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Ricorso della Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana, proposto il 23 giugno 2005.
(Causa C-263/05 relativa all' articolo 14 del decreto legge n. 138 dell'8 luglio 2002, convertito in legge n. 178 dell'8 agosto) 2002

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(Lingua di procedura: l'italiano)

Il 23 giugno 2005, la Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai Sig. M. Kontantinidis e L. Cimaglia, membri del servizio giuridico della Commissione, ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee un ricorso contro la Repubblica italiana.

La ricorrente chiede che la Corte voglia:

Constatare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore una disposizione (l'articolo 14 del decreto legge n. 138 dell'8 luglio 2002, convertito in legge n. 178 dell'8 agosto 2002) la quale prevede l'esclusione dall'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, che ha trasposto in Italia la direttiva 91/156/CEE1 del Consiglio del 18 marzo 1991 "che modifica la direttiva 75/442/CEE2 relativa ai rifiuti", di sostanze o oggetti destinati alle operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti non esplicitamente elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97, nonché di beni, sostanze o materiali residuali di produzione dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possano essere e siano riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato un intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle elencate all'allegato C del decreto legislativo n. 22/1997, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE sui rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE;

condannare la Repubblica italiana alle spese.

Motivi e principali argomenti

Il riferimento contenuto nel testo dei punti a) e b) del paragrafo 1 dell'articolo 14 della legge 178/2002, rispettivamente, alle "attività di smaltimento o di recupero" ed alle "operazioni di smaltimento e di recupero" è seguito in entrambi i casi dalla precisazione "secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22".

Una siffatta precisazione, che peraltro non compare invece nel testo del punto c) dello stesso articolo, parrebbe comportare una distinzione tra, da un lato, le operazioni di smaltimento o di recupero generalmente considerate e, dall'altro, quelle tra esse che sono specificamente previste agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97.

Alla luce d'una tale distinzione, dal combinato disposto dell'articolo 6, paragrafo 1, punto a), del decreto legislativo n. 22/97 e dell'articolo 14, punti a) e b), della legge 178/2002 emerge chiaramente come l'effetto di quest'ultima disposizione sia quello di circoscrivere la portata della nozione di rifiuto, nella quale potrebbero essere ricompresi non tutti i materiali, sostanze o beni rientranti nelle categorie dell'allegato A che il detentore avvii o sottoponga, oppure intenda destinare, a qualsiasi operazione di smaltimento o recupero, ma bensì, fra essi, soltanto quelli in relazione ai quali siano effettuate o prospettate operazioni di smaltimento o recupero rientranti tra quelle espressamente elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97.

Nel sistema delineato dal legislatore italiano, nel quale la nozione di rifiuto viene fatta dipendere tassativamente dalle suddette condizioni, resterebbero dunque esclusi da una possibile qualificazione come rifiuti, e di conseguenza dall'assoggettabilità alla normativa sulla gestione dei rifiuti, tutti quei materiali, sostanze o beni interessati dall'allegato A che il detentore avvii, sottoponga o intenda destinare ad operazioni di smaltimento non elencate all'allegato B del decreto legislativo n. 22/97 o ad operazioni di recupero non elencate al suo allegato C.

La Commissione è del parere che una siffatta esclusione costituisca un'indebita restrizione della nozione di rifiuto, e quindi dell'ambito d'applicazione della normativa italiana sulla gestione dei rifiuti. Di fatto, l'interpretazione prospettata dal legislatore italiano ha per effetto una limitazine dell'applicazione delle disposizioni della direttiva alle sole fattispecie identificate dalla normativa italiana, escludendone altre non prevedibili a priori che potrebbero invece esservi assoggettate ed in relazione alle quali un'interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, quale quella sancita al punto 36 della sentenza Palin Granit, si renderebbe necessaria. Una tale attitudine da parte del legislatore italiano si pone in contrasto colle disposizioni della direttiva, che non possono essere derogate da una norma di diritto interno.