IL GOVERNO DEI PROFESSORI E IL PARTITO DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO
a cura di Gianfranco Amendola
E’ almeno dal 1997 che opera in Italia il partito, assolutamente trasversale e bipartisan, delle terre e rocce da scavo il cui unico obiettivo sembra essere quello di sottrarre agli obblighi della normativa sui rifiuti le terre e rocce da scavo, specie se provenienti da lavori per gallerie e simili (ogni riferimento alla TAV non è casuale); e poco importa se sono terre schifosissime, contaminate da sostanze tossiche e pericolose per la salute e l’ambiente. Anzi, al di là delle chiacchiere, è proprio per queste che combatte il partito delle terre e rocce da scavo.
E senza esclusione di colpi: leggi ad hoc, norme mascherate, decreti ministeriali, e addirittura (che caduta di stile!) una circolare “interpretativa” (ovviamente illegittima) del Ministero dell’ambiente del 28 luglio 2000.
Il culmine sembrava essere stato raggiunto con la legge 21 dicembre 2001 n. 443 per il “rilancio delle attività produttive”, la quale arditamente “interpretava” la nozione (comunitaria) di rifiuto, sancendo, in sostanza che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie e anche se fortemente contaminate non costituiscono rifiuti. Disposizione che, come era prevedibile, veniva sonoramente bocciata, con condanna dell’Italia da Corte europea di Giustizia, terza sezione, 18 dicembre 2007, causa C-194/05. Nel frattempo, però, sulla base di questa legge (ripresa dall’art. 186 D. Lgs 152/06) venivano assolti decine di industriali italiani che avevano ridotto zone bellissime del nostro paese a ignobili discariche.
Ma la storia continuava: per adeguarsi alla UE, nel 2008 (governo Prodi), il D. Lgs n. 4/2008 tentava di riportare la materia nell’ambito dei sottoprodotti, e cioè quella categoria di residui indesiderati di produzione che, secondo la Corte europea, potevano essere considerati non rifiuti purchè il loro riutilizzo fosse certo, senza trasformazioni preliminari e avvenisse nell’ambito del processo di produzione. E quindi le terre e rocce da scavo sono sottratte alla normativa sui rifiuti solo se rispettano le condizioni per poter essere considerate sottoprodotti.
Ma ecco nuovamente in azione il partito delle terre e rocce da scavo. Il D.Lgs 205/2010 (governo Berlusconi) ridefiniva, in ossequio alla nuova direttiva rifiuti, nell’art. 184 bis, primo comma, del D. Lgs 152/06 la nozione di sottoprodotto e, al secondo comma, stabiliva che “sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché una sostanza o un oggetto specifico sia considerato sottoprodotto e non rifiuto. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità con quanto previsto dalla disciplina comunitaria. “ Contemporaneamente, l’art. 39, quarto comma, D. Lgs 205/2010 stabiliva (e stabilisce) che “dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’art. 184 bis, comma 2, è abrogato l’art. 186” .
In tal modo, con un decreto ministeriale su “criteri qualitativi e quantitativi”, si poteva abrogare la legge e sancire nuovamente l’impunità per le terre da scavo contaminate.
E così, proprio mentre il governo tornava a casa, il Ministro dell’ambiente sfornava un “regolamento” per terre e rocce da scavo talmente contrastante con tutte le leggi e con la normativa comunitaria da venire immediatamente bocciato dal Consiglio di Stato.
Siamo all’ultimo (per ora) atto.
Arriva il governo dei Professori, ma il partito delle terre e rocce da scavo non demorde.
Approfitta del decreto legge sulle liberalizzazioni per inserire un farneticante art. 49 il cui testo viene anticipato dal Sole 24 ore. Vale la pena di leggerlo.
Art. 49 - Regime utilizzo delle terre e rocce da scavo
1. Sono da considerare sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nelle more dell'emanazione del decreto del ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui al comma 2 dello stesso articolo, le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, prodotte nell'esecuzione di opere, anche se contaminate o mischiate, durante il ciclo produttivo, da acqua ovvero da materiali, sostanze o residui di varia natura, quali calcestruzzo, bentonite, Pvc o vetroresina derivanti dalle tecniche e dai materiali utilizzati per poter effettuare le attività di evacuazione escavazione con tecniche tradizionali o meccanizzate, perforazione, prerivestimento, rivestimento, consolidamento dello scavo e costruzione ed impiegate, senza alcuna trasformazione diversa dalla normale pratica industriale, intendendosi per tale anche selezione granulometrica, riduzione volumetrica, stabilizzazione a calce o a cemento, essiccamento, biodegradazione naturale degli additivi condizionanti, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione che preveda la loro ricollocazione secondo le modalità stabilite nel progetto di utilizzo approvato dalle Autorità competenti anche ai fini ambientali ed urbanistici e nel rispetto delle caratteristiche ambientali del sito di destinazione, con riferimento alle concentrazioni di tabella 1, allegato 5, parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni.
Altro che liberalizzazione! E’ una apoteosi: nelle terre da scavo, con buona pace della Cassazione, è un miracolo che ci sia anche un po’ di terra. E finalmente viene risolto il grave problema della “normale pratica industriale” nei sottoprodotti: ci rientra tutto, anche la stabilizzazione con calce e cemento che può portare a seri problemi per la salute e per l’ambiente.
Arriviamo, così all’ultimo colpo di scena. Evidentemente, in extremis, qualcuno si accorge di qualcosa perché nella Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2012 il testo dell’art. 49 del decreto legge sulle liberalizzazioni è totalmente cambiato e sancisce solo che “l'utilizzo delle terre e rocce da scavo è regolamentato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto”.
L’unica cosa chiara, a questo punto, è che la lotta continua. Il partito delle terre e rocce da scavo tenterà di sfornare un altro allucinante decreto ministeriale di “regolamentazione” per favorire i suoi amici. E così non si capirà più niente. Perché la regolamentazione già esiste e per legge (art. 186). E il nuovo decreto (che è diverso da quello previsto dal comma 2 dell’art. 184 bis) non potrà abrogarla.
Comunque vada, è veramente una vergogna nazionale.