Commercio ambulante e attività di “robivecchi”: è una disciplina in deroga?.
di Serenella BELTRAME
di Serenella Beltrame1
E’ da parecchio tempo che la giurisprudenza e la dottrina2 non si occupano dell’attività del commercio ambulante di rifiuti e, segnatamente, dell’attività dei c.d. robivecchi o cenciaioli, e l’occasione per la discussione è stata data da una disposizione derogatoria del D. Lgs. 152/2006, l’art. 266 comma 5, che esonera dalla disciplina ordinaria sui rifiuti i commercianti ambulanti limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio.
L’art. 266, comma 5, D. Lgs. n. 152/2006, prevede:
“Le disposizioni di cui agli artt. 189, 190, 193 e 212 non ai applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”.
In sostanza, gli ambulanti non sono soggetti agli obblighi documentali della normativa sui rifiuti, in particolare l’iscrizione all’Albo gestori ambientali di cui all’art. 212 D.Lgs. n. 152/2006, per effetto di detta disposizione derogatoria ma esclusivamente sono sottoposti alla disciplina sul commercio ambulante stabilita dalle altre leggi statali, senza che alcuna altra disposizione in materia ambientale menzioni il commercio ambulante di rifiuti.
Tale norma in deroga riproduce il contenuto dell’art. 58, comma 7 quater, del D.Lgs. n. 22/97, inserito dall’art. 4, comma 27, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, entrato in vigore il 29.12.1998, recante nuovi interventi in campo ambientale ed il testo del D. Lgs. n. 22/97 non fa alcun altro riferimento al commercio ambulante di rifiuti al pari, del resto, della normativa di settore pregressa e di quella successiva.
L’ art. 58, comma 7 quater, del D.Lgs. n. 22/97, inserito dall’art. 4, comma 27, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, stabiliva:
“le disposizioni di cui agli artt. 11, 12, 15 e 30 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio”.
Proprio per capire il significato di detta norma è indispensabile una breve disamina del panorama normativo in materia di commercio ambulante e della giurisprudenza formatasi nel tempo per poi passare in rassegna le opinioni della dottrina e della giurisprudenza sulle menzionate disposizioni in deroga.
La disciplina del commercio ambulante.
Come già detto, prima dell’art. 58, comma 7 quater, D.Lgs. 22/97, entrato in vigore il 29.12.1998, il commercio ambulante di rifiuti era disciplinato dal regime ordinario del settore “rifiuti”senza alcuna eccezione.
Il commercio ambulante era regolato dalla legge 19 maggio 1976 n. 398 che considerava “commercio ambulante quello esercitato da colui che vende merci al minuto o somministra al pubblico alimenti e bevande, con la sola collaborazione dei familiari e di non più di due dipendenti, presso il domicilio dei compratori o su spazi o aree pubbliche, purchè non si adoperino impianti fissati permanentemente al suolo” (art. 1). Il commercio ambulante può essere esercitato a posto fisso o assegnato a turno o senza posto fisso.
Sul piano degli adempimenti amministrativi, l’art. 2 della legge 19 maggio 1976, n. 398, prevedeva che l’esercizio del commercio ambulante è subordinato all’iscrizione in una speciale sezione del registro della camera di commercio previsto dalla legge 11.06.1971 n. 426 ed al possesso di un’autorizzazione rilasciata dal sindaco del comune di residenza del richiedente.
L’art. 121 t.u.l.p.s. in materia di mestieri ambulanti e girovaghi prevedeva che:
“Salve le disposizioni di questo testo unico circa la vendita ambulante delle armi, degli strumenti atti ad offendere e delle bevande alcoliche, non può essere esercitato il mestiere ambulante di venditore o distributore di merci, generi alimentari o bevande, di scritti o disegni, di cenciaiolo, saltimbanco, cantante, suonatore, servitore di piazza, facchino, cocchiere, conduttore di autoveicoli di piazza, barcaiolo, lustrascarpe e mestieri analoghi, senza previa iscrizione in un registro apposito presso l’autorità locale di pubblica sicurezza. Questa rilascia certificato della avvenuta iscrizione. L’iscrizione non è subordinata alle condizioni prevedute dall’art. 11 né a quella preveduta dal capoverso dell’art. 12, salva sempre la facoltà dell’autorità di pubblica sicurezza di negarla alle persone che ritiene capaci di abusarne”.
L’art. 14 della legge 19.05.1976, n. 398, ha espressamente abrogato, tra l’altro, l’art. 121 t.u.l.p.s. nella parte relativa all’obbligo della iscrizione in apposito registro presso le autorità di P.S. per l’esercizio del commercio ambulante; pertanto, tale fatto non è più preveduto come reato3.
Il carattere essenziale e determinante per individuare il mestiere ambulante o girovago, ricavabile dalla elencazione esemplificativa e non tassativa di tali mestieri contenuta nell’art. 121 TU delle leggi di P.S., sta in ciò che il mestiere non è vincolato ad una sede fissa o permanente, ma si esercita spostandosi continuamente o periodicamente da luogo a luogo4.
L’art. 6, comma 1, lett. b), D.P.R. 28 maggio 2001 n. 311 ha definitivamente abrogato l’art. 121 t.u.l.p.s..
La legge 28 marzo 1991, n. 112, ha modificato la disciplina sul commercio ambulante di cui alla legge n. 398/76 ed ha ribadito che “il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del commercio su aree pubbliche di cui all’articolo 1 è subordinato all’iscrizione nel registro degli esercenti il commercio previsto dalla legge 11.06.1971, n. 426. L’autorizzazione per esercitare l’attività di cui all’art. 1 comma 2 lett. a) è efficace per il solo territorio del Comune nel quale il richiedente intenda esercitarla ed è rilasciata dal sindaco nei limiti della disponibilità delle aree previste a tal fine, negli strumenti urbanistici, per i mercati rionali o individuate dal consiglio comunale nei provvedimenti di istituzione di una fiera o mercato”.
La legge 28 marzo 1991, n. 112, è stata successivamente sostituita dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, entrato in vigore il 09.05.1998 che ha riformulato la disciplina del commercio ed al quale si dovrà fare riferimento nel caso che ci occupa.
Gli obblighi documentali rimangono sostanzialmente invariati, ma il commercio non viene definito come ambulante bensì come itinerante.
Sul piano normativo, in primo luogo dovrà farsi riferimento alla definizione contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. b), D.lgs. 114/98, di “commercio al dettaglio“ descritto come “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale. L’attività commerciale esercitabile sarà, inoltre, quella indicata dall’art. 18, comma 1, lett b), e cioè quella che può essere svolta “su qualsiasi area purchè in forma itinerante” e soggetta all’autorizzazione di cui al successivo comma 4, rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l’attività. La disciplina astrattamente applicabile sarà poi quella del Titolo X relativo al commercio al dettaglio su aree pubbliche, queste ultime definite dall’art. 27 comma 1, lett. b), come “le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprietà privata gravate da servitù di pubblico passaggio ed ogni altra area di qualunque natura destinata ad uso pubblico”.
L’art. 28 D. Lgs. n. 114/1998, pone in evidenza che il commercio può essere svolto: a) su posteggi dati in concessione per dieci anni; b) su qualsiasi area purchè in forma itinerante. L’esercizio dell’attività è soggetta ad apposita autorizzazione rilasciata a persone fisiche, a società di persone, a società di capitali regolarmente costituite o cooperative e l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma itinerante è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l’attività.
Gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza.
Secondo un’opzione della dottrina5 la deroga di cui all’art. 58, comma 7 quater, D. Lgs. n. 22/97, va interpretata come riferita all’art. 121 t.u.l.p.s. (v. supra) che disciplinava il commercio ambulante “Di conseguenza, l’abrogazione dell’art. 121 dovrebbe aver fatto venire meno la stessa possibilità dell’esercizio dell’attività in forma ambulante alla condizione di una mera iscrizione in un apposito albo”. L’art. 121 t.u.l.p.s. è stato definitivamente abrogato dall’art. 6, comma 1, lett. b), D.P.R. 28 maggio 2001, n. 311.
Sempre secondo tale opinione della dottrina, non pare “possibile individuare il titolo per svolgere quel tipo di attività (ambulante n.d.r.) nella normativa di cui al D. Lgs. n. 114/1998 in quanto l’attività svolta nel concreto non prevede affatto la cessione del bene (nel caso di specie: rifiuto) al pubblico, bensì ad un soggetto determinato, vale a dire il titolare dell’impianto di recupero (o ad altri intermediari, che comunque sono pur sempre commercianti), mentre non pare dubbio che la c.d. autorizzazione di tipo B rilasciabile dai comuni per l’attività svolta in forma itinerante preveda in ogni caso la vendita ad un generico pubblico di consumatori finali e non ad altre imprese. Senza trascurare che, di fatto, i raccoglitori (in massima parte di rottami ferrosi) anziché acquistare i beni, oggetto del proprio commercio, spesso si limitano alla mera raccolta di rifiuti abbandonati da terzi in area pubblica”.
Ne consegue in base a questa tesi, che venendo meno l’operatività della deroga di cui all’art. 266 comma 5 D.Lgs. 152/06 a seguito dell’abrogazione dell’art. 121 t.u.l.p.s., si riespande il regime ordinario sui rifiuti anche per i commercianti ambulanti di residui che non possono invocare l’art. 266 come ombrello protettivo per la loro attività, con conseguente obbligo di iscrizione all’Albo Gestori Ambientali di cui all’art. 212 TUA.
Tale orientamento non è stato condiviso dalla Cassazione che ha ritenuto operativa entro circoscritti limiti la deroga di cui all’art. 266, comma 5, D. Lgs. n. 152/2006, con riferimento alle leggi statali sul commercio ambulante o itinerante e, da ultimo, in relazione al D. Lgs. 114/98.
La giurisprudenza, dopo aver richiamato il testo dell’art. 121 t.u.l.p.s. (v. § precedente) afferma che:
“L’art. 14 della legge 19 maggio 1976, n. 398 ha abrogato la disposizione nella parte relativa all’obbligo della iscrizione in apposito registro presso le autorità di pubblica sicurezza per l’esercizio del commercio ambulante, mentre, con il d.P.R. 28 maggio 2001, n. 311, sono stati abrogati il primo ed il secondo comma. Dunque al momento in cui la legge 426/1998 introduceva per la prima volta la deroga, aggiungendo il comma 7 quater all’art. 58 del d.lgs. 22/97, vigevano l’art. 121 t.u.l.p.s. nella originaria formulazione e la legge 398/76 sul commercio ambulante, quest’ultima poi abrogata dalla legge 28 marzo 1991 n. 112, a sua volta abrogata dal d.lgs. 114/98, attualmente vigente.
Ciò posto, deve rilevarsi come non vi sia alcun elemento che lasci intendere che, nella formulazione del comma 7-quater dell’art. 58 del d.lgs. 22/97 (poi riprodotta nell’art. 266, comma 5 d.lgs. 152/06), il legislatore intendesse riferirsi all’art. 121 TULPS allora vigente e non anche alla disciplina generale sul commercio, attività che espressamente richiama, anche perché il mestiere di “cenciaiolo” cui fa riferimento il Pubblico Ministero ricorrente, così come le altre attività descritte nell’art. 121 TULPS, sono indicate in modo dettagliato e viene quindi da chiedersi per quali ragioni non sia stata utilizzata la medesima espressione o un richiamo diretto alla disciplina allora ancora vigente, ricorrendo invece ad una formulazione – rivelatasi ambigua – che contempla, appunto, una eccezione per i soggetti formalmente autorizzati all’attività di “raccolta e trasporto di rifiuti” da esercitare in forma ambulante, ma limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio.
Inoltre, come si è già detto, considerata la scansione temporale delle varie leggi nel tempo succedutesi, sembra poco verosimile, pur ammettendo che il legislatore avesse originariamente inteso riferirsi all’art. 121 TULPS che non si sia avveduto della sua abrogazione quando è stato emanato, anni dopo, il d.lgs. 152/06, continuando ad ignorarla nelle innumerevoli, successive occasioni in cui il decreto è stato, anche in maniera rilevante, modificato.
Posto che la disciplina generale sui rifiuti non contempla, se non nella disposizione in esame, l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante e considerato che, come si è appena detto, la deroga opera limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del commercio dei soggetti autorizzati (evidentemente allo svolgimento di tale ultima attività, poiché altrimenti, se ci si riferisse ai rifiuti, i titoli abilitanti sarebbero quelli oggetto di deroga), è alla disciplina sul commercio attualmente in vigore che deve farsi riferimento”6.
Sempre la stessa decisione anzi citata ricorda che l’art. 266, comma 5, d.lgs. 152/06, sostanzialmente riproducente il contenuto dell’art. 58, comma 7-quater dell’abrogato D. Lv. 22/97 è stato interpretato dalla giurisprudenza nel senso che l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, effettuata da soggetti abilitati allo svolgimento dell’attività in forma ambulante, non prevede l’iscrizione all’albo dei gestori dei rifiuti, con conseguente esclusione della configurabilità del reato di illecito trasporto sul presupposto che essa faccia riferimento a titoli abilitativi disciplinati da altre leggi statali, in quanto la normativa generale sui rifiuti non prevede specifici istituti di abilitazione all’attività di raccolta e trasporto in forma ambulante7.
Veniva comunque precisato che tale attività deve essere effettuata previo conseguimento del titolo abilitativo attraverso l’iscrizione presso la camera di commercio ed i successivi adempimenti amministrativi8, che il soggetto che la esercita, oltre al possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante, deve trattare rifiuti che formano oggetto del suo commercio9. Si osservava, inoltre, che le richiamate decisioni, nel considerare il titolo abilitativo legittimante il commercio ambulante, ricordano che la normativa di riferimento è quella contemplata dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, che ha riformato la disciplina relativa al settore del commercio (in tal senso si è successivamente espressa anche Sez. III n. 39774, 25 settembre 2013 in un caso riguardante un soggetto che, sebbene iscritto all’albo della Camera di Commercio, non risultava in possesso dell’autorizzazione comunale al commercio in forma itinerante di cui all’art. 28 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114).
Fatte tali premesse, la Suprema Corte sosteneva che, riproponendo l’art. 266, comma 5, d.lgs. 152/06 analoga disposizione previgente (emanata prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 114/98, considerando evidentemente, le disposizioni che a quel tempo disciplinavano il commercio ambulante) non poteva dubitarsi – nonostante gli evidenti problemi di coordinamento con altre disposizioni che hanno caratterizzato il d.lgs. 152/06 fin dalla sua emanazione – che in occasione della stesura dell’art. 266 ed in occasione dei numerosissimi interventi modificativi al decreto, si fosse tenuto conto del necessario raccordo con l’attuale disciplina del commercio che la concreta applicazione della norma richiede10. Il giudice di legittimità puntualizza, inoltre, che l’applicazione della disciplina derogatoria in esame non può prescindere dal contenuto letterale dell’art. 266, comma 5 e, segnatamente, dell’ultima parte della disposizione, laddove l’esonero dall’osservanza della disciplina generale è chiaramente circoscritta ai soli rifiuti che formano oggetto del commercio del soggetto abilitato, con la conseguenza che la verifica del settore merceologico entro il quale il commerciante è abilitato ad operare deve essere oggetto di adeguato accertamento, così come la riconducibilità del rifiuto trasportato all’attività autorizzata.
Conclusioni.
Pur apprezzando le preoccupazioni della dottrina inerenti la possibile strumentalizzazione del regime in deroga di cui all’art. 266, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006, come ombrello protettivo per conferire illecitamente i rifiuti in un impianto di recupero (ed in assenza di qualunque commercio) non va sottaciuto che l’opzione giurisprudenziale sopra descritta appare restrittiva ed idonea a prevenire qualunque rischio in tal senso.
La deroga di cui all’art. 266, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006 è giustificata dalla valutazione di minor pericolosità per la salute e per l’ambiente operata dal legislatore con riguardo ad una attività che poteva pacificamente ricondursi a quella dei c.d. robivecchi, dovendosi nel contempo escludere che la disciplina in esame possa essere utilizzata per legittimare attività diverse che richiedono, invece, il rispetto delle disposizioni sui rifiuti di carattere generale. Vertendosi in tema di disciplina eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria in tema di rifiuti, l’onere della prova sulla sussistenza delle condizioni fissate per la liceità della condotta grava su chi ne invoca l’applicazione e, quindi, di regola sul commerciante ambulante.
Il giudice del merito ha il potere ed il dovere di verificare in concreto l’efficacia e validità del titolo abilitativo eventualmente esibito e la natura personale del suddetto titolo, desumibile dalla disciplina sopra richiamata, che presuppone il possesso di determinati requisiti per l’esercizio dell’attività di commercio, implica un ulteriore accertamento, nel caso in cui detta attività non sia svolta direttamente da colui che vi è abilitato, finalizzata alla corretta individuazione del rapporto effettivamente intercorrente tra i diversi soggetti.
La violazione dei limiti e requisiti della deroga di cui all’art. 266, comma 5, D.Lgs. 152/2006, è sanzionata dalla fattispecie di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/2006, classificato dalla giurisprudenza come reato comune. La condotta sanzionata dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/2006 è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209,210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità.
La deroga prevista dall’art. 266 comma 5 D.Lgs. 152/2006 per l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e, dall’altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio11 e come indicati nel titolo abilitativo.
1 Avvocato in Udine.
2 Vedi V. Paone, La raccolta e il trasporto dei rifiuti in forma ambulante, in Ambiente & Sviluppo, 2013, p. 111 e ss; v. Balossi, Raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante, id., 2009, p. 898, in nota a Cass. 7 aprile 2009, Pizzimenti.
3 Cfr. Cass. VI, sent. 8756 del 30.06.1978 ud. 05.05.1978 Rv. 139557; conf. Cass. VI sent. 13301del 31.10.1978 ud. 20.06.1978, Rv. 140471, per cui “Con l’entrata in vigore della legge 19 maggio 1976, n. 398, l’esercizio del commercio ambulante non è più subordinato alla iscrizione nel registro di P.S., previsto dall’art. 121 del TUPS, ma soltanto all’iscrizione in una speciale sezione del registro della camera di commercio, previsto dalla legge 11 giugno 1971 n. 426. Pertanto, l’inosservanza di tale ultima disposizione non è punibile ai sensi dell’art. 17 del TULPS, la cui efficacia è testualmente circoscritta alle sole contravvenzioni previste dal medesimo testo unico”.
4 Cfr. Cass. VI sent. 1450 del 26.08.1969 ud. 17.06.1969, Rv, 112555; conf. Cass. VI sent. 340 del 09.06.1965 ud. 10.02.1965 Rv. 99682. E’ stato sottolineato che “La contravvenzione di cui all’art. 121 leggi di P.S. ha come presupposto l’ esercizio del mestiere di venditore ambulante in forma continuativa e per fine di lucro. Pertanto non costituisce reato la vendita occasionale di giornali effettuata da propagandisti di un partito politico con esclusione del fine di lucro personale”, cfr. Cass. Sez, Un. Sent. 16 del 16.06.1951.
5 Vedi V. Paone, La raccolta e il trasporto dei rifiuti in forma ambulante, in Ambiente & Sviluppo, 2013, p. 111 e ss.
6 Cfr. Cass. Sez. 3, 09.07.2014 ud. 24.06.2014 n. 29992, Pm in proc. Lazzaro, in Ambiente & Sviluppo, in “Rassegna” 2014, n. 11, p. 817, con nota di V. Paone. V. nello stesso senso, Cass. Sez. 3 n. 16111, 3. 05.2013 ud. 09.04.2013 Milhalache, in Ambiente & Sviluppo, 2013, p. 944; Cass. Sez. 3 02.03.2015 ud. 16.01.2015, ric. C. e V., in Ambiente & Sviluppo, 2015, n. 10, p. 597 per cui “Nel caso della raccolta e trasporto dei rifiuti in forma ambulante, il giudice è chiamato a verificare la sussistenza, l’efficacia e la validità di un titolo abilitativo e verificare che l’attività sia circoscritta ai soli rifiuti che formano oggetto del commercio del soggetto abilitato”; v. anche Cass. Sez. 3, 22.01.2015, ud. 17.12.2014, n. 2872, P.M. in proc. Massa, in Ambiente & Sviluppo, 2015, n. 10, p. 598, per cui “Con riferimento al fenomeno del “commercio ambulante di rifiuti”, l’ambito di efficacia della deroga di cui all’art. 266, comma 5, D. Lgs. n. 152/2006 è delimitato alle sole ipotesi in cu sia effettivamente applicabile la disciplina sul commercio ambulante di cui al D. Lgs. n. 114/1998 e tale applicabilità sia dimostrata dall’interessato ed accertata dal giudice del merito, escludendosi, conseguentemente, che l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi consistenti, per lo più, in rottami ferrosi, possa rientrare tout court nella nozione di commercio ambulante come individuata dal menzionato decreto perché una simile attività non può essere astrattamente riconducibile a quelle descritte dal D. Lgs. n. 114/1998 ed esercitata in concreto con le modalità che lo stesso decreto stabilisce”. V. anche Cass. sentenza 17.08.2014 n. 34917, in Rifiuti, Boll. Inf. Normativa, 2015, n. 232, p. 38, secondo la quale “Non possono essere oggetto dell’autorizzazione al commercio ambulante di cui all’art. 266, comma 5, D. Lgs. 152/2006 le tipologie di rifiuti che rientrano in categorie autonomamente disciplinate. Non si applica il regime derogatorio ex articolo 266 “Codice Ambiente” al commercio ambulante di “elettrodomestici in disuso”, in quanto devono considerarsi compresi tra i rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) disciplinati dal D.Lgs. 49/2014. L’autorizzazione al commercio ambulante di “elettrodomestici usati” non si estende agli “elettrodomestici in disuso” (ritrovati in suo possesso)”.
7 La sentenza cita le seguenti decisioni “Sez. III n. 1287, 13 settembre 2005; v. anche Sez. III n. 28 366, 8 agosto 2006; Sez. III n. 20249, 14 maggio 2009”.
8 La sentenza ricorda “Sez. III n. 28366/06 cit.”.
9 La sentenza Lazzaro cita “Sez. III n. 20249/09 cit.) e che tali principi erano stati oggetto di successiva conferma (Sez. III n. 25352, 27 giugno 2012; Sez. III n. 27290, 10 luglio 2012)”:
10 Cfr. Cass. Sez. 3, 09.07.2014 ud. 24.06.2014 n. 29992, Pm in proc. Lazzaro, dianzi citata, che poi sottolinea: “Sulla base di tale presupposto si affermava dunque che, tenendo presente quanto stabilito dal d.lgs 114/98, dovrà farsi in primo luogo riferimento alla definizione, contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. b) di “commercio al dettaglio”, descritto come “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivede, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale” e che la disciplina astrattamente applicabile è quella regolata dal Titolo X, relativo al commercio al dettaglio su aree pubbliche, queste ultime definite, dall’art. 27, comma 1 lett. b), come “le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprietà privata gravate da servitù di pubblico passaggio ed ogni altra area di qualunque natura destinata ad uso pubblico”. L’attività commerciale esercitabile è, inoltre, quella indicata dall’art. 18, comma 1, lett. b), e, cioè, quella che può essere svolta “su qualsiasi area purchè in forma itinerante” e soggetta all’autorizzazione di cui al successivo comma 4, rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal Comune nel quale il richiedente , persona fisica o giuridica, intende avviare l’attività. Non poteva farsi a meno di rilevare, nella suddetta decisione, che il raccordo tra le disposizioni in tema di commercio e l’art. 266, comma 5 d.lgs. 152/06, considerato il tenore letterale delle prime, è reso particolarmente arduo, pur evidenziando che ciò non autorizzava una forzata estensione dell’ambito di operatività della disciplina dettata dal d.lgs. 114/98, che risulta compiutamente definita, né di quella dell’art. 266, comma 5 che , riguardando la materia dei rifiuti, richiede una lettura orientata all’osservanza dei principi generali comunitari e nazionali e, prevedendo un’esclusione dal regime generale dei rifiuti, impone sicuramente un’applicazione restrittiva”. V. conforme anche Cass. sentenza 17.08.2014 n. 34917, in Rifiuti, Boll. Inf. Normativa, 2015, n. 232, p. 38.
11 Cfr. Cass. Sez. 3, 09.07.2014 ud. 24.06.2014 n. 29992, Pm in proc. Lazzaro,citata.