione di un atto in contrasto con la funzione
primaria del piano territoriale paesistico”, la quale “è
l’attuazione specifica della valorizzazione ambientale a livello di
pianificazione urbanistico-territoriale”, come affermato dalla costante
giurisprudenza costituzionale ed amministrativa[10]:
i piani territoriali paesistici della Sardegna avevano invece “adottato
una disciplina in contrasto con la tutela del paesaggio ... consentendo
interventi di trasformazione non in linea con la natura paesaggistica delle
aree”. Sembra
opportuno evidenziare che non risultavano in alcun modo motivazioni di sostegno
alle previsioni di modificabilità di aree tutelate con vincoli ambientali,
neppure individuate le zone soggette ad uso civico (legge n. 1766/1927, regio
decreto n. 332/1928, legge regionale n. 12/1994 e successive modifiche ed
integrazioni)[11],
nè le volumetrie massime ammissibili, in violazione dell’art. 23, comma 1°,
nn. 1 e 5, del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, nè le qualità
architettoniche dei nuovi edifici, con riguardo alla distribuzione e
localizzazione del territorio. Infatti,
la natura e le scelte operate dallo strumento di pianificazione imponevano “l’assoluto
rispetto del principio della congrua motivazione, in relazione ai dati di fatto
emersi nell’iter istruttorio ed alle ragioni di diritto a fondamento delle
scelte programmatorie“, mentre si è riscontrata
“assoluta carenza di motivazione in ordine alla classificazione come
trasformabili di zone oggetto di tutela paesaggistica, dotate di destinazione ad
area protetta, gravate da usi civici, con presenza di vincoli idrogeologici,
archeologici e come zone umide”.
La
seconda serie di pareri, resi dalla seconda Sezione del Consiglio di Stato
nell’adunanza del 20 maggio 1998, aveva, viceversa, ritenuto assorbente per il
suo carattere fondamentale la censura concernente la previsione nell’atto
impugnato della “trasformabilità” senza adeguata motivazione di aree di
elevato valore ambientale tutelate con il vincolo paesaggistico o altri vincoli
di natura ambientale.
Preventivamente
la Sezione considerava che la normativa di attuazione dei piani territoriali
paesistici prevede (art. 12) tre ambiti di tutela: gli ambiti di
“conservazione integrale” (art. 13 della normativa di attuazione,
contraddistinti con il numero “1”, dove, per l’eccezionale valore dei
caratteri naturalistici, storici e morfologici non risultavano ammesse
alterazioni dello stato dei luoghi, ma soltanto interventi di ripristino e
fruizione ambientale), gli ambiti di “trasformazione” (art. 17 della
normativa di attuazione, contraddistinti con il numero “2”, dove la
“trasformabilità” del territorio veniva modulata in progressive cinque
fasce in relazione ai valori ambientali presenti) e gli ambiti di “restauro e
recupero ambientale” (art. 23 della normativa di attuazione, contraddistinti
con il numero “3”, dove, graduatamente, venivano consentiti interventi di
risanamento ambientale).
In primo luogo, il massimo Organo di giustizia amministrativa osservava
che, nella “tabella degli usi compatibili” allegata ad ogni piano
territoriale paesistico, soltanto per gli interventi di cui alla lettera A (uso
di area protetta) risultava esplicitamente previsto il preventivo conseguimento
dell’autorizzazione paesaggistica ex art.
7 della legge n. 1497/1939 (oggi art. 151 del decreto legislativo n. 490/1999),
mentre per tutte le altre tipologie di intervento nulla era detto.
Non si riteneva sufficiente “il
procedimento di studio e accertamento di compatibilità paesistico-ambientale”
di cui agli artt. 9 - 11 della normativa di attuazione “perchè,
a tacer d’altro (ad es. sulla natura non di discrezionalità tecnica
dell’atto conclusivo), si tratta di procedimento ed atto non sottoposto alle
regole e ai controlli propri del procedimento di autorizzazione paesistica (ivi
incluso il potere ministeriale di annullamento ex art. 82, nono comma, d.P.R. 24
luglio 1977, n. 616, come introdotto dall’art. 1, quinto comma, del
decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, n.
431, che vale anche per la Regione Sardegna: Corte Cost., 18 ottobre 1996, n.
431)”[12].
Opportunamente
è stato delineato il quadro normativo e giurisprudenziale del piano
territoriale paesistico e dei suoi rapporti con il vincolo paesaggistico di cui
alle leggi n. 1497/1939 e 431/1985 (ed oggi il decreto legislativo n. 490/1999).
Il piano paesistico “è un mezzo
di tutela del paesaggio che, sia nel suo momento genetico, che in quello
funzionale, è connesso da un lato con i vincoli paesistici, da un altro con
l’autorizzazione puntuale agli interventi, di cui all’art. 7 della legge 29
giugno 1939, n. 1497”: pertanto la relazione giuridica, secondo il sistema
delineato dalla legge n. 431 del 1985, tra il vincolo paesaggistico/ambientale e
il piano paesistico è, in senso temporale e procedimentale, di presupposizione,
mentre in senso gerarchico e sostanziale, di sottordinazione del piano al
vincolo e, conseguentemente, di sottordinazione del nullaosta al piano stesso[13].
La
giurisprudenza costituzionale ed amministrativa ha, infatti, visto “nel
piano paesistico uno strumento di attuazione del vincolo, in quanto atto inteso
a disciplinarne l’operatività (Corte costit., 13 luglio 1990, n. 327) e a
determinarne la portata, i contenuti, i limiti e gli effetti ... concretando un
momento logicamente successivo della sua regolazione (Corte costit., 28 luglio
1995, n. 417), volto ad ulteriormente disciplinare ... l’operatività del
vincolo paesistico, che in ogni caso permane e non viene meno (Cons. Stato, VI,
14 gennaio 1993, n. 29; Cons. Stato, VI, 20 gennaio 1998, n. 106)”.
Il piano paesistico è, quindi, il peculiare “strumento” di
attuazione “dinamica” del vincolo paesaggistico, lo presuppone e,
naturalmente, non vi può derogare: deve mantenerne il contenuto precettivo e
porsi, in sostanza, come ulteriore precisazione della caratteristica coercitiva
del vincolo stesso mediante la preventiva valutazione di compatibilità
paesistico-ambientale degli interventi proposti.
Il
Consiglio di Stato ha ritenuto, quindi, necessario ricordare che il contenuto
precettivo fondamentale del vincolo paesaggistico consiste “nella
imposizione del previo giudizio di compatibilità dell’opera che si intende
realizzare con le esigenze dell’àmbito protetto e dunque con i valori
ambientali e paesaggistici specifici della zona (Cons. Stato, VI, 11 giugno
1990, n. 600), giudizio che si estrinseca nella concessione o nel diniego
dell’autorizzazione dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497”[14].
Per
quanto riguarda il contenuto concreto del piano, esso deve individuare, zona per
zona, gli interventi preclusi per la loro inconciliabilità con i contenuti del
vincolo paesaggistico concernenti l’area determinata: il piano introdurrà,
pertanto, un regime di non modificabilità assoluta di certe zone o di non
compatibilità assoluta di determinate opere.
“Per queste zone o opere, il
giudizio di incompatibilità viene effettuato una volta per tutte, sì che non
può esservi più nemmeno luogo alla autorizzazione. E’ questa la prima
valutazione da compiere nell’estrinsecazione della discrezionalità tecnica
che presiede alla funzione conservativa del vincolo”.
Per le altre zone si dovrà continuare a procedere con la valutazione in
concreto dell’eventuale compatibilità (magari con modifiche e/o prescrizioni)
dell’intervento proposto mediante giudizio tecnico-discrezionale: qui il piano
detterà criteri e parametri generali di giudizio, imporrà o vieterà tipologie
di materiali o di tecniche costruttive, anche per il recupero ambientale, ma
sempre “allo scopo conservativo di
impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo
pregiudizievole alla bellezza panoramica (art. 5 della legge 29 giugno 1939, n.
1497)”.
Questa
funzione del piano paesistico disposta dall’art. 1 bis
della legge n. 431/1985 (ed attualmente dagli artt. 149 e 150 del decreto
legislativo n. 490/1999) si aggiunge e si integra con quanto indicato
dall’art. 23 del R.D. n. 1357/1940[15], con l’eventuale (v.
Cons. Stato, Sez. VI, 12 novembre 1990, n. 951) ricognizione di beni individuati
in via generale dalla legge (es. i boschi, v. Cons. Stato, Sez. VI, 19 maggio
1994, n. 794). Visto
che il piano paesistico è sovraordinato alla pianificazione urbanistica (oggi ex
art. 150, comma 2°, del decreto legislativo n. 490/1999), ulteriore
funzione assegnatagli è quella di condizionare la successiva attività
pianificatoria, finendo per assolvere al compito di essere strumento di base
della regolamentazione complessiva dell’uso del territorio tutelato con
vincoli ambientali e di contenimento dello sviluppo urbanistico entro limiti e
condizioni che assicurano inderogabilmente la conservazione dei valori
ambientali tutelati[16].
La
Sezione ha, poi, accortamente osservato che, in base all’equivalenza degli
strumenti pianificatori stabilita dalla legge (attualmente art. 149, comma 1°,
del decreto legislativo n. 490/1999 e già art. 1 bis,
comma 1°, ultima parte, della legge n. 431/1985), il piano
urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed
ambientali (strumento che, in sostanza, è stato previsto in Sardegna), che può
riguardare anche aree prive di vincolo paesaggistico, non può che avere stessi
contenuti e tipologia di “gestione” del vincolo in relazione alle aree
tutelate, come interpretato dalla più autorevole giurisprudenza[17].
I
contenuti prescrittivi del piano hanno, inoltre, una funzione garantista,
offrendo ai cittadini indirizzi e prevedibilità delle scelte della pubblica
amministrazione in modo da poter svolgere le proprie valutazioni su progetti ed
investimenti.
Il
Collegio ha afferma, quindi, che il piano che difetti delle caratteristiche
enunciate viene meno alla sua funzione “ed
è quantomeno illegittimo per difformità rispetto al modello legislativo,
quando non addirittura inesistente in quanto tale ... per assenza di
realizzazione dalla funzione prescrittiva assegnatagli dalla legge come
necessaria”: nel caso specifico i piani territoriali paesistici impugnati
appaiono “realizzare non già uno
strumento di attuazione e di specificazione del contenuto precettivo del
vincolo, bensì una deroga ad esso” sia in relazione all’eliminazione
della previsione della necessità del nullaosta paesaggistico per gli “usi
compatibili” diversi da quelli sub “A
- uso di area protetta”, sia in riferimento “alla funzione di progressione nella definizione del contenuto
precettivo del Piano”.
Ma
il Consiglio di Stato è andato ben oltre, censurando pesantemente l’operato
della Regione autonoma della Sardegna.
I piani territoriali paesistici
annullati prevedevano, illegittimamente, “ampie
categorie e tipologie di usi reputati come compatibili con un contesto le cui
caratteristiche di bellezza naturale debbono essere salvaguardate”.
Esse
“sono in realtà di mole, impatto e rilevanza tale da comportare, sia nel loro
insieme che ad una ad una, con gli elevati livelli di trasformabilità del
territorio che consentono, il denunciato snaturamento delle caratteristiche
naturali, ambientali e paesaggistiche che, invece, si afferma di voler tutelare
e conservare”.
Alcuni degli “usi compatibili” (infrastrutture stradali e
ferroviarie, dighe ed altre opere idriche, aziende di trasformazione dei
prodotti agricoli e zootecnici, strutture per l’allevamento, cave, strutture
ricettive, strutture residenziali stagionali) sono apparsi “assolutamente
incompatibili” per le aree di conservazione integrale, “inadeguati ed incongrui” per le aree di interesse archeologico
e “di compatibilità certamente da
condizionare e limitare incisivamente” per le restanti zone dei piani al
fine di preservare efficacemente i valori ambientali/paesaggistici che si
intendono tutelare.
Nel caso dell’attività pianificatoria svolta in Sardegna, affermava il
Consiglio di Stato, “a ben vedere,
appare che la preoccupazione reale sia stata quella di contrastare, usando in
modo improprio dell’occasione offerta dalla pianificazione paesistica, gli
effetti limitativi propri del vincolo, garantendo comunque l’effettuazione di
ponderosi interventi, piuttosto che, al contrario, di definire i ristretti
parametri di compatibilità che consentano di mantenere ... inalterato il quadro
complessivo dei valori paesistico-ambientali protetti.
Il che è, dal punto di vista del contenuto, l’esatto rovesciamento
della funzione propria del piano paesistico”, realizzando un evidente
vizio funzionale dell’atto amministrativo.
E’
stato, conseguentemente, censurato il metodo stesso di individuazione delle
tipologie di interventi definiti aprioristicamente “compatibili” (dei quali
soltanto quelli di tipologia “A” previo specifico nullaosta): sembra voler
precostituire, dal punto di vista paesaggistico, “le
condizioni per l’affermazione della libertà dell’intervento (salva, nei
limitati casi per cui è fatta restare, l’autorizzazione)”.
Si è trattato, pertanto, dell’esatto contrario dell’operazione prima
delineata di individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri di
valutazione delle incompatibilità relative: “in
realtà, ci si trova di fronte proprio al descritto illegittimo scopo di deroga
al vincolo e dunque alla negazione della funzione essenziale e tipica del Piano
paesistico”.
3.
I successivi sviluppi.
La
Giunta regionale, in seguito alla notifica dei provvedimenti di annullamento dei
piani territoriali paesistici, adottò due
provvedimenti cautelari ex art. 14
della legge regionale n. 45/1989 (deliberazioni G.R. n. 50/40 del 17 novembre
1998 e n. 54/10 del 9 dicembre 1998) che inibivano, rispettivamente nelle aree
rientranti nei primi quattro e nei successivi tre piani territoriali paesistici
annullati, gran parte degli interventi di modifica del territorio per un periodo
di tre mesi decorrenti dalla pubblicazione sul B.U.R.A.S.[18]
Successivamente,
terminata l’efficacia dei detti provvedimenti, non è intervenuto alcun atto
concreto finalizzato alla redazione dei nuovi atti (o al nuovo unico atto) di
pianificazione territoriale paesistica.
A
livello normativo vi è stato il deposito presso il Consiglio regionale di una
nutrita serie di disegni di legge di iniziativa della Giunta[19]
e di gruppi di consiglieri[20],
in ogni caso mai discussi dall’Assemblea elettiva.
Sul piano amministrativo non risulta alcuna attività in merito.
In
ogni caso hanno ripreso efficacia, ai sensi dell’art. 162 del decreto
legislativo n. 490/1999, i decreti assessoriali di individuazione di aree
soggette a vincolo temporaneo di non trasformabilità ex
art. 1 ter della legge n. 431/1985
e relativi a zone interessate dai piani territoriali paesistici annullati (Giara
di Gesturi, Argentiera e Porto Conte, Stagni di Casaraccio e delle Saline, Capo
Marrargiu, Stagno di San Teodoro, Litorale tra Badesi e Valledoria), come
segnalato anche dall’Assessorato pubblica istruzione, beni culturali,
informazione, spettacolo e sport con note n. 1035 TP/SS del 3 febbraio 2000 agli
Enti locali interessati, alle Soprintendenze aventi sede nel territorio
regionale, agli ordini e collegi professionali ed alle restanti strutture
dell’Amministrazione regionale.
4.
Le sentenze del T.A.R. Sardegna.
A distanza di quasi dieci anni dall’inoltro dei
relativi ricorsi il T.A.R. Sardegna ha depositato sei sentenze (le nn. 1203,
1204, 1206, 1207 e 1208 del 6 ottobre 2003) di annullamento di altrettanti piani
territoriali paesistici[21]
in seguito ai ricorsi inoltrati da Friends of the Earth International - Amici
della Terra e da Legambiente limitatamente ai piani n. 1 “Gallura”, n. 7
“Sinis” e n. 11 “Marganai”.
Le motivazioni di annullamento del T.A.R. Sardegna hanno fatto esplicito
riferimento alle argomentazioni autorevolmente addotte dal Consiglio di Stato.
Anzi, il Giudice amministrativo sardo ha iniziato il suo percorso logico
di giudizio proprio dai pareri espressi dal Consiglio di Stato (“le
… osservazioni sono condivise dal Collegio”).
In particolare il T.A.R. ha fatto propria “l’impostazione
che la Seconda Sezione ha dato alla problematica, individuando nella tabella
degli usi compatibili il punto nodale della disciplina”.
Tale tabella, come ormai noto, impone l’acquisizione del parere di
compatibilità paesistica soltanto per gli usi previsti alla lettera “A”, “mentre
tale prescrizione non è ripetuta per gli usi elencati alle lettere
successive”.
Questa disposizione, ritenuta illegittima, comporta da sola, secondo il
Giudice amministrativo sardo, l’illegittimità del “piano
nel suo complesso”. Il
T.A.R. cagliaritano ha accolto, inoltre, i criteri di definizione e di
operatività elaborati dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato
riguardo gli atti di pianificazione territoriale paesistica: “il
piano territoriale paesistico si colloca fra il provvedimento d’apposizione
del vincolo, che presuppone, ed il provvedimento con il quale vengono consentiti
usi della zona vincolata, disciplinando l’esercizio del potere autorizzatorio,
in modo da fornire parametri certi agli interessati”.
Costituisce, pertanto, strumento di programmazione dell’attività
gestionale tecnico-amministrativa del vincolo ambientale “anche
nell’interesse dei proprietari immobiliari”, essendo conoscibili
parametri ed indirizzi certi riguardo l’esercizio dei poteri discrezionali
inerenti la gestione del medesimo vincolo.
Il T.A.R. ha ripreso esplicitamente il percorso logico-giuridico del
Consiglio di Stato anche per quanto concerne l’individuazione del piano
territoriale paesistico quale strumento di definizione del contenuto precettivo
del vincolo ambientale e di autoregolamentazione preventiva di taluni aspetti
della discrezionalità tecnica che presiede al procedimento di esame delle
istanze di modifica delle aree vincolate.
Puntualmente,
“il piano paesistico, essendo in
posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo ed il suo limite e non può
modificarlo o derogare ad esso, ma può (anzi … deve, per ciò che attiene
alla normativa d’uso e di valorizzazione ambientale del territorio) solo
specificare i contenuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in
favore del vincolo”.
Il
piano deve, anche per il Giudice sardo, provvedere ad individuare – “per
un’evidente ragione di economia dell’azione pubblica successiva” –
gli interventi, le tipologie, le aree di elevato valore naturalistico-ambientale
dove è esclusa qualsiasi attività di modifica territoriale a causa
dell’incompatibilità con i valori tutelati.
La conclusione non ha potuto essere che la medesima: “le
ampie categorie e tipologie di usi reputati come compatibili con un contesto le
cui caratteristiche di bellezza naturale devono essere salvaguardate sono in
realtà di mole, impatto e rilevanza tale da comportare, sia nel loro insieme
che ad una ad una, con gli elevati livelli di trasformabilità del territorio
che consentono il denunciato snaturamento delle caratteristiche naturali,
ambientali e paesaggistiche che, invece, si afferma di voler tutelare e
conservare”.
In
sostanza, anche in considerazione del lungo tempo trascorso dal deposito dei
ricorsi avverso i provvedimenti portanti i suddetti atti di pianificazione
(1994) e dalle decisioni relative ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato
(1998), non sembra proprio seguita una via logico-giuridica originale[22].
In attesa dei nuovi piani e di un’eventuale normativa regionale transitoria, hanno ripreso efficacia, ai sensi dell’art. 162 del decreto legislativo n. 490/1999, gli ulteriori decreti assessoriali di individuazione di aree soggette a vincolo temporaneo di non trasformabilità ex art. 1 ter della legge n. 431/1985 e relativi a zone interessate dai piani territoriali paesistici ora annullati (Castello di Quirra, Porto sa Ruxi, Monti dei Sette Fratelli, Rio Piscinas di Arbus, Costa di Siniscola e Orosei, Costa ed entroterra di Baunei e Dorgali, Castelsardo, Arcipelago della Maddalena)[23]. In questi ultimi mesi si sono susseguite iniziative politiche ed amministrative finalizzate ad una nuova attività di pianificazione, anche se poco produttive sul piano concreto[24].
Sembra
doveroso accennare ad alcune innovazioni normative, che tendono a regolare in
modo più compiuto e puntuale la materia.
Si deve rammentare che l’art. 150 del decreto legislativo 29 ottobre
1999, n. 490 prevede, finalmente, l’obbligo statale di individuazione delle “linee
fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda i
valori ambientali, con finalità di orientamento della pianificazione
territoriale paesistica” secondo le modalità di cui all’art. 52 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112: si tratta, di fatto, della previsione
di un atto di indirizzo e coordinamento in materia di pianificazione
territoriale.
L’art. 150, comma 3°, del decreto legislativo n. 490/1999 ha, invece,
introdotto la possibilità, sotto il profilo giuridico (sotto il profilo
sostanziale non sussisteva alcun ostacolo neppure in precedenza), di “speciali
forme di collaborazione delle competenti soprintendenze alla formazione dei
piani” con regioni e comuni grazie ad accordi con il Ministero per i beni
e le attività culturali.
Si tratta della previsione formale di intese Stato – Regione (o Stato
– Comune) per attività di co-pianificazione (principalmente piani
territoriali paesistici e piani urbanistici comunali).
Si
tratta di forme collaborative Stato – Regione che andrebbero incentivate ai
massimi livelli e che possono prevenire lungaggini, dilazioni, contrasti
istituzionali e, particolarmente, gli interventi sostitutivi statali in caso di
inadempienza regionale conclamata ai sensi dell’art. 149, comma 3°, del
decreto legislativo n. 490/1999 (già art. 1 bis,
comma 2°, della legge n. 431/1985)[25].
Tali forme collaborative hanno trovato, infine, piena dignità giuridica
con l’accordo tra il Ministero per i beni e le attività culturali, le Regioni
e le Province autonome di Trento e Bolzano sull’esercizio dei poteri in
materia di paesaggio, stipulato in sede di Conferenza Stato – Regioni nella
seduta del 19 aprile 2001[26]
sulla scorta dei lavori della Commissione di riforma della normativa in materia
di tutela paesaggistico-ambientale[27]
costituita in seguito alle risultanze della I Conferenza nazionale sul paesaggio[28] e degli indirizzi
scaturiti dalla Convenzione europea del paesaggio sottoscritta dai Paesi membri
del Consiglio d’Europa a Firenze il 20 ottobre 2000.
In tale accordo vengono per la prima volta indicati criteri ed indirizzi
di carattere generale della “gestione” del paesaggio e della pianificazione
paesistica, obiettivi di qualità e meccanismi procedurali di controllo e
vigilanza, ma – soprattutto – viene individuata la necessità di attivazione
di “processi di collaborazione costruttiva fra le pubbliche
amministrazioni di ogni livello aventi competenza istituzionale in materia di
tutela e valorizzazione paesistica” con particolare riferimento proprio
all’attività di pianificazione.
Si
tratta di occasioni da cogliere favorevolmente perché l’esigenza di gestire
correttamente gli strumenti di salvaguardia e valorizzazione
paesaggistico-ambientale non può più attendere.
Dott. Stefano Deliperi
Territorio - Regione
Sardegna - Pianificazione territoriale paesistica - Esercizio - Art. 1 bis
legge n. 431 del 1985 (c.d. “legge Galasso”) - Violazione dei contenuti
e delle prescrizioni del vincolo paesaggistico – Esercizio distorto del potere
di pianificazione paesistica – Illegittimità.
I piani territoriali
paesistici approvati dalla Regione autonoma della Sardegna prevedono, senza
alcuna congrua motivazione necessaria per legge anche sotto l’aspetto tecnico,
tipologie di interventi (“usi compatibili”) in contrasto con l’esigenza di
tutela delle aree soggette al vincolo paesaggistico di cui alle leggi 29 giugno
1939, n. 1497 e 8 agosto 1985, n. 431. Analogamente sono scelte pianificatorie
illegittime la mancata individuazione delle aree soggette ad usi civici e la
mancata indicazione dei tetti massimi di volumetrie edificabili in relazione
alle singole aree ricomprese nei piani territoriali paesistici.
II CONSIGLIO
DI STATO, Sez. II consultiva - 20 maggio 1998 - nn. 548/98, 549/98 e 550/98 -
associazione Friends of the Earth International - Amici della Terra (avv. C.A.
Melis Costa) c. Regione autonoma della Sardegna (avv. G. Contu).
Territorio - Regione
Sardegna - Pianificazione territoriale paesistica - Esercizio - Art. 1 bis
legge n. 431 del 1985 (c.d. “legge Galasso”) - Violazione dei contenuti
e delle prescrizioni del vincolo paesaggistico - Esercizio distorto del potere
di pianificazione paesistica - Illegittimità.
I piani territoriali
paesistici approvati dalla Regione autonoma della Sardegna prevedono, senza
alcuna congrua motivazione necessaria per legge anche sotto l’aspetto tecnico,
tipologie di interventi (“usi compatibili”) in contrasto con l’esigenza di
tutela delle aree soggette al vincolo paesaggistico di cui alle leggi 29 giugno
1939, n. 1497 e 8 agosto 1985, n. 431. Il piano paesistico ed il piano
urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed
ambientali sono equivalenti per legge e costituiscono il peculiare strumento di
attuazione dinamica del vincolo paesaggistico, specificandolo e precisandone i
contenuti (regimi di conservazione assoluta delle aree, compatibilità di
interventi, criteri, prescrizioni, ecc.) senza mai derogarvi. Il piano
paesistico si pone in posizione intermedia fra il vincolo paesaggistico
(presupposto) e la successiva valutazione concreta di compatibilità
paesistico-ambientale dell’intervento proposto. Il piano paesistico è
sovraordinato alla pianificazione urbanistica, la condiziona e la vincola. I
piani territoriali paesistici approvati dalla Regione autonoma della Sardegna
contengono scelte pianificatorie sotto il profilo della normativa di attuazione
tali da realizzare non già uno strumento di attuazione e di specificazione del
vincolo paesaggistico, bensì una deroga, cioè la negazione della funzione
essenziale e tipica del piano paesistico.
III T.A.R.
SARDEGNA – 6 ottobre 2003 - nn. 1203, 1204, 1206, 1207 e 1208 -
associazione Friends of the Earth International - Amici della Terra (avv. C.A.
Melis Costa) c. Regione autonoma della Sardegna (avv. G. Contu).
Territorio - Regione
Sardegna - Pianificazione territoriale paesistica - Esercizio - Art. 1 bis
legge n. 431 del 1985 (c.d. “legge Galasso”) - Violazione dei contenuti
e delle prescrizioni del vincolo paesaggistico - Esercizio distorto del potere
di pianificazione paesistica - Illegittimità.
I piani territoriali
paesistici della Regione autonoma della Sardegna prevedono, senza adeguata
motivazione necessaria per legge anche sotto l’aspetto tecnico, tipologie di
interventi (“usi compatibili”) in contrasto con l’esigenza di tutela delle
aree soggette al vincolo paesaggistico di cui alle leggi 29 giugno 1939, n. 1497
e 8 agosto 1985, n. 431 e, attualmente, al decreto legislativo 20 ottobre 1999,
n. 490. Il piano territoriale
paesistico costituisce il peculiare strumento di attuazione dinamica del vincolo
paesaggistico, specificandolo e precisandone i contenuti (regimi di
conservazione assoluta delle aree, compatibilità di interventi, criteri,
prescrizioni, ecc.) senza potervi mai derogare. Il piano paesistico si pone in
posizione intermedia fra il vincolo paesaggistico (presupposto) e la successiva
valutazione concreta di compatibilità paesistico-ambientale dell’intervento
proposto. I piani
territoriali paesistici approvati dalla Regione autonoma della Sardegna
contengono scelte pianificatorie sotto il profilo della normativa di attuazione
tali da realizzare non già uno strumento di attuazione e di specificazione del
vincolo paesaggistico, bensì una deroga, cioè lo snaturamento della funzione
propria del piano paesistico.
[1] E’ attualmente vigente il solo piano territoriale paesistico n. 7 del Sinis, esecutivo con D.P.G.R. 6 agosto 1993, n. 272, tuttora sotto giudizio del T.A.R. Sardegna.
[2]
Sulla distinzione fra piani paesistici e piani
urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori ambientali
e paesistici e, in generale, sulla pianificazione territoriale paesistica
vedi: Il riparto di competenze in tema
di ambiente e paesaggio dopo la revisione del Titolo V della Parte seconda
della Costituzione, di G. MANFREDI, in questa Rivista, 2003, p. 515; I
principi del diritto urbanistico, Giuffrè, Ed., Milano, 2002; Ancora
sul termine di validità dei c. d.
[3] Decreto dell’Assessore della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport della Regione autonoma della Sardegna 12 gennaio 1979, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie gen., n. 286 del 4 dicembre 1992.
[4] Normativa di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna, la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 e successive modifiche ed integrazioni.
[5] Fra i più significativi apporti vi furono quelli di Italo Insolera e di Fulco Pratesi. Si trattava di proposte di piano paesistico relative a comprensori includenti prevalentemente zone di sviluppo turistico in base a programmi e finanziamenti di cui alla legge 26 giugno 1965, n. 717 (Testo unico della Cassa per il Mezzogiorno) ed al relativo piano degli interventi pubblici approvato dal Comitato interministeriale per la ricostruzione (C.I.R.) il 1 agosto 1966. le proposte di piano relative alla Sardegna riguardavano le seguenti aree vaste: Gallura - Arcipelago della Maddalena; Costa orientale sarda - Gennargentu, Costa centro-occidentale sarda (Sinis e Gofo di Oristano); Comprensorio sud-occidentale sardo (costa sulcitana ed Isole di S.Pietro e S.Antioco); Costa sarda nord-occidentale, Isole Piana, Asinara e Foradada.
[6] Si tratta dei decreti dell’Assessore della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport nn. 2997 - 3012 del 23 dicembre 1985 di sottoposizione a vincolo di temporanea non trasformabilità fino al termine (più volte prorogato) del 20 dicembre 1990 delle seguenti aree: Quirra, Porto Sa Ruxi, Sinis, Rio Piscinas, Monti dei Sette Fratelli, Giara di Gesturi, Argentiera e Porto Conte, Stagni di Casaraccio e delle Saline, Capo Marrargiu, Stagno di S.Teodoro, Litorale tra Badesi e Valledoria, Castelsardo, Arcipelago della Maddalena, Litorale tra Baunei e Dorgali, Costa di Siniscola e Orosei. Con ulteriore decreto assessoriale n. 553 del 2 giugno 1989 il vincolo ex art. 1 ter della legge n. 431/1985 veniva esteso a tutta la fascia costiera dei trecento metri dalla battigia marina fino al termine del 6 gennaio 1990.
[7] I vincoli posti dagli artt. 12 e 13 della legge regionale n. 45/1989 riguardavano la fascia dei due km. dalla battigia marina, con esclusione delle zone omogenee A, B, C e D degli strumenti urbanistici vigenti ai sensi del decreto assessoriale n. 2266/U del 20 dicembre 1983 e prevedevano, in ogni caso, una nutrita serie di deroghe, le principali delle quali sono di seguito indicate: manutenzioni ordinarie e straordinarie, interventi agro-silvo-pastorali di modesta entità, opere di interesse pubblico, di urbanizzazione, di preminente interesse pubblico (anche entro la fascia dei metri 150 dalla battigia marina), strutture ricettive ai sensi della legge regionale 14 maggio 1984, n. 22 (alberghi, residences, multiproprietà, campeggi, ecc. anche nella fascia fra i 150 ed i 500 metri dalla battigia marina) previo nullaosta della Giunta regionale (alla fine saranno ben 235 !). Eventuali ulteriori deroghe potevano essere concesse dal sindaco del Comune competente, previa deliberazione del Consiglio comunale, nullaosta della Giunta regionale ed autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497/1939.
[8] I quattordici piani territoriali paesistici della Sardegna riguardano, quindi, tutta la fascia costiera dei due km. dalla battigia marina e vaste zone dell’interno dell’Isola per un’estensione complessiva di circa 10.000 km. quadrati. Le aree tutelate con vincolo paesaggistico ai sensi delle leggi n. 1497/1939 e n. 431/1985 (oggi ai sensi degli artt. 139 e 146 del decreto legislativo n. 490/1999) ammontano complessivamente ad oltre 139.050 km. quadrati, cioè il 46,14 % del territorio nazionale. La percentuale del territorio regionale sardo tutelato con vincolo paesaggistico “scende” al 35,54 % a cui, però, bisogna aggiungere un ulteriore 7-8 % rientrante nella fascia dei due km. dalla battigia e precedentemente non tutelato dal citato vincolo, dove la normativa di attuazione di ogni piano paesistico (artt. 1 e 5) ha previsto l’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge n. 1497/1939 (oggi ai sensi dell’art. 151 del decreto legislativo n. 490/1999) per ogni intervento di modifica del territorio. La classificazione delle aree nei piani territoriali paesistici prevede, in sintesi, le seguenti zonizzazioni: zona “1” (conservazione integrale); zona “2 a” (aree nelle quali prevale l’esigenza di tutela delle caratteristiche naturali); zona “2 b” (aree che, pur costituendo sistemi naturali o seminaturali di rilevante valore paesistico, ammettono limitate modifiche dello stato dei luoghi); zona “2 c” (aree che, pur presentando qualità ambientali o particolari ambiti meritevoli di tutela, possono essere oggetto di trasformazione); zona “2 d” (aree già antropizzate e compromesse che presentano emergenze meritevoli di tutela); zona “2 d*” (areali in cui gli interven