Consiglio di Stato, Sez. VI n. 5473 del 25 ottobre 2012.
Ambiente in genere.Autorizzazione unica ex art. 1 legge 55/2002 e intesa “forte”con la Regione.
Diniego dell’intesa della Regione con riguardo all’istanza di rilascio dell’autorizzazione per centrale di produzione di energia elettrica a ciclo combinato alimentata a gas naturale, della potenza elettrica di ca. 370 MW. Nell’ambito dell’istituto dell’autorizzazione unica ex art. 1 d.l. n. 7 del 2002, come convertito dalla l. n. 55 del 2002 recante: “Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”, l’intesa regionale, deve essere in ogni caso acquisita, a presidio del livello di partecipazione della Regione direttamente interessata dall’impianto. Sul punto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 6 del 2004, ha statuito: “va considerata come un’intesa forte, nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento (…) a causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc .”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 05473/2012REG.PROV.COLL.
N. 01797/2012 REG.RIC.
N. 02180/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1797 del 2012, proposto dal Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
la AGEM - Adriatica Generazione Elettrica Marchigiana s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Cintioli, Domenico Ielo e Romano Rotelli, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Bonelli erede Pappalardo, in Roma, via Salaria, 259;
nei confronti di
la Regione Marche, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Costanzi e Michele Romano, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Domenico Morichini, 41;
sul ricorso numero di registro generale 2180 del 2012, proposto dalla Regione Marche, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Costanzi e Michele Romano, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Domenico Morichini, 41;
contro
la AGEM - Adriatica Generazione Elettrica Marchigiana s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Cintioli, Domenico Ielo e Romano Rotelli, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Bonelli erede Pappalardo in Roma, via Salaria, 259;
nei confronti di
il Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, Sezione III-tern. 872/2012, resa tra le parti, concernente DINIEGO RILASCIO AUTORIZZAZIONE PER LA REALIZZAZIONE E L'ESERCIZIO DI UNA CENTRALE ELETTRICA
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle rispettive parti appellate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 giugno 2012 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti gli avvocati Di Cave, Ielo, Costanzi e Romano, nonché l’avvocato dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il Ta.r. per il Lazio dichiarava in parte inammissibile e in parte accoglieva il ricorso n. 11065 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Adriatica Generazione Elettrica Marchigiana s.r.l. (AGEM s.r.l.) nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e della Regione Marche, avverso i seguenti atti inerenti alla procedura di autorizzazione unica ex art. 1 d.l. 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002, n. 55, per la costruzione e l’esercizio di una centrale di produzione di energia elettrica a ciclo combinato alimentata a gas naturale, della potenza elettrica di ca. 370 MW, da ubicare nel Comune di San Severino Marche:
(i) il verbale della conferenza di servizi svoltasi presso il Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per la competitività, dell’8 agosto 2008;
(ii) la deliberazione della Giunta regionale delle Marche n. 1086 del 30 luglio 2008, di diniego dell’intesa della Regione con riguardo all’istanza di rilascio dell’autorizzazione in questione, motivato dal contrasto dell’intervento col Piano energetico ambientale regionale (P.e.a.r.) approvato dal Consiglio regionale con deliberazione amministrativa n. 175 del 16 febbraio 2005 e pubblicato nel B.U.R. n. 24 del 9 marzo 2005, in quanto la potenza dell’impianto era ampiamente superiore ai limiti massimi (100 MW) stabiliti nel P.e.a.r. per il territorio regionale;
(iii) “ ove occorrer possa”, i seguenti capitoli del P.e.a.r.: capitolo 4.2.3 del Sommario e capitoli 7.2.1. e 7.4. dedicati al Governo dell’offerta di energia;
(iv) (con i motivi aggiunti) il decreto del 20 aprile 2009 del Ministero dello sviluppo economico, di diniego dell’autorizzazione previa presa d’atto della mancata intesa con la Regione.
Il T.a.r. dichiarava l’inammissibilità del ricorso, nella parte in cui era stato proposto contro l’atto sub (i ), per difetto di lesività dell’atto impugnato, di natura endoprocedimentale, mentre lo accoglieva per quanto diretto avverso i provvedimenti sub (ii) e (iv ).
Il T.a.r. riteneva, segnatamente, fondato il sesto motivo di ricorso con assorbimento degli altri motivi, rilevando che il P.a.e.r. non poteva trovare applicazione alla fattispecie sub iudice per essere entrato in vigore il 9 marzo 2005, oltre un anno dopo la presentazione dell’istanza di autorizzazione (30 dicembre 2003), nonché oltre la data di maturazione del termine di 180 giorni stabilito per la conclusione del procedimento. Il T.a.r. annullava di conseguenza il diniego d’intesa e il provvedimento finale e condannava le Amministrazioni resistenti a rifondere alla ricorrente le spese di causa.
3. Avverso tale sentenza interponeva appello il Ministero dello sviluppo economico (con ricorso rubricato al n. 1797 del 2012), rilevando la non imputabilità all’Amministrazione statale dell’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, in considerazione della necessità della previa acquisizione della autorizzazione integrata ambientale (a.i.a.) e, comunque, la non perentorietà del termine medesimo, nonché la natura vincolante dell’intesa negativa della Regione (da qualificarsi come intesa “forte”, in quanto così definita dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 2004), con conseguente erroneità in parte qua dell’impugnata sentenza. L’Amministrazione appellante chiedeva dunque, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’appellata sentenza e in sua riforma, il rigetto del ricorso di primo grado.
4. La sentenza veniva impugnata con separato ricorso in appello (rubricato al n. 2180 del 2012) anche dalla Regione Marche, la quale deduceva l’erronea reiezione dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado (sollevata sotto il profilo dell’omessa tempestiva impugnazione della delibera consiliare n. 175 del 16 febbraio 2005, di approvazione del P.e.a.r.), l’erronea applicazione del pricipio tempus regit actum con riferimento alla sopravvenienza del P.e.a.r. in corso di procedimento, l’erronea qualificazione del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento come termine perentorio, il travisamento dei fatti e l’erronea applicazione della disciplina dell’intesa regionale. L’appellante Regione chiedeva dunque, in riforma dell’appellata sentenza, il rigetto dell’avversario ricorso di primo grado.
5. Nell’ambito dei due giudizi si costituiva in giudizio la AGEM s.r.l., contestando la fondatezza degli appelli e chiedendone la reiezione. L’appellata AGEM s.r.l. riproponeva inoltre espressamente i motivi di ricorso di primo grado, dichiarati assorbiti dal T.a.r.
6. In esito alla richiesta di abbinamento al merito, formulata all’udienza camerale del 3 aprile 2012, la causa all’odierna pubblica udienza veniva trattenuta in decisione.
7. Premesso che ai sensi dell’art. 96 cod. proc. amm. i due ricorsi in appello, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti e trattati congiuntamente, si osserva che contro la statuizione d’inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento sub 1. (i) non risultano proposti specifici motivi d’appello (né in via principale, né in via incidentale), sicché ogni relativa questione esula dai limiti oggettivi del presente giudizio d’impugnazione.
Nel merito, entrambi gli appelli, affidati a motivi sostanzialmente identici, meritano accoglimento nei termini di cui appresso.
7.1. In linea di fatto, giova premettere che sulla base dell’acquisita documentazione deve ritenersi comprovato quanto segue:
(a) con istanza del 30 dicembre 2003 la società Tecnoplan s.r.l. – alla quale, a far data dal 20 luglio 2005, è subentrata l’odierna appellante AGEM s.r.l. – ha chiesto il rilascio di un’autorizzazione ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 7 del 2002, n. 7, come convertito dalla l. n. 55 del 2002, per la costruzione e l’esercizio di una centrale termoelettrica a ciclo combinato alimentata a gas naturale, della potenza elettrica di ca. 370 MW, da ubicare nel Comune di San Severino Marche, con contestuale domanda di valutazione di compatibilità ambientale (assunta al protocollo n. 15150 del 31 dicembre 2003);
(b) l’istanza è stata integrata dalla Tecnoplan s.r.l. il 24 giugno 2004 (dopo che la stessa richiedente il 26 maggio 2004 aveva chiesto di sospendere il procedimento in attesa di definire il nuovo assetto progettuale), con una nota ed allegata documentazione relativa al nuovo progetto consistente in uno spostamento della centrale di ca. 700,00 m e nella conseguente ridefinizione delle connessioni alle reti gas ed elettrica, nonché il 5 e 23 novembre 2004, con note contenenti chiarimenti e approfondimenti allo studio d’impatto ambientale;
(c) il 26 luglio 2004 si è tenuta presso il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) una prima conferenza di servizi, coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate, nella quale il rappresentante della Regione, pur non essendo ancora stato approvato il P.e.a.r., aveva rappresentato possibili ostacoli da parte dell’Amministrazione regionale, intenzionata a “colmare il deficit energetico attraverso la cogenerazione diffusa e incentivando l’uso delle fonti rinnovabili” (v. così, testualmente, il relativo verbale), rilevando altresì testualmente che “l’impianto proposto dalla Tecnoplan della taglia di 370 MW risulta pertanto, allo stato attuale, incompatibile con le linee programmatiche regionali che prevedono installazione di impianti di taglia inferiore”;
(d) il subprocedimento di acquisizione della valutazione di impatto ambientale (v.i.a.) si è concluso il 7 novembre 2005, col rilascio del decreto di compatibilità ambientale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali), il quale riteneva non ostativo il parere regionale negativo del 20 dicembre 2004;
(e) il P.e.a.r. è stato approvato il 16 febbraio 2005 e pubblicato il 9 marzo 2005, in pendenza del procedimento per l’acquisizione della v.i.a.;
(f) conseguita la v.i.a., la AGEM s.p.a. con nota del 15 marzo 2006 formulava istanza al Ministero dell’ambiente per il conseguimento dell’autorizzazione integrata ambientale (a.i.a.) in base alla normativa sopravvenuta di cui al d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 (applicabile al procedimento in esame ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 17 del citato d.lgs.), trasmettendo in data 14 marzo 2006, di propria iniziativa, documentazione tecnica integrativa e inviando, in data 7 marzo 2008, nota contenente chiarimenti in risposta a correlativa richiesta formulata dalla competente direzione generale a seguito della proposta della Commissione a.i.a.-i.p.p.c.;
(g) l’a.i.a. è stata rilasciata con decreto del 23 gennaio 2009 (impugnato dinanzi al T.a.r. per le Marche dalla Provincia di Macerata e dai Comuni di San Severino Marche, di Pollenza e di Treia, con ricorso rubricato al n. 975 del 2008);
(h) nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica ex d.l. n. 7 del 2002 la Regione Marche alla conferenza di servizi dell’8 agosto 2008, convocata dal Ministero dello Sviluppo economico, esprimeva la propria posizione negativa – sulla base delle risultanze della conferenza di servizi convocata dalla Giunta regionale per il 29 luglio 2008, ad unanime esito negativo –, trasmettendo allo stesso Ministero, con nota del 29 ottobre 2008, il diniego d’intesa, motivato dall’incompatibilità con le previsioni del P.e.a.r. (provvedimenti impugnati sub 1. (i) e 1. (iii ));
(i) infine, il Ministero con decreto del 20 aprile 2009 negava l’autorizzazione con richiamo all’intesa regionale negativa (provvedimento impugnato sub 1. (iv ));
(j) in occasione dell’incontro presso gli uffici regionali del 10 giugno 2008, l’AGEM consegnava un accordo di collaborazione con l’impresa AGROSERVICE di San Severino Marche, che prevedeva la cessione di calore a tale azienda per il relativo ciclo produttivo (essiccamento di sementi, erba medica e mais), in tal modo consentendo la classificazione dell’impianto come di tipo cogenerativo.
7.2. In linea di diritto, va richiamato il testo integrale dell’art. 1 d.l. 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002, n. 55, e recante “Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”, nella versione in vigore all’epoca di svolgimento del procedimento di autorizzazione di cui è causa (quindi, tra il 30 dicembre 2003 e il 20 aprile 2009):
“1. Al fine di evitare il pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale e di garantire la necessaria copertura del fabbisogno nazionale, sino alla determinazione dei principi fondamentali della materia in attuazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica o ripotenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili all'esercizio degli stessi, ivi compresi gli interventi di sviluppo e adeguamento della rete elettrica di trasmissione nazionale necessari all’immissione in rete dell’energia prodotta, sono dichiarati opere di pubblica utilità e soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dal Ministero delle attività produttive, la quale sostituisce autorizzazioni, concessioni ed atti di assenso comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, fatto salvo quanto previsto al comma 4, costituendo titolo a costruire e ad esercire l'impianto in conformità al progetto approvato. Resta fermo il pagamento del diritto annuale di cui all’articolo 63, commi 3 e 4, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni.
2. L'autorizzazione di cui al comma 1 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, d'intesa con la regione interessata. Ai soli fini del rilascio della valutazione di impatto ambientale (VIA), alle opere di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla legge 8 luglio 1986, n. 349, e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 1988, n. 377, e successive modificazioni. Fino al recepimento della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, tale autorizzazione comprende l'autorizzazione ambientale integrata e sostituisce, ad ogni effetto, le singole autorizzazioni ambientali di competenza delle Amministrazioni interessate e degli enti pubblici territoriali. L'esito positivo della VIA costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento autorizzatorio. L'istruttoria si conclude in ogni caso una volta acquisita la VIA, entro il termine di centottanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, comprensiva del progetto preliminare e dello studio di impatto ambientale.
3. L'autorizzazione di cui al comma 1 indica le prescrizioni e gli obblighi di informativa posti a carico del soggetto proponente per garantire il coordinamento e la salvaguardia del sistema elettrico nazionale e la tutela ambientale, nonché il termine entro il quale l'iniziativa è realizzata. Per il rilascio dell'autorizzazione è fatto obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della provincia nel cui territorio ricadono le opere di cui al comma 1. Il rilascio del parere non può incidere sul rispetto del termine di cui al comma 2. Qualora le opere di cui al comma 1 comportino variazioni degli strumenti urbanistici e del piano regolatore portuale, il rilascio dell'autorizzazione ha effetto di variante urbanistica. La regione competente può promuovere accordi tra il proponente e gli enti locali interessati dagli interventi di cui al comma 1 per l'individuazione di misure di compensazione e riequilibrio ambientale.
3-bis. Il Ministero delle attività produttive, le regioni, l'Unione delle province d'Italia (UPI) e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) costituiscono un comitato paritetico per il monitoraggio congiunto dell'efficacia delle disposizioni del presente decreto e la valutazione dell'adeguatezza della nuova potenza installata.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di VIA, ovvero risulti in via di conclusione il relativo procedimento, su dichiarazione del proponente.
4-bis. Nel caso di impianti ubicati nei territori di comuni adiacenti ad altre regioni, queste ultime sono comunque sentite nell'ambito della procedura di VIA.
5. Fino al 31 dicembre 2003 è sospesa l'efficacia dell'allegato IV al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1989, dell'articolo 15 della legge 2 agosto 1975, n. 393, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 1998, n. 53, relativamente alle centrali termoelettriche e turbogas, alimentate da fonti convenzionali, di potenza termica complessiva superiore a 300 MW. Restano fermi gli obblighi di corresponsione dei contributi dovuti sulla base delle convenzioni in essere.
5-bis. Le disposizioni del presente decreto si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione .”.
Solo dopo la conclusione del procedimento de quo l’art. 27, comma 30, l. 23 luglio 2009, n. 99, ha disposto l’inserimento, dopo il primo periodo del comma 2 del sopra citato art. 1 d.l. n. 7 del 2002 (come convertito dalla l. n. 55 del 2002), del seguente periodo:
“L’eventuale rifiuto regionale dell'intesa deve essere espresso con provvedimento motivato, che deve specificatamente tenere conto delle risultanze dell'istruttoria ed esporre in modo chiaro e dettagliato le ragioni del dissenso dalla proposta ministeriale di intesa”.
7.3. Il T.a.r., con affermazione non specificamente censurata in appello, ha circoscritto l’oggetto del giudizio “allo scrutinio di legittimità del diniego di intesa regionale e del successivo atto ministeriale – gravato con motivi aggiunti – che ha chiuso negativamente il procedimento volto ad ottenere l’autorizzazione ai sensi della legge n. 55/2002 per l’impianto de quo”, precisando che “i motivi aggiunti ripropongono, a titolo di invalidità derivata, le stesse censure già spiegate nel ricorso introduttivo” (v. così, testualmente, p. 12 dell’appellata sentenza).
Il T.a.r., dopo aver premesso che il diniego dell’intesa regionale era motivato unicamente dall’incompatibilità delle opere con il P.e.a.r. sotto il profilo che la taglia dell’impianto, pari a ca. 370 MW, eccedeva ampiamente i valori massimi indicati nel P.e.a.r., di 100 MW, basava la pronuncia di accoglimento sul rilievo centrale che l’entrata in vigore del Piano (approvato il 16 febbraio 2005 e pubblicato il 9 marzo 2005) successivamente alla data di presentazione dell’istanza di autorizzazione (in data 30 dicembre 2003) “valeva a connotarlo come ius superveniens rispetto alla predetta istanza, ponendo un problema di successione temporale della disciplina dei procedimenti amministrativi afferenti la materia regolata dal Piano”, sicché “le previsioni del PEAR avrebbero dovuto essere (…) delimitate temporalmente ai procedimenti iniziati successivamente all’adozione del Piano, secondo la regola dettata dagli artt. 10 e 11 delle preleggi”, aggiungendo che “il dedotto profilo di illegittimità è peraltro duplice, posto che alla data di entrata in vigore del PEAR l’istanza era stata presentata da più di centottanta giorni”, con la conseguenza che “in siffatta ipotesi già il fatto della mancata pronuncia sull’istanza di autorizzazione entro il termine finale stabilito dalla norma primaria configura una forma di illegittimità lesiva delle posizioni d’interesse dei soggetti che hanno presentato l’istanza di autorizzazione” (v. così, testualmente, pp. 14, 15 dell’appellata sentenza).
7.4. Orbene, ritiene il Collegio, in accoglimento dei correlativi motivi d’appello proposti dalle Amministrazioni appellanti, tra di loro connessi e da trattare congiuntamente, che le conclusioni cui è pervenuto il T.a.r. non siano condivisibili.
In primo luogo, la semplice maturazione del termine di conclusione del procedimento, in difetto di previsione normativa del relativo carattere perentorio, non poteva, di per sé, comportare l’illegittimità dell’atto (nella specie, di contenuto negativo) adottato dopo la scadenza del termine, potendo in ipotesi tutt’al più rilevare, in presenza dei relativi presupposti anche soggettivi, sub specie di fatto costitutivo di un’eventuale pretesa risarcitoria da ritardo (peraltro, non azionata nel presente giudizio).
In secondo luogo, nel caso in esame, tenuto conto sia della specialità e della compiutezza della disciplina del procedimento di autorizzazione unica ex art. 1 .d.l. n. 7 del 2002 come convertito dalla l. n. 55 del 2002, sia della necessità di acquisire l’intesa della Regione, giammai potrebbe configurarsi la formazione di un silenzio assenso (peraltro, neppure invocato dalla stessa ricorrente ed odierna appellata).
Per le esposte ragioni, deve escludersi la consumazione del potere dell’Amministrazione a provvedere in ordine all’istanza (sia in senso positivo, sia in senso negativo) oltre la scadenza del termine di conclusione del procedimento, sicché risulta erroneo l’annullamento - disposto dall’appellata sentenza - degli atti impugnati per superamento del termine di conclusione del procedimento.
Rileva al riguardo il Collegio che, decorsi i termini assegnati per la conclusione del procedimento senza che l’Amministrazione procedente avesse provveduto ad emanare l’atto finale, la parte interessata avrebbe potuto promuovere ricorso avverso il silenzio-inadempimento, nella specie non esperito.
Inoltre, i comportamenti dell’impresa istante (v. sopra sub 7.1. (b) e 7.1. (j )), costituiti dalla richiesta di sospensione del procedimento e da ripetute integrazioni documentali e progettuali, anche di propria iniziativa, integrano, nel loro complesso, gli estremi di una condotta oggettivamente incompatibile con la deduzione delle censure d’illegittimità dell’azione amministrativa per superamento del termine di conclusione del procedimento; condotta, che assurge a vera e propria protestatio contra factum proprium, con tutto ciò che ne consegue sul piano della qualificazione delle reciproche condotte delle parti del giudizio.
Se, poi, si considera che nell’ambito dell’istituto dell’autorizzazione unica ex art. 1 d.l. n. 7 del 2002, come convertito dalla l. n. 55 del 2002, l’intesa regionale, secondo la ricostruzione operata dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 6 del 2004), “va considerata come un’intesa “forte”, nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento (…) a causa del particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc .” (v. così, testualmente, la citata sentenza costituzionale), l’intesa andava in ogni caso acquisita, a presidio del livello di partecipazione della Regione direttamente interessata dall’impianto, senza che potesse rilevare il momento in cui la manifestazione sull’intesa fosse stata richiesta dalla Amministrazione procedente, con la conseguente inidoneità causale dell’eventuale violazione del termine di conclusione del procedimento ad inficiare l’atto con cui la Regione si era espressa sull’intesa.
Si rammenta, al riguardo, che l’azione impugnatoria esercitata col ricorso principale di primo grado era diretta primariamente avverso il diniego di intesa regionale e che, con il ricorso per motivi aggiunti, il decreto ministeriale conclusivo era stato impugnato esclusivamente per vizi derivati.
Sempre con riguardo alle questioni attinenti la declaratoria d’illegittimità degli atti impugnati per superamento del termine, cui è pervenuto il T.a.r., rileva il Collegio che la v.i.a. s’inserisce, quale subprocedimento, nel procedimento di autorizzazione unica (v. la sopra riportata formulazione testuale dell’art. 1 del d.-l. n. 7 del 2002, secondo cui “l’esito positivo della VIA costituisce parte integrante e condizione necessaria del procedimento autorizzatorio”), sicché quest’ultimo doveva ritenersi sospeso fino al rilascio della valutazione d’impatto ambientale, insuscettibile di rinuncia o di essere sostituita con l’attivazione di poteri di altri organi consultivi, trattandosi di un parere rilasciato da Amministrazioni preposte alla tutela ambientale e paesaggistica (v. il richiamato testo dell’art. 1, comma 2, d.l. n. 7 del 2002, come convertito dalla l. n. 55 del 2002: “L’istruttoria si conclude in ogni caso una volta acquisita la VIA in ogni caso entro il termine di centottanta giorni dalla data di presentazione della richiesta (…)”; v., oggi, quanto alla disciplina del procedimento amministrativo in generale, il comma 4 dell’art. 14-ter l. n. 241 del 1990, da ultimo modificato dall’art. 49 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla l. 30 luglio 2010, n. 122).
Va precisato, per inciso, che invece l’a.i.a. – nel caso di specie assoggettata ratione temporis alla disciplina dettata dal d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 (di recepimento della direttiva 96/61/CE), e rilasciata con decreto ministeriale del 23 gennaio 2009 – è acquisita in un procedimento separato, ma la compresenza sia dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dell’impianto, sia dell’autorizzazione integrata ambientale (oltre che della valutazione d’impatto ambientale), condiziona l’efficacia e operatività dei due provvedimenti autorizzatori, nel senso che la mancanza dell’una o dell’altra non si riverbera reciprocamente sulla rispettiva legittimità, ma opera sul piano del mancato conseguimento dell’efficacia, costituendo fatto impeditivo per la produzione dell’effetto ultimo perseguito con la conclusione di entrambi i procedimenti (v. in tal senso C.d.S., Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4333), il che pure rileva per la qualificazione della condotta delle parti.
Ne deriva che, a fronte del rilascio della v.i.a. in data 7 novembre 2005, il termine di conclusione del procedimento giammai poteva ritenersi maturato in data anteriore.
Il procedimento di autorizzazione unica al momento dell’entrata in vigore del P.e.a.r. (in data 9 marzo 2005) era dunque ancora pendente – segnatamente, pendeva il subprocedimento volto all’acquisizione della v.i.a. –, del che deve tenersi conto nell’applicazione del principio tempus regit actum, secondo cui ogni atto della serie procedimentale trova (in mancanza di disposizioni particolari in senso diverso) la sua disciplina nella normativa (in senso lato, compresi gli atti generali di pianificazione) vigente al momento in cui è posto in essere.
Non versandosi né in una fase procedimentale esaurita e ormai incompatibile con le nuove previsioni pianificatorie, né in presenza di situazioni giuridiche consolidate per effetto di atti divenuti inoppugnabili, in ipotesi immuni a sopravvenienze normative, il P.e.a.r. – emanato ai sensi dell’art. 5 l. 9 gennaio 1991, n. 10 (Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), e da qualificare come atto generale a contenuto programmatico e di indirizzo generale di pianificazione della politica energetica regionale, destinato a concretizzarsi nelle scelte operate dall’Amministrazione in sede di adozione dei provvedimenti puntuali alla luce degli indirizzi programmatici stabiliti dal Piano –, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., poteva e doveva essere assunto ad imprescindibile elemento di valutazione in sede di emanazione degli atti non ancora posti in essere al momento della sua entrata in vigore e aventi ad oggetto le determinazioni inerenti al progetto di realizzazione dell’impianto.
Né tale soluzione contrasta con il principio comunitario di tutela del legittimo affidamento, specie in una situazione, quale quella dedotta in giudizio, in cui la stessa parte richiedente ha ripetutamente integrato la documentazione e l’assetto progettuale, attesa l’insussistenza di una situazione giuridica acquisita sulla base di un precedente atto dell’Amministrazione, e stante la configurabilità di una semplice situazione d’aspettativa nell’ambito di un procedimento in itinere.
Infatti, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria, l’operatività del richiamato principio presuppone l’affidamento ragionevole generato da un precedente comportamento dell’amministrazione pubblica, e la correlativa tutela è funzionale alla protezione di situazioni consolidate contro revoche di atti amministrativi ampliativi o attributivi di benefici economici, i cui effetti siano stati acquisiti dal privato in buona fede (v., a titolo d’esempio, Corte Giust. CE, sentenza 19 settembre 2002, C-336/00, con la quale è stato escluso che il privato, il quale in buona fede e in assenza di sufficienti informazioni da parte dell’amministrazione abbia percepito sovvenzioni indebite, sia obbligato alla restituzione dell’indebito).
Conclusivamente, meritano accoglimento i motivi d’appello proposti avverso il capo di annullamento sorretta dalla richiamata ed erronea ratio decidendi (v. sopra sub 7.3.).
7.5. Accolti i motivi d’appello dedotti avverso la statuizione di accoglimento del sesto motivo del ricorso di primo grado (cui conseguiva l’assorbimento dei restanti motivi), s’impone l’esame dei motivi assorbiti, riproposti in questa sede.
7.5.1. Giova al riguardo ripercorrere brevemente, con estrema sintesi, i passaggi motivazionali salienti del P.e.a.r., riguardanti le centrali di generazione di energia elettrica.
Il Piano, dopo aver esordito che “(…) il PEAR è uno strumento organico, articolato negli obiettivi e nei contenuti, attuabile per gradi e flessibile al fine di cogliere le opportunità della strategia comunitaria (…)”, avente ad oggetto “(…) la elaborazione degli scenari di evoluzione di medio termine (anno 2015) di tutto il comparto energetico, al fine di fornire il quadro di riferimento su: - governo della domanda di energia; - governo della offerta di energia; - contenimento delle emissioni di gas climalteranti, per i soggetti pubblici e privati che intendono assumere iniziative in campo energetico (…)” (§ 1.2., p. 5), nell’enunciazione dei propri obiettivi nel settore specifico della produzione di energia elettrica, recita testualmente (nella parte introduttiva):
“(…) Il Piano interviene inoltre sulla necessità di rendere equilibrato al massimo grado il settore energetico regionale agendo soprattutto sul deficit del comparto elettrico per garantire il pieno sostegno allo sviluppo economico e sociale delle Marche.
In questo senso risulta centrale il criterio della produzione distribuita e non concentrata di energia; il PEAR non prevede quindi il ricorso a poche grandi “macchine” di produzione energetica, che risultano per altro particolarmente esposte sotto il profilo del consenso sociale e della sicurezza.
La scelta della produzione distribuita è funzionale alla valorizzazione di un aspetto peculiare della realtà marchigiana di cui il PEAR intende tener conto: i Distretti industriali. Molte delle iniziative proposte, in particolare quelle che impattano sul settore industriali, sono pertanto ritagliate su questa particolare forma organizzativa del tessuto produttivo. Si vuole così configurare un quadro che renda i Distretti una sorta di incubatori di interventi innovativi ad alta valenza energetico-ambientale (…)” (§ 1.2., p. 6).
“(…) Quanto alla localizzazione e alle dimensioni degli impianti si punta agli impianti di taglia piccola per le installazioni vocate alla rigenerazione di energia elettrica, caldo e freddo (ospedali, centri commerciali, centri direzionali) ed alla taglia media (fino a qualche decina di MW) per centrali di cogenerazione per aree industriali omogenee. L’obiettivo è quello di ricalcare con l’energia il modello dei Distretti industriali già sperimentate con successo nella regione (…)” (2.3. C1, p. 10).
“(…) Quanto alle tipologie impiantistiche più idonee rispetto alle varie aree distrettuali è possibile riconoscere in via generale tre classi di taglia, che, in mix opportuno, possono tutte contribuire a realizzare il modello di generazione distribuita proposto:
- 1-5 MWe per le applicazioni classiche di rigenerazione, dove sia necessaria energia elettrica, calore in inverno e condizionamento dell’aria in estate (ospedali, centri commerciali, centri direzionali);
- 5-20 MWe per le applicazioni al servizio di un singolo stabilimento industriale (o di un piccolo gruppo di stabilimenti contigui) con necessità contemporanea di energia elettrica e di calore di processo;
- 20-100 MWe per le applicazioni di area industriale omogenea con la centrale elettrica collegata ad una rete di teleriscaldamento con funzione di distribuire anche calore di processo (…)
Si ribadisce che tutti i valori di potenza sono puramente indicativi e non fanno riferimento a una particolare tecnologia, che andrà invece scelta volta per volta in base alle specifiche esigenze del caso in esame (…)” (§ 3., p. 13).
Quindi il Piano, nel § 4.2., tratta gli elementi da valutare - favorevoli e contrari alle due possibili soluzioni - riguardanti la taglia delle centrali, distinguendo tra centrali a ciclo combinato di taglia medio-grande (da 400 MW elettrici in su) e centrali “di taglia piccola” e “medio-piccola” (da alcuni MW a poche decine di MW), queste ultime connotanti il c.d. sistema di generazione distribuita (pp. 36-37), improntato al principio della vicinanza degli impianti di produzione energetica ai punti di consumo per migliorare l’efficienza della distribuzione e per non gravare sul sistema di trasmissione, mentre un sistema di generazione concentrata su poche grandi centrali, spesso a forte impatto ambientale locale, comporterebbe la necessità di estendere le reti di trasmissione ad alta e altissima tensione, con tutti i problemi connessi (impatto visivo, occupazione del suolo, inquinamento elettromagnetico) (§ 7.2.1., p. 119).
La deliberazione in esame, dopo un ponderato bilanciamento dei pro e contra, giunge alla conclusione che appare preferibile, quanto alla localizzazione e alle dimensioni degli impianti, di puntare su centrali “di taglia media” (fino a qualche decina di MW) distribuite per aree industriali omogenee, pervenendo a definire quale tecnologia prioritaria per il conseguimento del pareggio di bilancio energetico regionale la produzione elettrica da cogenerazione, che consente l’utilizzo di una parte cospicua del calore scaricato dalla centrale per usi finali aggiuntivi, diretti o indiretti (§4.2.2., p. 43). Viene, in particolare, messo in rilievo che, col sistema della generazione distribuita, “(…) la frammentazione delle potenze installate e la loro distribuzione sul territorio può rendere possibile il recupero termico più facilmente di quanto non sia possibile con impianti di grande potenza; infatti, non essendo il calore trasportabile a distanze elevate come avviene invece per l’energia elettrica la concentrazione di potenza limita lo sfruttamento locale di notevoli quantità di energia termica (…)” (§ 7.2.1., p. 120).
7.5.2. Orbene, dalla lettura della parte del Piano (contenuto in un documento corposo di 770 pagine, da p. 5061 a p. 5831 del B.U.R. n. 24 del 9 marzo 2005) relativa alla politica energetica perseguita dalla Regione Marche nel settore della produzione di energia elettrica – che si colloca nel contesto più ampio di una programmazione energetica regionale complessiva, tenendo conto degli effetti diretti e indiretti che produzione, trasformazione, trasporto e consumi finali della varie fonti di energia producono sull’ambiente, in funzione di realizzare, per quanto possibile, un sistema energetico sostenibile e di perseguire gli obiettivi del Protocollo di Kyoto (ratificato e reso esecutivo con l. n. 120 del 2002), sulla base di un bilanciamento tra i vari interessi in gioco, dalla produzione di energia alla tutela dell’ambiente e del territorio –, emerge in modo piano che l’atto pianificatorio in esame detta degli indirizzi e gli obiettivi strategici, di natura aperta e flessibile, adattabili alle situazioni concrete, della politica energetico-ambientale a medio termine (fino al 2015) della Regione, tra l’altro precisando espressamente che la specificazione delle “taglie” degli impianti è di mera natura “indicativa”.
Dall’evidenziata natura di indirizzo e dalla conseguente adattabilità e derogabilità in relazione alle situazioni concrete di volta in volta da valutare in sede di rilascio delle singole autorizzazioni, deriva l’infondatezza delle censure, con le quali la ricorrente ha dedotto:
- l’erronea applicazione della l. n. 10 del 1991 sotto il profilo che la Regione avrebbe attribuito al P.e.a.r. valenza vincolante nell’individuazione delle aree più idonee alla localizzazione degli impianti e nella disciplina delle dimensioni degli impianti;
- il contrasto con il regime di liberalizzazione della produzione di energia elettrica, previsto dalla normativa comunitaria e nazionale a cagione dell’asserita fissazione di un tetto massimo di energia producibile complessivamente nella regione attraverso la previsione di una quota di energia producibile in ciascun distretto;
- la violazione del divieto di non discriminazione e degli obblighi di trasparenza e obiettività sanciti a livello comunitario e nazionale, nonché della libera circolazione dei servizi e della libertà di stabilimento garantita dal Trattato CE, attraverso l’asserita introduzione di un sostanziale divieto di centrali a ciclo combinato, la cui potenza supererebbe necessariamente, per motivi economici, il limite di 100 MW previsto dal P.e.a.r., con ciò discriminando i produttori ed esercenti di tali centrali.
Infatti, tali censure presuppongono un’interpretazione del Piano, che gli attribuisca una natura vincolante e inderogabile, mentre una sua corretta lettura porta a qualificarlo come atto generale a contenuto programmatico di indirizzo e flessibile, segnatamente contenente previsioni a carattere meramente indicativo sui limiti massimi della “taglia” degli impianti, sicché non è ravvisabile la dedotta introduzione di una disciplina rigida di predeterminazione della localizzazione, delle dimensioni e del tipo delle centrali di produzione di energia elettrica, restrittiva del mercato.
Per altro verso, dalla natura flessibile, aperta e meramente indicativa delle previsioni del Piano consegue l’infondatezza dell’eccezione di irricevibilità e di inammissibilità del ricorso introduttivo di primo grado, sollevata dell’Amministrazioni regionale sotto il profilo della mancata impugnazione immediata del Piano, attesa la non immediata lesività delle relative previsioni, essendosi l’effetto lesivo, radicante l’interesse a ricorrere, prodotto solo con l’atto applicativo costituito dal diniego puntuale che ha respinto l’istanza di autorizzazione presentata dall’originaria ricorrente (con conseguente infondatezza del motivo d’appello proposto dall’appellata Regione avverso il capo di sentenza reiettivo della relativa eccezione).
La natura programmatica del documento pianificatorio e la mancata fissazione di rigidi limiti di localizzazione e di “taglia” degli impianti comportano, poi, l’inconferenza del richiamo delle pronunce della Corte costituzionale, dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni contenute in varie leggi regionali, che fissavano i requisiti dimensionali massimi per impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, oppure imponevano misure di compensazione a favore della Regione o prevedevano particolari moduli procedimentali autorizzatori, così introducendo ostacoli e limiti generali alla possibilità di realizzare (determinate tipologie di) impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in violazione dei principi fondamentali dettati in materia dal d.lgs 29 dicembre 2003, n. 387, e dunque in contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost. (v. Corte Cost. n. 124/2010, n. 168/2010, n. 332/2010; n. 192/2011).
A prescindere dal rilievo che le citate pronunce della Corte Costituzionale attengono al settore della disciplina della produzione di energia da fonti rinnovabili, da cui esula la presente fattispecie, nel caso in esame si è, invece, in presenza di un atto pianificatorio programmatico e di indirizzo, il quale è bensì volto a promuovere impianti di produzione di energia termoelettrica tendenzialmente compatibili col sistema della c.d. generazione distribuita (e non concentrata) di energia, ma non contiene un vero e proprio divieto rigido alla realizzazione di determinati tipi di impianti, per limiti di potenza o tipologia tecnologica, dovendosi verificare nel caso concreto la rispondenza di impianti anche di maggiori dimensioni agli obiettivi di piano, sicché destituita di fondamento è la censura di violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
7.5.3. Priva di pregio è, infine, la censura di carenza motivazionale del diniego d’intesa espresso dalla Regione (insita nella censura di violazione dell’art. 1 l. n. 55 del 2002).
Premesso che l’intesa, di natura “forte” (v. sopra sub 7.4.), è espressione di un ampio potere discrezionale politico-amministrativo della Giunta regionale (con correlativa attenuazione dell’onere motivazionale, secondo i principi generali), si osserva che il diniego risulta motivato sulla base del testuale rilievo “che l’intervento non è compatibile con il Piano energetico ambientale regionale (PEAR) di cui alla deliberazione amministrativa del Consiglio regionale n. 175 del 16 febbraio 2005, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 24 del 9 marzo 2005, in quanto la taglia dell’impianto, pari a 370 MWe, eccede ampiamente i valori massimi indicati dallo stesso PEAR, pari a 100 MWe” (v. il verbale della seduta della Giunta regionale del 30 luglio 2008, nonché il verbale della conferenza di servizi dell’8 agosto 2008, al quale risultano acquisite le note trasmesse dagli altri enti locali convocati – Provincia di Macerata, Città di Treia, Città di San Severino Marche –, i cui organi consiliari pure si sono espressi contro il rilascio dell’autorizzazione, rilevando il contrasto del progetto con le direttrici e gli indirizzi del P.e.a.r.).
Orbene, a fronte dell’ampia motivazione contenuta nel documento pianificatorio in ordine alla preferenza riservata a un sistema di c.d. generazione distribuita di energia a livello distrettuale, rispetto a un sistema concentrato su poche grandi centrali, il richiamo alle collimanti scelte pianificatorie deve, nel caso di specie, ritenersi sufficiente per ritener assolto l’onere motivazionale del diniego, attesa l’indubbia ammissibilità, anche nella fattispecie in esame, di una motivazione integrata dal richiamo per relationem all’atto pianificatorio, mentre un surplus di motivazione sarebbe invece occorso nell’ipotesi opposta di deroga agli indirizzi di piano.
Giova, al riguardo, precisare che, al momento della formulazione del diniego d’intesa, non era ancora entrata in vigore la modifica apportata all’art. 2, comma 1, d.l. n. 7 del 2002 (come convertito dalla l. n. 55 del 2002) dall’art. 27, comma 30, 23 luglio 2009, n. 99, che, in caso di rifiuto dell’intesa, impone un onere motivazionale pregnante (v. sopra sub 7.2.), sicché anche sotto tale profilo la formulazione del diniego d’intesa deve ritenersi legittima, in quanto conforme alla disciplina generale della motivazione dei provvedimenti amministrativi cui prima della citata modifica legislativa l’atto impugnato era assoggettato.
7.6. Per le esposte ragioni, in accoglimento degli appelli proposti dalle Amministrazioni rispettivamente ministeriale e regionale, e in riforma dell’appellata sentenza, s’impone il rigetto del ricorso di primo grado.
8. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, tra di loro riuniti, come in epigrafe proposti (ricorsi n. 1797 e n. 2180 del 2012), li accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado (ricorso n. 11065 del 2008 T.a.r. Lazio), compresi i motivi aggiunti; dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
Andrea Pannone, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)