Consiglio di Stato Sez. VI n. 359 del 20 gennaio 2022
Beni Ambientali.Non sanabili le opere realizzate in area parco
L'interpretazione dell'art. 13 della legge quadro sulle aree protette sull'ammissibilità di sanatorie urbanistico edilizie in aree perimetrate a parco è nel senso di non ammettere sanatoria di opere abusive realizzate in assenza del nulla osta dell’Ente di tutela del relativo parco. Il nulla osta dell'art. 13 della L. n. 394 del 1991 ha a oggetto la previa verifica di conformità dell'intervento con le disposizioni del piano per il parco (che - a norma dell'art. 12 - persegue la tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente parco) e del regolamento del parco (che - a norma dell'art. 11 - disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco). Quegli atti generali rappresentano gli strumenti essenziali e indefettibili della cura dell'interesse naturalistico e ambientale in ragione della quale è istituito il parco con il suo "speciale regime di tutela e di gestione". In sostanza, pertanto, in base all'art. 13 della legge sulle aree protette, possono essere ammessi solo nulla osta preventivi.
Pubblicato il 20/01/2022
N. 00359/2022REG.PROV.COLL.
N. 05226/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5226 del 2015, proposto da
Andrea Fossi, rappresentato e difeso dagli avvocati Niccolò Pecchioli, Giovanni Taddei Elmi, Cosimo Cappelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Duccio Casciani in Roma, via dei Prefetti, 17;
contro
Comune di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Sandra Ciaramelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ente Parco Regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 00335/2015, resa tra le parti, concernente diniego di sanatoria edilizia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pisa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1) La parte ricorrente in appello impugna la sentenza di rigetto del T.A.R. Toscana, Sez. III, 27.2.2015, n. 335/2015, resa inter partes nel giudizio R.G. n. 2925/1997.
In particolare, l’appellante ricorrente agisce come erede di Silvano Fossi, proprietario di alcuni terreni posti in Pisa, via Aurelia, loc. Tombolo, su cui insistono un fabbricato rurale a uso abitativo e un capannone costruito in forza di licenza edilizia n. 456 del 2.9.1976, da tempo destinato all'esercizio dell'attività di rimessaggio e costruzione navale, come da autorizzazione in sanatoria rilasciata il 2.7.1988.
Nel 1996, per soddisfare le esigenze dell'attività cantieristica svolta, il Sig. Silvano Fossi ha costruito, nelle immediate vicinanze dell’indicato capannone industriale un annesso destinato a essere utilizzato per lo svolgimento della medesima attività artigianale/produttiva.
L’Ente Parco Regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli ha notificato allo stesso un provvedimento sanzionatorio, con il quale gli è stata ordinata la demolizione di quanto realizzato in assenza del nulla osta del medesimo Ente Parco, prescritto dall'art. 20 della L.R.T. n. 24/1994, trattandosi di opera realizzata all'interno del perimetro del medesimo Parco naturale e, in particolare, nell'ambito delle Tenute di Tombolo e Coltano (l’ordinanza di rimozione e ripristino prot. n. 308/96/Vig. del 9.9.1996).
Lo stesso dante causa dell’odierno appellante ha presentato al Comune di Pisa, in data 23.10 .1996, un’istanza di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi dell'art. 13, L. n. 47/85.
Il Comune ha l’istanza rigettato con la motivazione secondo cui:
- in assenza del piano di miglioramento aziendale non sarebbe stato possibile giustificare la necessità del nuovo annesso;
- il richiedente non possedeva la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale;
- l'annesso sarebbe esterno all'area di pertinenza individuata dal Piano di Gestione del Parco Naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli.
2) L’attuale appellante ha impugnato dinanzi al T.A.R. Toscana il provvedimento di diniego lamentando:
- che il provvedimento di rigetto si sarebbe soffermato su requisiti procedurali non conferenti il caso di specie, trascurando di prendere in esame la compatibilità del realizzato manufatto con l’area circostante e la sua doppia conformità al P.R.G vigente a tale data ed a quella della conclusione del procedimento, senza considerare che le NTA del Piano di Gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano avrebbero consentito la realizzazione di annessi aventi destinazione anche diversa da quella agricola e, comunque, non avrebbero previsto la necessità della previa presentazione di un piano di miglioramento aziendale da parte di un imprenditore agricolo;
- il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento sanzionatorio impugnato;
- il vizio di incompetenza, in quanto il provvedimento gravato è stato sottoscritto dall'Assessore all'Edilizia Privata, su delega del Sindaco, anziché dal competente Dirigente responsabile, così come previsto dall'art. 51, comma 3, L. n. 142/91 all'epoca vigente.
3) Il T.A.R. Toscana, con sentenza n. 335 del 27.2.2015, ha respinto il ricorso, condannando il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore del solo Comune di Pisa, non essendosi costituito in giudizio l'Ente Parco Regionale.
In particolare, l’adito T.A.R. ha motivato il rigetto sulla scorta delle seguenti argomentazioni: “in base all’art. 5 del regolamento generale dell’uso del territorio del parco naturale di Migliarino fuori dalle previsioni dei piani di gestione e recupero sono vietate tutte le trasformazioni urbanistico edilizie comprese le ristrutturazione e le riedificazioni.
Ai sensi dell’art. 8.2.2. del piano di gestione delle tenute di Tombolo e Coltano in zona agricola di sviluppo è consentita, previa stipulazione di atto d’obbligo, la realizzazione di “annessi agricoli” se indispensabili per le colture agricole in atto di una certa rilevanza economica.
Nel caso di specie, per stessa ammissione del ricorrente, l’annesso realizzato non ha natura agricola costituendo una pertinenza del capannone industriale nel quale viene esercitata una attività di cantieristica navale.
Il fatto che sia stata a sua tempo autorizzata la costruzione del predetto edificio industriale non significa che lo stesso potesse essere corredato di annessi o pertinenze in contrasto con la destinazione urbanistica (agricola) della zona e con le relative norme tecniche di attuazione (peraltro non impugnate).
Né la destinazione di fatto impressa all’area può prevalere sull’assetto territoriale stabilito negli strumenti urbanistici.
Stando così le cose il contenuto negativo del provvedimento di sanatoria era giuridicamente necessitato e per questo non assume alcuna rilevanza invalidante il vizio formale di incompetenza denunciato con l’ultimo motivo del ricorso il quale deve, quindi, essere respinto”.
4) L’odierno appellante ha impugnato la sentenza formulando i seguenti rubricati motivi di appello:
1. - Erronea e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 L. n. 47/85; - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51, comma 2, e dell'art. 8.2.2 commi 1 e 3 lett. g) delle N.T.A. del Piano di Gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano (approvate con deliberazione del Commissario Straordinario del Parco Naturale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli n. 89 del 31.12.1994).
La sentenza gravata sarebbe erronea perché si fonda su una norma, l'art. 8.2.2 delle NTA del Piano delle tenute di Tombolo e Coltano, che non solo non è espressamente richiamata dal provvedimento di diniego del Comune di Pisa oggetto di impugnazione, ma non risulta neppure essere stata posta implicitamente alla base della motivazione di detto diniego.
Secondo l’appellante il provvedimento di diniego si fonderebbe sulla mancata presentazione di un piano di miglioramento aziendale da parte di un imprenditorie agricolo, ma non farebbe alcun riferimento alle disposizioni del Piano delle Tenute di Tombolo e Coltano, né al Regolamento d'uso del territorio del Parco Naturale, che d'altra parte, non richiedono la presentazione di alcun piano di miglioramento aziendale, né la qualifica di imprenditore agricolo in capo a colui che intenda realizzare un annesso nelle aree in questione.
La motivazione della sentenza finirebbe, dunque, per rappresentare una indebita integrazione ex post dell'ordinanza del Comune di Pisa impugnata.
La medesima parte appellante rileva che, ad ogni modo, anche a voler ammettere che la norma su cui si fonda il diniego di sanatoria sia l'art. 8.2.2 delle NTA del Piano delle Tenute di Tombolo e Coltano, resta il fatto che la sentenza di primo grado è da riformare soprattutto perché muove dall'erroneo presupposto secondo cui ai sensi di tale norma nelle zone agricole di espansione sarebbe stato possibile realizzare esclusivamente annessi agricoli.
Dallo stesso art. 8.2.2 del Piano di Gestione in questione si evincerebbe, invece, che in tale zone possono realizzarsi manufatti e annessi aventi destinazione d'uso anche diversa da quella agricola, purché conformi allo stato dei luoghi e alle esigenze della zona.
Nella specie, ben poteva (e anzi doveva) ammettersi la realizzazione di un annesso pertinenziale destinato non già all'uso agricolo, ma a servire il contiguo fabbricato avente, legittimamente, destinazione artigianal/produttiva.
Si rivelerebbe, quindi, da riformare la sentenza in questione che muove, invece, dall'erroneo presupposto secondo cui nella zona in questione fossero realizzabili esclusivamente annessi agricoli, senza neppure prendere in considerazione il fatto che nella specie il Comune avrebbe dovuto valutare in concreto la compatibilità dell'annesso con la destinazione di zona e soprattutto con le altre opere presenti in loco.
La Commissione Edilizia Comunale (sul cui parere si fonda il diniego impugnato) e lo stesso Comune avrebbero dovuto tenere conto del fatto che il fabbricato di proprietà del ricorrente, contiguo a quello oggetto del presente giudizio, era legittimamente destinato a un uso non agricolo, ma artigianale/produttivo già da molti anni e, comunque, da molto prima che l'area in questione venisse - illogicamente ed erroneamente – classificata quale zona agricola di espansione dal Piano di gestione delle Tenute di Tombolo e Coltona.
Il Comune di Pisa, anziché negare la richiesta sanatoria in virtù di un'astratta incompatibilità tra l'annesso e la destinazione di zona, avrebbe invece dovuto valutare in concreto se la destinazione artigianale impressa all'annesso realizzato fosse realmente incompatibile con quella cui di fatto, ma legittimamente, erano sottoposti da anni l'area in questione e il contiguo immobile principale di proprietà del ricorrente. Tanto che lo stesso Comune di Pisa, se avesse svolto tale verifica, non avrebbe potuto fare a meno di consentire la realizzazione dell'annesso in questione, in quanto strettamente correlato alle esigenze del vicino capannone artigianale e avente caratteristiche tali da non influire negativamente sul contesto di zona.
Il medesimo appellante osserva che le motivazioni su cui si fonda il provvedimento di diniego impugnato risultano, alla luce di quanto sopra e della disciplina applicabile nel caso di specie, del tutto fuori luogo e fuorvianti.
Il Comune di Pisa fonda, infatti, il proprio diniego di sanatoria sul fatto che non sarebbe stato previamente presentato un piano di miglioramento aziendale e sul fatto che il Sig. Silvano Fossi non avrebbe rivestito la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.
Tali requisiti, tuttavia, non sono previsti né dall'art. 5 del Regolamento d'uso del territorio, né tantomeno dall'art. 8.2.2 del Piano di Gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano, né dalle altre norme applicabili nella specie.
Di talché sarebbe evidente l'illegittimità del provvedimento impugnato, che si basa su presupposti del tutto erronei. Del resto, se si considera che nella specie era stato richiesto l'accertamento di conformità in sanatoria per un annesso non avente destinazione agricola, risulta a fortiori illogico e contraddittorio che il Comune pretendesse, per ritenere sanabile l'intervento edilizio, la presentazione di un piano di miglioramento aziendale da parte di un imprenditore agricolo.
Il provvedimento del Comune di Pisa si rivelerebbe erroneo anche nella parte in cui pretende di affermare che il richiesto accertamento di conformità dovrebbe escludersi in ragione del fatto che l'annesso in questione ricadrebbe all'esterno dell'area di pertinenza del fabbricato principale, come individuata dal Piano di Gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Comune di Pisa, infatti, risulterebbe documentato dal progetto presentato dal ricorrente che l'annesso in questione, pur essendo collocato in un'area compresa tra il fabbricato abitativo e il capannone industriale esistente, sia in realtà una pertinenza di quest'ultimo.
2. - Omessa pronuncia su un motivo di ricorso; - Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, commi 1 e 3, L. n. 241/90; - Eccesso di potere per insufficienza, incongruità e contraddittorietà della motivazione; sviamento.
Parte ricorrente lamenta che il secondo motivo di ricorso proposto in primo grado non sarebbe stato scrutinato e lo ripropone in grado di appello.
Rileva al riguardo che il provvedimento di diniego impugnato non è assistito da un’adeguata e puntuale motivazione e non è stato preceduto dalla doverosa attività istruttoria volta a verificare attentamente e in concreto le caratteristiche del manufatto per il quale era stata chiesta la sanatoria e la sua compatibilità con l'area in questione.
Inoltre, il Comune, nell'ottica della leale collaborazione con il privato e in ossequio al principio del soccorso istruttorio, avrebbe potuto (anzi, dovuto) segnalare al Sig. Silvano Fossi che la pretesa mancanza del piano di miglioramento aziendale avrebbe comportato il rigetto della domanda, invitandolo a completare la documentazione depositata a supporto della propria richiesta, ovvero a spiegare le ragioni per le quali nella specie tale piano non si rendeva necessario.
Viceversa, niente di tutto questo è accaduto e il Comune di Pisa si è limitato a recepire in maniera acritica il parere della Commissione Edilizia, con una motivazione astratta e standard, meramente di stile, senza neppure rendersi conto che quanto indicato da detta Commissione era del tutto inconferente rispetto al caso di specie e, comunque, senza compiere alcun approfondimento istruttorio, né motivazionale, volto a spiegare in concreto le ragioni del diniego.
Un’attenta valutazione della fattispecie concreta e della destinazione artigianale dell'area in questione avrebbe consentito al Comune di ravvisare la piena compatibilità dell'annesso con le caratteristiche legittimamente assunte, da oltre un decennio, dalla stessa area e dai manufatti ivi esistenti. Con la conseguenza che l'esito del procedimento sarebbe dovuto essere esattamente opposto a quello in concreto verificatosi.
3. - Erronea e/o contraddittoria decisione circa un punto decisivo della controversia; - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51, comma 3, L. n. 142/1991; - Eccesso di potere per incompetenza.
L’appellante critica anche le motivazioni del rigetto della censura inerente all’incompetenza dell’organo che ha adottato l’atto sulla base dell’argomentazione che si trattasse di un atto necessitato.
Sostiene l’appellante che il provvedimento in questione dovesse invece essere di segno opposto, ossia di accoglimento della richiesta e che, in ogni caso, quanto affermato dal T.A.R. della Toscana è erroneo perché il vizio di incompetenza denunciato dal ricorrente non è meramente formale e comunque non è destinato a perdere rilevanza neppure nel caso in cui il contenuto negativo del provvedimento fosse stato realmente necessitato.
5) Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di Pisa resistendo al ricorso, evidenziando nelle sue memorie difensive che in data 23.10.1996 il Sig. Silvano Fossi ha presentato al Comune di Pisa il progetto a sanatoria delle opere ex art. 13 della legge n. 47/85, facendo presente che si trattava di un annesso agricolo a servizio del fondo e collocato tra l’abitazione ed un capannone già esistente.
Nel ricorso dinanzi al Tar Toscana, invece, si afferma espressamente la destinazione artigianale dell’annesso pertinenziale al capannone adibito alla cantieristica navale.
Il Comune rileva come l’opera di cui si chiede la sanatoria non è inserita in un piano di miglioramento aziendale che avrebbe permesso la realizzazione di un nuovo annesso, per di più il richiedente non era un imprenditore agricolo in via principale e l’opera era esterna all’area di pertinenza degli altri due edifici e quindi risulta corretta l’adozione dell’atto impugnato.
Il medesimo Comune eccepisce la carenza di interesse a impugnare il provvedimento di diniego del Comune che, in assenza di nulla-osta del Parco e in presenza dell’ordinanza di demolizione non impugnata, non avrebbe potuto che essere un provvedimento negativo.
Il medesimo Comune rileva che la normativa di riferimento ai fini della decisione della fattispecie in esame è quella relativa alle opere eseguite all’interno di un’area protetta del Parco e, quindi, la pratica di sanatoria non può prescindere dalla circostanza che manca il nulla-osta dell’Ente Parco. Tali elementi ancorché non richiamati dal provvedimento del Comune sono, tuttavia, contenuti negli atti, non impugnati nei termini, dell’Ente Parco e sono proprio tali atti dai quali non si può prescindere e che determinano l’inammissibilità del ricorso dinanzi al Tar Toscana.
L’odierno appellante ha depositato memorie difensive e memorie di replica.
L’appello è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 9.12.2021.
6) L’appello si palesa infondato.
Le motivazioni della sentenza che ha considerato legittimo il rigetto dell’istanza di sanatoria sono incentrate sul regime urbanistico e paesaggistico-ambientale della zona in questione, tenendo conto del fatto che la stessa rientra territorio del parco naturale di Migliarino, il cui regolamento d’uso prevede, all’art. 5, il divieto di ogni trasformazione urbanistico-edilizia al di fuori dei piani di gestione e recupero e nella rientrare la medesima area in zona agricola di sviluppo e, in particolare, nelle tenute di Tombolo e Coltano, il cui piano di gestione, prevede all’art. 8.2.2 la sola realizzazione di “annessi agricoli” se indispensabili per le colture agricole in atto di una certa rilevanza economica mentre nella specie si tratterebbe di annesso pertinenziale a un capannone adibito a cantieristica navale.
Il Collegio evidenza, tuttavia, un altro dato rilevante, costituito dalla natura del titolo abilitativo richiesto costituito da un permesso di costruire in sanatoria, ex art. 13 della legge n. 47/85, ovverosia un titolo che è volto a sanare un abuso già realizzato che per le aree sotto poste a vincolo in quanto destinate a parco (e più in generale sulle aree soggette a vicolo paesaggistico) ha una disciplina peculiare, volta a limitare drasticamente le ipotesi di sanabilità, rispetto al normale regime delle aree non soggette a vincolo.
Le opere eseguite ineriscono, infatti, a terreni che rientrano in area soggetta al Piano Territoriale del Parco istituito con la LRT n. 24 del 16.03.1994. L’intervento edilizio è stato eseguito in assenza del prescritto nulla-osta del Parco, in virtù dell’art. 13 della legge n. 394/1991 e della legge n. 431/1985 e art. 20 della LRT n. 24/1994 (circostanza non contestata).
7) Con riguardo ai motivi di appello, il Collegio rileva come la motivazione della sentenza di primo grado non possa considerarsi come un integrazione della motivazione del provvedimento gravato, avendo il Collegio fatta applicazione della normativa inerente alle aree in questione, sulla base degli elementi emersi nel provvedimento e negli atti del procedimento.
D’altra parte in un’ottica del processo amministrativo sempre più incentrato in un giudizio sul rapporto, piuttosto che un giudizio sull’atto, anche la decisione deve ritenersi scevra da un’ottica formale, che non consentirebbe al giudice di fare applicazione del quadro normativo vigente, scrutinando le ragioni di legittimità o illegittimità dell’atto impugnato anche oltre lo schermo formale della motivazione.
In tal senso la motivazione della sentenza si palesa priva di mende in quanto si è limitata a fare applicazione dell’art. 8.2.2 del piano di gestione tenute di Tombolo e Coltano - al di fuori del quale ogni intervento è inibito dall’art. 5 del Regolamento generale dell’uso del territorio del parco naturale di Migliarino - rilevando la natura non agricola del manufatto realizzato.
Quest’ultimo, infatti, è incontestabilmente destinazione artigianale, se non industriale, tanto che la parte appellante afferma essere una pertinenza del capannone industriale esistente.
La parte appellante si è limitata ad affermare che l’art. 8.2.2 in questione non vieterebbe la realizzazione di manufatti con destinazione diversa da quella agricola, senza tuttavia scrutinare l’elemento testuale del suddetto articolo, ma invocando un’asserita esistente giurisprudenza in materia che consentirebbe la realizzazione in zona agricola anche manufatti ed annessi aventi destinazione d'uso anche diversa da quella agricola, non avendo peraltro il Comune valutato in concreto la compatibilità dell'annesso con la destinazione di zona e soprattutto con le altre opere presenti in loco.
La censura non coglie nel segno in quanto la costruzione deve essere conforme con la destinazione impressa alla zona dagli strumenti urbanistici e, nello specifico, con il piano di gestione tenute di Tombolo e Coltano, né la circostanza che sull’area sia stato realizzato un capannone industriale modifica la disciplina di zona, consentendo la realizzazione di annessi con destinazione diversa da quella agricola e, nello specifico, con una destinazione asseritamente artigianale.
D’altra parte la rilevanza della natura agricola dei manufatti, al fine di conseguire il titolo abilitativo edilizio, era ben presente anche al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, tanto è vero che la stessa è stata presentata formalmente per la realizzazione di un annesso agricolo, come peraltro indicato nel gravato provvedimento di rigetto (in tal senso dando consistenza al rilievo che non l’istante non è imprenditore agricolo) e solo in sede di giudizio l’odierno appellante ha dedotto la destinazione artigianale dell’annesso pertinenziale al capannone industriale.
8) Il Collegio, inoltre, osserva la rilevanza dell’altra circostanza emersa, ovverosia che il manufatto in questione è stato realizzato in un’area destinata a Parco (soggetta al Piano Territoriale del Parco istituito con la LRT n. 24 del 16.3.1994) in assenza del prescritto nulla-osta del Parco, in virtù dell’art. 13 della legge n. 394/1991 e della legge n. 431/1985 e art. 20 della LRT n. 24/1994.
L’intervento non è, pertanto, comunque suscettibile di essere sanato, ai sensi dell’art. 13 della legge 47/1985.
Come da giurisprudenza di questa Sezione, infatti, l'interpretazione dell'art. 13 della legge quadro sulle aree protette sull'ammissibilità di sanatorie urbanistico edilizie in aree perimetrate a parco è nel senso di non ammettere sanatoria di opere abusive, come quella in esame, realizzate in assenza del nulla osta dell’Ente di tutela del relativo parco (Cons. Stato Sez. VI, 6-7-2021, n. 5152).
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 17 del 2016, ha evidenziato che il nulla osta dell'art. 13 della L. n. 394 del 1991 ha a oggetto la previa verifica di conformità dell'intervento con le disposizioni del piano per il parco (che - a norma dell'art. 12 - persegue la tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente parco) e del regolamento del parco (che - a norma dell'art. 11 - disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco).
Quegli atti generali rappresentano gli strumenti essenziali e indefettibili della cura dell'interesse naturalistico e ambientale in ragione della quale è istituito il parco con il suo "speciale regime di tutela e di gestione".
“Essi disciplinano in dettaglio e per tutto il territorio del parco gli interventi e le attività vietati e quelli solo parzialmente consentiti, le loro ubicazioni, destinazioni, modalità di esplicazione e così via, secondo un disegno organico inteso a "la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale".
A differenza di una valutazione di compatibilità, la detta verifica di conformità - che solo accerta la conformità degli interventi concretamente prospettati alle figure astrattamente consentite - non comporta un giudizio tecnico-discrezionale autonomo e distinto da quello già dettagliatamente fatto e reso noto, seppure in via generale, mediante i rammentati strumenti del Piano per il parco e del Regolamento del parco.
L'interpretazione dell'Adunanza Plenaria è puntuale: "Questi strumenti, dettando i parametri di riferimento per la valutazione dei vari interventi, inverano l'indispensabile e doverosa cura degli interessi naturalistico-ambientali.
I limiti di cui si tratta sono del resto intesi essenzialmente alla preservazione del dato naturalistico e si esplicano per lo più in valutazioni generali di tipo negativo con l'indicazione di opere reputate comunque incompatibili con quella salvaguardia. Sicché detti strumenti assorbono in sé le valutazioni possibili e le traducono in precetti per lo più negativi (divieti o restrizioni quantitative), rispetto ai quali resta in concreto da compiere una mera verifica di conformità senza residui margini di apprezzamento. Il che è reso ontologicamente possibile dall'assenza, rispetto all'interesse naturalistico, di spazi per valutazioni di tipo qualitativo circa l'intervento immaginato: si tratta qui infatti, secondo una distinzione di base ripetutamente presente in dottrina a proposito delle varie declinazioni della tutela ambientale, di salvaguardare l'"ambiente-quantità", il che tecnicamente consente questo assorbimento, negli atti generali e pianificatori, della cura dell'interesse generale. Questi strumenti così definiscono ex ante le inaccettabilità o limiti di accettabilità delle trasformazioni che altrimenti caratterizzerebbero un congruo giudizio di compatibilità rispetto a quella salvaguardia."
Il citato art. 13 della legge quadro subordina il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti od opere al nulla-osta dell'Ente parco che ne verifica la compatibilità con la tutela dell'area naturale protetta (art. 13, comma 1).
Ma non riguarda opere in sanatoria. E ciò si spiega.
Si tratta infatti di evitare che l'antropizzazione del Parco segua una logica casuale e connotata dalla creazione di stati di fatto quale quella che connota talvolta inevitabilmente lo sviluppo urbano, una volta introdotta la regola generale di ammissibilità delle valutazioni postume (art. 36 del t.u. edilizia).
Con specifico riguardo alla natura del nulla-osta in argomento si evidenzia come esso sia, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, "atto diverso dall'autorizzazione paesaggistica agli interventi, agli impianti e alle opere da realizzare, in quanto atto endoprocedimentale prodromico rispetto al rilascio dell'autorizzazione stessa" (Corte cost., sentenza 29 dicembre 2004, n. 429) dotato di una sua autonomia essendo l'interesse naturalistico ambientale diverso da quello paesaggistico.
Infatti la valutazione paesaggistica postuma, entro certi limiti, dall'art. 167 comma 4 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che recita: "L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380."
Nulla di analogo è prescritto per il nulla osta ad interventi nell'ambito dei parchi.
Se ne deve desumere la radicale inammissibilità dei pareri postumi dell'Ente Parco e la natura preventiva dell'autorizzazione di cui all'art. 13 della legge quadro sulle aree protette.
Il nulla-osta si inserisce, nella trama normativa della legge quadro, come punto terminale di contatto, come elemento di congiunzione tra le esigenze superiori della protezione naturalistica e le attività economiche e sociali e va letto coordinandolo con le altre previsioni di meccanismi operativo-funzionali. In un'area integralmente protetta, infatti, sono vietate tutte quelle attività che non siano espressamente consentite dal piano e dettagliatamente disciplinate nel relativo regolamento.
Ne deriva che il legislatore, stante la prioritaria esigenza di salvaguardia e tutela di valori costituzionalmente rilevanti quali l'ambiente e la natura oggetto di protezione integrale nell'ambito delimitato dal Parco, ha costruito il nulla-osta come atto necessariamente destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi puntuali che riguardino un singolo, specifico intervento da valutarsi preventivamente… La differenza tra immobili o aree oggetto di puntuale tutela paesaggistica e le aree integralmente protette, rimesse alla tutela tramite specifici Enti Parco, e le finalità di tutela, in funzione all'antropizzazione del territorio, non consentono quindi un'applicazione della sanatoria prevista nell'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001” (Cons. Stato Sez. VI, 06-07-2021, n. 5152).
In sostanza, pertanto, in base all'art. 13 della legge sulle aree protette, possono essere ammessi solo nulla osta preventivi.
Ne deriva che, in ogni caso, il permesso di costruire in sanatoria non avrebbe potuto essere rilasciato e il provvedimento di diniego si presentava con un atto vincolato.
8) Per quanto suindicato perdono, quindi, di rilevanza le censure inerenti alla carenza di motivazione e di idonea istruttoria, volta a verificare attentamente e in concreto le caratteristiche del manufatto per il quale era stata chiesta la sanatoria e la sua compatibilità con l'area in questione.
Il diniego, difatti, risulta fondato nella sostanza ed è stato adottato sulla scorta di atti ed elementi acquisiti nel procedimento.
9) Quanto all’ultimo motivo di appello incentrato sull’incompetenza dell’organo che ha adottato il diniego adottante (l'Assessore all'Edilizia Privata, su delega del Sindaco, anziché dal competente Dirigente responsabile), il Collegio, in base a quanto anzidetto, rileva la correttezza della motivazione della sentenza gravata che ha osservato come in ogni caso l’incompetenza non avrebbe avuto effetto invalidante sul provvedimento stante la natura vincolata dell’atto gravato.
Al riguardo, il Collegio precisa come in ogni caso la segnalata natura vincolata dell’atto comporta l’applicazione dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990, che è norma di natura processuale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti e trova applicazione anche al vizio d'incompetenza relativa, il quale va qualificato come vizio dell'organizzazione e, quindi, ridonda come vizio delle norme che regolano il procedimento (Cons. Stato Sez. II, 9 gennaio 2020, n. 165).
In particolare, sull’applicabilità dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990 alla fattispecie in esame, il Collegio precisa come, secondo giurisprudenza, a tale norma deve essere data dignità giuridica di norma processuale ritenendola, dunque, applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge di riferimento (Cons. Stato, Sez. III, 22 ottobre 2020, n. 6378; Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2019, n. 4964; Cons. Stato, Sez. IV, 13/08/2018, n.4918; Sez. VI, 08/08/2014, n.4218; Sez. II, 12 marzo 2020, n. 1800; sez. II, 09 gennaio 2020, n. 165; sez. V, 15 luglio 2019, n. 4964).
Quanto all’applicabilità del medesimo art. 21-octies della L. n. 241 del 1990 al vizio di incompetenza, la giurisprudenza ha indicato che il vizio d'incompetenza relativa, che colpisca un provvedimento amministrativo perché sarebbe dovuto esser emanato da organo diverso dello stesso ente, è un mero vizio procedimentale, come tale sanabile ove l'atto stesso abbia natura vincolata e l'irrilevanza del vizio sul suo contenuto dispositivo sia palese (Cons. Stato Sez. IV, 06/08/2019, n. 5588; Cons. Stato, III, 3 agosto 2015, n. 3791).
Ai fini d'una corretta esegesi della norma, appare se non irrilevante, poco appagante la circostanza che la formula usata da quest'ultima (al comma 1) indichi l'incompetenza all'ultimo posto nella tripartizione dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo, quasi a rimarcarne la residualità o la non autonomia rispetto alla violazione di legge, a differenza di ciò che si potrebbe evincere dall'art. 29 c.p.a., ove tale vizio è richiamato per secondo. L'accertamento positivo del vizio d'incompetenza implica tuttora la rimessione della questione all'ufficio competente, ma sempre nei limiti dell'art. 21-octies, comma 2. La ragione è evidente: laddove alla P.A. non residui comunque la possibilità d'emanare un diverso provvedimento, scatta sempre il meccanismo di salvaguardia colà contemplato, in base ai generali principi di conservazione dell'atto e di strumentalità delle forme che inducono a generalizzare la portata dell'istituto dell'illegittimità 'non invalidante', per evitare che la prevalenza di considerazioni procedimentali porti la P.A. stessa alla scelta, antieconomica ed in contrasto con il principio di efficienza, di dover riavviare un procedimento i cui esiti siano ab initio scontati. Quel che prevale, dunque e pure a fronte del vizio d'incompetenza, è l'assenza del potere di scelta in capo alla P.A., in una con l'evidenza dell'inevitabilità del contenuto dispositivo dell'atto emanato. Donde l'inutilità ex lege di far constare il vizio dell'incompetenza, che va qualificato come vizio dell'organizzazione e, quindi, ridonda come vizio delle norme che regolano il procedimento." (Cons. Stato, Sez. VI, 24 ottobre n. 6048; Cons. Stato, II, parere n. 253/2019).
Questo orientamento ha trovato concorde anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione che, pronunciandosi recentemente in tema di sanzioni tributarie, ha rilevato che l'emissione di un atto di contestazione delle sanzioni, da parte di un Ufficio dell'Agenzia delle entrate cui è attribuita una diversa competenza territoriale, si traduce in un vizio solo formale quando, a mente dell'art. 21-octies, comma 2, Legge n. 241/1990, il contenuto dispositivo dell'atto stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cass. civ. Sez. V, Ord., 11 novembre 2021, n. 33287).
10) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 335/2015.
Compensa le spese del doppio gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore