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Tribunale di Terni – ordinanza 2 febbraio 2005
si ringrazio Nicola Girardi per la segnalazione

Sullo stesso argomento v. Procura della Repubblica di ASTI proc. 1006 qui

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Nel procedimento n. … presso questo Tribunale i due imputati ... devono rispondere del reato di cui agli articoli 110 Cp e 51, comma 1, lettera a), D.Lgs 22/1997 per avere in concorso tra loro effettuato un’attività di trasporto a bordo di autocarro non autorizzato al trasporto con annesso rimorchio di rifiuti non pericolosi nella specie rottami ferrosi non identificabili. Fatto commesso in Terni, il 21 settembre 2001.
Il procedimento veniva sospeso in quanto pendeva presso la Corte di Giustizia Europea un ricorso dello scrivente giudicante in ordine alla applicazione in fattispecie analoga dell’articolo 14 Dl 138/02, convertito con modificazioni in legge 178/02 recante l’interpretazione autentica della definizione di rifiuto.
La Corte di Giustizia Europea - Sezione seconda - con sentenza in data 11 novembre 2004 (C-457/02) accoglieva il ricorso in questione e stabiliva un principio di diritto antitetico alla possibilità di applicazione del citato articolo 14 legge 178/02 ed in base al quale la nozione di rifiuto non esclude l’insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo, sia senza trattamento preventivo e nessun danno all’ambiente, sia nel caso in cui, invece, intervenga un trattamento che però non sia un’operazione di recupero. Inoltre, la definizione di rifiuto si applica non solo a sostanze o materiali destinati o soggetti ad operazioni di smaltimento o di recupero menzionate negli allegati 2A e 2B alla direttiva 91/156/Cee o in elenchi equivalenti, ma anche a tutto ciò che viene abbandonato.
Successivamente all’emanazione di tale sentenza nel nostro Paese veniva emanata la legge delega per l’ambiente 308/04 che ripropone nuova classificazione giuridica dei rottami ferrosi, escludendoli dalla nozione di rifiuto.
Oggi in sede di formalità preliminari del dibattimento la difesa chiedeva il proscioglimento dei prevenuti.
Lo scrivente Giudice, preso atto di tale richiesta, ritiene di dover sollevare d’ufficio eccezione di incostituzionalità di una parte della legge citata (relativa alla classificazione giuridica dei rottami ferrosi) per i seguenti motivi.
In sede europea, la direttiva 75/442 è finalizzata a razionalizzare il sistema normativo in ordine alla gestione dei rifiuti. L’articolo 1, lettera a), comma 1, di tale direttiva definisce il rifiuto come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». Tuttavia, si deve precisare che la nozione comunitaria di rifiuto è stata anche recepita dall’articolo 2, lettera a) del regolamento Cee 259/93 relativo ai trasporti transfrontalieri di rifiuti, che, come tutti i regolamenti comunitari, è entrato direttamente in vigore in tutti gli Stati membri. E quindi – come ricordato dalla Corte europea di Giustizia – “si deve pertanto concludere che, al fine di garantire che i sistemi nazionali di sorveglianza e di controllo delle spedizioni di rifiuti rispettino criteri minimi, l’articolo 2, lettera a), del regolamento 259/93, rinviando all’articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442, come modificata, ha istituito una definizione comune di rifiuti che si applica direttamente, anche alle spedizioni di rifiuti all’interno di qualsiasi Stato membro» (Cgce, Sezione sesta, 25 giugno 1997, Tombesi e altri, in Ambiente, 1997, n. 11, pag. 904 e seguenti).
L’Italia ha integralmente recepito la definizione comunitaria di “rifiuto” la quale ricomprende «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi” (articolo 6, comma 1, lettera a, D.Lgs 22/97).
Va registrata, tuttavia, una modifica normativa contenuta nel sopra citato l’articolo 14 del Dl 138/02, convertito in legge 178/02, che reca un’“interpretazione autentica” della definizione di “rifiuto” ai sensi del D.Lgs 22/97, secondo la quale:
«1. Le parole “si disfi”, “abbia deciso” o “abbia l’obbligo di disfarsi” di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo [n. 22/97], e successive modificazioni (…), si interpretano come segue:
a) “si disfi”: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del D.Lgs [n. 22/97];
b) “abbia deciso”: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del D.Lgs [n. 22/97], sostanze, materiali o beni;
c) “abbia l’obbligo di disfarsi”: l’obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del D.Lgs [n. 22/97].
2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente;
b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C del D.Lgs [n. 22/97]».
Come sopra accennato, in relazione ad altro procedimento penale pendente presso questo Tribunale, tale “interpretazione autentica” contenuta nel citato articolo 14 veniva, proprio con riferimento a rottami metallici, ritenuta dal tribunale di Terni contrastante con la nozione di rifiuto derivante dalla pregressa giurisprudenza comunitaria e pertanto dallo scrivente giudicante veniva richiesta alla Corte europea una pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 234 Ce nell’ambito del citato e diverso procedimento penale relativo alla violazione della normativa sui rifiuti (sempre in materia di rottami metallici).
La Corte, Sezione seconda, con sentenza 11 novembre 2004, procedimento C-457/02, Niselli, accogliendo tale ricorso, stabiliva testualmente che :
“50. Orbene, secondo l’interpretazione risultante da una disposizione quale l’articolo 14 del Dl 138/02, affinché un residuo di produzione o di consumo sia sottratto alla qualifica come rifiuto sarebbe sufficiente che esso sia o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all’ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero ai sensi dell’allegato 2B della direttiva 75/442.
51. Un’interpretazione del genere si risolve manifestamente nel sottrarre alla qualifica come rifiuto residui di produzione o di consumo che invece corrispondono alla definizione sancita dall’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442.
52. In proposito, materiali come quelli oggetto del procedimento principale non sono riutilizzati in maniera certa e senza previa trasformazione nel corso di un medesimo processo di produzione o di utilizzazione, ma sono sostanze o materiali di cui i detentori si sono disfatti. Stando alle spiegazioni del sig. Niselli, i materiali in discussione sono stati successivamente sottoposti a cernita ed eventualmente a taluni trattamenti, e costituiscono una materia prima secondaria destinata alla siderurgia. In un tale contesto essi devono tuttavia conservare la qualifica di rifiuti finché non siano effettivamente riciclati in prodotti siderurgici, finché cioè non costituiscano i prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati. Nelle fasi precedenti, essi non possono ancora, infatti, essere considerati riciclati, poiché il detto processo di trasformazione non è terminato. Viceversa, fatto salvo il caso in cui i prodotti ottenuti siano a loro volta abbandonati, il momento in cui i materiali in questione perdono la qualifica di rifiuto non può che essere fissato ad uno stadio industriale o commerciale successivo alla loro trasformazione in prodotti siderurgici poiché, a partire da tale momento, essi non possono più essere distinti da altri prodotti siderurgici scaturiti da materie prime primarie (v., per il caso particolare dei rifiuti di imballaggio riciclati, sentenza 19 giugno 2003, causa C-444/00, Mayer Parry Recycling, in Racc. pag. I-6163, punti 6175).
53. La seconda questione dev’essere pertanto risolta dichiarando che la nozione di rifiuto ai sensi dell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442 non dev’essere interpretata nel senso che essa escluderebbe l’insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all’ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero ai sensi dell’allegato 2B di tale direttiva”.
E pertanto concludeva che:
“1) La definizione di rifiuto contenuta nell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/Cee e dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/Ce, non può essere interpretata nel senso che essa ricomprenderebbe tassativamente le sostanze o i materiali destinati o soggetti alle operazioni di smaltimento o di recupero menzionati negli allegati II A e II B della detta direttiva, oppure in elenchi equivalenti, o il cui detentore abbia l’intenzione o l’obbligo di destinarli a siffatte operazioni.
2) La nozione di rifiuto ai sensi dell’articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156 e dalla decisione 96/350, non dev’essere interpretata nel senso che essa escluderebbe l’insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all’ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero ai sensi dell’allegato 2B di tale direttiva”.
In momento temporalmente successivo veniva approvata nel nostro Paese la legge delega per l’ambiente 308/04, la quale contiene anche alcune disposizioni immediatamente applicabili in tema di rifiuti. In particolare (articolo 1):
“25. In attesa di una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche, nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 14 del Dl 138/02, convertito, con modificazioni, dalla legge 178/02, sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera qbis), dell’articolo 6 del D.Lgs 22/97, introdotta dal comma 29, i rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
27. I rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero sono riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri che si iscrivono all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti con le modalità specificate al comma 28.
28. È istituita una Sezione speciale dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 30, comma 1, del D.Lgs 22/1997, alla quale sono iscritte le imprese di Paesi europei ed extraeuropei che effettuano operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate nell’allegato C annesso al medesimo decreto legislativo, per la produzione di materie prime secondarie per l’industria siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche riportate nell’allegato 1 al Dm dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gu 88/1998. L’iscrizione è effettuata a seguito di comunicazione all’Albo da parte dell’azienda estera interessata, accompagnata dall’attestazione di conformità a tali condizioni e norme tecniche rilasciata dall’autorità pubblica competente nel Paese di appartenenza. Le modalità di funzionamento della Sezione speciale sono stabilite dal Comitato nazionale dell’Albo; nelle more di tale definizione l’iscrizione è sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata dall’attestazione di conformità dell’autorità competente.
29. Al D.Lgs 22/1997, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti: "qbis) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche Ceca, Aisi, Caef, Uni, Euro o ad altre specifiche nazionali e internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche sopra menzionate; qter) organizzatore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l’impresa che effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati ricorrendo e coordinando anche altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L’impresa che intende svolgere l’attività di organizzazione della gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell’Albo previsto dall’articolo 30, nonché nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite dall’allegato A annesso al regolamento di cui al Dpr 34/00”;
b) all’articolo 8, comma 1, dopo la lettera f-quater) è aggiunta la seguente: “fquinquies) il combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche Uni 9903-1 (Rdf di qualità elevata), utilizzato in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gu 292/99, come sostituita dall’articolo 1 del decreto del Ministro delle attività produttive 18 marzo 2002, pubblicato nella Gu 71/2002, in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel Dpcm 8 marzo 2002, pubblicato nella Gu 60/2002”;
c) all’articolo 10, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:
“3bis. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di rifiuti, indicate rispettivamente ai punti D 13, D 14, D 15 dell’allegato B, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto, di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato allegato B. Le relative modalità di attuazione sono definite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio”;
d) all’articolo 40, comma 5, le parole: “31 marzo di ogni anno” sono sostituite dalle seguenti: “31 maggio di ogni anno”.
30. Il Governo è autorizzato ad apportare modifiche al Dpcm 8 marzo 2002 pubblicato nella Gu 60/2002, conseguenti a quanto previsto al comma 29, lettera b). […]
Oggi la difesa nel presente processo chiede - correttamente dal suo punto di vista – l’applicazione di tale disposizione di legge ed il proscioglimento dei prevenuti.
Al giudicante si profila tuttavia una situazione di principio complessa, in quanto sussistono contemporaneamente sia la sentenza della Corte Europea che impone la disapplicazione del citato articolo 14 e dunque la conseguente classificazione dei rottami ferrosi per cui è processo come rifiuti, sia la legge nazionale successiva che sostanzialmente stabilisce qualificazione nettamente opposta ed antitetica, escludendo tali rottami dalla nozione di rifiuto.
Si rileva dunque in questa sede processuale un apparente contrasto tra la sentenza Cgce, Niselli e la successiva legge delega per l’ambiente 308/04. Infatti, la legge italiana mantiene “fermo” il disposto dall’articolo 14 del Dl 138/02, oggetto della pronuncia con censura dalla Corte Europea e nel contempo, con apparente contrasto rispetto alla citata sentenza della Corte, esclude alcuni rifiuti dalla relativa disciplina. In particolare, con specifico riferimento ai rottami metallici, mentre la sentenza afferma che essi non sono materie prime secondarie ma devono tuttavia conservare la qualifica di rifiuti finché non siano effettivamente riciclati in prodotti siderurgici, finché cioè non costituiscano i prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati, la legge italiana successiva afferma esattamente il contrario, e cioè che essi sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche, purché abbiano alcune caratteristiche merceologiche e siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici; si stabilisce così un concetto giuridico che in precedenza è stato respinto integralmente dalla Corte Europea.
Si profila dunque per lo scrivente giudicante il dubbio che con queste disposizioni il nostro Paese si sottrae agli obblighi derivanti dalla sua appartenenza alla Unione Europea, e sanciti, in particolare, dall’articolo 10, il quale stabilisce il principio della cooperazione leale e dall’articolo 234 (ex 177) del Trattato Ce, il quale realizza una forma di cooperazione tra giudici nazionali e Corte europea, configurando un meccanismo centralizzato di interpretazione del diritto comunitario teso a garantire la certezza del diritto in tutti i casi in cui si deve fare applicazione della norma sottoposta a interpretazione pregiudiziale.
Nell’ordinamento nazionale, la conseguenza di tale comportamento si sostanzia nell’evidente violazione dell’articolo 11 relativo al rispetto degli impegni internazionali, e soprattutto del novellato articolo 117 della Costituzione, a norma del quale “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato… nel rispetto… dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Ed è appena il caso di ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, tali vincoli derivano anche dalle statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte europea di Giustizia (cfr. per tutte, le sentenze 170/1984 e 113/1985). Anzi, secondo questa giurisprudenza, avendo la legge di esecuzione del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità dell’articolo 11 Costituzione, le competenze che questi esercitano, “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) – tanto se sono dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme … del Trattato Cee nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea” (Corte Costituzionale, sentenza 389/1989, p. 4).
Si potrebbe argomentare, pur in presenza di una presunta antitesi rispetto alla Costituzione, che il contrasto tra Corte Ce e legge italiana potrebbe ritenere già risolto, in quanto, adeguandosi all’insegnamento della Corte Costituzionale, funzionari e giudici italiani dovrebbero non applicare le nuove disposizioni sui rottami metallici-materie prime secondarie, in quanto contrastanti con la interpretazione data dalla Corte di giustizia europea a proposito della nozione di “rifiuto”.
Ma tale soluzione giudica non appare convincente per lo scrivente giudicante, che ritiene dunque di non adottarla, per diversi motivi in punto di diritto.
In primo luogo, vi è un indirizzo, proprio a proposito di rottami metallici, della terza Sezione della Cassazione che, in sostanza, nega radicalmente qualsiasi influenza della giurisprudenza comunitaria se porta ad una limitazione della nozione di “rifiuto” così come “interpretata” dall’articolo 14 sopra ricordato, soprattutto in base alla duplice argomentazione che tale definizione è contenuta non in un regolamento ma in una direttiva; e che “la interpretazione pregiudiziale che compete alla Corte di Giustizia riguarda il Trattato o gli atti delle istituzioni della Comunità o della Bce, non già atti del legislatore nazionale” (Cassazione, Sezione terza, 13 novembre 2002, Passerotti, in Foro it., 2003, 2, c. 116 e seguenti). Vero è che non trattasi di orientamento univoco, tanto da essere espressamente contestato da altro filone giurisprudenziale della stessa Sezione, anche perché, come già si è evidenziato, la definizione di “rifiuto” è stata direttamente recepita anche dal regolamento Cee 259/93 relativo ai trasporti transfrontalieri di rifiuti (Cassazione, Sezione terza, 15 gennaio 2003, Gonzales e Rivoli, in Rivistambiente, 2003, n. 9, pag. 957 e seguenti) Tuttavia, di certo, la situazione è tale da favorire il permanere di una notevole incertezza del diritto (con disparità di trattamento) in un settore delicatissimo per la tutela ambientale quale è quello relativo ai rottami ferrosi. E certamente tale incertezza risulta ancor più accentuata a causa della (quasi totale) coincidenza temporale tra la sentenza Cgce e la nuova legge italiana che afferma il contrario. Una situazione, quindi, certamente contrastante anche con i principi di legalità e di uguaglianza sanciti dalla Costituzione.
Inoltre, e questo va sottolineato, l’applicazione della nozione comunitaria di “rifiuto” così come interpretata dalla Corte Europea (con la corrispondente non applicazione della successiva norma italiana la quale svincola i rottami metallici dagli obblighi previsti dalla normativa comunitaria per i rifiuti) certamente comporta per i cittadini italiani una situazione di sfavore rispetto a quella ipotizzabile in base alla sola legge italiana. Anche, e soprattutto, in considerazione delle conseguenze penali che ne possono derivare. Ma, a questo proposito, è proprio la Corte europea nella sentenza Niselli a ricordare che “una direttiva non può avere l’effetto, di per sé e indipendentemente da una norma giuridica di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni (v., segnatamente, sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, in Racc., pag. 3969, punto 13, e 26 settembre 1996, causa C168/95, Arcaro, in Racc., pag. 1-4705, punto 37)”. In altri termini, più in generale, si deve evidenziare il limite che giudici e funzionari italiani incontrano nell’obbligo di non aggravare, soprattutto a livello penale, obblighi e responsabilità dei cittadini per applicazione di norme comunitarie. Con il corollario, desunto dalla dottrina, che nessuno può essere punito in forza di una norma penale nazionale interpretata estensivamente per renderla conforme ad una direttiva comunitaria, né per fatti che secondo tale norma interna non sono punibili. Il che, con tutta evidenza, incrementa ulteriormente il tasso di incertezza del diritto (con disparità di trattamento) nel settore dei rottami metallici. Né su questa specifica problematica del limite del “non aggravamento” risulta si sia pronunciata la Corte Costituzionale.
Si deve ancora evidenziare che la pregressa giurisprudenza della Corte Costituzionale, cui si è fatto cenno, relativa ai rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale, è intervenuta prima della modifica dell’articolo 117 Costituzione, il quale impone oggi espressamente al legislatore nazionale di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. E pertanto, di fronte ad una legge italiana che viola platealmente questa nuova, specifica regola costituzionale, sembra doveroso sottoporre comunque la questione all’attenzione dell’organo deputato a garantire il rispetto dei precetti costituzionali, e cioè alla Corte Costituzionale, anche e soprattutto per verificare se, di fronte al novellato articolo 117, essa non ritenga di dover dichiarare la illegittimità costituzionale della nuova normativa italiana relativa ai rottami metallici.
In ordine alla rilevanza ed ammissibilità della questione, si ritiene di dover evidenziare che la risoluzione della questione è palesemente pregiudiziale e rilevante rispetto al procedimento penale in esame in cui si procede proprio per una presunta violazione degli obblighi, penalmente sanzionati, relativi a rottami metallici considerati rifiuti, in quanto, come compiutamente evidenziato nella linea della difesa posta alla base della richiesta di proscioglimento odierno, se cadesse tale qualifica in base alla legge italiana successiva alla sentenza della Corte europea, non sarebbe ipotizzabile il reato contestato.
Tuttavia, potrebbe obbiettarsi che in tal modo si richiede alla Corte Costituzionale una pronuncia da cui consegua una modificazione in peius del trattamento penale dell’individuo; richiesta giudicata inammissibile dalla stessa Corte, la quale, da ultimo (161/04), a proposito del falso in bilancio, ha ribadito che: “All’adozione della pronuncia invocata osta, tuttavia, il comma 2 dell’articolo 25 Costituzione, il quale – per costante giurisprudenza di questa Corte – nell’affermare il principio secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, esclude che la Corte Costituzionale possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l’effetto di una sua sentenza possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti, trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del Legislatore”.
Tuttavia, a questo proposito, sembra sufficiente osservare che nel caso di specie non si tratta affatto di introdurre nuovi reati o di aggravare figure di reato già esistenti, in quanto il reato contestato esiste dal 1997 e non si richiede alcun aggravamento dello stesso. Molto più semplicemente, infatti, si richiede solo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma successiva, la quale tende a restringerne l’ambito di applicazione, in contrasto con le norme costituzionali che impongono il primato del diritto comunitario.
Come evidenziato dalla dottrina, peraltro, analogo problema è già stato, in passato, risolto dalla Corte, quando ha più volte censurato l’esercizio della potestà legislativa delle Regioni svolta in contrasto con la legge statale (sono state infatti dichiarate illegittime le norme regionali che consentivano lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione o con autorizzazioni tacite o generiche). Orbene, nessuno ha mai dubitato della legittimità di siffatte pronunce, sotto il profilo del rispetto dell’articolo 25 Costituzione, giacché la norma penale incriminatrice – ridotta nella sua sfera di applicazione dalla disposizione regionale – preesisteva al fatto storico e quindi l’annullamento della seconda non poteva ledere il principio di irretroattività (restando ovviamente fermo che l’effettiva conoscibilità del precetto penale poteva rilevare nell’ottica dell’articolo 5 Cp). Lo stesso meccanismo potrebbe operare nel caso in esame in cui una norma statale è invasiva delle competenze della Comunità europea: l’annullamento della norma interna avrebbe, infatti, come effetto quello di ripristinare la sfera di applicazione della preesistente disposizione che aveva correttamente recepito la direttiva Cee.

PQM

Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 legge 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata per violazione degli articoli 11 e 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della legge delega per l’ambiente 308/04, in relazione all’articolo 1, commi 25, 26, 27, 28 e 29, nella parte in cui prevede che i rottami ferrosi siano esclusi dalla normativa sui rifiuti.
Ordina la sospensione del procedimento per pregiudizialità costituzionale con immediata trasmissione di copia autentica del fascicolo di ufficio alla Corte Costituzionale in Roma a cura della cancelleria.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata agli imputati, al loro difensore, al Pm nonché al Presidente del consiglio dei ministri con successiva trasmissione delle prove dell’avvenuta notificazione alla Corte adita.
Ordina la comunicazione della presente ordinanza a cura della Cancelleria al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.