Trib. Palermo Sez. IV Fallimentare sent. 11 febbraio 2010
Rifiuti. Dichiarazione stato di insolvenza del gestore della raccolta RSU
Sentenza che ha dichiarato lo stato di insolvenza della società che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti su Palermo (l'AMIA e il Comune di Palermo, socio unico, non hanno proposto opposizione avverso la sentenza e con successivo decreto del 12/04/2010 l'AMIA è stata messa effettivamente in amministrazione straordinaria).
TRIBUNALE DI PALERMO
Sezione IV Civile e Fallimentare
Il Tribunale di Palermo, Sezione IV Civile e Fallimentare, composto dai sig.ri magistrati:
dott. Antonio NOVARA Presidente
dott. Aldo DE NEGRI Giudice
dott. Giacomo Maria NONNO Giudice relatore
riunito in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei procedimenti riuniti iscritti ai nn. 4 R.S.I. dell’anno 2009, per la dichiarazione dello stato di insolvenza e di fallimento, e 318 R.G.A.C.C. dell’anno 2009, per la dichiarazione di fallimento, nei confronti di
AMIA s.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore Gaetano Lo Cicero - nato a Palermo il 29/03/1948 e ivi residente, piazza G. Verdi n. 6 - con sede legale in Palermo, via P. Nenni n. 28, società avente partita IVA 04797190826 e iscritta nel Registro delle imprese con il R.E.A. n. PA-217771.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con istanza dell’8/10/2009, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo - a seguito di indagini svolte nel procedimento penale R.G.N.R. n. 16777/08, relativo al reato di false comunicazioni sociali ex art. 2622 c.c. contestato agli amministratori - ha presentato ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza di AMIA s.p.a. ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 270/1999 ovvero, in subordine, per la dichiarazione di fallimento della medesima società ai sensi degli artt. 6 e 7 l.f., evidenziando l’incapacità della stessa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Con separato ricorso del 15/10/2009, la Ecolpower s.r.l. ha chiesto la dichiarazione di fallimento di AMIA s.p.a., deducendo di vantare un credito di euro 710.274,62 in virtù del mancato (parziale) pagamento del servizio di prelievo, trasporto e smaltimento del percolato prodotto dalla discarica di Bellolampo (Palermo) presso gli impianti autorizzati; servizio aggiudicato, a seguito di apposita gara, all’A.T.I. formata tra la stessa Ecolpower s.r.l. (società capogruppo) e la Trasporti Vecchi Zironi s.r.l. (società mandante).
2. La convenuta, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle istanze proposte deducendo, nell’ordine: a) la carenza di legittimazione attiva del P.M. a proporre sia l’istanza per dichiarazione dello stato di insolvenza ex art. 3 d.lgs. n. 270/1999, sia la richiesta per dichiarazione di fallimento ex art. 6 l.f.; b) la carenza di legittimazione attiva della Ecolpower s.r.l. a proporre ricorso per dichiarazione di fallimento ex art. 6 l.f., per l’inesistenza di un credito effettivamente esigibile, avendo la stessa creditrice tacitamente aderito alla proposta di dilazione di pagamento formulata dalla debitrice; c) l’insussistenza della propria qualità di imprenditore commerciale, dovendo essa ritenersi, a tutti gli effetti, ente pubblico in senso sostanziale, non soggetto, dunque, né alle norme sul fallimento (art. 1 l.f.), né a quelle sull’amministrazione straordinaria (art. 1 d.lgs. n. 270/1999); d) la non configurabilità, nel caso concreto, di una oggettiva condizione economica, qualificabile in termini di insolvenza irreversibile; e) in via subordinata, la sicura ricorrenza dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 2 d.lgs. n. 270/1999 per l’ammissione della società alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria.
3. In data 27/12/2009 la Ecolpower s.r.l. ha depositato in Cancelleria dichiarazione di rinuncia al ricorso. Con nota pervenuta in Cancelleria in data 20/01/2010, il Ministero dello Sviluppo Economico ha fatto pervenire il proprio parere ai sensi dell’art. 7 d.lgs. n. 270/1999, designando, per il caso di dichiarazione di insolvenza, tre Commissari giudiziali. All’udienza tenutasi sempre in data 20/01/2010, udite le conclusioni del P.M. e dei difensori di AMIA s.p.a. ed acquisita la copiosa documentazione prodotta dalle parti (unitamente agli originari atti difensivi e in corso di causa), il procedimento è stato trattenuto in decisione.
4. Va prima di tutto dichiarata l’improcedibilità del ricorso per dichiarazione di fallimento proposto dalla Ecolpower s.r.l., disponendone conseguentemente l’archiviazione (Cass. n. 21834/2009). Invero, è noto che, con la riforma della legge fallimentare, è stato abrogato il potere, prima riconosciuto al tribunale, di dichiarare il fallimento d’ufficio, cosicché il ritiro del ricorso da parte del creditore procedente (in ciò sostanziandosi quella che viene comunemente definita “desistenza”) impedisce la definizione del procedimento nel merito, dovendo lo stesso arrestarsi con una pronuncia in rito.
5. Passando all’esame delle domande proposte dal Procuratore della Repubblica, riveste carattere pregiudiziale l’esame dell’eccezione di AMIA s.p.a., con la quale si assume la carenza di legittimazione attiva del P.M. non solo a richiedere il fallimento della società, ma anche ad agire perché venga dichiarato lo stato di insolvenza ex art. 3 d.lgs. n. 270/1999.
5.1. La legittimazione del P.M. a presentare la richiesta di fallimento si fonda sull’art. 6 l.f. Il successivo art. 7, n. 1, l.f. chiarisce che il P.M. presenta detta richiesta «quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore».
Nel caso di specie, il P.M. ha espressamente dichiarato - nel contesto della propria istanza - che lo stato di insolvenza di AMIA s.p.a. è emerso nel corso del procedimento penale che ha condotto a contestare agli ex amministratori della società il reato di false comunicazioni sociali. Inoltre, il materiale probatorio relativo a tali indagini è stato puntualmente versato nel presente procedimento. Non v’è, dunque, dubbio alcuno in ordine alla legittimazione del P.M..
L’art. 7, n. 1, l.f. va, infatti, correttamente interpretato nel senso di attribuire alla congiunzione “ovvero” una portata esplicativa - e non già limitativa - delle situazioni legittimanti il potere di richiesta del P.M. che potrebbero verificarsi nel corso di un procedimento penale; riconducibili, dunque, solo esemplificativamente, ma non tassativamente, a quelle specificamente indicate dalla norma. Una diversa interpretazione finirebbe per escludere ingiustificatamente - con profili di dubbia legittimità costituzionale, sotto il profilo della irragionevolezza di un trattamento diversificato ex art. 3 Cost. - la legittimazione del P.M. con riferimento ad ipotesi similari a quelle indicate dalla norma (basti pensare, ad es., all’ipotesi di dolosa sopravvalutazione dell’attivo, in certo qual modo analoga, sotto il profilo delle conseguenze economiche, a quella della sua diminuzione fraudolenta).
5.2. Quanto sopra riferito sarebbe già ampiamente sufficiente ad escludere ogni perplessità in ordine alla legittimazione attiva del P.M., anche con riferimento al ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza ai fini della procedura di amministrazione straordinaria; invero, è la stessa difesa della convenuta a ricostruire teoricamente la carenza della titolarità del potere in capo al rappresentante pubblico, facendo riferimento alla recente modifica dell’art. 7 l.f..
È comunque assorbente il rilievo che all’accertamento dello stato di insolvenza ex art. 3 d.lgs. n. 270/1999 il tribunale può procedere anche d’ufficio per espressa previsione di legge; cosicché il ricorso di parte (del p.m., del debitore o di qualsiasi creditore) assume, in tale contesto (e analogamente a quanto avveniva in passato per la procedura fallimentare), anche la valenza di semplice segnalazione al giudice, volta a sollecitare i suoi autonomi poteri (e andando, dunque, ben oltre la natura di esercizio di azione, sia pure a contenuto meramente processuale).
Pertanto, nel caso di specie, indipendentemente da una effettiva legittimazione del P.M. ai sensi degli artt. 6 e 7 l.f., ovvero dalla rinuncia della Ecolpower s.r.l., questo Tribunale ben può utilizzare gli atti di impulso di parte come segnalazioni idonee a fondare l’esercizio del proprio potere officioso di pronunciarsi sulla dichiarazione dello stato di insolvenza di AMIA s.p.a.; e ciò in piena sintonia con il proprio ruolo di terzietà emergente dalla sentenza n. 240/2003 della Corte costituzionale.
Né può ragionevolmente sostenersi - come pure sembra ritenere la difesa di AMIA s.p.a. - che, in assenza di un’abrogazione espressa, l’iniziativa officiosa, espunta dal sistema della legge fallimentare, sia venuta meno anche nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, perché questa è procedura concorsuale con presupposti, caratteristiche e finalità del tutto differenti dal fallimento (in senso analogo, Trib. Udine, sentenza 9 luglio 2009).
6. La difesa della parte convenuta ha, altresì, eccepito che la società - costituita su iniziativa del Comune di Palermo (che ne è anche unico azionista) con delibera consiliare del 27/09/2001, a seguito della trasformazione della Azienda Municipalizzata Igiene Ambientale, dapprima in AMIA Azienda Speciale e, quindi, in AMIA s.p.a. - svolgerebbe esclusivamente attività di igiene ambientale, costituente servizio pubblico essenziale ed istituzionale dell’Ente territoriale. Come tale, non rientrerebbe tra i soggetti fallibili ex art. 1 l.f. e, dunque, nemmeno sottoponibili ad amministrazione straordinaria.
Invero, l’attività svolta da AMIA s.p.a. non potrebbe dirsi imprenditoriale, in quanto: a) difetterebbe lo scopo di lucro, poiché il corrispettivo del servizio reso è determinato autoritativamente ed unilateralmente dall’unico committente, nonché configurato in misura tale da escludere addirittura la stessa economicità della gestione (pareggio dei costi con i ricavi), provvedendo il Comune a coprire il disavanzo; b) sarebbe svolta non per il mercato, ma esclusivamente in favore del Comune di Palermo e per affidamento diretto (attività cd. in house).
Non svolgendo attività imprenditoriale, ad AMIA s.p.a., indipendentemente dalla sua “veste” esteriore di società per azioni, dovrebbe essere riconosciuta la natura sostanziale di ente pubblico. Ciò in virtù di vari indici presuntivi, che vengono individuati: I) nella genesi procedimentale, che, come detto, trova fondamento in un atto unilaterale del Comune di Palermo, emesso sulla base dell’art. 115 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, T.U.E.L.); II) nella specialità della disciplina applicabile; III) nei particolari poteri di controllo ed indirizzo spettanti all’Ente locale, socio unico che la finanzia regolarmente, del tutto analoghi a quelli esercitati con riferimento agli altri servizi pubblici essenziali; IV) nella strumentalità dell’attività esercitata dall’azienda rispetto all’attività comunale; V) nel controllo della Corte dei conti.
Le predette considerazioni non possono, tuttavia, essere condivise.
Capovolgendo, per ragioni di logica espositiva, i termini problematici della questione, occorre prima di tutto accertare se AMIA s.p.a. sia un ente pubblico in senso sostanziale e, quindi, esclusa tale qualifica, verificare se, svolgendo (o avendo svolto) attività imprenditoriale, sia effettivamente qualificabile alla stregua di un normale imprenditore collettivo.
6.1. Venendo al primo nodo interpretativo, ritiene il Tribunale che gli indici sintomatici indicati dal procuratore della convenuta non sono così pregnanti da superare il chiaro dato formale, che fa di AMIA s.p.a. una società di capitali, sia pure a partecipazione pubblica; e, dunque, un soggetto di diritto privato.
In primo luogo, va ricordato che è immanente nel diritto amministrativo e costituzionale il principio generale secondo cui nessun ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge. Tale principio è stato espressamente “codificato” (in termini, per così dire, ricognitivi, essendone nota la preesistenza) dall’art. 4 l. n. 70/1975, recante disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici.
Non deve, dunque, sorprendere che la trasformazione della ex azienda municipalizzata in società per azioni sia avvenuta sulla base di una norma di legge (l’art. 115 T.U.E.L.), che ha dettato specificamente le modalità con le quali si sarebbe dovuto procedere alla costituzione della società: se, infatti, è necessaria una norma di legge per l’istituzione di un ente pubblico, è ugualmente necessaria una norma di legge per la sua sostituzione con una figura soggettiva di diritto privato, qual è la società per azioni.
Secondariamente, il codice civile ben conosce quella particolare forma di società per azioni rappresentata dalla società con partecipazione dello Stato o di altri enti pubblici (art. 2449 c.c.). Questa norma, peraltro, si limita a prevedere che, nel caso in cui non si faccia ricorso al capitale di rischio, lo statuto di tali società può conferire all’ente la possibilità di nominare gli amministratori e i sindaci in misura proporzionale alla sua partecipazione al capitale sociale. Per il resto, si applicano integralmente le norme relative alle società di capitali, salva la peculiarità che gli amministratori e i sindaci nominati dall’azionista pubblico non possono restare in carica più di tre esercizi e non possono essere revocati se non dall’ente che li ha nominati.
Orbene, la difesa di AMIA s.p.a. assume che la disciplina applicabile alla società convenuta sarebbe “speciale”, ma, in verità, non si comprende in cosa consiste tale specialità, poiché lo statuto si limita alla pedissequa applicazione e specificazione di una norma di legge, l’art. 2449 c.c., che non sottrae in alcun modo l’ente alla normale regolamentazione delle società di capitali.
La convenuta osserva, ulteriormente, che il Comune di Palermo esercita sull’attività svolta da AMIA s.p.a., vale a dire quella di igiene ambientale, un controllo capillare, analogo a quello che l’Ente locale esercita sui rami della propria amministrazione, tenuto anche conto del fatto che il servizio è stato affidato alla società in via diretta, senza un procedimento di scelta del contraente fondato sull’evidenza pubblica. Il controllo sull’organizzazione e gestione del servizio, sulla configurazione ed approvazione del piano industriale annuale e sulle scelte di politica industriale sarebbero, dunque, tali da stravolgere il sistema di esercizio e ripartizione delle competenze in materia di società per azioni, delineato dal codice civile.
In realtà, una semplice lettura dello Statuto di AMIA s.p.a., anche nella sua ultima formulazione, derivante dalle modifiche del 28/01/2009, evidenzia chiaramente che l’organizzazione dell’ente collettivo (assemblea, organo amministrativo e collegio sindacale) è del tutto analoga a quella di una società per azioni, con le sole peculiarità derivanti dalla partecipazione al capitale del Comune di Palermo, ai sensi dell’art. 2449 c.c..
Inoltre, se è vero che l’art. 28 dello Statuto prevede, effettivamente, in capo all’Ente pubblico titolare del capitale sociale l’esercizio sulla società di un «controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi» (co. 1), nonché la sottoposizione al controllo e alla vigilanza dell’Ente locale «in ordine alla gestione dei servizi pubblici locali oggetto di affidamento» (co. 2); è altrettanto vero che «l’esercizio del controllo dell’Amministrazione Comunale si esplica mediante l’attribuzione delle competenze, previste dagli artt. 18 e 19 del presente statuto, all’Assemblea dei Soci».
In buona sostanza, lungi dal derogare ai meccanismi propri di funzionamento della società di capitali, il Comune di Palermo esercita il controllo sulla gestione di AMIA s.p.a. attraverso la partecipazione all’assemblea dei soci; utilizzando, dunque, in via esclusiva i poteri a questa spettanti, tra i quali, ad es., anche quelli di fissare gli obiettivi della società ovvero gli standards qualitativi del servizio in affidamento da rendere.
In altri termini, i penetranti poteri esercitati dal Comune di Palermo con riferimento alla gestione di AMIA s.p.a. derivano unicamente dalla circostanza che l’Ente territoriale è l’unico azionista della società e vengono esercitati proprio in ragione di tale sua qualità. Insomma, le modalità di svolgimento dei rapporti tra Ente territoriale e società, puntualmente trasfuse nello Statuto, non sono tali da privare quest’ultima della sua piena autonomia: il funzionamento della stessa viene condizionato non già dai poteri pubblicistici del Comune, ma dai poteri privati esercitati dagli organi statutari, secondo le regole del diritto societario (Cass. S.U. n. 7799/2005).
La fattispecie sottoposta all’attenzione di questo Tribunale è, dunque, ben diversa da quelle oggetto di altri provvedimenti giurisdizionali citati da parte convenuta, nei quali è stata riconosciuta la sussistenza di un ente pubblico in senso sostanziale in ipotesi di intervento pubblico nell’organizzazione societaria di gran lunga più pregnante.
Vale la pena di evidenziare ulteriormente che il rapporto tra AMIA s.p.a. e Comune di Palermo, con riferimento al servizio di igiene ambientale, è regolato integralmente da un contratto di servizio (prodotto in atti), il quale ha natura di un vero e proprio accordo di diritto privato, fonte di diritti ed obblighi per le parti che lo hanno sottoscritto, normalmente tutelabili davanti al giudice ordinario.
La scelta del Comune di Palermo di affidare - con lo strumento privatistico del contratto di servizio - la gestione di un servizio pubblico essenziale ad una società di capitali, sia pure a partecipazione totalitaria (o maggioritaria) dell’Ente locale, piuttosto che provvedere al suo espletamento in una delle diverse forme previste dall’allora vigente testo dell’art. 113 T.U.E.L., è stata dettata da una legittima valutazione dell’interesse pubblico e giustificata con la considerazione che «la società per azioni consente (…), rispetto all’azienda speciale, maggiore possibilità di accrescere l’autonomia finanziaria e gestionale dell’impresa nei riguardi del Comune e di valorizzare le sue capacità di sviluppo anche attraverso la partecipazione a nuove iniziative economiche (…)» (si veda la già citata delibera comunale istitutiva della società).
Non è dubitabile, pertanto, che il Comune di Palermo ha volutamente scelto il modello privatistico della società per azioni (non imposto da una specifica disposizione di legge, che lo rendeva obbligatorio) rispetto al modello pubblicistico della azienda speciale per l’affidamento in gestione di un servizio pubblico essenziale. E, del resto, è noto che non è certo la natura pubblica del servizio esercitato che può connotare come pubblico o privato il soggetto che tale servizio esercita, ben potendo i servizi pubblici essenziali essere svolti anche da soggetti privati (ne è prova evidente il d.l. n. 134/2008, conv. con modificazioni nella l. n. 166/2008, che ha previsto una particolare forma di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria per le società operanti nei servizi pubblici essenziali e aventi i requisiti dimensionali di cui all’art. 1 d.l. n. 347/2003, conv. con modificazioni nella l. n. 347/2003).
Da ultimo, la difesa di AMIA s.p.a. evidenzia, quale ulteriore indice della natura di ente pubblico sostanziale della società, la permanenza sugli enti pubblici trasformati in s.p.a. del controllo della Corte dei conti, così come ritenuto dalla sentenza n. 466/1993 della Corte costituzionale. L’argomento, in realtà, non è convincente, perché dovrebbe indurre a negare la qualifica di società privata a tutte le società con partecipazione pubblica totalitaria o prevalente, qualora le stesse siano soggette al controllo della magistratura contabile.
In realtà, la Corte costituzionale si è limitata a giustificare la legittimità dei controlli della Corte dei conti facendo riferimento alla permanenza dell’apporto finanziario pubblico, sotto forma di partecipazione azionaria esclusiva o prevalente, alla struttura economica dei nuovi soggetti derivanti dalle cd. privatizzazioni, senza soffermarsi specificamente sulla natura giuridica di tali soggetti.
Del resto, che le società cd. in mano pubblica siano normalmente enti privati a tutti gli effetti, tanto che i propri amministratori, pur nominati dall’azionista pubblico, sfuggono alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, è stato da ultimo efficacemente chiarito dalla sentenza n. 26806/2009 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
6.2. Una volta accertato che AMIA s.p.a. non è un ente pubblico in senso sostanziale, non essendo rinvenibili, nel complesso delle disposizioni legislative che la riguardano, direttamente o indirettamente, elementi che consentano di definirla tale, deve verificarsi se l’attività svolta dalla convenuta possa qualificarsi come attività imprenditoriale.
In proposito, le considerazioni svolte dalla difesa di AMIA s.p.a. partono dall’essenziale presupposto che la società svolge, come sua esclusiva attività economica, la gestione del servizio di raccolta dei rifiuti per conto del Comune di Palermo, nell’ambito del territorio comunale, sulla base di tariffe sostanzialmente imposte e senza conseguimento di uno scopo di lucro.
Tuttavia, come è stato correttamente evidenziato anche dal P.M. nella sua memoria del 21/12/2009, la delibera comunale n. 456 del 27/09/2001, istitutiva di AMIA s.p.a., evidenzia chiaramente che, con la costituzione di tale società, il Comune di Palermo - lungi dall’ipotizzare il semplice affidamento in house del servizio di gestione rifiuti - intendeva intraprendere una vera e propria iniziativa economica imprenditoriale, così valorizzando le capacità di sviluppo insite nel nuovo soggetto.
In particolare, dalla delibera costitutiva della società si evince che la stessa aveva come oggetto sociale (oltre alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani, dalla loro raccolta, al trasporto, allo smaltimento, anche attraverso la realizzazione e gestione di impianti destinati al loro trattamento) anche «l’esecuzione di lavori edili in generale e stradali in particolare sia di manutenzione che di costruzione», potendo altresì: a) realizzare e gestire tutte le attività rientranti nel proprio oggetto sociale «anche al di fuori dell’ambito territoriale di Palermo, direttamente, in concessione , in appalto o in qualsiasi altra forma, anche a seguito di richieste di terzi, siano essi enti pubblici o privati anche non soci»; b) «promuovere e costituire - od assumere partecipazioni - sia direttamente che indirettamente, in società, consorzi ed enti in genere, sia italiani che esteri aventi oggetto analogo, affine o connesso al proprio»; c) «far parte di associazioni di imprese, assumere appalti, affidare lavori e servizi, gestire beni, complessi di beni e strutture di terzi».
Analoghe inequivoche indicazioni erano contenute nello Statuto varato a seguito delle modifiche del 2003, laddove si legge (art. 4, lett. f) che l’oggetto sociale era costituito, tra l’altro, dalla «progettazione e la realizzazione di: edifici civili e industriali, strade, autostrade, ponti, viadotti, ferrovie, linee tranviarie, metropolitane, funicolari e piste aeroportuali, e relative opere complementari; acquedotti, gasdotti, oleodotti, opere di irrigazione e di evacuazione; opere fluviali, di difesa, di sistemazione idraulica e di bonifica; impianti tecnologici; opere ed impianti di bonifica e protezione ambientale; opere di ingegneria naturalistica; lavori in terra; impianti per la segnaletica luminosa e la sicurezza del traffico; segnaletica stradale non luminosa; barriere e protezioni stradali; impianti di smaltimento e recupero rifiuti; opere strutturali speciali; impianti di potabilizzazione e depurazione; demolizione di opere; verde ed arredo urbano».
Tali attività, poi, potevano essere realizzate e gestite (art. 4, co. 2) «anche al di fuori dell’ambito territoriale di Palermo, direttamente, in concessione, in appalto o in qualsiasi altra forma, anche a seguito di richieste di terzi, siano essi enti pubblici o privati anche non soci». Ancora una volta, poi, la società poteva assumere partecipazioni, far parte di associazioni di imprese e acquisire appalti.
Dalla copiosa documentazione prodotta dal P.M. è poi emerso che AMIA s.p.a. ha concretamente posto in essere le attività imprenditoriali che il proprio Statuto le consentiva. In particolare, la società: a) ha partecipato a numerosi contratti di appalto regionali volti ad ottenere l’affidamento della gestione integrata dei rifiuti da parte di alcuni ATO a Catania, Messina e Trapani, nonché si è associata in due A.T.I. (la Palermo Ambiente s.c.p.a. e la Platani Energia Ambiente s.c.p.a.) per la partecipazione alle procedure relative al trattamento dei rifiuti tramite termovalorizzatori nelle province di Palermo e Agrigento; b) ha intrapreso un’iniziativa imprenditoriale negli Emirati Arabi Uniti, aprendo addirittura una filiale ad Abu Dhabi, effettuando numerose missioni sia nella menzionata città, che a Il Cairo, costituendo una società mista e, addirittura, promuovendo la propria immagine commerciale con la sponsorizzazione del pilota di motoscafo off-shore Khaled Al Mansouri; c) si è associata in una A.T.I. con il Gruppo Quercioli di Siracusa al fine di realizzare alcune discariche in Tunisia; d) ha intrapreso ulteriori iniziative imprenditoriali in Romania.
In proposito, la difesa di AMIA s.p.a. si è limitata ad osservare che alcune delle attività indicate sub a) non erano state mai avviate o, comunque, portate a termine dai nuovi amministratori della società (che avevano provveduto a presentare le dovute rinunzie); che, in ogni caso, a seguito dell’approvazione in data 21/12/2006 del nuovo Statuto, che ha vietato alla società di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati diversi dal Comune (in armonia con quanto previsto da ultimo dall’art. 23 bis d.l. n. 112/2008), ogni attività imprenditoriale della convenuta era cessata - e di tale cessazione era stata data idonea pubblicità nel registro delle imprese, con conseguente venir meno della connotazione imprenditoriale dell’attività esercitata dalla società da oltre un anno (ex art. 10 l.f. e 4 d.lgs. n. 270/1999) -; che, infine, ogni attività espletata in violazione dello Statuto da parte degli amministratori revocati è stata posta in essere da questi ultimi esorbitando i limiti dell’oggetto sociale e della legge e, in quanto illegittima, non avrebbe potuto obbligare la società nei confronti dei terzi.
Così riassunto il quadro probatorio, osserva il Tribunale che, sgombrato il campo dalla possibilità di qualificare AMIA s.p.a. come ente pubblico in senso sostanziale, la natura di imprenditore commerciale collettivo fallibile di tale soggetto non abbisogna, in realtà, di alcuna specifica dimostrazione, dovendosi prestare adesione al tradizionale orientamento della Suprema Corte, dal quale non v’è ragione di discostarsi nemmeno a seguito dell’entrata in vigore della riforma della legge fallimentare (e della conseguente modifica dell’art. 1 l.f.).
«L'impresa collettiva nasce, infatti, con la costituzione della società, anche se il suo esercizio sia differito nel tempo, e cessa di esistere, pur dopo che abbia cessato di operare, per fatti connessi alla condizione sua propria e alla struttura di ente complesso e non per fatti relativi alla sua vitalità.
La società è essa stessa impresa, perché acquista quella identità nel momento in cui si costituisce, a prescindere dall'esercizio dell'attività per cui sorge; ed è impresa commerciale per il solo fatto che abbia oggetto commerciale, prima ancora che compia atti che lo realizzino, tant’è che la sua sottoposizione alla procedura fallimentare trova “adeguata giustificazione nella presunzione di speculazione e di profitto che ne ha determinato la costituzione” (Corte Cost. 6.2.1991 n. 54). E l'elemento della professionalità richiesto dall'art. 2082 c.c. è rinvenibile nel fatto che si costituisca “per l'esercizio” di attività commerciale, indipendentemente dall'attuale suo svolgimento, tant'è che il fallimento gli artt. 2308 e 2323 c.c. espressamente contemplano, per le società di persone (come gli artt. 2448, 2464, 2497 e 2539 nel testo anteriforma, per quelle di capitali e per le cooperative), nella ipotesi che abbiano ad oggetto una attività commerciale e non anche se quella attività in concreto abbiano esercitato (Cass. 26.6.2001 n. 8694; 22.2.1999 n. 1479; 4.11.1994 n. 9084; 10.8.1979 n. 4644; 23.6.1972 n. 2067;10.8.1965 n. 1921).
Il principio è inoltre ribadito dall'art. 1 l.f., che la fallibilità delle società commerciali prevede sempre e comunque, in quanto l'attribuzione dello status di imprenditore commerciale è, in via generale, legata al momento in cui egli manifesti in via definitiva l'intenzione di svolgere una attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni e servizi; e mentre per la persona fisica la definitività di tale scelta - che rende attuale uno dei plurimi fini virtualmente perseguibili - si realizza solo con l'inizio del concreto esercizio dell'attività stessa (ben potendo, anche dopo la esteriorizzazione della volontà di intraprendere quella attività, il soggetto mutare il proprio programma operativo, senza essere vincolato dalla precedente sua esternazione), onde appunto la qualità di imprenditore commerciale si acquisisce in questo caso solo in termini di effettività, per l'ente collettivo la irreversibilità della scelta si realizza per definizione in un momento anteriore, in quanto la indicazione dello scopo di esercitare l'attività commerciale sovrappone alle pluralità di fini possibili l'attualità ed effettività di quel fine specifico, che connota la società stessa già con il suo venire in essere» (così, in motivazione, Cass. n. 8849/2005).
Nel caso di specie, è la costituzione in forma societaria per gli scopi indicati nello Statuto che ha fatto acquisire ad AMIA s.p.a. la qualifica di imprenditore commerciale; senza che vi sia la necessità, dunque, di dimostrare che le attività espressamente indicate nello Statuto siano state in concreto effettivamente espletate, anche se, come già detto e come risultante dalla documentazione prodotta dal P.M., cui sopra si è fatto riferimento, ciò si è ampiamente ed incontestabilmente verificato.
Allo stesso modo, non può ragionevolmente sostenersi che la cessazione di tale qualifica - ai fini della soggezione a fallimento e, dunque, anche all’amministrazione straordinaria, giusta il richiamo di cui all’art. 4 d.lgs. 270/1999 (testualmente limitato alla sola impresa individuale, secondo il tenore della originaria formulazione dell’art. 10 l.f.) - venga meno per fatti diversi da quelli, come recita la Suprema Corte, connessi alla condizione sua propria e alla struttura di ente complesso: vale a dire alla cancellazione da oltre un anno dal registro delle imprese.
In altri termini, la semplice cessazione di fatto dell’esercizio dell’attività commerciale da parte di AMIA s.p.a. - ove pure fosse stata effettivamente dimostrata in ipotesi e resa conoscibile ai terzi a mezzo la pubblicazione del nuovo Statuto della società nel registro delle imprese - sarebbe del tutto irrilevante ai fini della perdita della qualifica di imprenditore commerciale fallibile di cui all’art. 1 l.f..
La nuova formulazione dell’art. 10 l.f. (già oggetto, nella sua vecchia stesura, di declaratoria di incostituzionalità ad opera di Corte cost. n. 319/2000, nella parte in cui non prevedeva che il termine di un anno dalla cessazione dell’esercizio dell’impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento della società decorresse dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese) è oggi del tutto chiara nel riconnettere, anche per l’imprenditore collettivo, la perdita della qualifica di imprenditore commerciale fallibile ai sensi dell’art. 1 l.f. esclusivamente alla cancellazione ultrannuale e non già ad altro fatto idoneo a rappresentare ai terzi la cessazione dell’attività imprenditoriale della società; e senza che il debitore possa fornire in altro modo la prova di tale cessazione (si veda, da ultimo, App. Reggio Calabria, sentenza 21 gennaio 2010; Trib. Palermo, ordinanza 1 dicembre 2009).
Può, dunque, senz’altro concludersi per la natura di imprenditore commerciale collettivo di AMIA s.p.a., soggetto, dunque, sottoposto sia alle norme sul fallimento, che a quelle sull’amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270/1999.
6.3. Va, in ultimo, evidenziato che la difesa di AMIA s.p.a. ha concluso, al punto 3 della propria memoria difensiva depositata in data 17/11/2009, chiedendo al Tribunale la rimessione degli atti alle Autorità di Giustizia Comunitaria, in via di rinvio pregiudiziale, per valutare se sia conforme al Trattato e alla normativa dell’Unione Europea la mancata espressa previsione per legge dell’esclusione dell’assoggettamento a procedure concorsuali delle società strumentali degli Enti locali, affidatarie, in via diretta ed esclusiva, della conduzione di pubblici servizi essenziali, quando siano partecipate totalitariamente dal socio affidante e questi eserciti sulle stesse un controllo analogo a quello che esercita su di un ramo della propria amministrazione.
Sennonché, a parte il rilievo che non è stata indicata specificamente la norma del Trattato che dovrebbe essere oggetto del chiesto rinvio pregiudiziale ex art. 234 del Trattato (non essendo stata dedicata alcuna specifica trattazione alla questione né nel contesto della citata memoria difensiva, né nelle successive), è noto che detto rinvio alla Corte di Giustizia presuppone che l’interpretazione controversa abbia rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all'esame del giudice nazionale ed alle norme interne che lo disciplinano (Cass. n. 24040/2006; Cass. n. 23271/2005).
Nel caso di specie, una volta accertato che AMIA s.p.a. non è ente pubblico strumentale del Comune di Palermo, ma imprenditore commerciale, l’istanza di parte convenuta perde completamente rilievo.
7. Deve a questo punto accertarsi se AMIA s.p.a. versi effettivamente in una situazione di insolvenza ovvero, come sostiene la difesa della società, se tale condizione non sussistesse già alla data di deposito del ricorso o, comunque, se sia stata rimossa in corso di causa.
In proposito, a parere del Tribunale (il quale non ignora il vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha investito, soprattutto in passato, la questione), il concetto di insolvenza rilevante ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 270/1999 è pienamente corrispondente a quello previsto dall’art. 5 l.f. per la dichiarazione di fallimento e consiste, in via generale, in quella condizione oggettiva di impotenza economica funzionale non transitoria, a causa della quale l’imprenditore non è in più in grado di far fronte regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento della attività commerciale.
Depongono in questo senso, da un lato, la considerazione che la legge non conosce altra definizione di insolvenza se non quella prevista dall’art. 5 l.f.; dall’altro, il rilievo che la dichiarazione dello stato di insolvenza ex art. 3 d.lgs. n. 270/1999 è prodromica sia alla dichiarazione di fallimento, sia all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, senza che il tribunale sia chiamato, nell’emissione del decreto ex art. 30 d.lgs. n. 270/1999, a valutare nuovamente tale requisito oggettivo (costituente, dunque, un presupposto identico sia dell’una, che dell’altra procedura).
Questo Tribunale deve, dunque, dapprima valutare se, nel caso di specie, sussista la denunciata insolvenza di AMIA s.p.a. ai sensi dell’art. 5 l.f.; e, quindi, tenuto conto della domanda principale proposta dal P.M. e dell’istanza in questo senso della società, se sussistano i requisiti dimensionali di cui all’art. 2 d.lgs. n. 270/1999 per procedere alla dichiarazione dello stato di insolvenza ex art. 3 del menzionato decreto ovvero, in difetto di tali requisiti dimensionali, debba senz’altro dichiarare il fallimento.
Ogni questione sulla reversibilità o meno dell’insolvenza o, meglio, sulla sussistenza, per l’impresa insolvente, delle «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali» (art. 27 d.lgs. n. 270/1999) non va presa in esame in questa sede; ma deve essere, se del caso, rimandata alla fase successiva; nella quale, dichiarata l’insolvenza di AMIA s.p.a., si valuteranno la ricorrenza delle condizioni di accesso alla procedura di amministrazione straordinaria (anche) sulla base della relazione del commissario giudiziale di cui all’art. 30.
7.1. Ciò chiarito in termini generali, deve essere evidenziato che, con delibera del 13/11/2009 (allegata alla produzione del P.M., depositata unitamente alla memoria del 21/12/2009) il Consiglio di Amministrazione di AMIA s.p.a. ha preso atto della sussistenza della causa di scioglimento di cui all’art. 2484, co. 1, n. 4, c.c., dando così mandato al Presidente di convocare l’Assemblea straordinaria al fine di deliberare in ordine alla nomina dei liquidatori.
Risulta, poi, dall’atto pubblico di fusione del 29/12/2009 tra AMIA s.p.a. e AMIA Servizi s.r.l. (allegato alla produzione di parte convenuta, depositata unitamente alla memoria del 12/01/2010) che AMIA s.p.a. è stata effettivamente posta in liquidazione con delibera assembleare del 21/12/2009.
Orbene, è noto che - secondo il tradizionale orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 20258/2006; Cass. n. 19141/2006; Cass. n. 18927/2004; Cass. n. 6170/2003; Cass. n. 6550/2001), confermato anche a seguito della riforma del diritto societario (Cass. n. 21834/2009) - ai fini della determinazione dello stato di insolvenza di una società in liquidazione, occorre unicamente verificare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, atteso che - non proponendosi di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali e distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci - «non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte».
La semplice applicazione del superiore principio di diritto al caso di specie implica la sicura dichiarazione dello stato di insolvenza di AMIA s.p.a..
In proposito, assumono rilevanza, tra i documenti prodotti dalle parti, esclusivamente: a) il bilancio di AMIA s.p.a. al 31/12/2008, approvato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione del 23/11/2009; b) la situazione patrimoniale, economica e finanziaria al 30/09/2009. Si è preso, poi, atto della già menzionata fusione tra AMIA s.p.a. e AMIA Servizi s.r.l., ma non è dato comprendere come la stessa abbia inciso (se cioè, in senso positivo ovvero in senso negativo) sui conti della convenuta.
Orbene, come riconosciuto espressamente nella delibera comunale del 28/12/2009 e negli allegati atti degli organi tecnici (Parere del Ragioniere Generale e Osservazioni del Collegio dei Revisori), il bilancio di AMIA s.p.a. al 31/12/2008 (l’ultimo approvato) presenta perdite di esercizio per euro 181.314.361 ed un patrimonio netto negativo pari ad euro 77.506.322 (e ciò, si noti, sebbene il Comune di Palermo avesse già provveduto, in sede di Assemblea straordinaria del 20/12/2008, a coprire le pregresse perdite di gestione – integralmente erosive del capitale sociale - e a ricapitalizzare la società fino ad euro 53.865.553, usufruendo del contributo di cui all’art. 4 bis d.l. n. 97/2008 per complessivi euro 80.000.000: si vedano allegati nn. 3 e 4 al ricorso del P.M.). Alla data del 30/09/2009 la società ha fatto registrare ulteriori perdite per euro 14.825.449, le quali hanno condotto ad un aumento del deficit patrimoniale ad euro 92.331.771.
Tale gravissima situazione di dissesto patrimoniale della società, che ha comportato (tra l’altro e ancora una volta) la totale erosione del capitale sociale (art. 2447 c.c.), ha obbligato il Consiglio di amministrazione - a seguito della presa di posizione del Comune di Palermo, il quale, pur avendo dichiarato di volere dare corso al processo di ricapitalizzazione, ha rappresentato, nel corso dell’Assemblea straordinaria del 13/11/2009, di non essere in grado di provvedere all’immediata copertura delle perdite - a prendere atto del verificarsi di una causa di scioglimento della società (art. 2484, co. 1, n. 4, c.c.) e a convocare nuovamente l’Assemblea straordinaria per la nomina dei liquidatori (Assemblea poi tenutasi in data 21/12/2009).
La descritta situazione è, dunque, di per sé sola idonea a determinare, secondo la tradizionale impostazione della Suprema Corte, la dichiarazione dello stato di insolvenza di AMIA s.p.a., avuto conto dell’evidente sbilancio patrimoniale in cui versa la società.
7.2. Peraltro, a seguito della introduzione dell’art. 2487-ter c.c., il quale consente alla società di revocare in ogni momento lo stato di liquidazione (previa eliminazione della causa di scioglimento) con delibera dell’Assemblea straordinaria, appare comunque opportuno valutare in questa sede l’intenzione manifestata dal socio unico di proseguire nell’attività imprenditoriale, previa copertura delle perdite e ricapitalizzazione della società (si veda la già menzionata delibera del Consiglio comunale di Palermo del 28/12/2009).
Secondo la difesa di parte convenuta, l’intervento del Comune di Palermo si dovrebbe attuare, sotto il profilo patrimoniale, attraverso il conferimento in AMIA s.p.a.: a) della quota del 49% delle azioni di AMG Energia s.p.a., detenute dall’Ente locale; b) di tre beni immobili di proprietà comunale; c) di euro 59.216.143,01 relative ai fondi FAS di cui alla delibera CIPE n. 69/2009.
Ora, osserva il Tribunale che - posto che l’unica situazione contabile dalla quale è possibile partire è quella al 30/09/2009 - le operazioni da effettuare ai fini della cd. ricapitalizzazione della società consistono nella sua ripatrimonializzazione e nella sottoscrizione di nuovo capitale fino al raggiungimento quanto meno del minimo legale (euro 120.000,00, come si legge nella citata delibera del Consiglio comunale).
E però, a fronte del considerevole deficit patrimoniale di euro 92.331.771, l’unica certezza, allo stato, è costituita dal conferimento delle azioni della AMG s.p.a. per un valore stimato di euro 64.299.564,49 (si veda la perizia giurata del dott. Elio Collovà in produzione di parte convenuta).
Per quanto riguarda, invece, il conferimento degli immobili, si tratterebbe del “Palazzo ex Ferrovie”, sito in piazzetta Cairoli, del “Palazzo La Rosa”, sito in via Alloro, e dei “Terreni dell’ex poligono di tiro a segno”, siti in località Bellolampo (in realtà la delibera comunale, invero non molto chiara, sembrerebbe prevedere la permuta di tali terreni, di proprietà comunale, con altri terreni di pari valore di proprietà di altro ente pubblico, con successivo conferimento di questi ultimi ad AMIA s.p.a., che già ne usufruisce, previa loro sdemanializzazione).
Tutti i menzionati immobili non risultano, tuttavia, essere stati stimati. La stessa delibera comunale riconosce che l’ulteriore conferimento «si realizzerà, non appena acquisita la perizia di stima giurata di un esperto nominato dal Comune di Palermo, come previsto dalla recente riforma del diritto societario con l’introduzione dell’art. 2343 ter». Inoltre, la delibera aggiunge che per il conferimento occorre un’ulteriore attività di competenza del Settore Risorse Immobiliari. Tale attività consiste: con riferimento al solo “Palazzo La Rosa”, tenuto conto del potenziale interesse culturale dell’immobile ai sensi dell’art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con il d.lgs. n. 42/2004, nell’espletamento della procedura di verifica di tale interesse ai sensi dell’art. 12 del menzionato codice (con conseguente ragionevole dubbio in ordine alla stessa possibilità del conferimento); con riferimento al “Palazzo La Rosa” e al “Palazzo ex Ferrovie”, facenti evidentemente parte del patrimonio indisponibile dell’Ente territoriale, nel loro preliminare inserimento nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari ai sensi dell’art. 58 d.l. n. 112/2008 (con i conseguenti tempi tecnici necessari allo svolgimento di tale procedura, ivi comprese le eventuali opposizioni); con riferimento, infine, ai “Terreni dell’ex poligono di tiro a segno”, il procedimento è ancora più complesso e, in certo qual modo, nemmeno dipendente dalla volontà del Comune di Palermo, prevedendosi una permuta con l’attuale ente pubblico proprietario, un processo di sdemanializzazione e, solo all’esito, l’effettivo conferimento del bene.
In altri termini, non sono stati offerti elementi certi ed attuali, che permettano al Tribunale di apprezzare se e in che misura il conferimento dei cespiti sopra indicati possa effettivamente avvenire (e, in caso affermativo, quali siano il valore dei beni stessi e i tempi del loro conferimento), così da rendere possibile la ricapitalizzazione della società. L’unico dato sicuro è che i due palazzi, unitamente a “Palazzo Sammartino” (poi espunto dai potenziali conferimenti a seguito dell’emendamento del consigliere comunale Ribaudo), sono iscritti a bilancio del Comune per un valore di soli euro 11.488.737,00, che è largamente insufficiente (unitamente al valore stimato delle azioni AMG s.p.a.) a consentire l’eliminazione della causa di scioglimento e la revoca dello stato di liquidazione ex art. 2487-ter c.c..
In ultimo, la difesa di AMIA s.p.a. fa riferimento all’apporto patrimoniale della somma di euro 59.216.143,01, relativa ai fondi FAS di cui alla delibera CIPE n. 69 del 31/07/2009 (senza, peraltro, produrre in atti la delibera - comunque facilmente reperibile e conosciuta dal Tribunale, in quanto testo di normazione secondaria - ovvero chiarire come si sia arrivati all’individuazione del menzionato importo). In relazione a tali fondi, si osserva, tuttavia, che la delibera comunale non afferma affatto che essi serviranno per la ripatrimonializzazione della società, ma si limita ad autorizzare l’utilizzo degli stessi «per i progetti indicati nel prospetto allegato alla presente (All. 2)». Ma, nemmeno tale allegato è stato prodotto dalla difesa di parte convenuta, cosicché anche tali fondi, al pari degli immobili, non possono essere considerati utili ai fini di quanto disposto dall’art. 2487-ter c.c..
In buona sostanza, AMIA s.p.a. non solo è in liquidazione, cosicché il suo stato di insolvenza non può che essere valutato sotto il semplice profilo della differenza tra attività e passività (come precedentemente chiarito, sulla scorta dell’insegnamento della Suprema Corte), ma non è stata nemmeno in grado di dimostrare (come, in realtà, avrebbe dovuto) di avere già proceduto alla eliminazione della causa di scioglimento al fine di procedere alla revoca dello stato di liquidazione e alla continuazione dell’attività imprenditoriale; né che il socio unico sia in grado di procedere, in tempi ragionevoli, ad una effettiva ricapitalizzazione della società.
7.3. Da ultimo, non sembra inutile evidenziare che, anche qualora le misure approntate dal Comune di Palermo per ricapitalizzare AMIA s.p.a. dovessero ritenersi congrue (e, come detto, non è questa la valutazione del Tribunale), sarebbe comunque difficile ipotizzare l’insussistenza dello stato di insolvenza, pur sul presupposto di una società pienamente operativa.
Infatti, lo stesso Collegio dei Revisori del Comune di Palermo, nel parere reso in data 15/12/2009, ha affermato che «la sola iniezione di beni, ancorché idonei a ripristinare la base patrimoniale dell’azienda, non appare sufficiente a far fronte alla mole dei debiti della società (a corto di liquidità)».
L’autorevole parere dell’organo tecnico comunale trova una significativa conferma nelle vicende societarie risalenti alla fine dell’anno 2008 e alle quali si è in precedenza accennato.
A seguito dell’Assemblea straordinaria del 20/12/2008, AMIA s.p.a. è stata già interessata da un rilevante intervento di ricapitalizzazione da parte del socio unico. Invero, sulla base di una situazione patrimoniale redatta al 30/09/2008 (poi rivelatasi inattendibile), a fronte di perdite indicate in euro 80.775.414, le quali hanno integralmente eroso le riserve e il capitale sociale, il Comune di Palermo, usufruendo del contributo di cui all’art. 4 bis d.l. n. 97/2008, è intervenuto dapprima con un versamento di euro 30.000.000 (volto ad eliminare le perdite) e, quindi, con la sottoscrizione di capitale per ulteriori euro 50.000.000, portando il capitale sociale ad euro 53.865.553.
L’approvazione del bilancio al 31/12/2008, intervenuta solo in data 23/11/2009, ha, però, evidenziato che il notevole sforzo finanziario del socio unico, quantificabile in complessivi euro 80.000.000, non ha impedito l’appostazione di ulteriori perdite per ben euro 181.314.361, con conseguente nuova integrale erosione del capitale sociale appena ricostituito.
Occorre allora verificare se, anche a seguito della seconda ricapitalizzazione deliberata dal Comune di Palermo (senza l’indicazione di uno specifico ammontare), AMIA s.p.a. sia effettivamente in grado di restare sul mercato, potendo godere della liquidità necessaria per far fronte alla enorme mole dei debiti pregressi e di quelli correnti. Ritiene questo Tribunale che, allo stato, deve escludersi che gli interventi finanziari indicati dalla difesa della convenuta siano effettivamente idonei a far venir meno il palese stato di insolvenza in cui si trova la società.
Secondo quanto emerge dall’elenco dei debiti fornito dalla società (doc. n. 9 della produzione depositata unitamente alla memoria del 17/11/2009), alla data del 30/11/2009 AMIA s.p.a. aveva debiti scaduti pari a euro 54.818.046,22. Tenuto conto della rilevantissima esposizione con il sistema bancario (ammontante al 30/09/2009 a euro 26.441.578,27, doc. 8 della menzionata produzione), è difficile presumere che la società possa ricorrere al credito bancario senza prestare idonee garanzie.
La difesa di AMIA s.p.a. sostiene che la liquidità sarebbe reperibile attraverso un finanziamento della SACE, la quale si è detta disponibile a concederlo fino ad euro 24.000.000, e dalle anticipazioni sul contratto di servizio 2010, consentite fino alla somma di euro 71.553.977,49 dall’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3830/2009 (ma ridotte a euro 68.978.034,30 dalla delibera del 19/01/2010 della Giunta Comunale).
Sennonché, se si considera che il finanziamento della SACE è meramente eventuale, in quanto subordinato a tutta una serie di condizioni in atto non verificatesi (tra le quali la stipulazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal Tribunale, non rientrante nella diretta disponibilità della società); che il costo del servizio reso incide mensilmente, per soli costi del personale, per oltre euro 5.600.000 (si veda il piano economico 2009-2011 presentato da AMIA s.p.a. in produzione di parte convenuta, laddove si prevede un costo per l’anno 2010 relativamente a tale voce pari ad euro 67.450.897); che dei menzionati fondi FAS non si sa nulla di più di quanto sopra riferito (soprattutto con riferimento alla data della loro erogazione); e che non può parlarsi di un pactum de non petendo con i creditori in presenza di una semplice richiesta unilaterale della debitrice (si veda doc. n. 22 in produzione della convenuta), senza nemmeno la prova del suo inoltro, appare evidente che, pur ricorrendo per intero alle anticipazioni consentite (il che non potrebbe comunque accadere, essendo le stesse limitate a 2/12 per volta), la società non sarebbe comunque in grado di far fronte, nel corrente mese di febbraio, ai debiti che risultano già scaduti.
Infine, non può non rimarcarsi che l’anticipazione straordinaria concessa dall’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3830/2009 (che costituisce il principale, se non unico, strumento finanziario di cui oggi effettivamente dispone AMIA s.p.a.) non può certo essere considerato un mezzo normale con cui l’imprenditore sia in grado di far fronte alle sue obbligazioni ed idoneo, quindi, ad escludere l’insolvenza ex art. 5 l.f.; senza contare che tale forma di finanziamento incide negativamente sull’equilibrio del bilancio dell’esercizio successivo, poiché i ricavi derivanti dal contratto di servizio costituiscono la principale entrata della società.
8. L’acclarata sussistenza dello stato di insolvenza di AMIA s.p.a. impone di verificare se la società ha i presupposti per essere ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270/1999, che il P.M. ha richiesto in via principale.
Orbene, ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 270/1999, possono essere ammesse all’amministrazione straordinaria le imprese che hanno congiuntamente i seguenti requisiti: «a) un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione guadagni, non inferiore a duecento, da almeno un anno; b) debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio».
Per quanto riguarda il requisito sub a), lo stesso è assolutamente pacifico tra le parti. Da quanto emerge dalla documentazione contabile prodotta da AMIA s.p.a., i dipendenti della società sono, infatti, pari a 1.847 alla data del 30/09/2009; il Ministero dello Sviluppo Economico, nella sua relazione, ne indica un numero pari a 1.512; il P.M., riportando, peraltro, dati del 2007, ne indica il numero di 1.940: osserva il Tribunale che è stata, in ogni caso, di gran lunga superata la soglia dei 200 dipendenti da almeno un anno prevista dalla legge.
Per quanto riguarda il requisito sub b), ritiene il Tribunale che lo stesso deve essere determinato - sia con riferimento al rapporto debiti/attivo patrimoniale, sia con riferimento a quello debiti/ricavi - tenendo conto dell’ultimo esercizio chiuso alla data di deposito del ricorso. Nel caso di specie, dunque, bisogna prendere in considerazione il bilancio di AMIA s.p.a. al 31/12/2008.
Da tale bilancio si evince che i debiti ammontano ad euro 226.844.102, che l’attivo patrimoniale ammonta ad euro 242.617.147 e che i ricavi delle vendite e delle prestazioni sono pari ad euro 121.657.330. Poiché il rapporto tra debiti e attivo è pari a circa il 93,5% e quello tra debiti e ricavi è pari a circa il 186,5%, risulta pienamente integrato anche il secondo presupposto per l’ammissione di AMIA s.p.a. alla procedura di amministrazione straordinaria.
Si noti che tale ultimo presupposto si sarebbe verificato anche utilizzando (secondo una differente interpretazione della norma), quanto al rapporto debiti/attivo patrimoniale, la situazione patrimoniale aggiornata alla data del 30/09/2009 e depositata dalla convenuta (laddove risultano debiti per euro 201.948.534 e un attivo patrimoniale per euro 219.867.381) e, quanto al rapporto debiti/ricavi, la situazione patrimoniale aggiornata, per i debiti, e il bilancio al 31/12/2008 per i ricavi (euro 201.948.534 di debiti a fronte di ricavi per euro 121.657.330).
9. Avuto conto della qualifica di imprenditore commerciale fallibile della convenuta, della sussistenza dello stato di insolvenza della società e della ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 2 d.lgs. n. 270/1999, sussistono, dunque, tutti i presupposti di legge per dichiarare lo stato di insolvenza di AMIA s.p.a. in liquidazione.
Come già in precedenza evidenziato, l’accertamento dello stato di insolvenza non comporta l’apertura de plano della procedura di amministrazione straordinaria, ma tale valutazione è differita dalla legge ad un momento successivo alla presentazione della relazione prevista dall’art. 28 d.lgs. n. 270/1999.
10. Ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 270/1999, alla dichiarazione dello stato di insolvenza consegue: la nomina del Giudice delegato per la procedura e dei tre commissari giudiziali, designati in conformità delle indicazioni ricevute dal Ministro dello Sviluppo Economico, nonché la fissazione della data dell’udienza di accertamento del passivo e del termine perentorio per il deposito delle domande dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali su beni della società.
Tenuto conto della particolare complessità della procedura, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 53 d.lgs. n. 270/1999 e 101, co. 1, l.f., il termine per il deposito delle domande tardive va prorogato a diciotto mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.
Infine, il Tribunale deve pronunciarsi sulla gestione dell’impresa fino a quando non si provveda a norma dell’art. 30 d.lgs. n. 270/1999. Nel caso di specie, tenuto conto del peculiare oggetto dell’attività esercitata da AMIA s.p.a. e della intervenuta revoca degli amministratori responsabili del dissesto della società, tale gestione può senz’altro restare affidata allo stesso imprenditore collettivo insolvente, in persona dell’attuale liquidatore, Gaetano Lo Cicero, che la eserciterà sotto la vigilanza dei Commissari giudiziali.
P.Q.M.
Visti gli artt. 1 ss. d.lgs. n. 270/1999, 1, 5, 6, 7 e 22 l.f.
dichiara
lo stato di insolvenza di AMIA s.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore Gaetano Lo Cicero - nato a Palermo il 29/03/1948 e ivi residente, piazza G. Verdi n. 6 - con sede legale in Palermo, via P. Nenni n. 28, società avente partita IVA 04797190826 e iscritta nel Registro delle imprese con il R.E.A. n. PA-217771;
nomina
Giudice delegato il dott. Giacomo Maria Nonno e Commissari Giudiziali il dott. Giuseppe Romano, nato a Scicli (RG) il 09/12/1940, il dott. Sebastiano Sorbello, nato a Catania il 21/05/1942, e il dott. Paolo Lupi, nato a Roma il 10/05/1960;
ordina
ad AMIA s.p.a. di depositare i bilanci e le scritture contabili entro due giorni;
fissa
per il giorno 22/06/2010, ore 9.00, nei locali del Tribunale di Palermo, Palazzo di Giustizia, dinanzi al predetto Giudice delegato, l’adunanza per l’esame dello stato passivo;
assegna
ai creditori ed ai terzi che vantano diritti reali o personali su cose in possesso di AMIA s.p.a. il termine perentorio di giorni trenta prima dell’adunanza come sopra fissata per la presentazione in Cancelleria delle domande di insinuazione;
proroga
a mesi diciotto, decorrenti dalla data del decreto di esecutività dello stato passivo, il termine per il deposito delle domande di insinuazione tardiva;
dispone
che la gestione dell’impresa, sino al decreto di apertura della procedura di amministrazione straordinaria ovvero sino al decreto che dichiari il fallimento resti affidata a AMIA s.p.a., in persona del liquidatore, Gaetano Lo Cicero, sotto la vigilanza dei Commissari giudiziali;
ordina
che la presente sentenza sia comunicata, pubblicata e affissa ai sensi degli artt. 8 e 94 d.lgs. n. 270/1999 e 17 l.f., nonché comunicata, entro tre giorni, al Ministro dello Sviluppo Economico;
dispone
l’anticipazione delle spese a carico dell’Erario ai sensi dell’art. 146 d.P.R. n. 115/2002;
dichiara
improcedibile il ricorso per dichiarazione di fallimento depositato dalla Ecolpower s.r.l. e ne dispone l’archiviazione.
Palermo, lì 27/01/2010.
Il Giudice delegato
(dott. Giacomo Maria Nonno)
Il Presidente
(dott. Antonio Novara)
Sentenza pubblicata il 11/02/2010.