Cass. Sez. III n.27671 del 28 luglio 2025 (UP 2 lug 2025)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric.Bertelli
Rifiuti.Illecita gestione e forza maggiore

Le condotte penalmente rilevanti possono essere attribuite a forza maggiore solo quando derivino da fatti non imputabili all’imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. La forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente. In relazione al reato di illecita gestione di rifiuti le difficoltà gestionali riconducibili alla carenza di personale non integrano gli estremi della forza maggiore, poiché, il reato è punito a titolo di colpa, ravvisabile anche nel non aver implementato il personale a seguito di tali vicissitudini.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 ottobre 2024, la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado del 1° dicembre 2022 del Tribunale di Parma che aveva riconosciuto la responsabilità penale di Riccardo Bertelli in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. b), e comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006, contestato come commesso secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel capo di imputazione, condannandolo alla pena di 4 mesi di arresto ed euro 1.800,00 di ammenda, con il concorso di attenuanti generiche, riconoscendogli i doppi benefici di legge. 

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione Riccardo Bertelli a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi, di seguito sommariamente enunciati ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 
2.1. Deduce, con il primo motivo, l’intervenuta prescrizione del reato maturata anteriormente alla pronuncia della Corte d’appello. 
In sintesi, si censura la sentenza impugnata in quanto, in sede di appello, la difesa aveva eccepito l'intervenuta prescrizione del reato commesso in data antecedente e prossima al 28 settembre 2018. I giudici d'appello avrebbero aderito ad un orientamento giurisprudenziale, costituito dalla sentenza n. 18873/2024, senza invece condividere l’orientamento espresso da altra giurisprudenza di legittimità, ritenuta dalla difesa più in linea con il principio del favor rei, non essendo peraltro ipotizzabile che un contrasto di giurisprudenza leda i diritti e le garanzie del cittadino. Si sostiene, pertanto, che il reato contravvenzionale per cui si procede, in assenza di cause di sospensione del corso della prescrizione, si sarebbe estinto per prescrizione alla data del 28 settembre 2023, ossia in data antecedente alla celebrazione dell'udienza d’appello.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva e correlato vizio di motivazione omessa od apparente.
In sintesi, si censura ulteriormente la sentenza impugnata richiamando l'intervenuto deposito da parte della difesa di una rituale lista testi in cui era indicato anche l'amministratore unico di una società che provvedeva al periodico ritiro dei rifiuti presso la ditta del ricorrente. Operata una ricognizione della cronistoria processuale, la difesa evidenzia come il teste Vergero era stato ritualmente ammesso ed autorizzato a comparire all'udienza del 1° dicembre 2022. Il teste avrebbe dovuto riferire sul fatto che il ritiro dei rifiuti da parte della società Cascina Pulita avveniva “quando l'azienda aveva il giro su Parma” e che tale ritiro avveniva in base ai rifiuti prodotti dalla società del Bertelli che, ove se ne fosse appalesata l'esigenza, avrebbe avuto la disponibilità da parte della società Cascina Pulita per il ritiro, circostanza che sarebbe stata ribadita dalla teste a difesa Kaur. Il ritiro dei rifiuti, pertanto, non sarebbe stato contrattualizzabile in maniera standard, circostanza che sarebbe stata oggetto di dimostrazione in base all'escussione del teste Vergero. Il giudice di primo grado, tuttavia, dopo aver sentito l'imputato e gli altri testimoni, preso atto dell'assenza del teste Vergero, aveva revocato per superfluità l'ordinanza ammissiva, dovendo questi deporre su circostanze che ben potevano essere dimostrate attraverso la produzione di contratti. Tale revoca avrebbe leso il diritto di difesa con una motivazione apparente o assente. La difesa si sarebbe inoltre impegnata nel domandare ai propri testi le ragioni delle forti difficoltà patite dall'azienda nell'estate del 2018 in virtù della instaurazione di altro procedimento penale, così da far comprendere al primo giudice la effettiva sussistenza di una causa di forza maggiore, tuttavia esclusa con motivazione inadeguata ed apodittica da parte dei giudici di appello.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, si duole la difesa per aver la Corte d'appello integralmente sposato gli assunti motivazionali del tribunale ritenendo che i rifiuti appartenessero sicuramente all'imputato e non anche a terze persone o che fossero stati depositati in loco da altri, adducendo come la difesa non avrebbe fornito alcuna prova della pretesa estraneità dei materiali all'impresa ed eventuali residui di materiale edile ben potevano essere collegabili, così come i pannelli di eternit, agli immobili di pertinenza aziendale. I giudici, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, avrebbero ritenuto che la quantità di erba e muschio che ricopre i rifiuti si giustificava solo in ragione del lungo periodo di tempo in cui i materiali erano rimasti fermi nei luoghi di pertinenza dell'azienda agricola, esposti agli agenti atmosferici, mentre non avrebbero potuto affatto trovare spiegazione nelle alte temperature dell'estate che aveva preceduto il sopralluogo. Si tratterebbe di una motivazione censurabile in quanto illogica a fronte della esclusione dell'autovettura e degli attrezzi agricoli dal novero dei rifiuti, posto che questi si palesavano sporchi, abbandonati e coperti da erbe. Non sarebbe dunque comprensibile la motivazione per cui gli ulteriori beni, sempre ricoperti da erbe e muschio, non siano stati estromessi dalla categoria incriminata, soprattutto alla luce del forte caldo che aveva caratterizzato l'estate del 2018. Non sarebbe poi comprensibile come il giudicante possa aver sostenuto oltre ogni ragionevole dubbio “il lungo tempo in cui essi erano rimasti abbandonati sul suolo”, laddove l'istruttoria dibattimentale aveva avvallato la tesi difensiva sulla sussistenza del rapporto tra la società dell'imputato e quella di prelievo e smaltimento dei rifiuti che, almeno una volta l'anno, ovvero secondo le esigenze ma in base alla programmazione della ditta del ricorrente, si premurava del loro ritiro. Richiamato il disposto dell'articolo 185-bis, comma 2, lett. B), del Testo unico ambientale, osserva la difesa come dell'istruttoria dibattimentale non sarebbe emersa in maniera dettagliata la quantità esatta dei beni di cui all'imputazione, lasciandone così la valutazione al giudice di merito che, tuttavia, si sarebbe fermata alla discrezione e non anche al dato tecnico- scientifico normativamente richiesto.
2.4. Deduce, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto al riconoscimento dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis, cod. pen. 
In sintesi, si duole la difesa per non aver la Corte d'appello riconosciuto la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, posto che la ingente quantità di rifiuti depositati in maniera incontrollata sul terreno, la diversa natura dei medesimi, il lungo tempo in cui essi sono rimasti abbandonati sul suolo e la pericolosità di alcuni materiali come l'eternit, non ne consentivano l’applicazione. Si tratterebbe di una motivazione illogica, anche per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, avendo la Corte d'appello riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, soprattutto alla luce del comportamento assunto dal ricorrente, il quale bene avrebbe potuto essere ritenuto irrilevante o comunque poco offensivo, tanto da non meritare alcuna sanzione. Richiama a tal proposito un precedente giurisprudenziale di questa Corte (il riferimento è alla sentenza n. 41850/2015), in cui questa Corte ha ritenuto la sussistenza di indici significativi per poter sussumere il fatto sotto l'ipotesi della particolare tenuità. Aggiunge la difesa come il ricorrente è ben consapevole che l'eternit è un rifiuto pericoloso, ma che, nel caso di specie, egli avrebbe scoperto della sua esistenza in azienda solo in costanza del sopralluogo che aveva dato origine al presente procedimento, avendo peraltro subito proceduto a farlo analizzare. In ogni caso, sarebbero stati rinvenuti pochi pezzi di eternit, uno solo dei quali avrebbe potuto rappresentare un rifiuto ai sensi della normativa ambientale, tant'è che, solo in ragione di questa scoperta, il ricorrente non aveva potuto godere della procedura di estinzione del reato di cui all'articolo 318-septies del Testo unico ambientale. 

3. In data 16/06/2025 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Procuratore generale presso questa Corte con cui ha chiesto accogliersi il ricorso e annullare senza rinvio la sentenza impugnata. 
Secondo il PG, il primo motivo è fondato e merita di essere accolto. Il reato è prescritto alla data del 28.09.2023, dovendosi richiamare quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza della terza sezione penale del 27.02.2024 n.18873. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richieste di discussione orale, è inammissibile. 

2. È anzitutto manifestamente infondato il primo motivo di ricorso che, pertanto, va dichiarato inammissibile. 
Con riferimento alla prescrizione, l'orientamento prescelto dal giudice di merito e che si ritrova riportato nell’ultimo capoverso di pagina 5 e nella pagina successiva della sentenza impugnata, è stato recentemente confermato dalle Sezioni Unite Polichetti (sentenza 5 giugno 2025, n. 20989), che hanno affermato il principio secondo cui «La disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all'art. 159 cod. pen., nel testo introdotto dalla legge n. 103 del 2017, si applica ai reati commessi nel tempo di vigenza della legge stessa, ovvero dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, non essendo stata abrogata con effetti retroattivi dalla legge n. 3 del 2019, prima, e dalla legge n. 134 del 2021, poi, mentre per i reati commessi dall’1 gennaio 2020 si applica la disciplina posta a sistema dalla legge n. 134 del 2021». 
Le Sezioni Unite disattendono, di conseguenza, l’argomento, posto a base della tesi coltivata dall'indirizzo minoritario, secondo il quale la l. n. 134/2021 ha finito per abrogare in toto l'istituto della sospensione della prescrizione riconnesso alla pronuncia delle sentenze di merito (aventi contenuto condannatorio) introdotto con l. n. 103/2017; ciò perché la legge n. 134 non è intervenuta sulle disposizioni codicistiche come modificate dalla legge n. 103, applicabili ai reati antecedenti al 1° gennaio 2020, bensì sul tessuto normativo già modificato dalla l. n. 3/2019, da applicarsi esclusivamente dal 1° gennaio 2020. 
In conclusione: la disciplina della sospensione della prescrizione introdotta dalla l. n. 3/2019  (riforma Bonafede) non possiede efficacia retroattiva e si applica ai soli reati commessi dal 1° gennaio 2020; la legge n. 134/2021 è intervenuta a modificare, nella stessa materia, le sole norme dettate dalla legge n. 3/2019, non quelle dettate dalla legge n. 103/2017; di conseguenza, la legge n. 134/2021, nella medesima materia, a sua volta, non dispiega efficacia retroattiva, applicandosi ai soli reati commessi dal 1° gennaio 2020. 
2.1. Tenuto conto di quanto sopra, trattandosi di reato commesso il 28 settembre 2018, trova applicazione la disciplina dettata dall'art. 1, comma 11 lett. b), legge 23 giugno 2017 n. 103 in base alla quale il corso della prescrizione è da ritenersi sospeso dal termine previsto dall'art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, ossia nel caso in esame dal 15 gennaio 2023, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza di appello, ossia sino al 15 ottobre 2024, per un periodo complessivo non superiore di un anno e sei mesi, nonché ulteriormente sospeso dal termine previsto dall'art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, ossia nel caso in esame dal 15 dicembre 2024, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva di questa Corte, ossia in data 2 luglio 2025, per un periodo complessivo di 6 mesi e 19 giorni. 
2.2. Il termine di prescrizione massima del reato (cinque anni), che sarebbe maturato alla data del 28 settembre 2023, va, dunque, aumentato di anni 2 e gg. 19, e maturerà in data 17 ottobre 2025. 

3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso che, pertanto, va parimenti dichiarato inammissibile. 
3.1. Per come emerge dal doveroso esame degli atti processuali (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01) e per come ricostruito anche nella sentenza impugnata, all’udienza dibattimentale dell’01/12/2022, revocata l’ammissione del teste Marco Vergero in precedenza ammesso e ribadita la sua assenza, il giudice dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale. In tale occasione, la difesa non solo non provava il legittimo impedimento del teste, ma non chiedeva neppure un differimento dell’udienza per l’espletamento del suo esame. 
3.2. A tal proposito, a prescindere dalla circostanza per cui il silenzio serbato dalla difesa, a fronte della revoca dell’ordinanza istruttoria, deve intendersi in termini di rinuncia tacita all’assunzione dei mezzi di prova richiesti, dirimente, in ogni caso, è la considerazione per cui la mancata assunzione dell’esame del teste determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che la difesa, avendovi assistito, aveva l’onere di eccepire immediatamente ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p., pena la decadenza prevista dall’art. 182, comma 3, c.p.p. (Sez. 5, n. 15901 del 24/04/2025, non massimata) – onere che, nel caso in esame, non risulta essere stato assolto dalla difesa. 
3.3. Di conseguenza, non risulta provata la sussistenza della lesione del diritto di difesa, né la difesa può dolersi di una motivazione apparente o assente. In tal caso, infatti, giova precisare che, per il giudice che riduca il diritto alla prova riconosciuto alle parti, sussiste un onere di motivazione, cui non può sottrarsi, anche se gli compete il potere di escludere le prove manifestamente superflue e irrilevanti, secondo una verifica di sua esclusiva competenza, che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (Sez. U., n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246585-01).  
Dunque, la violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle prove dedotte ovvero di revoca di quelle in precedenza ammesse, esige che ne sia precisata la portata, indicando specificamente le prove che l’imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto dell’imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi, trovi un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art. 495 c.p.p. (Sez. 1, n. 19819 del 27/05/2025, non massimata). 
3.4. Nel caso di specie, il giudice motiva la revoca per superfluità rilevando che le circostanze su cui il teste doveva essere esaminato, ben potevano essere dimostrate attraverso la produzione di contratti. In particolare, si trattava dell’esame dell’amministratore unico della società “Cascina Pulita” su fatti che erano già stati acquisiti al processo mediante la deposizione della teste Kaur e le dichiarazioni dell’imputato, sicché l’assunzione della deposizione del teste revocato appariva correttamente superflua. 

4. Il terzo motivo di ricorso è generico per aspecificità nonché manifestamente infondato e, di conseguenza, va dichiarato inammissibile. 
4.1. È anzitutto generico, perché non si confronta con la motivazione dell’impugnata sentenza che, a pagina 4 e 5, si occupa di confutare correttamente le doglianze difensive svolte in sede d’appello, replicate davanti a questa Corte senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, tentando di trascinare questa Corte, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge o motivazionali, sul terreno del fatto, chiedendo in sostanza ai giudici di legittimità di procedere ad una rivalutazione degli elementi probatori acquisiti e sulla cui base è stato espresso il giudizio di responsabilità penale, operazione questa del tutto incompatibile in questa sede. 
Ciò vale, anzitutto, con riferimento all’appartenenza dei rifiuti al ricorrente, per il quale non esiste alcun dubbio poiché lo stesso ricorrente non ha mai sostenuto che i rifiuti oggetto di valutazione appartenessero a terze persone o fossero stati depositati sui terreni dell’azienda Agricola Fratelli Bertelli da altri, dichiarando, in sede di esame, che essi, per una parte, erano in attesa di essere raccolti da un ente specializzato – Cascina pulita – e per altra parte utilizzati in maniera differente da quella contestata. 
In secondo luogo, le circostanze per cui l’ingente quantità di rifiuti sia stata rinvenuta nei pressi dell’allevamento comprova la loro appartenenza all’azienda agricola di cui il ricorrente è anche il rappresentante legale e, in aggiunta a ciò, la difesa non ha mai provveduto a fornire alcun elemento in merito all’estraneità dei materiali all’impresa. 
Inoltre, come afferma correttamente la Corte d’appello, la quantità di erba e muschio che ricopre i rifiuti si giustifica solo in ragione del lungo periodo di tempo in cui i materiali sono rimasti fermi nei luoghi di pertinenza dell’azienda agricola, esposti agli agenti atmosferici, non trovando alcun riscontro la spiegazione – esposta dalla difesa – secondo cui ciò era riconducibile alle alte temperature dell’estate che ha preceduto il sopralluogo. 
4.2. Lo stesso è poi manifestamente infondato in diritto.
Con riferimento all’applicazione della disposizione di cui all’art. 185 bis, d. lgs. 152/2006, giova ricordare che il deposito temporaneo prima della raccolta (art. 183, lett. b, d. lgs. 152/2006) è “il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis”.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha precisato (cause riunite C-175/98 e C-177/98, del 5 ottobre 1999, proc. pen. a carico di Paolo Lirussi e Francesca Bizzaro, par. 48 ss.) che, in quanto deroga a norme che mirano a conseguire obiettivi di una fondamentale rilevanza, quali la protezione dell’ambiente e della salute, la nozione di deposito temporaneo deve interpretarsi in modo restrittivo e deve rispettare l’art. 4, primo comma, della direttiva 75/442, la quale prevede che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente. 
In tal senso, è stato introdotto l’articolo 185-bis del testo Unico, il quale stabilisce che esso deve essere effettuato nel rispetto delle seguenti condizioni: a) nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del Codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci); b) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita; c) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti. 
Esso è, inoltre, effettuato alle seguenti condizioni: a) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; b) i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno; c) i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; d) nel rispetto delle norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose. 
Ove effettuato alle condizioni di cui sopra, il deposito temporaneo non necessita di autorizzazione da parte dell’autorità competente. 
4.3. La giurisprudenza ha chiarito (Sez. 3, n. 16183 del 28/02/2013, Lazzi, non mass.) che solo l’osservanza di tutte le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo – e quindi anche lo smaltimento con cadenza almeno annuale – solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione, tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall’art. 187, mentre, in difetto di tali condizioni – la sussistenza delle quali deve essere dimostrata dall’interessato, trattandosi di norma di favore (Sez. 3, n. 15680 del 23/04/2010, Sez. 3, n. 30647 del 15/06/2004; Sez. 3, n. 21587 del 17/03/2004) – l’attività posta in essere deve qualificarsi come gestione non autorizzata, penalmente sanzionabile, o abbandono (Sez. 3, n. 20841 del 28/05/2024, non mass.).
4.4. Nel caso in esame, l’imputato, su cui gravava l’onere di dimostrare l’avvenuta ottemperanza a tutti i presupposti affinché potesse ricorrere il deposito temporaneo, non ha rispettato le condizioni previste per l’applicazione dell’art. 185-bis, d. lgs 152/2006, ciò che preclude, pertanto, l’applicabilità della disciplina di favore. 
Ed infatti, la giurisprudenza consolidata della Corte ha precisato che, trattandosi di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l’applicazione (Sez. 3, n. 38950 del 26/06/2017, Roncada, non mass.) – condizione non avveratasi nel caso di specie. 
Difatti, come si legge a pagina 4 e 5 della sentenza di primo grado, il ricorrente non ha provveduto a raggruppare i rifiuti per categorie omogenee; né ha adottato accorgimenti per evitarne la loro dispersione nell’ambiente o sul suolo, potendo, in tal modo, arrecare pregiudizio all’ambiente e alla salute dell’uomo. In particolare, le circostanze per cui i liquami della stalla venivano sversati in una fossa predisposta nel terreno, in violazione della normativa di settore e la presenza di rovi ed erbe portano ad escludere, senza dubbio, il deposito temporaneo dei rifiuti. 
4.5. Peraltro, la responsabilità penale dell’imputato – al contrario di quanto sostiene la difesa – non può essere esclusa a causa delle difficoltà di gestione dell’azienda dovuta alla carenza di personale nell’allevamento a cui aveva dovuto far fronte il ricorrente, non integrando gli estremi della forza maggiore come causa di giustificazione del reato. In giurisprudenza, infatti, le condotte penalmente rilevanti possono essere attribuite a forza maggiore solo quando derivino da fatti non imputabili all’imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. La forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente (Sez. 3, n. 39032 del 28/08/2018, non mass.).  
Alla luce di quanto affermato, le difficoltà gestionali riconducibili alla carenza di personale non integrano gli estremi della forza maggiore, poiché, come afferma il giudice a pagina 5 della sentenza di primo grado, il reato contestato è punito a titolo di colpa, ravvisabile anche nel non aver implementato il personale a seguito di tali vicissitudini. 

5. Anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato e, dunque, va dichiarato inammissibile. 
5.1. Va, preliminarmente, ricordato che “ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo” (Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590-01). 
L’indice criterio della particolare tenuità dell’offesa deve poi coesistere, per l’applicazione della causa di non punibilità, con la non abitualità del comportamento. 
Quanto al primo degli indici criterio, le Sezioni Unite “Tushaj” hanno chiarito che si richiede una “valutazione complessa” che tenga conto “di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto”, non interessandosi la normativa “della condotta tipica, bensì…alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena” assumendo rilievo, in tale ambito, anche “l’intensità del dolo e il grado della colpa” (Sez. 3, n. 22077 del 12/06/2025, non mass.).
Va, infine, precisato che il giudizio di particolare tenuità dell’offesa richiede un esito positivo della valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’articolo 131-bis cod. pen. sono in realtà cumulativi per pervenire ad un giudizio di particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ed invece alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (Sez. 2, n. 8979 del 14/02/2024, Costanzo, non mass.). 
5.2. L’esegesi della norma invocata rende evidente la manifesta infondatezza delle censure difensive. 
La sentenza impugnata ha escluso l’indice criterio della particolare tenuità dell’offesa valorizzando l’ingente quantità di rifiuti depositati in maniera incontrollata sul terreno, la diversa natura dei medesimi, il lungo tempo in cui essi sono rimasti abbandonati sul suolo e la pericolosità di alcuni materiali, come l’eternit.  
Pertanto, si è in presenza di un’argomentazione stringente, priva di cedimenti logici o manifeste incongruenze che si sottrae alle censure difensive in quanto delinea un’offesa non tenue che il successivo comportamento non è idoneo a ricondurre nell’ambito di applicazione della norma invocata (Sez. 3, n. 19637 del 01/02/2024, Aronne). 

6. Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 02/07/2025