Cass. Sez. 3 n. 5431 del 6 febbraio 2017 (Ud 22 set 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Riccardi Imputato: Galeano e altri
Beni culturali.Contraffazione di opere d'arte e causa di non punibilità

L'annotazione di non autenticità dell'opera d'arte, contenuta nell'art. 179, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n.42, ai fini della non punibilità del detentore di copie di opere d'arte, è irrilevante allorquando la detenzione avvenga per la fruizione ed il godimento esclusivamente personale, non ricorrendo, in tal caso, il pericolo di offesa al bene giuridico tutelato dalle fattispecie incriminatrici previste dall'art.178, D.Lgs. n.42 del 2004.



 RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 09/01/2013 il Tribunale di Milano condannava Mi.An. e Gi.Se. alla pena di 9 anni di reclusione per i reati di cui all'art. 416 c.p. e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, comma 1, lett. b) e c), e comma 2, ad esclusione delle opere detenute presso G.R., per aver, in concorso con B.T., esecutore materiale delle false opere d'arte, giudicato separatamente, costituito un'associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione e commercializzazione di opere d'arte contemporanea a firma del maestro A.F., ricettazione e truffa (capo A), e detenuto e messo in commercio esemplari falsamente riprodotti di oltre 500 opere d'arte (capo C, in esso assorbiti i reati di riproduzione illecita, truffa e ricettazione di cui ai capi B, D, E ed I); condannava F.G., M.A. e G.S. alla pena di anni 8 di reclusione per i reati per i reati di cui all'art. 416 c.p. e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, comma 1, lett. b) e c), e comma 2, e art. 640 c.p., ad esclusione delle opere detenute presso G.R., per aver, in concorso con Mi. e Gi., costituito un'associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione e commercializzazione di opere d'arte contemporanea a firma del maestro A.F., ricettazione e truffa (capo G), detenuto e messo in commercio esemplari falsamente riprodotti di oltre 500 opere d'arte (capo I), truffato gli acquirenti dei quadri apparentemente firmati da A.F., con artifici e raggiri consistiti nell'attestazione di autenticità delle opere (capi L e M).

2. Con sentenza del 15/10/2015 la Corte di Appello di Milano dichiarava l'inammissibilità dell'appello del P.G. sulla misura di sicurezza, e, in parziale riforma, assolveva Gi. e Mi. dal reato di ricettazione di cui al capo E, rideterminando la pena in anni 5 e mesi 6 di reclusione per Gi. e Mi., in anni 4 e mesi 6 per M. e F., e in anni 3 per G.S..

3. Hanno proposto ricorso, tramite il difensore, Avv. Tommaselli Andrea, con due distinti atti, Mi.An. e Gi.Se., chiedendo l'annullamento della sentenza, e deducendo sette motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

3.1. Violazione di legge per omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello: lamentano che il decreto di citazione sia stato notificato al difensore a mezzo PEC il 30/03/2015, nonostante gli imputati avessero eletto domicilio in (XXX), rispettivamente, a (XXX) ( Mi.) e a (XXX) ( Gi.); con l'ordinanza del 07/05/2015 la Corte di Appello rigettava l'eccezione, sul rilievo che la notifica presso il domicilio eletto non si fosse perfezionata, perchè il primo trasferito, ed il secondo sconosciuto; tuttavia, deducono i ricorrenti, la notifica al difensore risulta precedente rispetto a quella tentata presso il domicilio dell'imputato.

3.2. Violazione di legge in relazione all'incompetenza per territorio del Tribunale di Milano: lamentano che la competenza spettasse all'A.G. di Venezia, ove materialmente i quadri venivano falsificati, erronea essendo la decisione del GUP di Milano e poi della Corte di Appello di Milano, secondo cui la programmazione, ideazione e direzione dell'attività associativa delinquenziale venisse consumata in (XXX), presso la (XXX), dove confluivano le autenticazioni dei quadri; deducono che la competenza per i reati associativi si radica nel luogo di consumazione dei reati-fine, che, nel caso in esame, sono stati realizzati nello studio pittorico di B.T. in (XXX).

3.3. Vizio di motivazione in relazione al reato associativo: lamentano che fa sentenza impugnata non abbia individuato gli elementi strutturali dell'associazione, e la consapevolezza della partecipazione; richiamando diffusamente l'elaborazione giurisprudenziale sul reato di associazione per delinquere (p. 9-14), si sostiene che la reiterazione delle condotte possa essere qualificata in termini di concorso di persone in reato continuato.

3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'omessa rinnovazione dell'istruttoria, mediante espletamento di una perizia sulla falsità delle opere, nonchè l'esame di Me.El., vedova di C., del Prof. Ga.Fr., di B.T. e di P.S.: lamentano che sia stata ritenuta sufficiente la valutazione tecnica dei C.T. del P.M., Prof. Q. e Bo., nonostante si tratti di valutazioni fondate più sull'esperienza pratica, che sullo studio scientifico, e che non siano state correttamente considerate le valutazioni espresse da alcuni galleristi costituiti parti civili - quali V.V., Mo.Pa., e Mu.Ra., di contrario avviso rispetto a quelle dei consulenti.

Sotto diverso profilo, si lamenta che dovesse essere esclusa la consapevolezza degli imputati della falsità dei quadri: Gi.Se. escludeva tale consapevolezza fin dall'interrogatorio di garanzia; egli aveva acquistato nel 2001 moltissime opere di A.F. da C.A., il massimo conoscitore dell'opera del maestro, e detentore dell'archivio del pittore; e tale consapevolezza non emergerebbe dalle intercettazioni telefoniche, nè dai rapporti con B., che era in possesso di alcune opere di A.F. in quanto aveva ricevuto incarico di provvedere al restauro.

3.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della partecipazione qualificata di cui all'art. 416 c.p., comma 1.

3.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

3.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla omessa pronuncia sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche.

4. Ricorre per cassazione il difensore di G.S., Avv. Tomassini Lorenzo, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla omessa pronuncia sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche.

4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla omessa pronuncia sulla richiesta di rideterminazione della pena, in quanto eccessiva.

4.3. Vizio di motivazione in ordine alla partecipazione al reato associativo: lamenta che avendo agito in concorso con F., sia stato ritenuto partecipe di un'associazione anche con M., che agiva tramite un sito internet; l'associazione non può essere desunta dalla mera consapevolezza della falsità delle opere commercializzate dalla (XXX) e da G.S..

5. Ricorre per cassazione il difensore di M.A., Avv. Dondi Stefania, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

5.1. Violazione di legge processuale: erroneamente il Tribunale di Milano non sospendeva l'istruttoria in seguito al sisma del maggio 2012, come previsto dal D.L. 6 giugno 2012, n. 74, ritenendo esservi una rinuncia tacita, in quanto l'imputato era assistito da un difensore di fiducia che non ha formulato l'istanza di sospensione; essendo l'imputato assente o contumace, il rinvio andava disposto d'ufficio.

5.2. Violazione di legge in relazione all'art. 493 c.p.p., comma 3: lamenta che il consenso all'acquisizione dell'informativa contenente le intercettazioni fosse stato prestato con l'esclusione di opinioni, giudizi e valutazioni; illegittimo sarebbe dunque il rigetto dell'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni.

5.3. Violazione di legge in relazione all'associazione per delinquere: lamenta l'omessa motivazione sugli elementi strutturali del reato, limitandosi la sentenza ad una apodittica affermazione dei ruoli.

6. Ricorre per cassazione il difensore di F.G., Avv. Cantafio Daniele, deducendo sette motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

6.1. Nullità della sentenza per incompetenza territoriale: lamenta che l'eccezione proposta in appello sia stata erroneamente ritenuta tardiva, sul presupposto che, indicando l'A.G. di Bologna, fosse nuova rispetto a quella proposta in precedenza, che indicava l'A.G. di Roma; l'eccezione di competenza era fondata, in quanto la sentenza di 1^ grado riconosceva due associazioni, una "milanese" ed una "bolognese", che avevano solo legami e rapporti di interesse, in quanto Gi. e Mi. venivano assolti dalla seconda associazione; l'attività è avvenuta nel laboratorio di G., in (XXX).

6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione: lamenta che la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, avanzata il 18/11/2011, sia stata decisa, dopo una richiesta di integrazione documentale, solo il 26/03/2012; nel frattempo, il difensore di fiducia aveva rinunciato al mandato, non potendo sostenere le spese difensive in mancanza di ammissione al patrocinio, per poi riassumere la difesa in seguito; tale ritardo nell'ammissione avrebbe compresso il diritto di difesa dell'imputato, in quanto all'udienza del 26/3/2012 il difensore d'ufficio, oltre ad essere incompatibile, in quanto patrono anche di Gi. e Mi., prestava il consenso all'utilizzabilità della relazione riepilogativa del 27/03/2009.

6.3. Violazione di legge processuale: contesta l'utilizzabilità di intercettazioni telefoniche inammissibili in quanto illegittimamente acquisite e non trascritte; peraltro, il consenso era stato prestato con il limite delle letture consentite.

6.4. Vizio di motivazione e di omessa assunzione di prova decisiva: lamenta che l'affermazione di responsabilità sia fondata su due perizie illogiche e contraddittorie, in assenza di valutazione tecnico-scientifiche, e senza assumere la pur richiesta perizia.

6.5. Vizio di motivazione: lamenta che l'intercettazione della conversazione tra F. e G.S. (n. 223 del 01/12/2008), alla quale la sentenza ha attribuito valore confessorio, sia in realtà suscettibile di diversa interpretazione, alla stregua della quale egli si sentirebbe vittima di una truffa; del resto, l'estraneità dell'imputato è dimostrata anche dalla tracciabilità dei pagamenti e dalla forma scritta dei contratti.

6.6. Vizio di motivazione: è stata ritenuta l'esistenza di un'associazione, nonostante la costituzione di due sole parti civili, che svaluterebbe la prova dell'accordo criminoso, e del programma indeterminato di illeciti.

6.7. Vizio di motivazione in relazione ai reati-fine: la responsabilità è stata affermata sulla base soltanto della partecipazione all'associazione, non risultando che abbia negoziato i quadri falsi.

7. Ricorre per cassazione il difensore della parte civile G.R., Avv. Vergata Maurizio, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

7.1. Vizio di motivazione in ordine alla dichiarazione di falsità delle opere detenute, e non oggetto dei reati contestati: lamenta che la decisione sia immotivata, e fondata solo sul parere del CT PM;

7.2. Violazione di legge in ordine all'annotazione di falsità: la sentenza non poteva restituire un'opera falsa, con apposizione di non autenticità; è vietato commercializzare un quadro falso, non già detenerlo per uso esclusivamente personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di M.A. è fondato limitatamente al primo motivo.

Assorbente appare, infatti, la violazione di legge processuale lamentata dal ricorrente con riferimento alla mancata sospensione dell'istruttoria dibattimentale in seguito all'evento sismico del maggio 2012 verificatosi in Emilia Romagna, secondo quanto previsto dal D.L. 6 giugno 2012, n. 74.

La sentenza impugnata ha, infatti, rigettato l'eccezione proposta con l'atto di appello, rilevando che l'imputato era già contumace fin dall'udienza del 28/09/2011, e che il difensore di fiducia non aveva mai sollevato l'eccezione nel corso del giudizio di 1^ grado, nè aveva formulato istanza di sospensione del processo; in tal senso, ha ritenuto essere intervenuta una rinuncia tacita ad avvalersi della sospensione del processo, non essendo, nel processo penale, indispensabile una rinuncia "espressa" al rinvio, come previsto, invece, dall'art. 6, comma 3 cit. per i processi civili e amministrativi; l'art. 6, comma 8, infatti, prevede soltanto l'inoperatività della sospensione qualora le parti "rinuncino" alla stessa, senza menzionare la necessità di una rinuncia espressa.

L'interpretazione è, tuttavia, errata.

Il D.L. n. 74 del 2012, art. 6, comma 7, invero, dispone: "Nei processi penali in cui, alla data del 20 maggio 2012, una delle parti o dei loro difensori, nominati prima della medesima data, era residente nei comuni colpiti dal sisma: (...) b) salvo quanto previsto al comma 8, il giudice, ove risulti contumace o assente una delle parti o dei loro difensori, dispone d'ufficio il rinvio a data successiva al 31 dicembre 2012".

Il successivo comma 8 prevede: "(...) La sospensione di cui al comma 7 non opera, altresì, qualora le parti processuali interessate o i relativi difensori rinuncino alla stessa".

Il rinvio del processo, contemplato dal D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, commi 7 e 8, (conv. in L. 1 agosto 2012, n. 122) in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di (XXX), (XXX), (XXX), (XXX), (XXX) e (XXX), è, dunque, un rinvio "d'ufficio" (in tal senso, ex multis, Sez. 4, n. 36280 del 21/06/2012, Forlani, Rv. 253563; Sez. 6, n. 47272 del 05/11/2015, Paletta, non massimata), come espressamente sancito dal comma 7; e la rinuncia alla sospensione, prevista dal successivo comma 8, non può che essere espressa, atteso che il rinvio deve essere disposto d'ufficio ove risulti contumace l'imputato.

Nel caso in esame, risulta che alla data del 6 giugno 2012 (data di entrata in vigore della disposizione) l'imputato era residente nel comune di (XXX), in provincia di (XXX), colpito dal suddetto sisma; che, nonostante la contumacia dell'imputato, il processo non è stato rinviato e il Tribunale di Milano ha celebrato il dibattimento, pervenendo a decisione. Ne consegue che, celebrando ugualmente il dibattimento, il Tribunale di Milano ha violato il diritto all'intervento e all'assistenza dell'imputato, incorrendo nella nullità generale di cui all'art. 178 c.p.p., lett. c), tempestivamente dedotta attraverso l'atto di appello, e poi reiterata con il presente ricorso per cassazione.

La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio nei confronti di M.A., con trasmissione degli atti al Tribunale di Milano per nuovo giudizio.

2. Il ricorso di Mi.An. e Gi.Se. è fondato limitatamente al motivo concernente l'omessa pronuncia sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, essendo nel resto inammissibile.

2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

I ricorrenti lamentano che il decreto di citazione per il giudizio di appello sia stato notificato al difensore a mezzo PEC il 30/03/2015, nonostante gli imputati avessero eletto domicilio in (XXX), rispettivamente, a (XXX) ( Mi.) e a (XXX) ( Gi.); con l'ordinanza del 7/05/2015 la Corte di Appello rigettava l'eccezione, sul rilievo che la notifica presso il domicilio eletto non si fosse perfezionata, perchè il primo trasferito, ed il secondo sconosciuto; tuttavia, deducono i ricorrenti, la notifica al difensore risulta precedente rispetto a quella tentata presso il domicilio dell'imputato.

Al riguardo, giova premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l'eccezione relativa alla violazione dell'art. 161 c.p.p., comma 4, nella notifica all'imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello rientra nella sfera di operatività delle nullità a regime intermedio cosicchè deve essere dedotta prima della deliberazione della sentenza nello stesso grado (Sez. 5, n. 2314 del 16/10/2015, dep. 2016, Moscatiello, Rv. 265710, che ha precisato che la notifica ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, è consentita, ma non imposta, nel caso di temporanea assenza dell'imputato presso il domicilio eletto ravvisando, al più, una irregolarità procedurale nella successiva notifica tramite raccomandata con avviso di ricevimento in luogo della notifica presso il difensore); è valida la notificazione avvenuta mediante consegna al difensore dell'indagato irreperibile di un'unica copia dell'atto da comunicare, con l'espressa indicazione che la notifica è inviata al difensore in proprio ed in rappresentanza del sottoposto alle indagini (Sez. 6, n. 39176 del 15/09/2015, El Hassani, Rv. 264571, in una fattispecie relativa alla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale dinanzi al Tribunale del riesame, effettuata mediante invio al difensore tramite "pec" di un unico atto; in senso analogo, Sez. 6, n. 36020 del 24/05/2011, Rossattini, Rv. 250777: "La notificazione avvenuta mediante consegna al difensore di fiducia di un'unica copia dell'atto da notificare (nella specie, il decreto di citazione dell'imputato per il giudizio di appello) è valida se risulti esplicitato, o sia comunque desumibile, che la notificazione stessa è stata eseguita in proprio e nella veste di domiciliatario dell'imputato".

Nel caso in esame, dall'accesso agli atti consentito alla Corte di Cassazione allorquando venga dedotto il vizio di violazione di legge processuale (ex multis, Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092: "In tema di impugnazioni, allorchè sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un "error in procedendo" ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) -, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all'esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) - del citato articolo, quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione"), emerge che la notifica del decreto di citazione a giudizio in appello, emesso il 27/03/2015, sia stata prima tentata, infruttuosamente, presso il domicilio eletto di Mi.An. - in (XXX), (XXX) - e di Gi.Se. - in (XXX), (XXX) -, e, successivamente, eseguita presso il difensore di fiducia, Avv. Tomaselli Andrea, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, con espressa esplicitazione della qualità ("in proprio e ai sensi art. 161 c.p.p., comma 4 per gli imputati").

Nè, del resto, rileva, se non come mera irregolarità, priva di effetti invalidanti del procedimento di notificazione, la circostanza che la notifica ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, sia stata eseguita il 30/03/2015, dopo l'invio della notifica presso i domicili eletti dagli imputati, ma prima che venisse attestato il mancato rinvenimento degli interessati; infatti, la situazione di impossibilità della notifica presso il domicilio eletto dagli imputati non è venuta meno, e dunque era del tutto legittima la notifica al difensore di fiducia ex art. 161 c.p.p., comma 4.

Peraltro, non è stato indicato il concreto pregiudizio derivato alla conoscenza dell'atto e all'esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, n. 34558 del 10/05/2012, P., Rv. 253276: "E' inammissibile, per difetto di specificità del motivo, l'impugnazione (nella specie, il ricorso per cassazione) con cui si deduca la nullità della notifica di un atto in ragione della sua effettuazione a mezzo fax presso il difensore di fiducia e non al domicilio dichiarato dall'imputato, ove il ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato in ordine alla conoscenza dell'atto stesso e all'esercizio del diritto di difesa").

2.2. Il secondo motivo, concernente la dedotta incompetenza per territorio, è manifestamente infondato.

E' principio pacifico che, in tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l'associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il "pactum sceleris", quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura (Sez. 2, n. 23211 del 09/04/2014, Morinelli, Rv. 259653; Sez. 2, n. 26763 del 15/03/2013, Leuzzi, Rv. 256650; Sez. 5, n. 44369 del 13/03/2014, Robusti, Rv. 262920).

Tanto premesso, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi appena richiamati, rilevando che la competenza per territorio dell'A.G. di Milano è stata determinata sulla base del fatto che la vendita dei falsi dipinti, avvenuta su tutto il territorio nazionale, anche mediante internet, era stata ideata e programmata a (XXX), ove aveva sede la (XXX), punto di riferimento per l'attività illecita accertata, perchè forniva l'autenticazione dei falsi dipinti, e ne garantiva l'inserimento nel catalogo delle opere di A.F., gestito dalla medesima società; rileva, dunque, il luogo di ideazione e programmazione dell'attività illecita, ove è stata effettuata l'attività di autenticazione e catalogazione propedeutica alla commercializzazione delle opere; non rileva, al contrario, quale criterio di determinazione della competenza per territorio, la frazione di condotta - meramente esecutiva, e logicamente e cronologicamente accessoria alla condotta di ideazione e programmazione - rappresentata dall'esecuzione dei falsi dipinti, da parte del B., in (XXX).

2.3. Il terzo motivo, concernente il vizio di motivazione in relazione al reato associativo, è manifestamente infondato.

Premesso che la motivazione della sentenza di primo grado e quella della sentenza di appello si integrano vicendevolmente (ex multis, Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, Haggag; Sez. 2, n. 5112 del 02/03/1994, Palazzotto, rv 198487: "in materia di impugnazione, anche in base al nuovo codice di procedura penale, la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sul punto denunciato, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile. Ne consegue che la motivazione adottata dal primo giudice vale a colmare le eventuali lacune di quella d'appello"; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595: "Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione"), e dunque, in caso di c.d. "doppia conforme", i limiti del sindacato di legittimità sulla adeguatezza della motivazione risultano maggiormente angusti, in quanto la dimensione della decisione impugnata deve ritenersi integrata, nella dimensione della giustificazione, anche dalla sentenza di primo grado, va osservato che la ricostruzione dei due sodalizi criminosi è stata delineata, con diffusi richiami alle fonti di prova, innanzitutto dalla sentenza di primo grado, che, sul punto, necessariamente integra la sentenza di appello; la sentenza di appello, infatti, per la stessa conformazione del mezzo di impugnazione, connotato dal principio devolutivo, non può e non deve ripercorrere e reiterare l'intera ricostruzione dei fatti, dovendosi, al contrario, pronunciare soltanto nei limiti delle censure devolute con gli atti di appello.

Con riferimento alla dedotta carenza degli elementi costitutivi del reato associativo, ed alla deduzione secondo cui la reiterazione delle condotte dovesse essere qualificata in termini di concorso di persone nel reato continuato, giova rammentare che il discrimen tra reato associativo e concorso di persone nel reato continuato risiede nel fatto che in quest'ultimo l'accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno che li prevede tutti (Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, Torchia, Rv. 260292); il criterio distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato va individuato nel carattere dell'accordo criminoso, che nell'indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati - anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche Helmi, Rv. 258009).

Tanto premesso, la sentenza impugnata risulta avere congruamente motivato in ordine all'operatività dell'associazione per delinquere tra Gi., Mi. e B. (capo A), rilevando l'esistenza di un laboratorio, adoperato dal falsario del sodalizio, B., per la realizzazione di falsi dipinti di A.F., poi immessi sul mercato, e della (XXX), il cui legale rappresentante era Mi., che, in quanto titolare dell'archivio A.F., rilasciava i certificati di autenticità delle opere dell'artista; la sentenza, al riguardo, ha altresì rilevato la "diffusività" dell'attività di falsificazione e successiva commercializzazione delle opere false, quale indice della permanenza del vincolo associativo, e non già di un mero concorso di persone in reato continuato.

La motivazione appare, dunque, immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, avendo fondato la qualificazione giuridica del reato associativo coerentemente alle risultanze probatorie, dalle quali era emerso che l'organizzazione per la falsificazione delle opere di A.F. presso il laboratorio di B., e per la successiva commercializzazione, da parte di Gi. e Mi., previo rilascio di un falso certificato di autenticità da parte della (XXX), era stabile e preordinata alla commissione non già di un numero determinato e programmato, bensì di un numero indeterminato di reati.

2.4. Il quarto motivo, concernente l'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, è manifestamente inammissibile.

Invero, la sentenza impugnata ha, con motivazione logica, e perciò insindacabile in sede di legittimità, rigettato le richieste di rinnovazione dell'istruttoria, dedotte al fine di accreditare la versione della "buona fede" sull'autenticità dei dipinti, in quanto il compendio probatorio valutato era del tutto univoco, e la consapevolezza della falsità delle opere attribuite a A.F. era stata sostanzialmente "confessata" dagli imputati nel corso delle conversazioni telefoniche intercettate, allorquando discutevano di quadri venduti che "puzzano ancora di vernice" ( F.), di vendita di "500 falsi che hanno autenticato" ( G.S. e M.); ulteriori conversazioni di particolare significatività sono, del resto, richiamate nella sentenza impugnata (a p. 36), ed emerge anche il nome di un teste ( Ga.Fr.) che gli odierni ricorrenti avrebbero voluto esaminare nel corso della rinnovazione del dibattimento.

Quanto alle doglianze concernenti l'asserita insufficienza delle valutazioni tecniche dei consulenti tecnici del P.M. - Prof. Q. e Bo. -, si tratta di censure inammissibili, in quanto propongono una sostanziale richiesta di rivalutazione probatoria delle fonti, sulla base, peraltro, di richiami parcellizzati del materiale probatorio.

In tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428).

Del resto, è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441).

Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perchè contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961).

2.5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata ha, infatti, riconosciuto il ruolo apicale dell'associazione per delinquere in capo a Mi. e Gi. in maniera logica e coerente con le risultanze probatorie, con motivazione che, immune da censure di illogicità, tanto meno manifeste, è insindacabile in sede di legittimità.

Invero, Mi. era il legale rappresentante della (XXX), e si occupava altresì della commercializzazione delle false opere, mentre Gi. era un "coamministratore" della (XXX), collaborava nella commercializzazione delle false opere, si occupava personalmente della commercializzazione mediante il sito e-bay, a lui si rivolgevano i sodali dell'associazione "bolognese" per le autentiche dei quadri falsi, molti dei quali, tra l'altro, sono stati rinvenuti nella sua disponibilità.

2.6. Il sesto motivo, concernente la determinazione del trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato.

A prescindere dal rilievo che la pena inflitta è stata determinata in prossimità del minimo edittale (pena base per il reato associativo pari a anni 3 e mesi 6 di reclusione, con modesti aumenti per la continuazione con i reati-fine), e che è stata, tra l'altro, sensibilmente ridotta rispetto al 1^ grado (allorquando la pena era stata determinata in 9 anni di reclusione), è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).

2.7. Il settimo motivo è, invece, fondato.

La sentenza impugnata, infatti, ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, in tal senso integrando il vizio di omessa motivazione.

Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Gi.Se. e Mi.An., limitatamente alla concedibilità delle attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

3. Il ricorso di G.S. è fondato limitatamente al motivo concernente l'omessa pronuncia sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, essendo nel resto inammissibile.

3.1. Il primo motivo è fondato.

La sentenza impugnata, infatti, ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, in tal senso integrando il vizio di omessa motivazione.

Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di G.S., limitatamente alla concedibilità delle attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

3.2. Il secondo motivo, con il quale si lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di rideterminazione della pena, in quanto eccessiva, è manifestamente infondata, in quanto la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato G.S. alla pena di anni 8 di reclusione, ha appunto rideterminato la pena nella complessiva sanzione di anni 3 di reclusione.

3.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.

Il ricorrente concentra le proprie doglianze sulla motivazione relativa alla partecipazione al reato associativo, sostenendo che, pur avendo talvolta agito in concorso con F., egli è stato ritenuto automaticamente sodale anche di M., che, tuttavia, operava autonomamente, commercializzando opere false attraverso un sito internet, e che, comunque, non sarebbe sufficiente la mera consapevolezza della falsità delle opere per desumerne la partecipazione ad una associazione per delinquere.

La sentenza impugnata è, tuttavia, immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, avendo congruamente motivato in ordine all'operatività dell'associazione per delinquere tra M., F. e G.S. (capo G), rilevando l'esistenza di un laboratorio, adoperato dal falsario del sodalizio, G.S., per la realizzazione di falsi dipinti di A.F., poi immessi sul mercato, e della (XXX), galleria on line gestita da M., che rivendeva i quadri falsi realizzati da G.S. o acquistati dalla (XXX), che, in quanto titolare dell'archivio A.F., rilasciava i certificati di autenticità delle opere dell'artista, anche per quanto concerne le opere false realizzate da G..

In ordine alla consapevolezza del G. di partecipare, con la propria condotta di falsificazione delle opere, ad un'associazione per delinquere, della quale faceva parte lo stesso M., la sentenza impugnata ha evidenziato che, oltre alla piena consapevolezza della destinazione dei quadri falsificati, che "puzzano ancora di vernice" (conv. n. 223 del 1/12/2008 tra F. e G.), G.S. era in contatto diretto anche con M., il quale gli riferiva che i contatti con (XXX) (cioè con la (XXX) di Gi. e Mi.), evidentemente per il rilascio delle autentiche, erano ormai gestiti dal solo F. (conv. n. 186 del 12/12/2008) (p. 32 della sentenza impugnata).

4. Il ricorso di F.G. è inammissibile.

4.1. Il primo motivo, concernente la dedotta incompetenza per territorio, è manifestamente infondato.

E' principio pacifico che, in tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in particolare, considerato che l'associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta attività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il "pactum sceleris", quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l'operatività della struttura (Sez. 2, n. 23211 del 09/04/2014, Morinelli, Rv. 259653; Sez. 2, n. 26763 del 15/03/2013, Leuzzi, Rv. 256650; Sez. 5, n. 44369 del 13/03/2014, Robusti, Rv. 262920).

Tanto premesso, come già evidenziato infra p. 2.2. (a proposito dei ricorsi di Gi. e Mi.), la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi appena richiamati, rilevando che la competenza per territorio dell'A.G. di Milano è stata determinata sulla base del fatto che la vendita dei falsi dipinti, avvenuta su tutto il territorio nazionale, anche mediante internet, era stata ideata e programmata a (XXX), ove aveva sede la (XXX), punto di riferimento per l'attività illecita accertata, perchè forniva l'autenticazione dei falsi dipinti, e ne garantiva l'inserimento nel catalogo delle opere di A.F., gestito dalla medesima società; rileva, dunque, il luogo di ideazione e programmazione dell'attività illecita, ove venga effettuata l'attività di autenticazione e catalogazione propedeutica alla commercializzazione delle opere; non rileva, al contrario, quale criterio di determinazione della competenza per territorio, la frazione di condotta - meramente esecutiva, e logicamente e cronologicamente accessoria alla condotta di ideazione e programmazione - rappresentata dall'esecuzione dei falsi dipinti, da parte del G., in (XXX).

A prescindere, dunque, dalla questione della tardività o meno dell'eccezione, la Corte di Appello di Milano ha ritenuto infondata nel merito l'eccezione di incompetenza per territorio, correttamente evidenziando che l'assoluzione di Gi. e Mi. dall'associazione contestata al capo G doveva ritenersi irrilevante ai fini dell'individuazione del giudice competente, per il principio della c.d. perpetuatio jurisdictionis.

In tal senso, infatti, va rammentato che, in tema di competenza, il vincolo tra i reati, determinato dalla connessione, costituisce criterio originario ed autonomo di attribuzione di competenza indipendentemente dalle successive vicende relative ai procedimenti riuniti: ne deriva che la competenza così radicatasi resta invariata per tutto il corso del processo, per il principio della "perpetuatio iurisdictionis", anche in caso di assoluzione dell'imputato dal reato più grave che aveva determinato la competenza anche per gli altri reati (Sez. 2, n. 3662 del 21/01/2016, Prisco, Rv. 265783).

4.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto la rinuncia al mandato difensivo è un atto rientrante nell'autonomia professionale del difensore costituito, che prescinde dal momento di decisione della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Le conseguenti doglianze, relative alle scelte processuali del difensore nominato d'ufficio, sono altresì inammissibili, rientrando nel legittimo ambito dell'autonomo esercizio del diritto di difesa, e non potendo, perciò, essere revocate o messe in discussione dal difensore di fiducia successivamente (ri)nominato.

4.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto le intercettazioni utilizzate, richiamate nella relazione informativa del 27/03/2009, sono state acquisite, all'udienza del 26/03/2012, ai sensi dell'art. 493 c.p.p., comma 3, con il consenso delle parti, e l'esclusione concerneva soltanto i riferimenti a opinioni e giudizi di tipo valutativo, come evidenziato altresì nella sentenza impugnata (p. 26).

4.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

Invero, la sentenza impugnata ha, con motivazione logica, e perciò insindacabile in sede di legittimità, rigettato le richieste di rinnovazione dell'istruttoria, e la stessa richiesta di perizia avanzata dal F., in quanto il compendio probatorio valutato era del tutto univoco, e la consapevolezza della falsità delle opere attribuite a A.F. era stata sostanzialmente "confessata" dagli imputati nel corso delle conversazioni telefoniche intercettate, allorquando discutevano di quadri venduti che "puzzano ancora di vernice" ( F.), di vendita di "500 falsi che hanno autenticato" ( G.S. e M.); ulteriori conversazioni di particolare significatività sono, del resto, richiamate nella sentenza impugnata (a p. 36).

Quanto alle doglianze concernenti l'asserita illogicità e la contraddittorietà delle valutazioni tecniche dei consulenti tecnici del P.M. - Prof. Q. e Bo. -, si tratta di censure inammissibili, in quanto, come già evidenziato infra p. 2.4., propongono una sostanziale richiesta di rivalutazione probatoria delle fonti, sulla base, peraltro, di richiami parcellizzati del materiale probatorio (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441; Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961).

4.5. Il quinto motivo è inammissibile, in quanto, oltre a sollecitare una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità, appare una inammissibile doglianza fondata su una selezione, parziale ed arbitraria, del compendio probatorio; viceversa, la valutazione delle prove deve rispondere a criteri di completezza, globalità e unitarietà dell'esame, che non può essere, al contrario, atomistico e parcellizzato (ex multis, Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, Knox, Rv. 255677)

La doglianza, infatti, propone una sostanziale richiesta di rivalutazione probatoria delle fonti, sulla base, peraltro, di richiami parcellizzati del materiale probatorio, e di una lettura alternativa di un singola conversazione intercettata tra F. e G.S. (la n. 223 del 01/12/2008, con il riferimento ai quadri che "puzzano ancora di vernice").

Al riguardo, nel ribadire che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441), giova rammentare che è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).

In ogni caso, con riferimento al profilo del travisamento, va osservato che, in seguito alle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (ex multis, Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099); mentre è invece, consentita la deduzione del vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (ex multis, Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli, Rv. 236893).

Anche in merito alla doglianza concernente la pretesa illogicità dell'interpretazione delle intercettazioni telefoniche, va rammentato che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).

Nel caso in esame, la particolare pregnanza semantica dei dialoghi intercettati - aventi ad oggetto quadri "che puzzano ancora di vernice" - è stata valutata in maniera logica dai giudici di merito anche in coerenza con gli ulteriori, pure significativi, elementi probatori, quali il sequestro di numerosi dipinti contraffatti ed il rinvenimento di due laboratori dove le opere venivano predisposte.

4.6. Il sesto ed il settimo motivo, concernenti il vizio di motivazione in relazione all'esistenza di un'associazione per delinquere, ed in relazione ai reati-fine, che meritano una valutazione congiunta, sono manifestamente infondati.

Con riferimento alla dedotta carenza degli elementi costitutivi del reato associativo, ed alla deduzione secondo cui la costituzione di due sole parti civili farebbe venir meno la prova di un accordo per la commissione di una pluralità indeterminata di reati, la doglianza è manifestamente infondata, in quanto la decisione degli acquirenti di opere contraffatte di costituirsi parte civile in sede penale prescinde non soltanto dalla consumazione dei reati-fine, ma a maggior ragione dal perfezionamento del reato associativo.

In altri termini, l'associazione per delinquere tra M., F. e G.S. (capo G) è stata affermata sulla base di univoci elementi, tra i quali l'esistenza di un laboratorio, adoperato dal falsario del sodalizio, G.S., per la realizzazione di falsi dipinti di A.F., poi immessi sul mercato, e della (XXX), galleria on line gestita da M., che rivendeva i quadri falsi realizzati da G.S. o acquistati dalla (XXX), che, in quanto titolare dell'archivio A.F., rilasciava i certificati di autenticità delle opere dell'artista, anche per quanto concerne le opere false realizzate da G., nonchè sul carattere stabile, e non meramente occasionale, dell'accordo criminoso, in quanto diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, Debbiche Helmi, Rv. 258009).

La circostanza che abbiano deciso di costituirsi soltanto due parti civili, a prescindere dal rilievo che non esclude la costituzione dei danneggiati dai reati in sede civile, non oblitera la tipicità, nè, tanto meno, la prova del reato associativo, essendo emersa in maniera processualmente certa la non autenticità delle opere commercializzate come dipinte dal maestro A.F..

Anche la censura relativa alla mancanza di prova in ordine alla partecipazione ai reati-fine appare del tutto infondata, in quanto è emerso che F., quale partecipe del sodalizio criminoso, manteneva i contatti con Gi. e Mi. per l'acquisto di opere false di A.F. da immettere sul mercato, e per l'autenticazione delle opere false realizzate da G.S., sempre ai fini della successiva commercializzazione; in tal modo fornendo un contributo significativo ed essenziale all'operatività del sodalizio.

5. Il ricorso di G.R., parte civile, è parzialmente fondato.

5.1. Il primo motivo è inammissibile, sollecitando una rivalutazione probatoria del merito - l'autenticità o falsità di alcune opere rinvenute presso l'odierno ricorrente -, non consentita in sede di legittimità, in quanto concernente valutazioni ed apprezzamenti di fatto immuni da vizi logici, essendo basate su una motivazione avente ad oggetto gli esiti della consulenza tecnica.

Al riguardo, va rammentato che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perchè contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961).

5.2. Il secondo motivo è fondato.

Il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 179, richiamato dalla sentenza impugnata per fondare l'annotazione della falsità sulle opere dissequestrate e restituite al G.R., dispone: "Le disposizioni dell'art. 178 non si applicano a chi riproduce, detiene, pone in vendita o altrimenti diffonde copie di opere di pittura, di scultura o di grafica, ovvero copie di oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico, dichiarate espressamente non autentiche all'atto della esposizione o della vendita, mediante annotazione scritta sull'opera o sull'oggetto o, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell'imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all'atto della esposizione o della vendita. Non si applicano del pari ai restauri artistici che non abbiano ricostruito in modo determinante l'opera originale".

Ebbene, premesso che le opere sequestrate, e successivamente restituite, a G.R. non sono oggetto di imputazioni nei suoi confronti, la pronuncia di falsità, in quanto accessoria alla sentenza di condanna, può riguardare i corpi di reato nella disponibilità degli imputati.

In ogni caso, il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 179 prevede una causa di non punibilità la cui estensione concerne la detenzione di copie di opere, allorquando la non autenticità sia espressamente dichiarata all'atto della "esposizione" o della "vendita"; in altri termini, l'obbligo di espressa indicazione della non autenticità diviene attuale, in capo al detentore delle copie di opere, allorquando decida di porle in "vendita" ovvero di "esporle" (Sez. 6, n. 39474 del 24/09/2008, Trancalini, Rv. 242126: "In tema di contraffazione di opere d'arte, per la configurabilità del reato non è necessario che l'opera sia qualificata come autentica, ma è sufficiente che manchi la dichiarazione espressa di non autenticità, atteso che la punibilità del fatto è esclusa, ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 179, in caso di dichiarazione espressa di non autenticità all'atto dell'esposizione o della vendita, mediante annotazione scritta sull'opera o sull'oggetto ovvero, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell'imitazione, con dichiarazione rilasciata all'atto dell'esposizione o della vendita"); l'annotazione di non autenticità deve ritenersi, al contrario, irrilevante allorquando le copie di opere siano detenute nella sfera strettamente privata del detentore, per la fruizione ed il godimento esclusivamente personale, non ricorrendo, in tal caso, il pericolo di offesa al bene giuridico tutelato dalle fattispecie incriminatrici di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178.

Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte, nell'affermare che l'imitazione, o la riproduzione, non punibile di opere d'arte assume rilievo solo se chi riproduce, detiene, pone in vendita o altrimenti diffonde copie delle opere, dichiara espressamente la non autenticità delle stesse (Sez. 3, n. 4084 del 25/02/2000, Ginori, Rv. 216161), ha chiarito - seppur con riferimento al previgente D.P.R. n. 490 del 1999, art. 128, che prevedeva che le disposizioni del precedente art. 127, che puniva la contraffazione di opere d'arte e la loro messa in commercio, non si applicassero, tra l'altro, a chi pone in vendita copie di opere di pittura dichiarate espressamente non autentiche mediante annotazione sull'opera stessa ovvero, quando ciò non sia possibile, in dichiarazione separata - che, in tal caso, non potendo configurarsi reato, non è possibile disporre la confisca di un quadro dichiaratamente falso, nè è possibile, una volta confermata in appello l'assoluzione dal reato di commercio di un quadro contraffatto, oggetto, ciò nonostante, di confisca in primo grado, disporne la restituzione, subordinandola all'apposizione, su di esso, di una dicitura di accertata contraffazione in sede giudiziaria, essendone lecita la detenzione per uso esclusivamente personale (Sez. 3, n. 10058 del 23/06/2000, Fumarola, Rv. 217004).

Va pertanto annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.R., relativamente alla annotazione di non autenticità delle opere.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna di F.G. al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00: infatti, l'art. 616 c.p.p. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 c.p.p., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 c.p.p..

I ricorrenti G.S., F.G., Mi.An. e Gi.Se. vanno, altresì, condannati alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, Ga.Lu., V.V. e G.R., che si liquidano, sulla base dei valori medi del D.M. n. 55 del 2014, in complessivi Euro 3.500,00, oltre accessori di legge e spese generali, per ciascuno di essi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.S., Mi.An. e Gi.Se. limitatamente alla concedibilità delle attenuanti generiche con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.A. e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Milano.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.R., relativamente alla annotazione di non autenticità delle opere.
Dichiara inammissibili i ricorsi di G.S., F.G., Mi.An. e Gi.Se. nel resto.
Condanna F.G. alla rifusione delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna G.S., F.G., Mi.An. e Gi.Se. alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Ga.Lu., V.V. e G.R., che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre ad accessori di legge e spese generali, per ciascuno di essi.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.