Le recenti sentenze del Consiglio di Stato sulla natura privatistica dei consorzi per la gestione dei rifiuti degli imballaggi e le problematiche concorrenziali aperte
di Luca PRATI
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, 24/09/2015, con le sentenze n. 4475, 4476 e 4477, riformando le corrispondenti decisioni del TAR Lazio, ha affermato l’illegittimità del decreto del 26 aprile 2013, adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ai sensi dell'art. 223, comma 2, del D. Lgs. 152/2006, con cui era stato approvato lo “schema tipo dello statuto dei consorzi costituiti per la gestione degli imballaggi".
L’approccio seguito dal Ministero dell’ambiente nella redazione dello schema di statuto tipo era improntato alla volontà di ricondurre i consorzi di filiera nell’ambito di uno stretto controllo pubblicistico, snaturandone in larga parte la natura di enti di diritto privato. Lo schema di statuto tipo adottato dal Ministero aveva così previsto, tra l’altro, numerose disposizioni che contemplavano poteri di vigilanza e di ingerenza ministeriale, quali la presenza di rappresentanti ministeriali negli organi consortili, anche di gestione, stringenti regole aventi ad oggetto la composizione del consiglio di amministrazione, il numero massimo dei consiglieri, la predeterminazione di determinati quorum assembleari, etc….
Si trattava, di fatto, di pesanti limitazioni alla facoltà dei consorziati di organizzare liberamente il funzionamento dell’ente in base ai principi dell’autonomia privata.
Il Consiglio di Stato, riformando le difformi decisioni del Tar Lazio, ha quindi colto l’occasione per delineare in modo compiuto il quadro normativo che regge la materia, ribadendo principi che trovano applicazione non solo ai consorzi appartenenti al sistema degli imballaggi, ma anche ai sistemi collettivi operanti in settori affini, primi tra tutti quelli istituiti per la gestione dei RAEE1 di cui all’art. 10 del D. Lgs. 49/2014, il quale demanda anch’esso la “governance” dei consorzi a un emanando statuto tipo di produzione ministeriale.
Nelle sentenze sopra menzionate il Consiglio di Stato richiama in primo luogo l’attenzione sul secondo comma dell’art. 223 d.lgs. n. 152 del 2006, il quale prevede testualmente che «i consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro e sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo, redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero delle attività produttive (…), conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonché di libera concorrenza nelle attività di settore».
Il Giudice Amministrativo ne ricava, del tutto condivisibilmente, che i consorzi unici nazionali di filiera per la gestione dei rifiuti di imballaggio non possono qualificarsi alla stregua di consorzi obbligatori ai sensi degli artt. 2616 ss. cod. civ2., poiché questi ultimi vengono costituiti mediante apposito provvedimento legislativo, si trovano in una posizione di monopolio di diritto e sono persone giuridiche pubbliche.
I consorzi di filiera sono, al contrario, soggetti muniti di personalità giuridica di diritto privato (personalità giuridica che è, eccezionalmente, loro attribuita dalla stessa norma di legge, sebbene rivestano forma consortile pura, e non di società consortile, ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile), aperti a un sistema tendenzialmente concorrenziale, a cui non sono applicabili i principi in tema di consorzi obbligatori né il regime di vigilanza governativa di cui all’art. 2619 cod. civ.
Il Consiglio di Stato evidenza anche come il contributo ambientale con cui in parte vengono finanziati i consorzi non possa essere assimilato all’IVA, posto che l’art. 219, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, accolla il costo della raccolta differenziata, della valorizzazione e dell’eliminazione dei rifiuti di imballaggio alle categorie dei produttori e utilizzatori, con divieto (art. 221, comma 11) di oneri economici aggiuntivi per il consumatore per la restituzione di imballaggi usati o di rifiuti di imballaggio, ivi compreso il conferimento di rifiuti in raccolta differenziata.
Inoltre, osserva il Consiglio di Stato, la disposizione dell’art. 224, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006, che vieta espressamente la ridistribuzione degli avanzi e delle riserve a favore dei consorziati, impedisce che la sussistenza di disavanzi di gestione possa comportare un’alterazione del contesto competitivo.
Dalla natura privatistica dei consorzi e dalle considerazioni sopra esposte il Consiglio di Stato ne ricava l’insussistenza di valide ragioni giustificatrici di previsioni statutarie particolarmente limitative dell’autonomia privata, quali quelle adottate dal Ministero con lo schema statutario.
I consorzi, infatti, svolgono attività di pubblico interesse (ai sensi dell’art. 177, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui «la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse», funzionale alla protezione dell’ambiente e della salute umana), ma non già un servizio pubblico in senso stretto.
Ne consegue che il Ministero, in sede di adozione dello schema-tipo di statuto, deve necessariamente fare riferimento all’ordinaria disciplina che presiede all’organizzazione e all’attività degli enti di diritto privato, limitandosi ad apportarvi i correttivi di stampo pubblicistico strettamente necessari al perseguimento degli interessi generali predeterminati dalla legge e finalizzati all’obiettivo da perseguire, costituito dalla riduzione al minimo possibile, per tutto il ciclo di vita, dell’impatto ambientale da essi gestiti (art. 217, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006).
Sempre secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato, l’art. 221, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, in applicazione del principio ‘chi inquina paga’, individua i produttori e utilizzatori (questi ultimi, da intendersi ai sensi dell’art. 218, comma 1, lett. s), per «i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni») quali soggetti responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale dei rifiuti derivanti propri prodotti. Tali categorie di operatori sono perciò quelle che debbono assumere, per la loro posizione di responsabilità prevalente, un ruolo tendenzialmente preponderante negli organi consortili di gestione.
Ne consegue pertanto l’illegittimità di quelle previsioni amministrative dirette a sovvertire le strutture consortili tramite l’attribuzione ad altri soggetti, che pure possono o debbono partecipare al consorzio, un ruolo di eccessivo peso decisionale.
Alla luce dei principi enunciati dal Consiglio di Stato merita una riflessione la questione relativa all’apertura alla partecipazione ai consorzi delle categoria dei recuperatori e dei riciclatori. Essa è prevista dall’art. 223, comma 1, per i consorzi della filiera degli imballaggi, e all’art. 10 del D. Lgs. 49/2014, per i sistemi collettivi RAEE. Quest’ultimo articolo addirittura estende la possibilità di adesione ai consorzi a distributori, raccoglitori e trasportatori operanti nella filiera dei RAEE.
L’art. 223 comma 2 prevede inoltre che nei consigli di amministrazione dei consorzi della filiera degli imballaggi il numero dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei riciclatori e dei recuperatori (ovviamente se presenti) debba essere uguale a quello dei consiglieri di amministrazione in rappresentanza dei produttori di materie prime di imballaggi.
E’ di solare evidenza come la scelta legislativa di prevedere l’apertura dei consorzi per la gestione dei rifiuti a tali categorie di operatori ponga seri problemi di compatibilità con la normativa antitrust e con i basilari principi di tutela della concorrenza. Recuperatori e riciclatori sono infatti, generalmente, i fornitori dei consorzi di filiera, in quanto ricevono da essi i rifiuti oggetto di recupero o riciclo. Ciò vale, in particolare, per le filiere c.d. ‘a catena aperta’, dove i riciclatori non coincidono con i produttori e nelle quali i materiali recuperati tendenzialmente non ritornano alle stesse industrie di produzione.
Eguale considerazione vale per i distributori di AEE (clienti dei produttori di AEE che partecipano ai consorzi), e per trasportatori e raccoglitori di RAEE.
La presenza di soggetti portatori di interessi economici antitetici a quelli delle altre categorie negli organismi consortili, se da un lato pone i loro rappresentanti di fronte a un continuo conflitto di interesse per tutto ciò che riguarda le decisioni che assumono rilievo nei rapporti tra consorzio e aziende recuperatrici o riciclatrici, dall’altro rende elevato il rischio che i consorzi finiscano per essere la sede naturale di intese restrittive della concorrenza, rilevanti ai sensi dell’articolo 101 del TUE e dell’art. 2 della L. 247/1990.
Ai sensi di tale norme vengono infatti in rilievo tutte quelle intese che fissano direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita di prodotti o servizi, ovvero altre condizioni contrattuali, quelle che limitano o controllano la produzione, lo sviluppo tecnico od economico, gli investimenti, quelle che ripartiscono i mercati o le fonti di approvvigionamento, quelle che discriminano fornitori ed utenti senza giustificazione economica.
Poiché la natura stessa del consorzio è quella di istituire una collaborazione fra imprese autonome finalizzata a massimizzare i propri risultati3, è davvero difficile immaginare come un consorzio nei cui organismi di gestione convivano, prendendo insieme decisioni cruciali su prezzi, condizioni contrattuali e individuazione del contraente, imprese clienti e imprese fornitrici, non costituisca già esso stesso, in modo quasi fisiologico, una intesa intrinsecamente anti competitiva, avente natura escludente dei potenziali soggetti (recuperatori, riciclatori, trasportatori, etc…) concorrenti di quelli non aderenti al consorzio.
Spesso infatti le intese verticali (ossia tra soggetti che operano su diversi livelli, come produttori e distributori) danno origine ad ostacoli all'entrata nel mercato di riferimento, o deprimono ulteriormente la concorrenza orizzontale nei mercati oligopolistici. A titolo esemplificativo, ogni accordo tra il consorzio e i recuperatori, riciclatori, raccoglitori e trasportatori ad esso aderenti, che attribuisse ai “fornitori” consorziati specifici vantaggi commerciali, quote prefissate di materiali da recuperare, diritti o obblighi di esclusiva, si avvicinerebbe pericolosamente a un’intesa verticale potenzialmente in grado di creare ostacoli all’ingresso sul mercato, ripartire le fonti di approvvigionamento, discriminare fornitori e utenti senza giustificazione economica.
In ogni caso, è opinione comune che nell’ambito dei consorzi, una volta accertato lo svolgimento di un'attività imprenditoriale, si deve applicare l'intera disciplina antitrust di cui alla L. 10.10.1990, n. 287, considerandosi assimilabili agli accordi e/o alle pratiche concordate anche le deliberazioni dei consorzi potenzialmente idonee al controllo ed al coordinamento delle attività delle imprese aderenti (cfr. C. St. 26.7.2001, n. 4118).
Il Consiglio di Stato ha tuttavia evidenziato nelle sue recenti decisioni come, per i recuperatori e i riciclatori, l’ingresso nel consorzio venga ad essere subordinato dalla norma al “previo accordo” con gli altri consorziati. In definitiva, deve ritenersi che per recuperatori e riciclatori (che non siano anche produttori) non esista un diritto incondizionato all’ingresso nei consorzi di filiera, derivante loro direttamente dalla legge, quanto piuttosto una possibilità di accesso che, tuttavia, deve passare attraverso il consenso degli altri consorziati, i quali potranno darlo solo se l’ingresso nel consorzio del nuovo soggetto non configuri una intesa restrittiva sotto il profilo concorrenziale. Ciò è coerente con l’affermazione del Consiglio di Stato circa la natura dei consorzi quali enti di puro diritto privato a cui non sono applicabili i principi in tema di consorzi obbligatori di cui all’art. 2616 cod. civ.; non sussiste, in capo ai consorzi, alcun “obbligo a contrarre” con altri operatori della filiera, stante la natura non monopolistica dell’ente.
Ad ogni buon conto, sembrerebbe opportuno che la partecipazioni di recuperatori e riciclatori nei consorzi di filiera a “catena aperta” venisse limitata alle imprese che non intrattengono direttamente rapporti commerciali con i consorzi medesimi, onde evitare che il contratto di consorzio finisca, esso stesso, per assumere la veste di una intesa verticale potenzialmente lesiva dei principi di non distorsione della concorrenza.
Luca Prati
1 I due acronimi “AEE” ed i “RAEE” indicano, rispettivamente, le Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (“Aee”) ed i Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (“Raee”).
2 Le disposizioni del codice civile in materia di consorzi obbligatori non sono mai entrate in vigore (C., S.U., 2684/1960; C. 2986/1960). Esistono peraltro consorzi obbligatori istituiti con leggi speciali, anche regionali, la cui disciplina è ricavabile da una varia casistica giurisprudenziale
3 Si è affermato che, in un certo senso, il consorzio si può definire come un'associazione economica costituita per realizzare interessi economici ed egoistici delle parti, ovvero, uno strumento di collaborazione fra imprese autonome per massimizzare i propri rispettivi risultati, sia attraverso la regolamentazione e la disciplina delle rispettive attività, sia alternativamente ed eventualmente, tramite lo svolgimento di fasi delle rispettive imprese (Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 41). Fase dell'impresa è ciascuna fase in cui può essere frazionato il ciclo produttivo di quella realtà fenomenologica che per l'economia resta, pur sempre, un'impresa economicamente unitaria: dunque tutte le operazioni (dall'acquisto delle materie prime al prodotto finito) in cui sia astrattamente scomponibile l'attività imprenditoriale, pur conservando ciascuna, nell'organizzazione complessiva, una propria identità (orientamento comune, cfr. per tutti Volpe, Putzolu, I consorzi, 332).