Il materiale da costruzione e demolizione e la normativa sui rifiuti.
di Giulio FORLEO
La gestione dei rifiuti prodotti nei cantieri è uno dei fenomeni che presentano una elevata criticità ambientale dal momento che i rifiuti da demolizione e costruzione costituiscono, da soli, circa il 40% dei rifiuti totali prodotti.
La maggiorparte dei problemi di questa categoria di rifiuti è data dalla estrema variabilità della sua composizione,dovuta sia alla diversa origine dei rifiuti, sia a molteplici altri fattori quali le tipologie e le tecniche costruttive locali, il clima, l’attività economica e lo sviluppo tecnologico della zona, nonché le materie prime e i materiali da costruzione localmente disponibili1.
A differenza delle terre e rocce da scavo per le quali è prevista la specifica disciplina di cui all’art. 186 D.L.vo 152/2006, che ne esclude la sottoposizione alla normativa sui rifiuti, per quanto riguarda i materiali da demolizione e costruzione il legislatore li ricomprende direttamente nella categoria dei rifiuti, salvo poi specificare la eventuale riconducibilità, previa verifica delle condizioni di cui all’art. 184 bis, alla categoria dei sottoprodotti.
Ai sensi dell’art. 184, comma 3, lett. b, infatti, “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano da attività di scavo, fermo restando quanto previsto dall’art. 184 bis” sono considerati rifiuti speciali.
Per una completa e chiara analisi normativa del materiale da costruzione e demolizione, è necessario valutare separatamente la disciplina legislativa applicabile a seconda che i materiali da costruzione e demolizioni rientrino nella categorie dei rifiuti, dei sottoprodotti o delle materie prime seconde.
1 – Rifiuti – Vista la eterogeneità dei materiali di scarto conseguenti ai processi di lavoro del settore urbanistico-edilizio (costruzione, demolizione o ristrutturazione di un immobile), essi possono rientrare nelle categorie rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi.
La classe generale dei codici CER da applicare in questi casi è quella di cui al n. 17, rubricato, appunto, “Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione”.
Ciò non toglie che, vista la varietà delle tipologie di rifiuti, vi siano rifiuti diversamente qualificabili quali quelli che possono essere prodotti nelle normali attività di costruzione e demolizioni (esempio, i rifiuti da imballaggi), oppure quelli pericolosi2 derivanti da attività di costruzione e demolizione, singolarmente individuati e regolamentati, come ad esempio l'amianto in matrice cementizia o polimerica.
Quanto al soggetto produttore del rifiuto di cantiere, in particolare del rifiuto da costruzione e demolizione, la giurisprudenza maggioritaria indica il soggetto che esegue materialmente i lavori di costruzione e demolizione3.
Ciò vuol dire che nell’ipotesi di lavori affidati in subappalto, il produttore del rifiuto risulterà essere l’esecutore materiale dei lavori definiti nel contratto d’appalto (quindi il subappaltatore), al quale spetterà, inoltre, tutta la gestione operativa dei rifiuti, nonché gli oneri amministrativo- burocratici ad essa collegati.
Nel caso in cui, invece, un’impresa di costruzioni debba effettuare lavori che prevedono lo smaltimento di rifiuti già qualificati come tali, il produttore del rifiuto risulterà essere l’ente appaltante o comunque il proprietario del bene da smaltire.
Per quanto riguarda il luogo di produzione dei rifiuti da costruzione e demolizione, esso si intende il cantiere in cui hanno avuto luogo le lavorazioni. Ne consegue che le modalità di gestione del rifiuto (ad esempio: corretta classificazione, selezione e cernita del rifiuto, modalità del deposito temporaneo) ed i relativi obblighi amministrativi saranno a carico del cantiere.
Una deroga a tale regola è prevista dall’art. 230 del D.L.vo 152/2006 là dove stabilisce che il luogo di produzione dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione alle infrastrutture, effettuata direttamente dal gestore dell’infrastruttura a rete e degli impianti per l’erogazione di forniture e servizi di interesse pubblico o tramite terzi, può coincidere con la sede del cantiere che gestisce l’attività manutentiva o con la sede locale del gestore dell’infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione ovvero il luogo di concentramento dove il materiale tolto d’opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, finalizzata all’individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento.
Una volta stabilito che l’impresa che effettua i lavori presso un cantiere è produttrice del rifiuto ed è responsabile della corretta gestione del deposito temporaneo presso il luogo di produzione, ne consegue logicamente che è anche responsabile della corretta modalità di trasporto4 del rifiuto verso il luogo di recupero e smaltimento5.
2 – Sottoprodotti – Fermo restando quanto detto sopra in merito alla espressa qualificazione dei materiali da costruzione e demolizione come rifiuti, l’eventuale assoggettamento alle disposizione più favorevoli dei sottoprodotti, in deroga alla disciplina ordinaria sui rifiuti, richiede la dimostrazione di tutti i requisiti di cui all’art. 184 bis del D.L.vo 152/06.
Anche alla luce delle modifiche apportate al codice dell’ambiente dal D.L.vo 205/2010 al fine di qualificare un materiale come sottoprodotto rimane fermo l’obbligo della sussistenza contestuale di tutti i requisiti stabiliti dal D.L.vo 152/2006, nonché l’onere della loro prova a carico di chi ne invoca l’applicazione6.
Come da costante giurisprudenza sul punto, infatti, i materiali di risulta di costruzioni e demolizioni rientrano nella nozione generale dei rifiuti, trattandosi di cose oggettivamente destinate all’abbandono, a nulla rilevando l’intenzione di riutilizzo da parte del detentore, la cui facoltà di recupero è condizionata a determinati adempimenti, in mancanza dei quali i materiali in questione vanno considerati comunque, cose di cui il detentore ha l’obbligo di disfarsi7 .
Allo stesso modo la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni precisato che i rifiuti da demolizione vanno tenuti distinti dalle rocce e terre da scavo, così come definite dall’art. 186 del D.L.vo 152/2006.
Identico ragionamento viene fatto per la diversa categoria del c.d. fresato d’asfalto, di quel materiale cioè che proviene da attività di scavo e distruzione del manto stradale.
Anche in questo caso esso è, per consolidata giurisprudenza8, un rifiuto, nello specifico sussumibile nella nozione di rifiuti da costruzioni e demolizioni.
Pertanto, non rientrano neppure nella previsione di favore di cui all’art. 186 D.L.vo 152/2006, in quanto non essenzialmente costituiti da terriccio e ghiaia ma anche da pezzi di asfalto e calcestruzzo, qualificabili come rifiuti non pericolosi.
3 – Materie prime seconde – Nel rispetto dei parametri tassativamente elencati nell’art. 184 ter del D.L.vo 152/2006 ed in conformità alla definizione fornita dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998, i materiali da demolizione restano fuori sia dalla definizione di sottoprodotto che di rifiuto in quanto costituiscono materie prime secondarie. Queste ultime, a differenza dei sottoprodotti, derivano sempre da un processo di recupero dei rifiuti e le stesse sono soggette alla normativa sulla gestione dei rifiuti sino al momento in cui non occorrono ulteriori trasformazioni per il successivo impiego.
L’applicazione della disciplina dei rifiuti fino al completamento delle operazioni è sancita dal comma 5 dell’art. 184 ter, il quale prevede testualmente che “la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.
Un ulteriore aspetto fondamentale delle materie prime secondarie è la conformità ai criteri che, ai sensi dell’art. 184 ter, comma 2, saranno adottati con uno o più decreti del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1998, n. 400.
Nelle more dell’adozione di detti decreti, per gli inerti da demolizione e costruzione continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998.
La disciplina fornisce ai punti 7.1 e 7.6 i parametri di riferimento per gli inerti da demolizione e costruzione di fabbricati e per i conglomerati bituminosi. Quindi, nel rispetto della disciplina tecnica delineata dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998, è possibile generare dai materiali di risulta delle attività di demolizione e costruzione delle materie prime secondarie.
In tale prospettiva, la giurisprudenza della Corte di Cassazione tende ad escludere la sussistenza di una materia prima secondaria quando vi sia carenza di una duplice prova riguardo al rispetto delle caratteristiche tecniche specifiche richieste dal D.m. 5 febbraio 1998 e all’effettiva ed oggettiva destinazione all’utilizzo9.
Con il D.L.vo 205/2010 si è previsto che, entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 dell’elenco dei rifiuti, deve essere aumentata almeno al 70 per cento in termini di peso.
1 A livello semplicemente esplicativo, si riportano le composizioni percentuali medie del rifiuto di demolizione in Italia.
Categoria di rifiuto % in peso sul totale:Calcestruzzo 30% (Calcestruzzo non armato 10%;Calcestruzzo armato 20%); Laterizio (tegole, mattoni, forati) 50%; Asfalti 5%; Scavi 6-10%; Carta e cartone 0.6-4%; Metallo 3%;Varie 1-1.4 % (Dati Linee guida sui rifiuti speciali 2007– Costruzione e demolizione a cura di Arpa Liguria).
2 I materiali ed i prodotti utilizzati in edilizia possono emettere composti altamente tossici (cancerogeni o allergenici), composti irritanti e composti con sconosciute proprietà tossiche. In generale i materiali ed i prodotti edilizi possono rilasciare i seguenti inquinanti:a) inquinanti di natura fisica: radon e prodotti di decadimento; b) composti organici volatili e semivolatili, in particolare formaldeide, solventi organici aromatici e antiparassitari; c) inquinanti biologici: funghi, muffe, batteri; d) fibre minerali naturali e artificiali: amianto, lana di vetro, lana di roccia.
3 v. ex multis Cass. pen., sez. III, 19 ottobre 2004, n. 40618. Per correttezza è opportuno segnalare che esiste un orientamento giurisprudenziale, peraltro minoritario, che tende a definire come “produttore” del rifiuto il soggetto committente, soprattutto quando questo sia il proprietario dell’opera o titolare del permesso di costruire. In quest’ultimo senso si veda Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2000, n. 4957.
4 Sul punto, va osservato che, "in tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di trasporto illecito oggi disciplinato dal D.L.vo. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, la movimentazione dei rifiuti che pur avendo avuto inizio in area privata, sia obiettivamente finalizzata al loro trasporto all'esterno a tale area, non essendo applicabile in questo caso la norma derogatoria di cui all'art. 193, comma 9, del citato Decreto che sottrae alla disciplina dei rifiuti esclusivamente il trasporto in aree private a condizione che lo stesso sia finalizzato ad una diversa sistemazione dei rifiuti all'interno delle predette aree ed in quanto i rifiuti medesimi non siano destinati all'esterno" Cass. sez. III n. 5312/2008, RV. 239055. Ne consegue che il trasporto di tali rifiuti, anche se prodotti nell'esercizio della medesima attività d'impresa, richiede l'iscrizione all'Albo nazione di cui al D.L.vo n. 22 del 1997, art. 30 stante che "integro il reato di cui al D.L.vo n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, il trasporto di rifiuti propri non pericolosi, sebbene effettuato in via eccezionale, nel caso in cui il produttore, non avvalendosi delle prestazioni di imprese esercenti servizi di smaltimento regolarmente autorizzate ed iscritta all'Albo nazionale dei gestori ambientali, abbia utilizzato mezzi propri non autorizzati" Cass. sez. III n. 8300/2010, RV 246334.
5 Le situazioni più comuni riscontrabili nell’ambito dei cantieri sono: a) Trasporto dei rifiuti dal cantiere all’ impianto di conferimento mediante imprese abilitate ed iscritte all’ Albo Gestori Ambientali (art. 212 D.L.vo 152/2006); b) Trasporto dei rifiuti dal cantiere all’ impianto di conferimento mediante mezzi di proprietà dell’ impresa produttrice del rifiuto. L’ impresa dovrà risultare abilitata al trasporto ed iscritta all’ Albo Gestori Ambientali. Nel caso di trasporto di rifiuti propri speciali non pericolosi, è prevista una modalità di iscrizione semplificata; c) Trasporto di rifiuti nell’ambito del cantiere di lavorazione fino al luogo adibito a “deposito temporaneo” oppure a centro di stoccaggio provvisorio. Questa modalità di trasporto del rifiuto è abbastanza frequente in grandi opere infrastrutturali che si sviluppino su svariati chilometri di tracciato. Dovrà comunque essere specificatamente autorizzata (si tratta spesso di prescrizioni contenute nella VIA, a cui questo genere di grandi opere è generalmente sottoposto).
6 Sul punto v. Cass. pen, sez. III, 13 aprile 2011, n. 16727, in Rifiuti, bollettino di informazione normativa, luglio 2011, n. 186, pag. 29.
7 v. Cass. sez. III, 18 novembre 2010, n. 40860, Di Costanzo.
8 Si veda, da ultimo, Cass. pen., sez. III, 29 aprile 2011, n.16705, in Rifiuti, bollettino di informazione normativa, luglio 2011, n. 186, pag. 31.
9 Cfr. Cass., Sez. III, n. 30127 del 2004, RV. 229467: "i materiali provenienti da demolizione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi e possono essere riutilizzati nello stesso od in diverso ciclo produttivo - ad esempio nelle opere di riempimento - previo preventivo "test di cessione" degli stessi, in conformità al D.M. 5 febbraio 1998, in modo da non recare pregiudizio all'ambiente; in assenza del menzionato test ogni recupero dei materiali cosiddetti risulta integra la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. a)”.