Fanghi da depurazione in agricoltura, nessuna transizione ecologica

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente si ringraziano Autore ed Editore

La sentenza commentata è leggibile qui

1. - Premessa . Più di tre anni fa, trattando della problematica dei fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura, mettevamo in evidenza, come premessa, che « nel diritto ambientale esiste un principio base che troppo spesso viene dimenticato, specie quando confligge con esigenze di profitto (o di risparmio costi). Ci riferiamo, ovviamente, al principio di precauzione, sancito sia a livello comunitario che nazionale il quale, molto semplicemente, in caso vi siano dubbi circa pericoli per l’ambiente e per la salute, impone di scegliere l’alternativa della cautela »1.

Oggi, tre anni dopo, dobbiamo constatare che nulla è cambiato, tanto è vero che, pochi giorni fa, il Consiglio di Stato ha dovuto ricordare con forza ancora una volta che, per questi fanghi, proprio per il principio di precauzione, vanno applicati i limiti più restrittivi a tutela dell’ambiente e della salute.

2. - Sintesi storica . Ma andiamo con ordine e, rinviando ad altri lavori per approfondimenti e richiami 2 , ricapitoliamo sommariamente i termini principali della questione anche sotto il profilo storico.

1) Il d.lgs. n. 99 del 1992 (emanato in attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura) prevede (art. 3) una serie di requisiti per questi fanghi, ossia prescrive le condizioni ritenute necessarie per il loro uso in attività agricole, al fine di garantire la tutela dell’ambiente e della salute.

2) Nel 2017 una sentenza della Cassazione 3 , occupandosi di fanghi toscani contaminati da idrocarburi (parametro non normato dal predetto d.lgs., e pertanto ritenuto irrilevante dalla difesa), osservava che «è impensabile che una regolamentazione ad hoc (...) avente lo scopo di disciplinare l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo, incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione, possa ammettere un uso indiscriminato di sostanze tossiche e nocive (...)»; che, peraltro, dovrebbero essere assenti visto che la legge speciale si riferisce solo a fanghi di depurazione derivati da scarichi «civili» o ad essi assimilati; e precisava che, trattandosi di rifiuti, così come ribadito dalla giurisprudenza comunitaria, la normativa speciale deve essere coordinata con quella generale sui rifiuti; e pertanto sono, comunque, applicabili a questi fanghi (anche) i limiti previsti dal testo unico ambientale (allegato 5 alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006) in tema di «messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati in funzione della specifica destinazione d’uso del sito; in quanto», se così non fosse, «un rifiuto può essere impiegabile nello spandimento su un terreno agricolo sebbene abbia valori di contaminazione ben superiori ai limiti di accettabilità per aree industriali». Di conseguenza, secondo la Cassazione, pur se la normativa speciale non prevede alcun limite per gli idrocarburi presenti nei fanghi da depurazione per l’agricoltura, tale limite deve essere desunto dalla citata normativa generale sui rifiuti che lo indica in 50mg/kg.

3) Questo assunto, tuttavia, veniva sottoposto a pesanti critiche da parte di certa dottrina e ritenuto troppo restrittivo da alcune Regioni, le quali sostenevano invece, con l’avallo di ISPRA e del Ministero dell’ambiente, che l’unica normativa applicabile è quella «speciale» del citato d.lgs.

Pertanto, « al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione », con l’art. 41 del c.d. decreto Genova (d.l. 28 settembre 2018, n. 109 convertito con l. 16 novembre 2018, n. 130), si stabiliva, in attesa di una riforma organica, per il loro utilizzo in agricoltura, in 1.000 mg/kg (sul tal quale), il limite per idrocarburi; ampliando altresì notevolmente anche per diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico (inquinanti tipicamente industriali) i limiti dell’allegato 5 ritenuti applicabili dalla Suprema Corte.

4) Come prevedibile, l’art. 41 veniva pesantemente contestato dal mondo ambientalista, che chiedeva a gran voce al Ministro dell’ambiente di abrogarlo al più presto, applicando i limiti più restrittivi individuati dalla Cassazione. Il Ministro, da un lato rispondeva che applicare questi limiti «è come mischiare le pere con le mele. Stiamo parlando di due cose diverse! Da una parte c’è il fango, dall’altra il campo. E il fango non va sparso così com’è nel terreno quindi quel valore riscontrato nei rifiuti trasformato in fertilizzante non si ritroverà mai una volta sparso, nei campi» 4 ; ma dall’altro ammetteva: «abbiamo inserito l’articolo sui fanghi di depurazione nel decreto Genova perché c’erano le condizioni della decretazione di urgenza. Sì, quest’estate siamo stati in emergenza, con tonnellate di fanghi accumulate soprattutto nelle Regioni del Nord, e abbiamo sfiorato un disastro ambientale per l’accumulo nei depositi di stoccaggio dei fanghi industriali», riconoscendo che non è stata «la mediazione migliore, ma quel testo inserito in quel decreto adesso arriva in Parlamento e può essere migliorato, e io ne sarei ben lieto»; concludendo, il 14 ottobre 2018, che «nel frattempo non stiamo assolutamente a guardare. Il Ministero sta già lavorando al nuovo decreto, che avrà senz’altro valori più rigorosi. Ma dobbiamo dire con chiarezza che ci sono tempi tecnici da rispettare e, con il passaggio all’ISPRA e quello in Conferenza Stato Regioni, prima di qualche mese non potrà essere emanato (...)».

5) Nel gennaio 2019 la Suprema Corte, pur prendendo atto dei nuovi limiti, evidenziava di «condividere le argomentazioni» della sua precedente sentenza del 2017 5 .

6) Due mesi dopo, il 28 marzo 2019, la Corte europea di giustizia evidenziava che « il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, in particolare quelli connessi con la presenza di sostanze pericolose »; e pertanto concludeva che « uno Stato membro può decidere che un fango da depurazione resti per sempre un rifiuto anche se ha subìto operazioni di recupero » 6 . In tal modo, infatti, esso sarà per sempre soggetto alla disciplina cautelativa stabilita per i rifiuti «dalla culla alla tomba».

7) Due mesi dopo, il 17 maggio 2019, l’on. Alessandro Bratti, Direttore generale dell’ISPRA, in una intervista a La Stampa, affermava che «sui fanghi di depurazione in agricoltura è il momento di fare una scelta. Io sono molto critico sul loro utilizzo. Soprattutto nel momento in cui parliamo di fanghi di origine mista, prodotti da impianti di depurazione in cui confluiscono reflui urbani e industriali. Per quanto trattati, c’è il rischio che finiscano nel terreno sostanze non idonee (...). Il punto è che questo rischia di non essere più un modo per apportare benefici in agricoltura, ma un sistema di smaltimento dei fanghi».

8) Tre mesi dopo, il 28 agosto 2019, il Consiglio di Stato, sposava integralmente la posizione della Cassazione, evidenziando che «per il rilascio dell’autorizzazione all’utilizzo dei fanghi non è sufficiente la verifica dell’assenza nel suolo destinato alle operazioni di spandimento o nei fanghi delle sole sostanze e limiti di concentrazione indicati nel d.lgs. n. 99/1992 (anche dopo il Dl 119/2018 convertito nella legge 130/2018) poiché occorre anche il riferimento ai limiti indicati nel d.lgs. n. 152/2006 alla tabella 1, colonna A, allegato 5 alla parte IV» 7.

9) Due mesi dopo, la legge di delegazione europea 4 ottobre 2019, n. 117, al fine di recepire la nuova direttiva sulle discariche imponeva al Governo di «adottare una nuova disciplina organica in materia di utilizzazione dei fanghi, anche modificando la disciplina stabilita dal d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99 (...) al fine di garantire la gestione e l’utilizzo dei fanghi in condizioni di sicurezza per l’uomo e per l’ambiente» [art. 15, comma 1, lett. b), n. 4]. Tuttavia, nessuna nuova disciplina sui fanghi compariva nel d.lgs. di recepimento n. 117/2021 o in altro atto normativo.

10) Un anno dopo, la Corte europea di giustizia, chiamata ad occuparsi della qualificazione di «fanghi prodotti durante il trattamento congiunto delle acque reflue di origine industriale e, in minima parte, di origine domestica o urbana nell’impianto di depurazione», evidenziava che «il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per la l’ambiente e la salute umana, segnatamente connessi all’eventuale presenza di sostanze pericolose»8 .

3. - La sentenza del Consiglio di Stato n. 2561 del 2021. L’ultimo (per ora) atto di questa annosa vicenda l’ha scritto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2561 del 26 marzo 2021, dove si discuteva della legittimità dell’operato della P.A. la quale, in mancanza di una determinazione di diritto positivo della soglia limite del paraxilene nei fanghi destinati all’agricoltura, seguendo lo stesso percorso delineato nel 2017 dalla Cassazione per gli idrocarburi, aveva applicato i limiti stabiliti per tale sostanza in relazione al terreno. Il Consiglio di Stato confermava con decisione questo orientamento, alla luce della «portata “anticipatoria” del principio di precauzione ambientale, come stregua di riferimento dell’attività amministrativa», che comporta «l’obbligo delle autorità amministrative competenti di stabilire una tutela anticipata rispetto alla fase di applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione». Ed aggiungeva esplicitamente che «la legittimità di tale operato dell’Amministrazione trova riscontro anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale “l’uso agronomico presuppone infatti che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, d.lgs. n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del 1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati”: non può quindi ammettersi “un uso indiscriminato di sostanze tossiche e nocive, non nominate come pericolose ex positivo iure, ponendosi piuttosto un problema di limiti e di tollerabilità dei fanghi in sintonia con le finalità perseguite di tutela ambientale e di salvaguardia della salute della persona umana” (Cass. Sez. III Pen. 6 giugno 2017, n. 27958)». Riconfermava, quindi, pienamente la sua già citata sentenza del 2019 («che il Collegio condivide») secondo la quale «dovendo la gestione di ogni sorta di rifiuto, e quindi anche dei fanghi derivanti da impianti di depurazione, conformarsi “ai princìpi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione” (art. 178, comma 1, d.lgs. n. 152/2006), il coordinamento esegetico tra la disciplina concernente l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi e quella relativa ai rifiuti, finalizzata alla più ampia protezione dell’ambiente, implica inevitabilmente un’indagine analitica accurata che escluda il rischio di contaminazioni delle matrici ambientali, e segnatamente dei suoli, e verifichi se questi ultimi non siano già, a loro volta, connotati da contaminazioni rilevanti»; riaffermando, in particolare, che «in tale prospettiva risulta quindi razionale e affatto corretto il riferimento ai valori soglia di concentrazione di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5, alla parte IV del d.lgs. n. 152/2006, perché essi individuano le sostanze e le soglie massime di concentrazione in funzione delle quali la matrice ambientale non può considerarsi idonea a ricevere ulteriori sostanze contaminanti e semmai deve essere assoggettata a bonifica».

Insomma, conferma piena che per questi fanghi occorre operare in base al principio di precauzione, con la conseguenza che applicare ai fanghi per l’agricoltura i limiti previsti per il terreno contaminato non significa affatto «mischiare le pere con le mele», ma, molto più semplicemente, garantire il diritto alla salute dei cittadini.

4. - Conclusione . Che altro dire? Questa brutta vicenda dei fanghi contaminati utilizzati in agricoltura sembra non avere mai fine. A distanza di quasi tre anni dal decreto Genova, nonostante i moniti della Corte europea, della Cassazione e del Consiglio di Stato, nonostante il Ministro dell’ambiente avesse promesso di rivedere la materia in pochi mesi, e nonostante una richiesta espressa di intervento normativo al Governo da parte del Parlamento, non è cambiato niente e si continua a consentire che i nostri campi vengano «fertilizzati» con fanghi contenenti sostanze tossiche. Con buona pace del principio di precauzione sancito a livello comunitario e nazionale.

Intanto, così come risulta dalle relazioni della DIA, molte delle (poche) indagini effettuate per verificare il traffico illecito di rifiuti riguardano la creazione di discariche illecite di rifiuti, anche tossici, spacciati come sostanze utili all’agricoltura, con grandi profitti per la criminalità (più o meno) organizzata e grandi pericoli per salute ed ambiente.

La soluzione migliore sarebbe quella adottata già da molti Paesi europei che hanno eliminato del tutto la possibilità di utilizzare in agricoltura fanghi da depurazione 9. Ma, se anche non si vuole arrivare al divieto assoluto, bisognerebbe almeno rifarsi ai limiti normativi esistenti identificati concordemente da Cassazione e Consiglio di Stato. Altrimenti, come si può continuare ad essere credibili quando si parla di «transizione ecologica»?

Gianfranco Amendola

1 Amendola, Utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura e Cassazione , in questa Riv., 2018, 1.

2 Amendola, Art. 41 del decreto Genova. Quel pasticciaccio brutto dei fanghi contaminati ad uso agricolo , in Questione Giustizia, 21 dicembre 2018 e in www.lexambiente.it, 4 gennaio 2019.

3 Cass. Sez. III Pen. 6 giugno 2017, n. 27958, Pagnin, in questa Riv., 2018, 1, con nostra nota cit. Nello stesso senso cfr. T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III 20 luglio 2018, n. 1782, in www.osservatorioagromafie.it.

4 In www.blog delle stelle, 24 ottobre 2018

5 La sentenza (n. 4238 del 29 gennaio 2019), è riportata in questa Riv., 2019, 1, con nostra nota adesiva Fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura e art. 41 decreto Genova. La Cassazione risponde alle critiche e consolida la sua giurisprudenza .

6 Corte di giustizia UE, Sez. II 28 marzo 2019, in causa C‑60/18, in www.osservatorioagromafie.it. Per un commento generale, cfr. Amendola, Rifiuti con codici a specchio, fanghi di depurazione contaminati e cessazione della qualità di rifiuto (EOW). La Corte europea si schiera con la Cassazione e con il Consiglio di Stato , in www.lexambiente. it, 19 aprile 2019.

7 Cons. Stato, Sez. IV 28 agosto 2019, n. 5920, in questa Riv., 2019, 5, con nostra nota adesiva Fanghi da depurazione in agricoltura. Il Consiglio di Stato conferma la Cassazione.

8 Corte di giustizia UE, Sez. II 14 ottobre 2020, in causa C-629/19, in www.osservatorioagromafie.it.

9 In altri Stati europei (fra cui la Svizzera, la Germania e l’Austria) « l’uso dei fanghi in agricoltura è molto limitato, se non inesistente » proprio per il rischio connesso con la possibile presenza di sostanze pericolose, come si legge nella relazione della Commissione europea del 27 febbraio 2017 sull’attuazione della normativa dell’UE in materia di rifiuti.