Cass. Sez. III sent.4495 del 3 febbraio 2006 (c.c. 26 ottobre 2005)
Pres. Lupo Est. Onorato Imp. Zamuner
Beni Ambientali – Minicondono paesaggistico e procedimento di esecuzione
Il c.d. minicondono paesaggistico se interviene dopo la sentenza definitiva di
condanna non solo non estingue il reato, ma neppure fa cessare gli effetti
penali della condanna o l’esecuzione delle sanzioni amministrative accessorie
perché manca al riguardo una norma simile a quella prevista dall’articolo 38
commi 3 e 4 legge 47-1985 in materia di condono edilizio. In ogni caso il
mancato coordinamento con le norme in materia di condono edilizio non renderebbe
inefficace l’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto in base alla
legge urbanistica.
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Ernesto LUPO
1.Dott.Pierluigi ONORATO
2.Dott.Franco MANCINI
3.Dott.Ciro PETTI
4.Dott.Antonio IANNIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da ZAMUNER Umberto, nato a Giuliano in Campagna (NA) il
16.4.1942,
avverso il decreto reso il 12.1.2005 dal g.i.p. del tribunale di Como.
Visto il provvedimento denunciato e il ricorso,
Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere Pierluigi
Onorato,
Letta la requisitoria del pubblico ministero in persona del sostituto
procuratore generale Aurelio Galasso, che ha concluso chiedendo l'annullamento
con rinvio del decreto,
Osserva:
Svolgimento del procedimento
1 - Con decreto del 12.1.2005 il g.i.p. del tribunale di Como, quale giudice
della esecuzione, dichiarava inammissibile ex art. 666, comma 2, c.p.p. una
istanza presentata il 7.1.2005 da Umberto Zamuner, volta ad ottenere la
sospensione o la revoca dell'ordine di demolizione di un hangar abusivo,
contenuto nel decreto penale di condanna per reato urbanistico e paesaggistico,
emesso il 16.9.2004 e già irrevocabile.
Osservava il giudice che si trattava di un ordine ormai coperto da giudicato e
quindi non rivalutabile o modificabile in sede esecutiva.
2 - Avverso il decreto lo Zamuner ha presentato personalmente ricorso per
cassazione in data 11.2.2005, deducendo:
a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata a organi
amministrativi;
b) erronea applicazione della legge 15.12.2004 n. 308, già approvata dal
parlamento e pubblicata nella Gazz. Uff. del 27.12.2004, e in particolare
dell'art. 37 (recte art. 1 comma 37), che ha previsto un nuovo condono
per i manufatti abusivi costruiti entro il 30.9.2004;
c) vizio della motivazione, laddove il giudice ha ritenuto irrevocabile l'ordine
di demolizione anche in presenza di una legge di condono sopravvenuta.
In data 21.3.2005 lo Zamuner ha presentato una memoria integrativa, nella quale
fa presente che il 4.2.2005 lo stesso giudice dell'esecuzione aveva dichiarato
inammissibile una sua seconda istanza volta alla sospensione o revoca del
predetto ordine di demolizione, nonostante egli avesse tempestivamente
presentato domanda di compatibilità ambientale, come previsto dalla nuova legge
308/2004, debitamente prodotta al giudice.
Insiste perciò nel ricorso chiedendo l'annullamento di entrambi i provvedimenti
del giudice del tribunale di Como.
3 - Il procuratore generale in sede ha chiesto l'annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato, osservando che, considerata la sua natura di sanzione
amministrativa, l'ordine giudiziale di demolizione può essere revocato o sospeso
in sede esecutiva qualora risulti incompatibile con atti legislativi o
amministrativi intervenuti successivamente alla formazione del titolo esecutivo,
e che, pertanto, il giudice dell'esecuzione doveva effettuare questa verifica di
compatibilità.
Motivi della decisione
4 - Va anzitutto chiarito che la memoria del 21.3.2005, nonostante il petitum
finale, con cui si chiede l'annullamento anche del secondo decreto reso il
4.2.2005, non può essere considerata come ricorso avverso quest'ultimo
provvedimento, perché è stata presentata oltre il termine perentorio previsto
dalla legge per il ricorso medesimo (posto che il decreto è stato notificato
all'interessato il 25.2.2005).
Va pertanto considerata come "integrazione del ricorso dell' 11.2.2005, così
come del resto la qualifica letteralmente lo stesso ricorrente.
5 - Nel merito il ricorso non può essere accolto.
A impedirne l'accoglimento non è la singolarità di un incidente di esecuzione
(presentato il 7.1.2005) che invoca l'applicazione di una legge non ancora
entrata in vigore (la legge 15.12.2004 n. 308, pubblicata il 27.12.2004, è
entrata in vigore l'11.1.2005).
Infatti, nella fattispecie, l'istante chiedeva la sospensione o la revoca di un
ordine di demolizione che, per la sua natura sostanziale di sanzione
amministrativa, la giurisprudenza costante ritiene doversi revocare quando
diventa incompatibile con un atto amministrativo sopravvenuto dell'autorità
competente, o doversi sospendere quando un tale atto amministrativo si annuncia
oggettivamente come imminente (v. da ultimo Cass. Sez. III, n. 11051
dell'11.3.2003, P.G. in proc. Ciavarella, rv. 224346; Cass. Sez. III, n. 23992
del 26.5.2004, Cena, rv. 228691; Cass. Sez. III, n. 1104 del 19.1.2005, P.G. in
proc. Calabrese, rv. 230815). Ed è chiaro che questa imminente incompatibilità
può essere almeno astrattamente ravvisata per effetto di una legge già
pubblicata che preveda la possibilità di emanare atti amministrativi
incompatibili con l'ordine di demolizione.
A ostacolare l'accoglimento del ricorso è invece la considerazione che la
menzionata legge 308/2004 (contenente delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure
di diretta applicazione) non contiene norme che consentano nel caso di specie la
caducazione della sanzione amministrativa della demolizione o della riduzione in
pristino dello stato dei luoghi interessati dall'abuso edilizio e paesaggistico
per cui il ricorrente è stato definitivamente condannato con decreto penale.
6 - La legge 308/2004, pur intervenendo solo pochi mesi dopo il codice dei beni
culturali e del paesaggio approvato con D. Lgs. 22.1.2004 n. 42 (c.d. codice
Urbani), attraverso l'art. I, comma 36, lett. c), ha modificato incisivamente il
reato ambientale previsto dall'art. 181 dello stesso "codice", prevedendo:
a) oltre a quella contravvenzionale, una ipotesi di delitto ambientale, quando i
lavori abusivi sono eseguiti su aree o immobili dichiarati in via amministrativa
di notevole interesse pubblico, ovvero sono eseguiti su aree tutelate per legge
e hanno comportato volumetrie superiori a determinate soglie (comma 1 bis del
nuovo art. 181 D.Lgs. 42/2004);
b) la non punibilità dell'ipotesi contravvenzionale, ferma restando
l'applicazione della sanzione amministrativa ripristinatoria o pecuniaria di cui
all'art. 167 del D.Lgs. 42/2004, quando l'autorità amministrativa, su richiesta
dell'interessato, accerta la compatibilità paesaggistica dell'intervento, sempre
che si tratti di interventi abusivi: y) che non comportano aumento di superfici
utili o di volumi; ovvero x) consistono nell'impiego di materiali difformi da
quelli autorizzati; oppure z) sono configurabili come manutenzione ordinaria o
straordinaria (comma 1 ter del nuovo art. 181).
L'innovazione è importante, perché configura una sorta di autorizzazione postuma
dell'autorità tutoria, mentre il codice c.d. Urbani aveva espressamente vietato
il rilascio di autorizzazione in sanatoria successivamente alla realizzazione,
anche parziale, dell'intervento abusivo (art. 146, comma 10, lett. c) D.Lgs.
42/2004).
Da notare che la domanda per l'accertamento della compatibilità paesaggistica
deve essere presentata dal proprietario, possessore o detentore a qualsiasi
titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi; e deve essere
indirizzata all'autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale si
pronuncia entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere
vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di
novanta giorni (comma 1 quater del nuovo art. 181).
c) la estinzione del reato contravvenzionale quando il trasgressore provvede
alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili vincolati, prima che sia
disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e comunque prima che intervenga
la condanna (comma 1 quinquies del nuovo art. 181).
7 - Nessuna di queste modifiche, però, incide sulla fattispecie di cui trattasi.
Non, ovviamente, la prima, perché, introducendo una nuova e più grave figura di
reato, non può avere effetto retroattivo in forza dell'art. 25. comma 2, Cost. e
dell'art. 2, comma 1, c.p.. Ma neppure la seconda, giacché essa, configurando
una abolitio criminis parziale, potrebbe in astratto imporre al giudice
dell'esecuzione di revocare ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna penale, e
tuttavia non è in concreto applicabile perché nel caso di specie mancano
pacificamente i menzionati presupposti materiali della depenalizzazione
(l'intervento non era di semplice manutenzione e creava nuovi volumi e
superfici).
Peraltro, si può anche aggiungere che, qualora ricorressero i presupposti
fattuali per la non punibilità della contravvenzione, il provvedimento del
giudice dell'esecuzione a nonna dell'art. 673 c.p.p. dovrebbe revocare la
condanna penale, ma non la sanzione amministrativa ripristinatoria, che è
espressamente fatta salva dalla novella legislativa.
Né, infine, incide la terza modifica, che prevede l'estinzione del reato, ma
solo quando il trasgressore abbia provveduto spontaneamente alla rimessione in
pristino dello stato dei luoghi prima della condanna.
8 - La legge 308/2004, inoltre, ha introdotto, con i commi 37, 38 e 39 dell'art.
1, il c.d. condono o minicondono ambientale.
Secondo queste norme, infatti, per gli interventi abusivi compiuti in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico entro e non oltre il 30.9.2004,
l'accertamento di compatibilità paesaggistica da parte dell'autorità tutoria
comporta l'estinzione del reato ambientale (ovviamente solo della figura
contravvenzionale, mancando in relazione a quel periodo la previsione della
figura delittuosa) a condizione che: a) le tipologie edilizie realizzate e i
materiali utilizzati rientrino tra quelli previsti e assentiti dagli strumenti
di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o altrimenti siano giudicati
compatibili con il contesto paesaggistico; h) i trasgressori abbiano previamente
pagato una sanzione amministrativa pecuniaria, in parte predeterminata dalla
legge e in parte stabilita dall'autorità amministrativa competente.
Da notare che ai fini del condono la domanda del proprietario, possessore o
detentore dell'immobile deve essere presentata all'autorità preposta alla
gestione del vincolo entro il termine perentorio del 31.1.2005; e che l'autorità
competente si pronuncia senza limiti di tempo, previo parere della
soprintendenza (comma 39).
Cambia così la procedura rispetto a quella prevista per l'accertamento postumo
di compatibilità paesaggistica sugli abusi ambientali "a regime", di cui al
comma 1 quater del rinnovato art. 181 del D.Lgs. 42/2004: ai fini del
condono la domanda deve essere presentata entro un termine perentorio, ma la
pronuncia non è soggetta a termini di decadenza e il parere della soprintendenza
è solo consultivo, cioè obbligatorio ma non vincolante; mentre per gli abusi "a
regime" la domanda non è soggetta a termini di decadenza (salvo - sembra doversi
intendere - il limite temporale di una condanna penale passata in giudicato), la
pronuncia deve essere emessa entro il termine di decadenza di centottanta
giorni, e il parere della soprintendenza, da rilasciarsi entro il termine
perentorio di novanta giorni, ha carattere vincolante.
9 - Ma anche il nuovo condono ambientale, benché la costruzione abusiva sia
stata realizzata prima del 30.9.2004, non è applicabile alla fattispecie de
qua, per due ordini di ragioni. Anzitutto, allo stato degli atti, mancano le
due condizioni richieste dalla legge per l'efficacia estintiva dell'accertamento
di compatibilità paesaggistica, atteso che l'interessato, pur avendo presentato
tempestivamente la relativa domanda, non ha dimostrato al giudice
dell'esecuzione che la tipologia edilizia realizzata e i materiali utilizzati
erano corrispondenti a quelli previsti e assentiti dagli strumenti di
pianificazione urbanistica vigenti o comunque erano stati giudicati compatibili
con il contesto paesaggistico.
Per conseguenza in giudice dell'esecuzione non poteva ritenere imminente
l'accertamento di compatibilità paesaggistica, e per conseguenza non poteva,
secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v. le succitate sentenze
Ciaravella, Cena e Calabrese) sospendere l'esecuzione delle misure
ripristinatorie.
10 - In secondo luogo - e la considerazione è pregiudiziale e dirimente - il
condono ambientale in quanto tale è una causa di estinzione del reato che può
naturalmente applicarsi solo nell'ambito del processo di cognizione, prima
che sia intervenuta una sentenza definitiva.
Infatti, per il condono ambientale (invero caratterizzato da una disciplina
molto scarna e lacunosa) non è stata riprodotta una normativa analoga a quella
prevista per il condono edilizio nell'art. 38, commi 3 e 4, della legge 47/1985
(richiamata dall'art. 32, comma 25, del D.L. 30.9.2003, convertito in legge
24.11.2003 n. 326), secondo cui la concessione in sanatoria, ove intervenuta
dopo sentenza definitiva di condanna, estingue (non i reati, ma solo) gli
effetti penali della condanna ai fini della recidiva e del beneficio della
sospensione condizionale della pena, e rende inoltre inapplicabili le sanzioni
amministrative, sia pecuniarie che ripristinatorie.
Ciò significa che per il condono ambientale, a differenza che per il condono
edilizio, vale il principio desumibile dagli artt. 2, comma 2, c.p. e 30, comma
4, legge 11.3.1953 n. 87 e dal citato art. 673 c.p.p., secondo cui solo
l'abrogazione o la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma
incriminatrice (e secondo alcuni anche la mancata conversione del decreto legge
contenente una norma incriminatrice: v. Cass. Sez. I, n. 3209 del 15.6.1999,
P.M. in proc. Litim, rv. 213715) fa cessare l'esecuzione della condanna e gli
effetti penali e obbliga il giudice dell'esecuzione a revocare la stessa
sentenza di condanna.
In altri termini, dopo il passaggio in giudicato della condanna penale, ha
rilevanza in executivis solo la sopravvenuta caducazione della norma
incriminatrice, non già una causa sopravvenuta di estinzione del reato.
Perciò, il condono ambientale, se interviene dopo la sentenza definitiva di
condanna, non solo non estingue il reato, ma neppure fa cessare gli effetti
penali della condanna o l'esecuzione della sanzioni amministrative accessorie
(in particolare quelle ripristinatorie), proprio perché manca al riguardo una
norma simile a quella di cui ai commi 3 e 4 del citato art. 38.
Insomma, in mancanza di una specifica disciplina derogatoria, il condono
ambientale soggiace al limite sistemico del giudicato formale.
11 - Non è inutile osservare, infine, che nel caso di specie, la condanna penale
riguardava sia il reato ambientale che quello edilizio; sicché, anche
prescindendo dalle considerazioni precedenti, - a causa del mancato
coordinamento tra la disciplina dei due recenti condoni, oltre tutto sfalsati
sul piano temporale, giacché quello edilizio scadeva il 10.12.2004, mentre
quello ambientale, varato successivamente, scadeva il 31.1.2005 - un eventuale
condono ambientale avrebbe potuto estinguere solo il reato paesaggistico e la
relativa misura ripristinatoria, ma non avrebbe potuto estinguere il reato
urbanistico e soprattutto, paradossalmente, non avrebbe potuto rendere
inefficace l'ordine di demolizione del manufatto abusivo.
12 - Per queste ragioni non può essere accolta la richiesta del procuratore
generale in sede.
E' ben vero, infatti, come egli ha osservato, che il giudice dell'esecuzione
deve verificare la compatibilità delle sanzioni amministrative di tipo
ripristinatorio rispetto ad atti legislativi o amministrativi sopravvenuti al
giudicato penale (o alla prevedibile imminenza di atti amministrativi). Ma è
anche vero che nella fattispecie concreta questa verifica non poteva che essere
positiva, nel senso che la sopravvenuta disciplina legislativa sul condono
ambientale non può avere alcun effetto sulla esecuzione di un ordine di
demolizione disposto dal giudice penale con provvedimento passato in giudicato.
In questo senso va rettificata, o comunque integrata, la motivazione della
impugnata ordinanza; e va pertanto respinto il ricorso.
Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di
irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26.10.2005.