I materiali da demolizione possono essere sottoprodotti?

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su rivistadga.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Cass. Sez. III Pen. 13 dicembre 2022, n. 47040 - Ramacci, pres.; Zunica, est.; De Marco, ric. (Cassa in parte con rinvio Trib. Castrovillari 23 febbraio 2022)

Sanità pubblica - Rifiuti - Gestione dei rifiuti - Materiali provenienti da demolizione - Onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo.

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 256, commi 1-3, del d.lgs. n. 152 del 2006, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al «deposito temporaneo» o al «sottoprodotto», dovendosi al riguardo ribadire che, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria.

I materiali da costruzione e demolizione ricorrono spesso nella disciplina prevista dal T.U.A. (d.lgs. n. 152/06). In particolare, l’art. 183, comma 1, lett. b quater) definisce i «“ rifiuti da costruzione e demolizione” i rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione », specificando che essi non sono inclusi tra i rifiuti urbani ma, insieme a quelli da scavo – e « fermo restando quanto disposto dall’art. 184 bis» (introdotto dal d.lgs. n. 205/2010 in materia di sottoprodotti) –, rientrano tra i rifiuti speciali [art. 184, comma 3, lett. b)]; aggiungendo che possono essere oggetto di deposito temporaneo prima della raccolta [art. 185 bis, comma 1, lett. c)].

Ed anche la giurisprudenza si è occupata spesso dei materiali da demolizione, ricordando, tra l’altro, più volte, che « gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l’obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento » 1 ; aggiungendo che « i rifiuti da demolizione di edifici presentano caratteristiche di disomogeneità in quanto sono rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo che necessitano, prima del loro nuovo uso, di preventivi trattamenti (vagliatura, cernita, separazione, rimozione di eventuali sostanze inquinanti, recupero di metalli e composti metallici, frantumazione etc.); in particolare, i residui di attività di demolizione richiedono, prima del loro reimpiego, operazioni di recupero per cui sono disciplinati dalla normativa sui rifiuti » 2 .

Nello stesso quadro, ha precisato che, se pure « i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all’abbandono », il loro « eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi; l’eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge »3. Essi, infatti « conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l’art. 183 lett. h), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 indica la cernita o la selezione »; e pertanto « vanno qualificati come rifiuti speciali e non sottoprodotti o materie prime secondarie e dovendosi ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia ferma nel ritenere che, per la qualificazione di sottoprodotti dei materiali, devono sussistere congiuntamente tutte le condizioni previste dalla legge per qualificare una sostanza come sottoprodotto e che l’onere della prova certa, nella specie non soddisfatta, del loro utilizzo, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione e secondo un progetto ambientalmente compatibile, incomba sull’interessato »4.

In sostanza, quindi, secondo le sentenze citate, la Suprema Corte ritiene trattarsi di rifiuti speciali che, tuttavia, possono essere qualificati come sottoprodotti (e non rifiuti) purché l’interessato fornisca prova certa5 che, come prescrive l’art. 184 bis del T.U.A., i materiali da demolizione siano utilizzati nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione e secondo un progetto ambientalmente compatibile. Con la importante conseguenza che, in questo caso, essi sarebbero esenti dagli obblighi e controlli previsti per i rifiuti (autorizzazione, tracciabilità, iscrizione all’Albo ecc.).

Nel luglio 2015, tuttavia, appare una importante novità in quanto la Cassazione, pur ricordando in primo luogo il suo costante orientamento sopra riportato 6, da un lato precisa che il richiamo all’art. 184 bis sui sottoprodotti contenuto nell’art. 184, comma 3, lett. b) deve intendersi « esclusivamente riferito ai materiali provenienti dalle sole attività di scavo, come emerge dal tenore letterale della disposizione e dal richiamo, prima della modifica ad opera del d.lgs. 205/2010, all’art. 186, che riguardava le terre e rocce da scavo », evidenziando nel contempo che « la collocazione dei materiali derivanti da attività di demolizione nel novero dei sottoprodotti si porrebbe dunque in evidente contrasto con quanto stabilito dall’art. 184, che li qualifica espressamente come rifiuti »; e dall’altro – ed è questa la importante novità – aggiunge: « La dizione dell’art. 184, comma 1, lett. a ) lascia chiaramente intendere che il sottoprodotto deve “trarre origine”, quindi provenire direttamente, da un “processo di produzione”, dunque da un’attività chiaramente finalizzata alla realizzazione di un qualcosa ottenuto attraverso la lavorazione o la trasformazione di altri materiali (sebbene una simile descrizione non possa ritenersi esaustiva, in considerazione delle molteplici possibilità offerte dalla tecnologia), tanto è vero che si è da più parti escluso, in dottrina, che il riferimento alla derivazione del sottoprodotto dall’attività produttiva comprenda le attività di consumo ed in alcuni casi, sebbene con riferimento alla disciplina previgente, si è giunti ad analoghe conclusioni per le attività di servizio (...) ». Di conseguenza « la demolizione di un edificio, che può avvenire per motivi diversi, non è finalizzata alla produzione di alcunché, bensì all’eliminazione dell’edificio medesimo, né può assumere rilevanza, come già ritenuto da questa Corte, il fatto che la demolizione sia finalizzata alla realizzazione di un nuovo edificio, che non può essere considerato il prodotto finale della demolizione, in quanto tale attività non costituisce il prodromo di una costruzione, che può essere effettuata anche indipendentemente da precedenti demolizioni ( ...)» 7.

In sostanza, quindi, secondo questo più recente orientamento, « i materiali da demolizione non possono mai essere considerati sottoprodotti, a prescindere dal loro reimpiego, anche se è certo. Sono sempre dei rifiuti e tali restano sino a che, eventualmente, saranno oggetto di un processo di recupero »8.

Pochi giorni fa, tuttavia, è stata pubblicata una sentenza che sembra tornare all’antico, in quanto conclude che « ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 256, commi 1-3, del d.lgs. n. 152 del 2006, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto”, dovendosi al riguardo ribadire che, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria »9; lasciando, quindi, formalmente aperta la possibilità che i materiali da demolizioni possano rientrare tra i sottoprodotti, senza fare alcun cenno all’orientamento ultimo, secondo cui sono, invece, sempre e solo rifiuti in quanto non provengono da un processo di produzione.

A nostro sommesso avviso, tuttavia, non si tratta di un ripensamento della Cassazione, in quanto la suprema Corte si è limitata, come suo compito, a valutare solo le argomentazioni addotte nel caso di specie dal primo giudice e dalla difesa (ove non era traccia dell’ultimo orientamento), concludendo che la sentenza si basa, comunque, su un « apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità».

Ed ha, quindi, ritenuto sufficiente rifarsi in via principale alla massima «ufficiale» generale della sentenza Favazzo dove l’art. 184 veniva preso in considerazione nella sua interezza (anche se, in quel caso, si trattava di rifiuti da scavo).

In altri termini, nel caso di specie, non era necessario ricordare anche l’orientamento ultimo sui materiali da demolizione, certamente più «drastico», in quanto la sentenza in esame era, comunque, da confermare anche basandosi solo, senza troppi distinguo, sull’orientamento precedente.

Insomma, niente di nuovo: per un verso o per l’altro, i materiali da demolizione sono e restano rifiuti fino all’eventuale recupero.

Gianfranco Amendola

1 Cass. Sez. III Pen. 12 ottobre 2009, n. 39728, Gioffrè (conf. Cass. Sez. III Pen. 13 settembre 2013, n. 37541, Paglialunga); Cass. Sez. III Pen. 29 marzo 2011, n. 16705, Marietta, ha precisato che tra i rifiuti speciali non pericolosi rientra anche « il fresato d’asfalto proveniente dal disfacimento del manto stradale » (conf. Cass. Sez. III Pen. 14 marzo 2014, n. 12230, Colabucci). Le sentenze di cui non è indicata la collocazione sono pubblicate inwww.lexambiente.it.

2 Cass. Sez. III Pen. 19 febbraio 2008, n. 7465, Baruzzi, in www.lexambiente.it.

3 Cass. Sez. III Pen. 29 aprile 2011, n. 16727, Spinello; Cass. Sez. III Pen. 11 maggio 2012, n. 17823, Celano, entrambe in www.lexambiente.it.

4 Cass. Sez. III Pen. 1° aprile 2014, n. 14952, Mozzon, in www.lexambiente.it. Nello stesso senso, Cass. Sez. III Pen. 8 luglio 2015, n. 29084, Favazzo, ivi, cui si rinvia anche per la citazione di altri precedenti.

5 È appena il caso di ricordare, in proposito, che la costante giurisprudenza della Cassazione richiede prova certa a carico dell’interessato tutte le volte che si invochi una deroga alla disciplina ordinaria: cfr. per tutti Cass. Sez. III Pen. 8 febbraio 2013, n. 6295, Zangirolami, inwww.lexambiente.it.

6 Si cita, in particolare la sentenza Favazzo (v. nota n. 4).

7 Cass. Sez. III Pen. 28 luglio 2015, n. 33028, Giulivi, rv. 264.203, in www.dirittoambiente.it . Con le stesse parole, tre anni dopo, Cass. Sez. III Pen. 23 febbraio 2018, n. 8848, Bandini, inwww.lexambiente.it, «condivide e ribadisce» queste affermazioni.

8 Per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare ad Amendola, La Cassazione: i materiali da demolizione sono sempre rifiuti, mai sottoprodotti , in www.lexambiente.it, 22 gennaio 2016.

9 Cass. Sez. III Pen. 13 dicembre 2022, n. 47040, in epigrafe, la quale, citando, in particolare la sentenza Favazzo, riporta i precedenti giurisprudenziali relativi a tale orientamento, definito « condiviso e costante».