Scarichi nell'aria e immissioni di rifiuti in atmosfera: difficile convivenza tra le normative di settore
di Alberta Leonarda Vergine (Università di Pavia)
Nota (Trib. Gela sent. 201 del 24 marzo 2006) pubblicata su Giurisprudenza di merito n. 3-2007
La sentenza è leggibile qui
§1. La sentenza in epigrafe fornisce molti spunti al penalista che intenda commentarla.
In essa, infatti, si propone, tra l’altro, una inconsueta applicazione della scriminante dell’adempimento del dovere a favore del direttore di uno stabilimento industriale che non ha pienamente rispettato le prescrizioni dell’autorizzazione di cui al d.p.r. 203/88 [1]; si ritiene, in vero un po’ apoditticamente e contraddittoriamente, sussistente la continuazione tra le contravvenzioni contestate « per essere [le stesse ] avvint[e] dal nesso teleologico[2] » e « ancorché attribuite a titolo di colpa o di dolo eventuale[3]» ; si ritiene provato il dolo eventuale degli imputati ai quali si contesta il reato p. e p. dall’art. 674 c.p. – nonostante, nel caso concreto, fossero stati rispettati i limiti di legge [4] - , in quanto «certamente erano a conoscenza di dette intollerabili emissioni….pur tuttavia nulla hanno fatto per impedire o ovviare a dette emissioni maleodoranti e intollerabili»[5].
Ma, soprattutto, si afferma la responsabilità degli imputati in ordine alle contestate condotte di smaltimento di rifiuti senza autorizzazione in ragione della « qualificazione giuridica come rifiuti dei gas sottoposti a trattamento ai fini dello smaltimento, nonostante la sussistenza dell’autorizzazione ai sensi del d.P.R. 203/88».
§2. I capi di imputazioni erano stati da P.M. così formulati : violazione dell’art. 51 commi 1 e 2 d.lgs. 22/97 perché in qualità di direttori dello stabilimento di Agip Petroli s.p.a. di Gela ed in mancanza della prescritta autorizzazione effettuavano “attività di incenerimento di rifiuti mediante combustione del refluo gassoso ricco di CO e derivante dalla rigenerazione del catalizzatore da considerarsi incenerimento a norma del DM 503/98 rifiuti speciali non pericolosi” ( impianto Craking catalitico , capo B/1); “attività di incenerimento dei rifiuti mediante combustione del refluo gassoso proveniente dalle vasche API coperte e polmonate, considerarsi incenerimento a norma del DM 503/98, rifiuti speciali non pericolosi” (impianto Trattamento acque di stabilimento, capo B/3); “attività di incenerimento dei rifiuti mediante combustione della corrente gassosa residuale del Claus, rifiuti speciali non pericolosi” ( impianto Claus, capo B/4) .
Per arrivare a condannare i due imputati, il giudicante ha condotto un ragionamento che prende le mosse da una complessa (e ardita) equazione :
gli effluenti gassosi come le acque di scarico sono esclusi dal campo di operatività del d.lgs.22/97 a mente dell’art. 8 comma 1;
poiché le acque di scarico sono escluse soltanto se non costituiscono rifiuti liquidi, e le acque di scarico costituiscono rifiuti liquidi ogni volta che “sono sottoposte a un trattamento (ad esempio di evaporazione, di stoccaggio in un depuratore) al fine di disfarsene”;
allora: anche gli effluenti gassosi, quando sottoposti a trattamento al fine di disfarsene, sono da considerarsi rifiuti gassosi e quindi sono sottoposti alla disciplina del d.lgs.22/97.
Ci permettiamo di non condividere neppure una delle affermazioni che precedono.
Consideriamo la prima : sia “effluenti gassosi” che “acque di scarico” sono sottoposti alla stessa “regola” di esclusione dal campo di applicazione del d.lgs.22/97 a mente dell’art.8.
Non è vero : l’art. 8 propone due regimi differenti: per gli effluenti gassosi da un lato, e per un elenco di sostanze, che nel tempo è andato modificandosi[6] , tra i quali le acque di scarico, dall’altro.
L’art. 8, infatti, testualmente recita “Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto gli effluenti gassosi nonché, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge….” e segue un elenco di “sostanze” tra le quali le acque di scarico.
Evidente che quel “nonché” non è stato introdotto nella norma per caso o per distrazione, ma svolge un ruolo preciso. Esercita, infatti, la funzione di separare il primo segmento dalla disposizione (relativo agli effluenti gassosi) per il quale l’esclusione è incondizionata, dal secondo, quello relativo al lungo elenco di diverse sostanze, tra le quali le acque di scarico, per il quale, al contrario, l’esclusione è condizionata alla presenza di un’apposita disciplina.
Non per nulla, poco dopo l’entrata in vigore del c.d. Decreto Ronchi, la dottrina ha radicalmente escluso «qualsiasi possibilità di collegamento interattivo»[7] tra detto decreto e il d.p.r. 203/88, e, quando l’ha ammessa, ha limitato il caso a una situazione solo apparentemente simile a quella in discorso, ma di ciò meglio in seguito[8]
Con il che, è di immediata evidenza che l’equazione proposta dal giudicante si appalesa…..zoppa fin dall’origine, proprio perché diverso è il punto di partenza[9].
§3. Ma quand’anche volessimo trascurare questa considerazione, tutt’altro che marginale, neppure la seconda affermazione del giudicante appare corretta.
La questione della linea di confine tra rifiuti liquidi e acque di scarico è stata a lungo dibattuta[10] finché, salutato dal plauso e dal sollievo dell’intera dottrina, il legislatore del 1999 (con il d.lgs. 152/99), ridisciplinando le acque di scarico ed abrogando la legge previgente, muta sul punto[11], ha fornito una definizione di scarico nella quale l’apposizione dell’aggettivo “diretta” a qualificare l’immissione delle acque nel corpo ricettore, consentiva di affermare che, qualora detto collegamento diretto fosse stato interrotto prima dell’immissione nel corpo ricettore, doveva farsi riferimento al d.lgs.22/97, altrimenti al d.lgs. 152/99.
Ma, si badi, la definizione di scarico reca anche un inciso, estremamente importante, volto a caratterizzare, ulteriormente o eventualmente, le acque reflue; queste, infatti, sono considerate “indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”. Con il che, si toglie ogni valore al ragionamento del decidente.
Nella sentenza, tuttavia, pur riportandosi correttamente il testo completo della definizione di scarico, si trascura di evidenziare le conseguenze che sul piano interpretativo, e quindi pratico, derivano dalla presenza di detto chiarissimo inciso. Infatti, dopo aver proposto integralmente la lett.bb) dell’art. 2 del d.lgs.152/99, si conclude affermando, con bella quanto ingiustificata sicurezza, : “ne deriva che uno stesso liquido, in un ciclo industriale, può assumere […] la qualità giuridica di rifiuto…se ed in quanto sottoposto ad un trattamento ai fini del successivo smaltimento, ossia ad una gestione prima che il detentore se ne disfi” e quindi si citano alcune sentenze del Supremo Collegio che sembrerebbero confortare tale tesi.
A prescindere dallo stupore che coglie il lettore quando si avvede che la giurisprudenza citata è tutta ( e solo) quella anteriore al d.lgs.152/99 che, pertanto, alla risolutiva definizione di scarico non poteva certo riferirsi, e che, al contrario, è completamente ignorata l’abbondante giurisprudenza della Suprema Corte successiva all’entrata in vigore del d.lgs. 152/99 e favorevole alla diversa ( solo parzialmente) interpretazione da noi condivisa[12], va sottolineato come ad oggi, almeno per quanto ci consta, mai la Suprema Corte abbia ipotizzato che il d.lgs. 152/99 si applichi solo alle acque reflue che, tal quali, vengano immesse dall’impianto che le produce, nei corpi ricettori.
Prima ancora la logica, e subito dopo il testardo dettato normativo, inducono dottrina e giurisprudenza a sostenere che il decreto lgs. 152/99 si applica alle acque reflue industriali che, tal quali o dopo depurazione, vengono riversate direttamente nel corpo ricettore. Vale la pena, al proposito, ricordare le inequivoche parole della Relazione governativa al decreto legislativo : “per rifiuti allo stato liquido si intendono le acque reflue di cui il detentore si disfaccia avviandole a smaltimento , trattamento o depurazione a mezzo trasporto su strada o comunque non canalizzato”.
Perciò si applicherà il d.lgs.22/97 solo quando le acque reflue siano prima raccolte e poi inviate, tramite cisterne , autobotti o in altro modo, a un depuratore dove verranno trattate e successivamente immesse nel corpo ricettore, oppure smaltite altrimenti, magari anche “disfandosene” clandestinamente, sottraendole così ad ogni controllo.
Il giudicante sembra, invece, riconoscere nella condotta del titolare di uno stabilimento industriale dalla cui produzione derivino acque reflue che vengano immesse nel corpo ricettore previa depurazione presso lo stesso stabilimento, la condotta del detentore di rifiuti liquidi che degli stessi intende disfarsi immettendoli nel corpo ricettore, ma che prima di far ciò realizzi un’attività di gestione sui medesimi (nel caso: depurazione) proprio, come s’è appena detto, al fine del loro successivo smaltimento ( nel caso: immissione nel corpo ricettore).
Se così fosse, ci domandiamo quale, estremamente ridotto, ambito di applicabilità avrebbe (avuto[13]) il d.lgs. 152/99.
A nostro avviso, pertanto, anche la seconda porzione della motivazione del giudicante è inaccettabile.
Il parallelo acque - reflui gassosi, quand’anche si ritenesse di poterlo proporre, imporrebbe, comunque, in base alla logica ed alla legge, conclusioni di segno opposto a quello cui è pervenuto il giudicante.
Se, infatti, sono da considerarsi rifiuti liquidi solo le acque reflue, anche previamente depurate, non direttamente immesse nei corpi ricettori, ma conferite a terzi perché vengano (depurate e) scaricate, e, di conseguenza, se sono da considerarsi scarichi idrici le acque reflue industriali, anche se depurate, direttamente immesse nei corpi ricettori, allora sono rifiuti gassosi, e non scarichi in atmosfera ai sensi del d.p.r. 203/88, soltanto quegli effluenti gassosi che siano conferiti a terzi ( esterni allo stabilimento) per essere trattati e poi da questi scaricati nell’atmosfera, mentre continuano ad essere effluenti gassosi esclusi dall’operatività del d.lgs. 22/97, non solo quelli direttamente immessi nell’atmosfera[14], ma anche quelli trattati (“depurati”) nello stesso stabilimento, per essere poi scaricati nell’atmosfera nel rispetto del d.p.r. 203/88.
Se ciò é vero, come riteniamo sia, allora anche il terzo segmento della motivazione del giudicante è inaccettabile. Di guisa che l’ardita, e forse anche suggestiva, equazione proposta dal Tribunale di Gela si dimostra più che altro un fallace sillogismo.
§4. Posto ciò, di tutta evidenza che anche la ulteriore porzione di ragionamento del giudicante e relativa alla riconducibilità della attività di combustione dei gas alla condotta di incenerimento di rifiuti, nel caso all’esame, è del tutto ultronea e decisamente fuorviante, in base al banale quanto invincibile rilievo per il quale quei gas provenienti da quelle attività e sottoposti a quei trattamenti di combustione e poi immessi nell’atmosfera non sono da considerare rifiuti, e, pertanto, la loro combustione non costituisce fase di attività di incenerimento.
E se fosse necessaria qualche ulteriore conferma di questa linea interpretativa, si appalesa istruttiva la lettura del recentissimo d.lgs. 152/06 che, come è noto, con l’insoddisfazione dei più[15], ha ridisciplinato gran parte dell’ enorme corpus normativo ambientale.
Nella parte quarta, “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”, all’art. 185: Limiti al campo di applicazione, al comma 1, si afferma “Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto : a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell’atmosfera di cui all’art.183, comma 1, lett.z)....”. All’art. 183, lett. z) si definiscono “ emissioni: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico” il quale a sua volta è definito alla lett. bb) dello stesso art. 183 come “ ogni modifica atmosferica dovuta all’introduzione nell’aria di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente”.
A prescindere da ogni valutazione sulla tecnica di redazione delle norme - che, nel caso, sembra non considerare né i principi di precisione e determinatezza , né le leggi della fisica – pare evidente che il legislatore ha tracciato una netta linea di separazione tra disciplina delle emissioni in atmosfera e disciplina relativa alla gestione dei rifiuti. Qui non v’è dubbio di sorta, a far tempo dal 28 di aprile 2006, data di entrata in vigore del d.lgs. 152/06[16], le emissioni gassose, così come definite dal legislatore, sono estranee alla disciplina della parte quarta del d.lgs.152/06 e sono oggetto della disciplina della parte quinta o delle eventuali altre norme di settore[17].
§ 5 Una considerazione conclusiva: il giudicante considera quelli contestati reati permanenti e, infatti, nei capi di imputazione il tempus commissi delicti è indicato nei termini: “fatti commessi in Gela dal dicembre 1999 al mese di dicembre 2001 e tutt’ora in permanenza”.
Ma dall’inizio della condotta contestata ad oggi, quand’anche si ritenesse riconducibile l’attività svolta, come noi non riteniamo sia corretto fare, alla attività di incenerimento di rifiuti, il quadro normativo di riferimento è andato via via profondamente modificandosi. Anzitutto : l’impianto di Gela è una raffineria di petrolio, pertanto, a far tempo dal 7 maggio 2005[18], è sottoposto al d.lgs.59/05[19] che prevede per le tipologie di attività industriali di cui all’ Allegato I, e tra queste anche quelle realizzate nello stabilimento di Gela, la autorizzazione integrata ambientale che, ai sensi del comma 14 dell’art. 5, sostituisce ogni altra autorizzazione , visto, nulla osta o parere in materia ambientale[20]. Ma di ciò non v’è traccia nella motivazione[21]
Inoltre, dall’entrata in vigore del d.lgs. 11 maggio 2005 n. 133 [22], per gli impianti considerati nuovi, e dal 28 dicembre 2005 per quelli considerati esistenti, le norme da seguire sono, appunto, quelle di cui citato d.lgs. 133/05 che dà attuazione alla direttiva 2000/76/ce , sull’incenerimento dei rifiuti”[23] e che prevede anche sanzioni amministrative e penali per il mancato rispetto delle disposizioni ivi contenute.
Allora, ci interroghiamo, qualora volessimo considerare lo stabilimento di Gela un impianto di incenerimento rifiuti mediante combustione[24], siamo proprio certi che il 24 marzo 2006 si dovesse fare riferimento esclusivamente al D.M.503/97 e si dovessero applicare le sanzioni di cui al d.lgs.22/97 per la condotta di incenerimento di rifiuti senza autorizzazione e non, invece, quelle di cui all’art. 19 del citato d.lgs.133/05, o per lo meno, non ci si dovesse porre il quesito ( e risolverlo) su quale normativa penale applicare, tra quante succedutesi nel tempo dal 1999 fino al momento della decisone[25]? Tanto più che non può dirsi certo univoca, né in dottrina né in giurisprudenza, la soluzione al quesito se « il reato permanente debba essere giudicato in base alla legge in vigore all’inizio della permanenza ovvero in base a quella in vigore al tempo della cessazione »[26]. Il reato permanente, infatti, ad avviso di molti « non si esaurisce finchè perdura la situazione antigiuridica»[27] che, nel caso all’esame, almeno ad avviso del PM prima e del giudicante dopo, consiste nel (continuare a) esercitare l’attività di incenerimento di rifiuti senza autorizzazione, e gli « atti compiuti dal soggetto per conservare la situazione antigiuridica, appartengono ancora alla fase consumativa del reato»[28].
Alberta Leonarda Vergine
Prof.aff. di Diritto penale dell’ambiente
Nell’Università degli Studi di Pavia
[1] In particolare: l’autorizzazione imponeva la copertura di tutto l’impianto TAS ( Trattamento acque di Stabilimento) , l’azienda aveva provveduto alla copertura del 95% dell’impianto. Il tribunale ha ritenuto, nel caso, sussistente la causa di giustificazione « dell’adempimento del dovere, quanto meno nella sua forma putativa (art. 59,comma 4 c.p.)…dovere imposto in generale dall’art. 2043 c.c. del neminem laedere, e in particolare dall’art. 2087 c.c., nonché dall’art. 4 del d.lgs. 626/94 che impongono al datore di lavoro l’obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori nell’azienda » , in quanto una copertura totale avrebbe esposto l’impianto ad un « concreto pericolo di possibili incendi ». Desta molte perplessità nello scrivente se non altro la prospettazione della forma putativa della scriminante ex comma 4 dell’art. 59 nel caso de quo. Nel caso l’agente non ha certo “per errore” ritenuto sussistente la causa di giustificazione, in quanto se non la stessa causa di giustificazione, certamente il pericolo di esplosione sussisteva realmente, a conferma il fatto che, e ne dà conto lo stesso giudicante nella sua sentenza, « a seguito delle indicazioni in tal senso avanzate dalla Raffineria, la Regione il 14 marzo 2002 emanava un nuovo decreto autorizzativi (il n. 119/02) ….il quale relativamente all’ impianto TAS prescrive….. “laddove si presentassero problemi di sicurezza e/o difficoltà tecnologiche che ne impedissero la copertura dovrà essere realizzata una idonea soluzione progettuale” » alternativa alla copertura.
[2] Il giudicante, infatti, si limita ad affermare sussistente la continuazione senza motivare in alcun modo la sua affermazione; motivazione che, al contrario, sarebbe stata molto utile per comprendere quale ragionamento abbia sostenuto la conclusione cui si è pervenuti, in quanto si asserisce una, tanto improbabile quanto contraddittoria, coincidenza tra la continuazione, per la quale è previsto dal codice un regime sanzionatorio in favor rei, e la sussistenza del nesso teleologico, che, al contrario, costituisce una aggravante. Sulla difficile convivenza tra il comma 2 dell’art. 81 e l’aggravante del n. 2 dell’art. 61, v. VERGINE, sub art. 61, § 21, in ( a cura di MARINUCCI DOLCINI) Codice penale commentato,Parte generale, Milano, 2006, p.785; GUALTIERI, sub art.81, §56, ivi, p. 967.
[3] L’affermazione, anche se preceduta da “ancorché” lascia decisamente perplessi essendo piuttosto compatto l’orientamento interpretativo sfavorevole a ipotizzare da un lato legate da un disegno criminoso condotte poste in essere senza volontà, e dall’altro finalizzate a un preciso obiettivo le stesse condotte non volontarie. Sulla non applicabilità dell’art. 81 cpv. c.p. ai reati colposi v. GUALTIERI, sub art.81, cit., § 46 , p. 962 ; sulla possibilità di applicare l’aggravante in questione anche ai reati colposi, ma solo se realizzati per eseguire reati dolosi, v. VERGINE, sub art.61, cit. § 22 p.785.
[4] Il giudicante cita abbondante giurisprudenza del S.C. favorevole alla contestazione del reato de quo anche in presenza di emissioni rispettose dei limiti di legge e previamente autorizzate, ma si dimentica di dar conto che , recentemente, lo stesso S.C. ha affermato e, quindi, confermato che « quando le immissioni autorizzate non superano gli standard della legge, ma hanno comunque arrecato un fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, è ravvisabile soltanto un illecito civilistico ex art. 844 c.c., con esclusione dell’art.764c.p.[ C. 10.2.2005, CED 230982; C. 10.6.2004, CED 220619; C. 23.1.2004, CED 228010 laddove si afferma che il rispetto dei limiti delle emissioni “integra una presunzione di legittimità delle stesse”; C. 16.6.2000, Ced 216621]» così MILESI, sub art.674, in (a cura di MARINUCCI - DOLCINI) Codice penale commentato, cit. Parte Speciale, p. 4878.
[5] L’idea che la “prova” del dolo eventuale degli imputati stia tutta ( e solo) nella “provata” conoscenza che gli stessi hanno avuto delle lamentele per le immissioni maleodoranti e nella mancata attivazione per impedirle, ci pare un po’ ardita, tanto più, come nel caso, se non sostenuta da alcuna motivazione.
[6] Tra gli inserimenti “in corso d’opera”, vale la pena di ricordare quello avente ad oggetto il “coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo” di cui alla lett. f quater) dell’art. 8, introdotta dall’art. 1 del d.l. 7.3.2002, n. 22 come modificato dalla L.82/2002 di conversione dello stesso. Merita anche d’essere rammentato come questa modifica sia stata in qualche misura conseguenza di interventi della magistratura di Gela. Il P.M. competente, infatti, sulla base del convincimento che il coke da petrolio costituisse rifiuto, e, in quanto tale, non potesse essere depositato e utilizzato senza preventiva autorizzazione ai sensi del d.lgs. 22/97, provvide al sequestro di due depositi di coke da petrolio che alimentavano la centrale di cogenerazione dello stabilimento di Gela. Entrato in vigore il d.l. 22/2002, il P.M. fu costretto a revocare il provvedimento di sequestro, ma il Gip, sempre convinto che di rifiuto si trattasse, con ordinanza 19.2.2002 ha sottoposto alla Corte di Giustizia , ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE , quattro questioni pregiudiziali vertenti in buona sostanza sulla interpretazione della nozione comunitaria di rifiuto e, di conseguenza, sulla riconducibilità del coke da petrolio a detta nozione. La Corte, con ordinanza 15.1.2004 ( causa C.235-02) si è espressa affermando testualmente “il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio e utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffinerie e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15.7.1975, 75/442/cee relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18.3.1991, 91/156/cee”, e, pertanto, confermando la “legittimità comunitaria” della esclusione di cui alla lett. f quater.
[7] In questi precisi termini PIETRINI, Ambiente-rifiuti, in ( a cura di PALIERO-PALAZZO)Commentario breve alle leggi penali complementari,Padova, 2003, p. 84 che al proposito cita FICCO SANTOLOCI, in Rifiuti – Bollettino di informazione normativa,1999, n. 54
[8] V. infra § 3 , cfr. anche FIMIANI, Acque, rifiuti e tutela penale,Milano, 2000, p. 340; RAMACCI, Inceneritori di rifiuti pericolosi e violazione di norme penali (commento a Cass. 19.3.1999), in Ambiente, 1999, 9, 893
[9] Vale la pena sottolineare come anche l’art. 2 della dir.91/156/Cee provveda analogamente alla legge nazionale ( rectius: è ovviamente la legge nazionale, successiva, che si né conformata al disposto comunitario) . Addirittura, per marcare maggiormente questa differenza di regime tra effluenti gassosi e altri materiali esclusi a determinate condizioni dall’ambito di applicazione della normativa di settore, il testo è stato scritto nei seguenti termini : “Sono esclusi dal campo di operatività della seguente direttiva: a) gli effluenti gassosi emessi nell’atmosfera; b) qualora già contemplati da altra normativa : I) i rifiuti radioattivi, II)……IV) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido….” Cfr. anche infra § 4.
[10] “La questione….costituiva uno dei nodi interpretativi più complessi da risolvere già vigente la precedente normativa a tutela delle acque, tanto che la Cassazione era riuscita nel non facile compito di proporre in un breve periodo – poco più di un anno – ben tre diversi orientamenti” così VERGINE, Ambiente-acque,in ( a cura di PALIERO PALAZZO), Commentario breve alle leggi penali complementari,cit., § III, p. 17; in generale sugli effetti chiarificatori del d.lgs. 152/97 e 258/00 sulla questione, v. anche RAMACCI, Manuale di diritto penale dell’ambiente,Padova, 2005, 268 e la dottrina citata da VERGINE, op.loc.cit.
[11] COSTALUNGHI, sub art. 54 c. 1, d.lgs.152/99, §1: La nozione di scarico, in ( a cura di GIUNTA), Codice commentato degli illeciti ambientali, Padova, 2005, , 51, al proposito impiega la efficace espressione “silenzio definitorio"
[12] Ma non certo solo da noi, cfr. dottrina citata supra nota (10)
[13] Il tempo passato si giustifica con l’entrata in vigore del d.lgs. 152/06 che, tra l’altro, ha abrogato il d.lgs.152/99
[14] Ma, ci interroghiamo perplessi, esistono effluenti gassosi derivanti da produzioni industriali che possono essere immessi in atmosfera tal quali in quanto già conformi alla normativa di settore? Non siamo tecnici, ma ci permettiamo di dubitarne.
[15] E noi tra questi, cfr. per una critica valutazione “a prima lettura”, VERGINE, Rifiuti e scarichi: profili sanzionatori,in Ambiente,2006, 5, 475; VERGINE, Reati e sanzioni nella gestione dei rifiuti, relazione al Convegno “Nozione di rifiuto, bonifica e danno ambientale nel d.lgs. 152/06 : applicazione e prospettive di riforma, in www.giuristiambientali.it ; per una severissima disamina delle norme relative alle emissioni in atmosfera, cfr. MURATORI,La tutela dall’inquinamento atmosferico nella parte V del “decreto unificato”: aria “malamente rifritta”, in Ambiente, 2006, 3, 205, ove si fa riferimento alla «bruciante delusione» che si prova leggendo con attenzione il testo e dei «”deprimenti” risultati di questo ( per altro innegabile, sia pur caotico) sforzo di unificazione, revisione e coordinamento» .
[16] Il decreto prevede, ovviamente, un regime diversificato per impianti nuovi e impianti esistenti, tuttavia, come è stato causticamente notato da MMURATORI, La tutela dall’inquinamento,cit. 208, «il “peggio” lo si consegue…nelle ingarbugliatissime disposizioni relative agli impianti esistenti, con l’individuazione di casi e sottocasi disciplinati diversamente, di possibili deroghe, eccezioni e eccezioni alle eccezioni, in un continuo pingpong tra articolato ed allegati, nel quale, anche per il lettore esperto è pressocchè impossibile non perdersi, e sembra essersi perduto lo stesso legislatore».
[17] Ad esempio, se si tratta di rifiuti gassosi sottoposti a combustione, sarà il d.lgs.133/05 ; se si tratta di emissioni in atmosfera provenienti da raffinerie, sarà il d.lgs.59/05.
[18] Solo, però, se si considera “nuovo”( giuridicamente) detto impianto, in quanto esistente ma non in regola, qualora invece lo si consideri “esistente”( giuridicamente), come a noi sembra si debba considerare, altra sarà la tempistica.
[19] D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, in Gazz. Uff. n. 93 del 22 aprile 2005. Suppl. Ord.n.72. Sul assetto sanzionatorie di questo decreto, cfr. VERGINE, D.Lgs, 59/2005: aspetti sanzionatori, in Ambiente, 2005, 12, Inserto “Autorizzazione integrata ambientale: nuove regole, strumenti, attori”, XIX ss.
[20] Sia pure con alcune eccezioni indicate nella prima parte del comma che, comunque, si conclude con l’affermazione “ L’a.i.a. sostituisce in ogni caso le autorizzazioni di cui all’elenco riportato nell’Allegato II”. In detto Allegato al n.1 è indicata l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, al n.2 quella allo scarico (d.lgs.152/99) , ai nn. 3 e 4 alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti e all’esercizio delle operazioni di smaltimento o recupero dei rifiuti.
[21] E la cosa stupisce in quanto è evidente che il giudicante considera l’impianto non a norma con la legislazione ambientale e, pertanto, secondo il giudicante detto impianto dovrebbe considerarsi giuridicamente nuovo, e se ciò fosse vero, dovrebbe rispettare immediatamente la nuova normativa.
[22] Quindi dal 30 luglio 2005
[23] V. Gazz. Uff. 15 luglio 2005 n. 163, Suppl. Ord. n. 122. Per un primo commento cfr. MURATORI, D.Lgs.11 maggio 2005 n. 133: le nuove norme per l’incenerimento dei rifiuti , in Ambiente, 2005, 9, Inserto : Incenerimento dei rifiuti: in vigore anche in Italia le nuove regole, III ss; GARZIA, La disciplina autorizzatoria degli impianti di incenerimento dei rifiuti, ivi, XVI ss.
[24] Come sembra ipotizzare il decidente che infatti cita abbondantemente una decisione della Suprema Corte ( Cass. sez. III, 19.3.1999, Rel. Postiglione; v.la con motivazione in Ambiente, 1999, 9, 889) che ad un impianto di questo tipo faceva riferimento, ma che per il momento in cui è stata pronunciata ( 8 febbraio 1999) e per quello in cui i fatti si erano realizzati ( il provvedimento di sequestro degli impianti da parte del P.M. è del 21 maggio 1998) non poteva fare riferimento alle più recenti disposizioni che, al contrario, il Tribunale di Gela avrebbe dovuto considerare.
[25] Quesito dalla soluzione resa ancora più difficile dal mancato coordinamento tra il d.lgs. 59/05 e il d.lgs.133/05, critico sul punto MURATORI, op.cit.,XV laddove afferma, sottolineando la mancanza di esplicite norme di coordinamento tra le due fonti normative, “anche il regime transitorio presenta punti oscuri, e risulta in contraddizione con quanto statuito per la generalità degli impianti sottoposti a A.I.A.”.
[26] ALIBRANDI, voce Reato permanente, in Enc.Giur., ,vol. ,4
[27] Così MARINUCCI DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, 2004, 142
[28] Così MARINUCCI DOLCINI, op.loc.cit., il corsivo e degli autori.