di Alberto PIEROBON
CONTINUAZIONE (terza parte)
12. Le modifiche e le integrazioni al SISTRI ovvero al D.M. 17 dicembre 2009, ad opera del D.M.A.T.T.M. 15 febbraio 2010 (Uff. Gabinetto –Decreti -2010 -0000019): illustrazione.
Come avevamo previsto, è stato adottato il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in data 15 febbraio 2010, appunto, di modifica e integrazioni, al decreto del medesimo Ministero datato 17 dicembre 2009 col quale veniva istituito il SISTRI ai sensi dell’art.189 del D.Lgs. 152/2006 ss.mm. e int. e dell’art.14-bis del decreto-legge n.78 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla Legge n.102 del 2009.
L’avvento del D.M. pubblicato nella G.U. del 27 febbraio 2010 ci impone di aggiungere (addirittura, considerando il rilievo e le conseguenze operative, a più riprese) un breve commento allo stesso[1], allontanando così la conclusione (come dall’ambizione del titolo del presente intervento) la prima ricostruzione del sistema SISTRI. In questa sede avremo particolare riguardo alla gestione dei rifiuti da parte dei soggetti pubblici, non trascurando però anche la necessità di lumeggiare, nel complesso, la disciplina venutasi costì a porre[2].
Anzitutto, come richiesto da moltissimi operatori e dalle loro associazioni (che “risuonano” anche in talune interrogazioni parlamentari, rimbalzate nei mass-media) sono stati prorogati i termini di iscrizione al SISTRI, contenendoli però in soli 30 giorni (art.1 – proroga di termini di cui all’art.4, comma 1 del DM precedente); ciò probabilmente ha una valenza sia sotto un profilo simbolico quale traducibile in (solo per intenderci nell’affermazione) “non ritorniamo sui nostri passi, ma teniamo certamente conto delle lamentazioni dei soggetti interessati ,e con l’occasione sistemiamo alcuni refusi, introduciamo opportune precisazioni, insomma miglioriamo ancor più il sistema che entrerà a regime a breve”…., sia per evitare che coloro, nel frattempo solertemente si sono iscritti, vedendo ora inserito un termine più ampio di iscrizione, si sentano in un qualche modo “danneggiati”, inoltre –non da ultimo – l’esigenza erariale di acquisire (in tempi ragionevoli) il gettito dai proventi dell’iscrizione, così da poter abbriviare (e consolidare) il sistema e tutte le sue implicazioni (budgetarie, dotazione di risorse umane e di attrezzature, servizi, eccetera).
L’art.2 estende la videosorveglianza[3] che prima era prevista solamente per gli impianti di discarica (art.1, comma 5 precedente D.M.) anche agli impianti di incenerimento.
La scelta, a nostro modesto avviso, può essere spiegata in diversi modi.
Com’è noto lo smaltimento,per dirla in breve, è eccetera.
L’avvio dei rifiuti urbani e assimilati ad un termovalorizzatore può essere considerato smaltimento o recupero a seconda se il trattamento termico dei rifiuti sia finalizzato al loro smaltimento (nel qual caso l’impianto è di incenerimento), ovvero alla produzione di energia (nel qual caso l’impianto è di co-incenerimento): in proposito si veda l’art.2, lett.”e” del D.Lgs. 11 maggio 2005, n.133 e la giurisprudenza comunitaria (C.G.C.E.: Sez.V, 13 febbraio 2003, causa C-228-00; Sez.V, 13 febbraio 2003, causa C-458/00). All’attuale quasi tutti gli impianti nazionali di incenerimento sembrano ricadere nell’ambito di un’ attività di smaltimento.
Anche la nuova direttiva rifiuti Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 (pubblicata in G.U.C.E. 22 novembre 2008 L 312/3 ed entrata in vigore il 12 dicembre 2008), come si è visto nei nostri specifici interventi e commenti, prevede che gli impianti di termovalorizzazione possano essere considerati non impianti di smaltimento, bensì di recupero energetico, ma solamente allorché essi impianti esaudiscano quanto meglio prevede la ivi indicata “formula energetica”. Giova altresì rammentare come la nuova direttiva 2008/98 (in corso di recepimento, come qui già osservato) all’articolo 4 conferma la nuova gerarchia dei rifiuti che si scansiona nelle seguenti attività: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero ( L’allegato II alla prefata direttiva riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero> art.3, punto 15) di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e; e) smaltimento (qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia. L’allegato I riporta un elenco non esaustivo di operazioni di smaltimento> art.3 punto 19). Si badi come le definizioni contenute nell’art.3 debbano essere interpretate dopo la lettura (ordinatoria) dell’art.4 della gerarchia dei rifiuti.
Pertanto con la disposizione in parola si è inteso riportare allo stesso trattamento tutti gli impianti di smaltimento intesi come discarica e inceneritore, il che evidenzia una precisa scelta, probabilmente derivante dalla preoccupazione che il controllo di cui al SISTRI su questi impianti sia più ficcante (tramite la videosorveglianza e attività correlate), mentre per le altre tipologie impiantistiche (comprese quelle che svolgono altre attività di smaltimento, non quelle “classiche” - e, come dire…. definitive - di cui alla discarica e all’incenerimento) sono da considerarsi sottratte da questo obbligo.
Ragionando in modo, ci si permetta, più “poliziesco” (comunque non paranoico o quale gioco pedagogico) potrebbe essere che si voglia attenzionare (con maggiore intensità) il controllo ai carichi/scarichi (tramite automezzi[4]) in questi impianti, poiché – appunto - gli altri impianti (si veda in prosieguo di trattazione) vengono ad essere “contabilizzati” nei flussi input e output, ivi compresi quelli virtuali degli intermediari e/o dei commercianti senza detenzione dei rifiuti, con l’unica “uscita” dalla contabilizzazione dei flussi rientranti nel SISTRI del materiale del fuori ( o non) rifiuto (ovvero, esemplificativamente, e fattio salvo il criterio dell’effettività del recupero, eccetera: la materia prima secondaria, nel fuori rifiuto il sottoprodotto, i rifiuti non ricadenti nel SISTRI ma in altre specifiche normative oppure materiali espressamente sottratti/limitati alla/dalla disciplina rifiuti e così via).
Chiaro che, se questa nostra impressione fosse fondata (nella sottostante scelta SISTRI), per chi abbia esperienza in materia, si presentano e sono apprestabili (pur nel rispetto apparente della forma) altri espedienti o “trucchetti” per consentire, appunto, “altre” fuoriuscite dal SISTRI, senza cioè che questo sistema possa al riguardo “registrare” o segnalare alcunché……. per cui rimane confermata la nostra impressione circa la mancanza (almeno da quanto ci è dato da leggere in questi decreti) di una metodica di controllo che “scavi” (utilizzando le sue stesse armi) entro i (più rilevanti, più sostanziosi, più architettati) crimini cosiddetti da “colletti bianchi”[5].
L’art.3 () prevede che [6]: la predetta lettera “g” riguarda .
Si viene così a “coprire” anche la critica per la quale gli impianti (compostaggio, selezione e trattamento, eccetera) che producono nell’ambito della loro attività rifiuti (sovvalli, eccetera)[7] debbano iscriversi al sistema alla stessa stregua (prima linea del SISTRI) dei soggetti che – appunto - per primi, sono chiamati a farlo (art.1, comma 1 , lett. “a” del D.M. prec.). Quindi anche i titolari degli impianti di cui trattasi (molti,almeno nel Nord Italia) sono soggetti pubblici, dovranno iscriversi nel primo step del SISTRI.
Per l’articolo 4 (attività di raccolta e trasporto di rifiuti) le imprese di cui all’art.212, comma 5 del D.Lgs. 152/2006 , cioè, tra altri, dei soggetti per i quali l’iscrizione all’Albo (dell’art.121) è requisito per lo svolgimento delle attività di:
a) trasporto di rifiuti non pericolosi;
b) di bonifica dei siti;
c) di bonifica dei beni contenenti amianto;
d) di commercio e intermediazione dei rifiuti stessi, nonché;
e) di gestione di impianti di smaltimento e di recupero di titolarità di terzi e;
f) di gestione di impianti mobili di smaltimento e di recupero dei rifiuti nei limiti di cui all’art.208, comma 15.
I soggetti di cui all’art.212, comma 5, che raccolgono e trasportano rifiuti speciali sono facoltizzati () dotarsi del dispositivo USB relativo alla sola sede legale (art.3, comma 6, lett.”a” del D.M. prec.) oppure (alternativamente) di un ulteriore dispositivo USB per ciascuna unità locale, .
Viene precisato, a fronte del proliferare di quesiti (talvolta anche malposti[8], come si desume dagli incandescenti forum accesi sull’argomento SISTRI) che .
L’art.5 (integrazioni dell’allegato II del DM 17 dicembre 2009) vengono introdotte importanti precisazioni circa le distinguendo i vari soggetti, più esattamente:
1.
-per ciascuna unità locale e per la sede legale, qualora quest’ultima produca e/o gestisca rifiuti[9];
- per ciascuna operazione di recupero o[10] smaltimento svolta all’interno dell’unità locale o della sede legale, qualora quest’ultima produca e/o gestisca rifiuti[11];
Per le unità locali in cui insistano più unità operative da cui originano in maniera autonoma[12] rifiuti per le quali, ai sensi dell’art.3, comma 6, lettera a) è stato richiesto un dispositivo per ciascuna unità operativa, il calcolo dei contributi è effettuato per ciascuna unità operativa>;
2. , per i produttori si tratta di una sorta di criterio assorbente dove il maggior onere conseguente alla più onerosa e preoccupante gestione dei rifiuti pericolosi contiene quello “minore” dei rifiuti che tali non sono;
3. [13], il contributo dovuto è dato dalla sommatoria del contributo corrispondente alla quantità di rifiuti pericoli, dal contributo corrispondente alla quantità di rifiuti non pericolosi e del contributo corrispondente alla quantità di rifiuti urbani (equiparati, ai fini del pagamento, ai rifiuti non pericolosi[14])>. Qui il criterio è della sommatoria, che pare essere dettata, rispetto alla precedente categoria dei produttori, perlopiù da una scelta di tipo economico[15]>…….
[16]>.
- Discariche (D1,D5,D12);
- Demolitori/rottama tori;
- Frantumatori;
- Inceneritori (D10);
- Impianti di coincenerimento (R1);
- Impianti di trattamento chimico-fisico e biologico (D8, D9);
- Impianti di compostaggio e di digestione anaerobica;
- Impianti di recupero di materia (R2, R3,R4,R6,R7,R8,R9);
sono considerati, ai fini del pagamento del contributo, come una unica “attività di gestione dei rifiuti” (art.4, comma 2, del decreto). Pertanto, una unità che effettua, nell’ambito dello stesso impianto, più operazioni di recupero/smaltimento è tenuta a versare, comunque, una sola volta il contributo[17]>.
.
[18]. Il contributo è versato sulla base della quantità dichiarata di rifiuti trattati>.
Diseguito si riportano (per completezza di lettura, anche le restanti parti delle “aggiunzioni”, fermo restando che esse verranno disaminate nella prossima parte dell’intervento).
del D.Lgs. 152/2006 ;
4.
Per le imprese che trasportano sia i rifiuti pericolosi che non pericolosi, il contributo relativo alla sola sede legale è dato dalla sommatoria del contributo dovuto per il quantitativo autorizzato di rifiuti non pericolosi e del contributo dovuto per il quantitativo autorizzato di rifiuti pericolosi.
Nel caso di veicoli adibiti sia al trasporto di rifiuti pericolosi che al trasporto di rifiuti non pericolosi, il contributo per i veicoli è dovuto unicamente per l’importo relativo ai rifiuti pericolosi>;
5. del D.Lgs. 152/2006
Qualora l’impresa utilizzi lo stesso veicolo ai sensi dei commi 5 e 8 dell’art.212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, si applica il contributo previsto per i veicoli adibiti ai trasporti ai sensi del predetto comma 5>.
6. ;
7. ;
8.
CONTINUA (parte quarta)
[1] Con riserva di “organicizzare” il tutto in uno scritto di prossima pubblicazione.
[2] Con le osservazioni (anche sui fondamenti e sulle paventate illegittimità) già svolte nel primo intervento (e che saranno successivamente oggetto di approfondimento sotto diversi angoli visuali).
[3] Tramite la dotazione così sempre il comma 5 dell’art.1 D.M. 17/12/2009.
[4] Con le nostre riserve al riguardo: si vedano i precedenti interventi apparsi su questa Rubrica relativi all’inseguimento dell’automezzo e non del contenitore dei rifiuti, ovvero del contenitore di contenitori, ma non del contenitore del contenuto effettivo……sul quale argomento faremo, prossimamente, un apposito focus.
[5] Anche su questo aspetto, considerando tutti gli sdottoreggiamenti e vari sproloqui (limitantesi a mere parafrasi dei testi, condite da casistiche scippate dalle domande di disperati operatori) che echeggiano in vari ambienti, ci riserviamo intervenire in un apposito scritto, riportando un po’ di realtà e di concretezza alle mere ricostruzioni fatte in salotti lontani dall’odore dei rifiuti.
[6] Si veda oltre nelle “aggiunzioni” all’allegato II al D.M. precedente laddove (lettera “C”,ultima parte)
[7] Anche questo argomento merita un approfondimento in un successivo, apposito, intervento.
[8] Si vuole rispettosamente dire che le “risposte” sovente dipendono (oltre che dall’argomento e dalla sua complessità/equivocità, eccetera) da come vengono formulate le domande, non è solo una questione linguistica, bensì di metodo che poi ricade nelle convenzioni linguistiche dei soggetti (per esempio una domanda secca e grossolana da parte di un soggetto che interpreta una certa applicazione tributaria, per esempio sull’IVA, può far fuorviare la risposta del commercialista – se non ha le doti di psicologo e di esperto del settore - salvo che ci si intrattenga nella disamina del caso oggetto della domanda) per cui è necessario, prima di giudicare una risposta , se non di” strumentalizzarla” (come avviene da parte di qualcheduno per le risposte ricevute in appositi forum, o rubriche di riviste, o in sede convegnistica) contornare bene la stessa in relazione alla domanda e agli elementi della domanda. Diffidiamo da coloro che spacciando grossolane risposte (ancorchè condite da estrapolazioni giurisprudenziali o altro) e fornendo semplificazioni (anche a mo’ di schemi o di formulari “tascabili”) in realtà sembrano adulterare la conoscenza del problema, abbassandone la qualità e facendone una mera occasione commerciale e di profitto.
[9] Con il che, per questi soggetti, viene confermata la gestione (e debenza del) SISTRI per le unità dove effettivamente si producono rifiuti….
[10] La disgiunzione considerata la pluralità di attività anche coesistenti di recupero e di smaltimento, opportunamente , a nostro avviso, poteva essere precisata con contemplando anche questi ultimi casi…..si veda comunque quanto viene precisato sempre in queste “aggiunzioni” nella lettera “c” relativa agli impianti che gestiscono rifiuti ove, (si badi: solamente) per certune tipologie di impianti, .
[11] Viene sempre precisato il concetto che l’unità legale deve rientrare nel calcolo delle debenze SISTRI solo se produce rifiuti…...
[12] Anche nell’art.3, comma 6, lett. “a”, terzo periodo, del precedente D.M. leggiamo che : la notazione e la precisazione è interessante, ci si riserva di approfondire in parte qua.
[13] Per cui tutti gli impianti, posto che possiamo avere (secondo la classificazione dei rifiuti in urbani - con assimilati - e speciali) impianti che trattano solo gli urbani ( ed, eventualmente – quasi sicuramente - gli assimilati) e impianti che trattano i soli rifiuti speciali, ma pure impianti che trattano sia i rifiuti urbani/assimilati che quelli speciali.
[14] L’equiparazione dei rifiuti urbani a quelli non pericolosi, con la precisazione del è sintomatica della visione “pubblicistica” della gestione dei rifiuti e, allo stesso tempo, opportunamente avverte – in via implicita - che anche ove si gestiscano rifiuti urbani (in parte pericolosi, perché anche –come sappiamo - talune frazioni di rifiuti urbani possono essere tali) possono esservi tecnicamente parlando, dei rifiuti da considerarsi pericolosi.
[15] Qualcheduno potrebbe anche affermare che siccome trattasi di impianti, con flussi non necessariamente vettorializzati, la attività di controllo apprestate per siffatti soggetti risulterebbe essere maggiore e quindi necessita (per un principio di equiparazione tra costi e ricavi o, altrimenti, di proporzionalità, non certo di controprestazione sinallagmatica) di maggiori proventi di finanziamento…….anche questo è un argomento che vorremmo approfondire, soprattutto sul versante della funzione e della gestione…..questione delicatissima, che fa da baricentro ad altre considerazioni, che tutti i primi commentatori del SISTRI (ma pure in altri argomenti attraversanti la materia dei rifiuti) finora hanno (talvolta disinvoltamente) trascurato od omesso.
[16] Anche qui si apre un altro “fronte”: tutto viene, giustamente, semplificato correlando l’autorizzazione categoriale (implicante una valutazione sulla tipologia del rifiuto ivi gestito) al quantum del contributo, ma occorre rivolgersi alle disposizioni più generali oppure, all’inverso, a quelle specifiche per risolvere talune casistiche che riguardano le discariche, quali, esemplificativamente:la gestione della discarica scissa (come soggetto) dalla titolarità autorizzativa; la discarica che svolge solo attività di post-mortem ex D.Lgs. 36/2003 (quindi, almeno per un certo periodo, secondo il sistema impiantistico-gestionale adottato, la produzione di percolato, di biogas, etc.), eccetera.
[17] Si vedano anche le note precedenti, si tratta di una semplificazione fermo restando quanto viene poi ulteriormente precisato sulle attività.
[18] Anche questa è indubbiamente una semplificazione che tiene conto della variegata realtà di questi soggetti (che vanno dal meccanico, all’officina attrezzata, fino a realtà imprenditoriali di un certo rilievo) fermo restando la combinazione tra i vari criteri a seconda di una scelta non solo di nomen categoriale. Sul punto torneremo più diffusamente oltre.