Consiglio di Stato Sez. VI n. 6983 del 11 dicembre 2018
Urbanistica.Costruzioni abusive titoli edilizi atipici e demolizione
Di norma l’adozione dell’ordinanza di demolizione non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto. Nondimeno, nel caso in cui, oltre alla situazione consolidatasi nel tempo, s’aggiunga il legittimo affidamento sulla permanenza ed utilizzazione della res abusiva ingenerato dal comportamento tenuto dall’amministrazione o dal rilascio di un titolo edilizio ancorché atipico, deve trovare applicazione il principio in forza del quale l’ordine di demolizione necessita di una ponderata motivazione che dia conto della valutazione degli opposti interessi: quello del titolare del bene alla conservazione ed utilizzazione della res, risalente nel tempo e fatta oggetto di un provvedimento autorizzativo mai rimosso, con quello dell’amministrazione al ripristino illico et immediate dell’assetto del territorio compromesso dalla permanenza in loco dell’abuso.
Pubblicato il 11/12/2018
N. 06983/2018REG.PROV.COLL.
N. 08243/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8243 del 2017, proposto da
Antonio Minervini, Salvatore Minervini, Giovanni Minervini, Giacomo Minervini, rappresentati e difesi dall'avvocato Rosario Maletta, con domicilio eletto presso lo studio Vincenzo De Nisco in Roma, piazza Cola di Rienzo n. 92;
contro
Comune di Rende, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Salvatore Alfano, con domicilio eletto presso il suo studio in Cosenza, via Medaglie D'Oro, 37;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE II n. 00894/2017, resa tra le parti, concernente IMPUGNAZIONE ORDINANZA DI DEMOLIZIONE EDILIZIA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Rende;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2018 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Rosario Maletta, e Salvatore Alfano.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del Tar Calabria, sezione staccata di Catanzaro, n. 894/2017 di reiezione del ricorso collettivamente proposto dai sig.ri Antonio Minervini, Salvatore Minervini, Giacomo Minervini, Giovanni Minervini, avverso l’ordinanza di demolizione n.82 del 28 giugno 2016 con la quale il Comune di Rende ha ordinato la demolizione delle seguenti opere: “ a) tettoia con struttura in tubi innocenti e scatoloni di ferro e copertura con tegole marsigliesi di circa 3,20 mt di larghezza e altezza da m 2,50 a 2,95; b) apertura con opere di consolidamento e puntellamento di circa 14 cm che collega magazzino ad officina; c) tettoia di misure perimetrali di circa 22,80 x 8,10 metri con superficie utile di mq 162,45.
2. Il Tar ha respinto tutti i motivi d’impugnazione, segnatamente: ha ritenuto infondata la violazione degli artt. 7 e 8 legge n. 241/1990; ha considerato irrilevante, ai sensi degli artt. 31 ss del d.P.R. 380/2001, il fatto che realizzazione della parte più consistente delle opere (tettoia con misure perimetrali di circa 22,80 x 8,10 metri) avesse conseguito in data 30 dicembre 1981 la concessione edilizia condizionata; ed infine ha respinto la censura che, in ragione della vetustà delle opere in loco, rivendicava un obbligo motivazionale rafforzato dell’ordinanza di demolizione impugnata..
3. Si è costituito in giudizio il Comune di Rende eccependo l’inammissibilità dell’appello, chiedendone nel merito il rigetto.
4. All’udienza pubblica del 25 ottobre 2018, la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. In limine il Comune ha eccepito l’inammissibilità sia del ricorso di prime cure – eccezione non scrutinata dal Tar in ragione della ritenuta infondatezza del ricorso nel merito – che dell’appello per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, incidendo le opere abusive su immobili di proprietà della società Ristorante Nettuno F.ll. Minervini s.r.l., divenuta acquirente del compendio immobiliare.
5.1 L’eccezione è infondata
Ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario dell’ordine di demolizione, l’art 31 del d.P.R. n. 380/2001 individua quali soggetti passivi della demolizione sia colui o coloro i quali aventi il potere di rimuovere concretamente l’abuso – potere-dovere che grava sul proprietario – sia i soggetti che abbiano realizzato gli abusi, su immobile poi alienato a terzi.
Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l'accertamento di responsabilità nella commissione dell'illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio – ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario –che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi e quindi legittimati attivi all’impugnazione della sanzione.
5.2 D’altra parte, l’acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima del passaggio di proprietà (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 40).
5.3 Da cui sortisce il presupposto di fatto – ossia la destinatarietà del provvedimento sanzionatorio – della legittimazione attiva all’impugnazione sia del(l’ex) proprietario alienante, esecutore delle opere che del(l’attuale) proprietario acquirente che subisce gli effetti dell’ordine di ripristino (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 3210/2017).
6. Lo scrutinio di merito dei motivo d’appello richiede la sintetica ricostruzione del quadro fattuale in cui s’inscrive la vicenda dedotta in giudizio.
La tettoia realizzata con strutture modulari in ferro di misure perimetrali di circa 22,80 x 8,10 metri con superficie utile di mq 162,45 è risalente nel tempo. È indiscusso che l’allora proprietario dell’area di sedime, esecutore dell’opera, ottenne in data 30 dicembre 1981 il nulla osta edilizio seppure condizionato all’eventuale ordine di rimozione.
6.1 Ad di là del fatto che il rilascio del titolo edilizio condizionato, la cui efficacia sia subordinata al verificarsi di una condizione sospensiva, futura ed incerta, è ipso facto inammissibile (da ultimo Cons. stato, sez. IV, 18 aprile 2018 n. 2366), non va passato sotto silenzio che la tettoia, strumentale all’attività d’impresa, preesisteva già a fare data dal 1981: tant’è che il Comune rilasciando il titolo edilizio, seppure condizionato, ne ha espressamente riconosciuto l’esistenza legittimandone l’utilizzazione.
6.2 Quantunque vada condiviso in termini generali l’orientamento, fatto proprio dal Tar con la sentenza appellata, a mente del quale la risalenza nel tempo dell’opera, di per sé, non incide sul potere di repressione dell’abuso da parte della P.A.
Vale a dire che di norma l’adozione dell’ordinanza di demolizione non richiede “alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (così, “ex multis”, Cons. di Stato, sez. VI, nn. 13 del 2015, 5792 del 2014 e 6702 del 2012).
6.3 Nondimeno, nel caso in cui, oltre alla situazione consolidatasi nel tempo, s’aggiunga – come nel caso di specie – il legittimo affidamento sulla permanenza ed utilizzazione della res abusiva ingenerato dal comportamento tenuto dall’amministrazione o dal rilascio di un titolo edilizio ancorché atipico, deve trovare applicazione il principio dettato da Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 8.
Indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, in forza del quale l’ordine di demolizione necessita di una ponderata motivazione che dia conto della valutazione degli opposti interessi: quello del titolare del bene alla conservazione ed utilizzazione della res, risalente nel tempo e fatta oggetto di un provvedimento autorizzativo mai rimosso, con quello dell’amministrazione al ripristino illico et immediate dell’assetto del territorio compromesso dalla permanenza in loco dell’abuso.
6.4 Come lamentato dagli appellanti nel secondo e terzo motivo, il Comune non ha compiuto tale comparazione prima d’adottare l’ordinanza impugnata.
Di fatto, l’ordinanza di demolizione irrogata risulta insufficientemente motivata: all’individuazione della struttura, delle sue caratteristiche e del carattere abusivo per l’assenza del necessario permesso di costruire “tipico”, non ha fatto riscontro – nel prisma dell’interesse pubblico al corretto uso e ripristino del territorio – la valutazione della preesistenza nel tempo della res e dell’affidamento ingenerato sui titolari di essa per effetto del rilascio del titolo edilizio condizionato mai previamente annullato.
6.5 Sicché è condivisibile l’ulteriore argomento dedotto dagli appellanti, fondato sulla previa qualificazione della sanzione della demolizione quale “extrema ratio” da bilanciare con altri interessi ed esigenze, che, nel caso in esame, la demolizione del manufatto abusivo non costituisca affatto l’unico rimedio concretamente idoneo a soddisfare le esigenze di tutela del territorio sottese alla normativa di riferimento.
6.6 Tanto più per il fatto che il pregiudizio derivante dalla demolizione della struttura abusiva, strumentale all’attività d’impresa, andrebbe dovuto essere valutato nella prospettiva della possibile compromissione dell’attività economica svolta.
7. Con riguardo ai restanti abusi di cui all’ordinanza impugnata – ossia alla tettoia con struttura in tubi, scatoloni di ferro e copertura con tegole marsigliesi di circa 3,20 mt di larghezza e altezza da m 2,50 a 2,95 nonché all’apertura con opere di consolidamento e puntellamento di circa 14 cm che collega magazzino ad officina mette conto rilevare – va scrutinato l’effettivo rilievo delle opere sotto il profilo urbanistico ed edilizio.
7.1 In assenza di vincoli paesaggistici o idrogeologici, nel (presunto) rispetto – come nel caso in esame – di altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia (cfr., ad esempio: norme antisismiche, di sicurezza antincendio, igienico sanitarie, di rispetto della normativa civilistica sui confini), la tettoia aperta ai lati di limitate dimensioni e il consolidamento di aperture sulle strutture murarie preesistenti, per ricavare un andito transitabile fra immobili contigui di proprietà, non integrano ipso facto, benché eseguiti senza i relativi titoli edilizi, abusi edilizi passibili d’immediata demolizione (c,fr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2018 n. 2715).
7.2 A riguardo, la recente normativa di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 25 novembre 2016 n. 222, come integrata in via interpretativa dal D.M. 2 marzo 2018 (pubblicato nella G.U. 7 aprile 2018 n.81, di “Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”), individua in via tassonomica tutta una serie d’interventi che, non incidendo sul carico urbanistico, per (limitate) dimensioni strutturali e tipologia s’inscrivono nell’ambito della liberalizzazione degli interventi edilizi.
7.3 E che, conseguentemente, onera il Comune a valutare l’effettiva entità degli abusi minori per concentrare l’attenzione e l’effettiva applicazione dell’apparato sanzionatorio del ripristino sugli illeciti edilizi in grado, essi sì, di compromettere il tessuto urbano e quello ambientale.
8. Conclusivamente, assorbito il primo motivo d’appello incentrato sulla violazione dell’art. 7 l. 241/90, l’appello è fondato e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso di prime cure, annullando l’ordinanza impugnata.
9. La controvertibilità in fatto dei quanto dedotto in giudizio giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso di prime cure ed annulla l’ordinanza impugnata.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Carbone, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore
Dario Simeoli, Consigliere