Illegittimo il divieto anzi tempo di uso su tutto il territorio comunale della plastica per le bevande
di Maurizio LUCCA
La sez. II del T.A.R. Veneto, con la sentenza 11 gennaio 2021 n. 34, dichiara illegittima un’ordinanza contingibile ed urgente (con condanna alle spese) con la quale si è disposto, in assenza di una disciplina nazionale cogente (di recepimento comunitario) o di motivi ambientali il « divieto di utilizzo e distribuzione di materiali di plastica per la somministrazione a qualsiasi titolo di alimenti e bevande » su tutto il territorio comunale.
Sul ricorso al giudice di prime cure vengono rilevati i seguenti contrasti:
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con il nuovo art. 226 quater (Plastiche monouso) del d.lgs. 152/2006, introdotto dalla Legge Finanziaria 2019, che prevede la possibilità di continuare a produrre e utilizzare piatti, posate e bicchieri in plastica fino al 2023, nel rispetto di determinate condizioni;
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con gli indirizzi europei in materia di riduzione dei rifiuti in plastica, di cui alla comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “ Strategia Europea per la plastica nell’economia circolare ”, COM (2018) 28 final del 16 gennaio 2018, nonché della direttiva 2019/904/UE del 5 giugno 2019 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla riduzione dell’impatto di determinati prodotti in plastica sull’ambiente.
Ne consegue che l’iniziativa della singola Amministrazione non sarebbe compatibile con il diritto europeo, anticipando le scadenze previste a livello UE, con un evidente sproporzionalità e ragionevolezza rispetto al fine della norma, oltre a minare il diritto di iniziativa economica, in condizioni di parità di trattamento tra le imprese, e di conseguenza la concorrenza su ambiti territoriali non omogenei.
Correlata a questa autonoma iniziativa, l’utilizzo di uno strumento extra ordinem non si palesa giustificato sotto il profilo istruttorio (rectius motivazionale, ex art. 3 della legge n. 241/1990), nemmeno qualora si volesse collegarlo alle modalità di gestione e raccolta differenziata dei rifiuti urbani, competenza semmai definibile dall’Autorità d’Ambito.
Neppure volendo richiamare i presupposti di cui al comma 3 dell’art. 191 d.lgs. 152/2006, essendo sprovvisto l’atto delle norme a cui si intende derogare sulla base di un apparato accertativo degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che si esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali: mancano i presupposti fattuali e il giudizio c.d. prognostico.
L’ordinanza esercitava i propri poteri inibitori su:
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gli esercenti le attività artigianali e commerciali in sede fissa e su aree pubbliche appartenenti al settore alimentare e agli esercenti di qualsiasi tipologia di attività di somministrazione di alimenti e bevande, sia per il consumo sul posto che da asporto;
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qualsiasi soggetto organizzatore di eventi, manifestazioni, sagre e degustazioni su suolo pubblico di utilizzare posate, piatti, o altro contenitore/recipiente, cannucce, mescolatori per bevande monouso in materiale biodegradabile o compostabile per la somministrazione e la distribuzione a qualsiasi titolo di alimenti e bevande.
L’atto sindacale imponeva, altresì, ai destinatari un obbligo di facere consistente nell’approntare adeguate misure organizzative per la raccolta differenziata dei materiali in relazione alla tipologia dell’attività svolta e in proporzione al numero presunto di clientela: un onere economico privo di riscontro normativo o di potestà pubblica ma sanzionato.
Il T.A.R. conferma le misure in sede cautelare: il provvedimento sindacale risulta privo di una fonte normativa di riferimento, « non sussistendo alcuna norma interna di fonte primaria, né alcuna disposizione europea direttamente applicabile, che legittimasse l’imposizione del divieto applicato ».
In effetti, nel testo redazionale di un provvedimento indifferibile e urgente (ai sensi dell’art. 50 e 54 del d.l.gs. n. 267/2000) è necessario definire le motivazioni di un atto atipico che richiede una giustificazione rinforzata tale da dimostrare l’esigenza cogente, non diversamente rinviabile (mancano i presupposti di fatto) 1, e non una semplice necessità a fronte di una situazione stabile, peraltro già codificata da una fonte nazionale e comunitaria.
In termini diversi, se da una parte, l’ordinanza potrebbe giustificarsi per l’assenza di una base normativa in grado di rispondere all’evento, dall’altra parte, la disciplina citata ha previsto un percorso applicativo e delle misure per ridurre la produzione di rifiuti e il connesso consumo di plastica monouso: i presupposti legittimanti l’esercizio del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti mancano ab origine.
La premessa testuale (redazionale del testo di ordinanza) di contribuire alla riduzione dei rifiuti che inquinano l’ambiente « in linea con le normative e le direttive comunitarie vigenti sulla riduzione dei rifiuti » avrebbe dovuto richiamare non - in via generica ma puntuale - la fonte di riferimento e l’accertamento tecnico dei danni prodotti, ovvero la dimostrazione degli effetti conseguenti al divieto (il cit. giudizio prognostico): « i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria » (ex comma 1, parte finale, dell’art. 3 cit.).
Viene, quindi, evidenziato la mancanza degli elementi essenziali del provvedimento in grado di reggere il divieto, visto che la disciplina di riferimento definisce scadenze diverse:
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la “Strategia Europea per la plastica”, adottata il 16 gennaio 2018 dalla Commissione Europea al fine di rendere riciclabili tutti gli imballaggi in plastica nell’UE, riporta il termine finale entro l’anno 2030;
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la “plenaria” del Parlamento europeo in data 27/03/2019 ha approvato definitivamente il divieto di utilizzare oggetti in plastica monouso, come piatti posate, cannucce e bastoncini, a partire dall’anno 2021.
In definitiva all’atto impugnato:
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manca la base normativa (alias la legittimazione per l’esercizio/attribuzione del potere), anche solo per l’esercizio dei poteri di ordinanza previsti dal TUEL;
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non si riporta alcuna fonte di riferimento;
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le misure di recepimento di normative europee sono di competenza dello Stato 2.
Per quanto concerne l’aspetto che rileva in questa sede, volendo effettuare una qualche riflessione, non si può non rinvenire un cattivo esercizio del potere che si compendia nei tre tradizionali vizi di legittimità: una qualificazione normativa scaturente dal rapporto tra il precetto normativo astratto e l’atto provvedimentale, il cui riscontro implica un accertamento che non può prescindere da una verifica intrinseca a quest’ultimo del tutto assente3.
Sotto altro profilo, non vi sono riscontri adeguati sul versante della legittimità dell’esercizio dei poteri attribuiti dagli artt. 191 del d.lgs. n. 152/2006 e 50 del d.lgs. n. 267/2000, ove funzionali alla preminente esigenza di offrire tutela a diritti fondamentali della persona minacciati da emergenze ambientali o di igiene pubblica, la situazione di necessità e urgenza non può spingersi sino a giustificare un divieto che normativamente viene posticipato nei termini, su una materia di competenza dello Stato, con un onere economico sulle modalità di raccolta dei rifiuti a carico dei destinatari, in via autoritativa: l’interesse pubblico all’adozione di atti extra ordinem va necessariamente coordinato con i valori, pure essi di rango costituzionale, della libera iniziativa economica ( ex art. 41 Cost) e della ragionevolezza (ex art. 97 Cost.), quest’ultima da intendere nel rispetto dei principi di legalità (e tipicità), anche nell’ottica del minor sacrificio imposto al soggetto privato4.
Da ultimo, l’eventuale principio di precauzione (non richiamato) non sarebbe applicabile in quanto non sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, avendo, la disciplina sopra citata, stabilito le misure protettive da adottare, rendendo non praticabili soluzioni alternative, avendo graduato gli interventi in ordine temporale.
La valutazione del rischio, infatti, non può fondarsi su considerazioni meramente ipotetiche o astratte, ancorché, qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati condotti, persista la probabilità di un danno reale per la salute nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse: il principio di precauzione che giustifica l’adozione di misure restrittive non trova cittadinanza a fronte di misure già definite e attuative 5.
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Le considerazioni che precedono inducono a ritenere che il potere di ordinanza, ex art. 50 del TUEL, non può essere esercitato:
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quando manca il requisito della eccezionalità e imprevedibilità della situazione che con essa si intenderebbe fronteggiare, sia sotto il profilo della carenza istruttoria e motivazionale;
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non sono presenti le ragioni che rendono impossibile il ricorso agli strumenti di azione ordinaria, al fine di conseguire i predetti obiettivi la cui efficacia è stata graduata da fonti primari;
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al momento dell’adozione dell’ordinanza non sussisteva alcuna fonte normativa europea vincolante, né per gli Stati membri né, a fortiori, per gli Enti locali, rilevando che la competenza - in sede di recepimento - è dello Stato (sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente);
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non risulta comprovata l’esistenza di una vera e propria documentata emergenza, anche in relazione al conferimento e alla raccolta dei rifiuti, che non fosse risolvibile con gli ordinari strumenti organizzativi del servizio di raccolta, quale onere a carico dei destinatari piuttosto che di un servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti (di competenza del gestore individuato).
La sentenza, al di là della riduzione o produzione della plastica, nella sua enunciazione richiama i principi di legalità, dove l’esercizio del potere pubblico non può che trovare fonte e contenuto nella legge, anche quando tale potere eccezionale viene conferito extra ordinem, dovendo sempre giustificare l’interesse sotteso e l’assenza di misure adeguate.
1 Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 10 novembre 2020, n. 11634.
2 Cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 2 luglio 2020, n. 1917 e 2 luglio 2020, n. 1499; T.A.R. Puglia, Bari, 23 luglio 2019, n. 1063; Cons. Stato, in sede cautelare, sez. IV, ordinanza n. 4273/2019 e ordinanza n. 3576/2020.
3 T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 19 ottobre 2020, n. 1472.
4 T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 26 novembre 2020, n. 746.
5 Cfr. T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 16 novembre 2020, n. 628.
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Pubblicato il 11/01/2021
N. 00034/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01312/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1312 del 2019, proposto da
Federazione Gomma Plastica e Isap Packaging S.p.A., ciascuna in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Mantovan in Venezia, San Polo 1543;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrett. Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63 (Palazzo ex Rea);
Comune di Verona (Vr) e Sindaco in Carica del Comune di Verona (Vr), non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
dell'ordinanza n. 69 del 27.9.2019 del Sindaco di Verona recante "Divieto di utilizzo e distribuzione di materiali di plastica per la somministrazione a qualsiasi titolo di alimenti e bevande", nonché di ogni altro atto e/o comportamento preordinato, conseguenziale e comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2020, svoltasi da remoto con modalità di videocollegamento, la Dr.ssa Daria Valletta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio le società indicate in epigrafe hanno impugnato l’ordinanza n. 69 del 27.9.2019 del Sindaco di Verona avente ad oggetto “Divieto di utilizzo e distribuzione di materiali di plastica per la somministrazione a qualsiasi titolo di alimenti e bevande”.
Avverso tale provvedimento è stato proposto un unico motivo di gravame, articolato in più punti:
1) in primo luogo, si lamenta che l’atto impugnato si porrebbe in evidente contrasto con la normativa nazionale e comunitaria vigente in punto di plastiche monouso: il contrasto sussisterebbe, in particolare, con il nuovo art. 226 quater D. Lgs. 152/2006, introdotto dalla Legge Finanziaria 2019, che prevede la possibilità di continuare a produrre e utilizzare piatti, posate e bicchieri in plastica fino al 2023, nel rispetto di determinate condizioni;
2) in secondo luogo, l’ordinanza sindacale si porrebbe in contrasto con gli indirizzi europei in materia di riduzione dei rifiuti in plastica, che contemplano un approccio graduale e coinvolgente l’industria stessa della plastica, evidenziato dalla comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Strategia Europea per la plastica nell’economia circolare”, COM (2018) 28 final del 16.1.2018, nonché dalla direttiva 2019/904/UE del 5.6.2019 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla riduzione dell’impatto di determinati prodotti in plastica sull’ambiente, pubblicata in GUCE L 155 del 12.6.2019. Di conseguenza, si osserva, iniziative autonome assunte dai singoli Comuni non sarebbero compatibili con il diritto europeo, anticipando solo per delimitati ambiti territoriali, come nella fattispecie, le scadenze previste a livello UE.
Al contempo, si tratterebbe di iniziative chiaramente sproporzionate rispetto al fine perseguito, sotto il profilo della tutela del diritto di iniziativa economica, in condizioni di parità di trattamento tra le imprese, oltre che della libertà della concorrenza;
3) si lamenta, inoltre, che nel caso concreto non si giustificherebbe in alcun modo il ricorso al potere di ordinanza: l’art. 50, comma 5, e l’art. 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 prevedono, infatti, che il ricorso al potere di ordinanza può essere esercitato soltanto nei casi previsti dalla stessa norma; né, d’altro canto, lo Statuto comunale o il Regolamento comunale per la disciplina, la gestione e la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, pur genericamente richiamati nell’ordinanza gravata, potrebbe giustificarne l’esercizio: dunque, difetterebbero i tassativi presupposti enucleati dalla giurisprudenza per ritenere legittimo l’intervento posto in essere nella fattispecie.
La motivazione utilizzata, inoltre, risulterebbe del tutto generica, e priva di adeguati riscontri probatori, imponendosi oneri del tutto sproporzionati rispetto al dichiarato fine perseguito.
Sotto il profilo istruttorio, ancora, sarebbe mancato il “parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che si esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali” espressamente richiesto dal comma 3 dell’art. 191 d.lgs. 152/2006 e ritenuto dalla giurisprudenza elemento imprescindibile ai fini della legittimità dell’ordinanza stessa.
L’intervento disposto non avrebbe neppure il carattere della temporaneità, in quanto il nuovo regime sarebbe destinato a operare sine die.
Si è costituito in giudizio il Ministero resistente, eccependo il difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione statale.
All’udienza in data 3.12.2020, svoltasi da remoto con modalità di videocollegamento, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con l’atto introduttivo del giudizio le ricorrenti impugnano l’ordinanza con cui il Comune di Verona ha adottato le seguenti determinazioni relative all’utilizzo di materiali in plastica nella somministrazione di cibi e bevande:
“Ordina a partire dal 28 marzo 2020: 1. agli esercenti le attività artigianali e commerciali in sede fissa e su aree pubbliche appartenenti al settore alimentare e agli esercenti qualsiasi tipologia di attività di somministrazione di alimenti e bevande di cui alla legge 21 settembre 2007 n. 29 (artt. 8 e 8-bis, 9, 10, 11, 12 e 13), sia per il consumo sul posto che da asporto, nonché a qualsiasi soggetto Organizzatore di eventi, manifestazioni, sagre e degustazioni su suolo pubblico di utilizzare posate, piatti, o altro contenitore/recipiente, cannucce, mescolatori per bevande monouso in materiale biodegradabile o compostabile per la somministrazione e la distribuzione a qualsiasi titolo di alimenti e bevande;
2. a tutti i soggetti di cui sopra di approntare adeguate misure organizzative per la raccolta differenziata dei materiali in relazione alla tipologia dell’attività svolta e in proporzione al numero presunto di clientela;
3. a decorrere dall’entrata in vigore della presente ordinanza si intendono abrogate le ordinanze sindacali 18 maggio 2010, n. 43, 1 giugno 2011, n. 65, 17 gennaio 2012, n. 4.
AVVERTE: le violazioni alla predetta ordinanza, ove non costituiscano fattispecie di reato, sono punite con una sanzione amministrativa compresa tra un minimo di € 25,00 e un massimo di € 500,00, a norma dell’art. 7 bis, comma 1 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267”.
Ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per discostarsi dalle valutazioni già, sinteticamente, espresse in via cautelare con ordinanza in data 17.12.2019, non appellata, in cui si è osservato in relazione al fumus boni iuris: “con il provvedimento impugnato il Comune ha esercitato un potere privo di adeguata base normativa, non sussistendo alcuna norma interna di fonte primaria, né alcuna disposizione europea direttamente applicabile, che legittimasse l’imposizione del divieto applicato; rilevato che neppure vengono in rilievo, nel caso di specie, i presupposti legittimanti l’esercizio del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti (del resto nemmeno invocati dal Comune nel provvedimento impugnato)” (cfr. ordinanza nr. 563/2019).
Occorre, infatti, ribadire che il comune di Verona, con il provvedimento in commento, ha inteso disciplinare l’utilizzo dei prodotti in plastica nelle attività di somministrazione di cibi e bevande al dichiarato fine di contribuire alla riduzione dei rifiuti che inquinano l’ambiente “in linea con le normative e le direttive comunitarie vigenti sulla riduzione dei rifiuti”.
Tuttavia, alla data odierna, non consta essere stata adottata alcuna disposizione nazionale o regionale attuativa della disciplina comunitaria, genericamente richiamata, che il provvedimento si propone di eseguire: il riferimento deve essere inteso, in particolare, alla “Strategia Europea per la plastica” adottata il 16 gennaio 2018 dalla Commissione Europea al fine di rendere riciclabili tutti gli imballaggi in plastica nell’UE, entro l’anno 2030, nonché alla “plenaria” del Parlamento europeo che, in data 27/03/2019, ha approvato definitivamente il divieto di utilizzare oggetti in plastica monouso, come piatti posate, cannucce e bastoncini, a partire dall’anno 2021.
L’atto impugnato, in quanto privo di idonea base normativa, non essendo rinvenibile al momento dell’adozione dell’ordinanza gravata alcuna fonte normativa europea vincolante (del resto, nemmeno indicata nell’ordinanza), e ferma restando, per altro verso, la competenza dello Stato ad adottare le misure di recepimento di normative europee, si rivela dunque illegittimo, e deve, pertanto, essere annullato.
In senso conforme risultano, del resto, essersi già espressi alcuni Tribunali Amministrativi Regionali (cfr. Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 2.07.2020, nr.1917 e 2.07.2020 nr. 1499; T.A.R. Puglia, Bari n. 1063 del 23/07/2019), nonché il Consiglio di Stato in sede cautelare (cfr. Sez. IV, ordinanza n. 4273/2019 e ordinanza 3576/2020).
E’ solo il caso di aggiungere ancora che, come già osservato in sede cautelare, il provvedimento impugnato nemmeno richiama in motivazione i presupposti legittimanti l’esercizio del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 50 D. Lgs. 267/2000, che, dunque, non possono valere a giustificarne l’adozione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto; il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza nei rapporti con il Comune resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Verona al pagamento delle spese di lite in favore di parte ricorrente, che liquida in complessivi € 2.000,00, oltre accessori così come per legge e refusione del contributo unificato; spese compensate per le restanti parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2020, svoltasi da remoto con modalità di videocollegamento, con l'intervento dei magistrati:
Alberto Pasi, Presidente
Daria Valletta, Referendario, Estensore
Mariagiovanna Amorizzo, Referendario