Cass. Sez. III n. 19971 del 11 maggio 2023 (UP 9 gen 2023)
Pres. Rosi Rel. Gentili Ric. Antonelli
Rumore.Esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso
L'esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra: A) l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, della legge n. 447 del 1995, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma primo dell'art. 659 cod. pen., qualora il mestiere o l’attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma secondo dell'art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l'esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Rimini, con sentenza pronunziata in data 8 febbraio 2022, ha dichiarato la penale responsabilità di Antonelli Samuele in ordine al reato di cui all’art. 659 cod. pen. in quanto, nella qualità di gestore dell’esercizio commerciale recante la insegna “Bar Caffetteria Via Veneto”, operante in Marignano (Rn), “mediante schiamazzi della clientela e rumori delle apparecchiature”, disturbava il riposo di tale Fauci Francesco, dimorante nell’appartamento posto al piano superiore rispetto al citato esercizio commerciale, e lo ha, pertanto, condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 200,00 di ammenda, oltre accessori, ivi compreso il risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, articolando a tale fine 4 motivi di impugnazione.
Con il primo motivo il ricorrente si è doluto, assumendone la adozione in violazione di legge, in relazione al punto della sentenza con il quale era stata disposta la sospensione condizionale della sua esecuzione.
Con il secondo motivo ha lamentato, sempre con riferimento alla violazione di legge, il fatto che, premessa la qualificazione del fatto a lui ascritto nell’ambito della ipotesi contravvenzionale di cui al secondo comma dell’art. 659 cod. pen., il giudicante non abbia indicato alcuna disposizione di legge ovvero altro provvedimento della autorità che sarebbe stato violato dal prevenuto nello svolgimento della sua attività imprenditoriale.
Il ricorrente ha, altresì, lamentato il fatto che - dovendo rilevarsi la sussumibilità del fatto a lui ascritto piuttosto che nel secondo comma dell’art. 659 cod. pen. nella fattispecie di cui al primo comma - si sarebbe dovuto assolvere l’imputato quanto al reato a lui formalmente contestato, cioè l’ipotesi di cui al secondo comma della citata disposizione, per insussistenza del fatto, senza la possibilità per la Corte di riqualificare la condotta ai sensi del primo comma della medesima disposizione, stante la giurisprudenza formatasi in ambito di Corte Edu sulla prevedibilità della riqualificazione del fatto né di annullare la sentenza con rinvio, al fine di far contestare nelle forme opportune l’ipotesi di cui al comma primo dell’art. 659 cod. pen., in quanto in tale modo si sarebbe integrata una ipotesi di reformatio in pejus della sentenza impugnata.
Infine, con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto l’intervenuta depenalizzazione della fattispecie di cui all’art. 659 cod. pen. a seguito della entrata in vigore della legge n. 447 del 1995.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, in parte fondato, deve essere accolto nella misura che sarà meglio di seguito precisata.
Ritiene il Collegio, in primo luogo, opportuno, anche in considerazione di una certa fumosità della contestazione giudiziale mossa a carico del prevenuto, precisarne, alla luce del dato testuale in essa evidenziabile, il reale contenuto.
Osserva, infatti, il Collegio che la disposizione codicistica la cui violazione è stata ascritta al ricorrente presenta un articolato contenuto; infatti, essa prevede come penalmente illecita, al primo comma, fra l’altro la condotta di chi, mediante schiamazzi o rumori disturba le occupazioni o il riposo delle persone; mentre al comma successivo è sanzionata la condotta di chi, esercitando un mestiere od una professione rumorosa, violi una prescrizione di legge ovvero dell’Autorità.
Fatta questa prima premessa si osserva - esaminando le problematiche che il caso presenta secondo un ordine prioritario di carattere logico – in primo luogo che il capo di imputazione mosso all’Antonelli indica formalmente quale norma violata il secondo comma dell’art. 659 cod. pen.; tuttavia tale indicazione non deve intendersi come tale da segnare un confine invalicabile per l’indagine del giudice, posto che, per costante giurisprudenza della Corte regolatrice, l’ambito del capo di imputazione non è delimitato dalla indicazione della norma violata ma lo è dalla descrizione del fatto, in ipotesi costituente reato, che con esso viene attribuito all’imputato (si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione I penale, 9 luglio 2019, n. 30141; idem Sezione III penale, 4 febbraio 2014, n. 5469).
Ciò detto si osserva che, in sede di descrizione del fatto costituente reato, all’Antonelli è stata contestata sia la condotta delineata dal primo comma dell’art. 659 cod. pen., laddove è detto che lo stesso mediante gli schiamazzi della clientela (recte: non impedendo gli schiamazzi della clientela, essendo quello di impedire tali schiamazzi, tanto più se notturni, un dovere del soggetto che, come chi svolga un’attività commerciale, è portatore di una posizione di garanzia rispetto al comportamento dei terzi avventori dell’esercizio da lui condotto, sanzionato, ove inottemperato, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., cfr: Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 dicembre 2016, n. 53102; anche: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 maggio 2020, n. 14750) disturbava anche in orario notturno il riposo delle persone, segnatamente della parte civile Fauci Francesco, sia quella di cui al comma secondo, laddove è precisato che il disturbo alla quiete delle persone proveniva nelle ore notturne dal rumore delle apparecchiature installate all’interno del locale bar da lui gestito.
In tale modo profilato il campo della contestazione mossa all’imputato si rileva quanto alla condotta di cui al comma secondo che la stessa è penalmente rilevante in quanto essa sia realizzata nell’esercizio di un mestiere od una professione che siano di per sé rumorosi; ora, come in passato è stato rilevato, la nozione di “professione o mestiere rumoroso” non va valutata in astratto, ma in concreto, nel senso che qualsiasi attività lavorativa può essere qualificata mestiere rumoroso, ai sensi dell'art. 659, secondo comma, cod. pen., qualora sia produttiva, per le modalità con cui si svolge e per i mezzi di cui si avvale, di rumori fastidiosi che superino la normale tollerabilità (Corte di cassazione, Sezione I penale, 17 settembre 1987, n. 9838), di tal che, deve ritenersi che, in via astratta, anche la gestione di un bar, tanto più ove accompagnata anche dallo svolgimento dell’attività di torrefazione del caffè e di fabbricazione e conservazione delle creme gelate, può rientrare nella nozione di “mestiere rumoroso” (non vale richiamare in senso opposto quanto emergente dalla massima ufficiale di Corte di cassazione, Sezione III penale 24 giugno 2022, n. 24397, nella quale si legge: “non rientrando la gestione di un bar (…) tra le professioni o i mestieri rumorosi”, posto che, a ben vedere, nel testo della sentenza ora richiamata tale rigorosa asserzione non appare affatto formulata); tuttavia, acciocchè tale attività, pur caratterizzata da una peculiare rumorosità, travalichi i confini del fatto civilmente rilevante (si veda, infatti, l’art. 844 cod. civ. il quale prevede la liceità delle immissioni sonore nei limiti della normale tollerabilità, valutata, peraltro, tenendo conto sia delle esigenze della produzione sia della eventuale priorità temporale di un uso produttivo del fondo immittente) è necessario che, nell’esercizio di essa, siano anche violate delle specifiche previsioni di legge ovvero delle disposizione impartite dalle Autorità competenti (si immagini il caso in cui sia consentito lo svolgimento di un’attività commerciale solo in determinati giorno ovvero in determinate ore o, comunque, sino ad una determinata ora del giorno o della notte oppure il caso in cui non sia consentita, per effetto di ordinanze locali, una particolare concentrazione in talune zone urbane di determinate tipologie di esercizi commerciali).
Come, infatti, questa Corte ha precisato l'esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso, integra: A) l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, della legge n. 447 del 1995, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia; B) il reato di cui al comma primo dell'art. 659 cod. pen., qualora il mestiere o l’attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete; C) il reato di cui al comma secondo dell'art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l'esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995 (cfr., infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 dicembre 2017, n. 56430; idem Sezione III penale, 9 febbraio 2015, n. 5735).
Così delimitato il campo di azione della ipotesi contravvenzionale di cui al comma secondo dell’art. 659 cod. pen., si rileva che nel caso di specie non è stato indicato nel capo di imputazione, né essa è in qualche modo ricavabile dall’esame del testo della motivazione della sentenza impugnata, quale sarebbe stata la norma di legge ovvero la disposizione della Autorità (diverse da quelle relative ai valori limite di emissione sonore) che, nella gestione della sua attività commerciale, l’Antonelli avrebbe violato.
Di tal che, limitatamente a tale contestazione, la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini, non essendo risultata integrata la previsione legislativa precettiva, deve essere annullata senza rinvio, stante la insussistenza del fatto di reato ascritto al prevenuto.
Venendo a questo punto all’esame delle doglianze aventi ad oggetto l’erronea qualificazione giuridica del fatto, per come prospettata dal ricorrente con il terzo motivo di impugnazione, si rileva che la stessa di per sé non avrebbe alcun pregio, posto che, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, già in sede di formulazione del capo di imputazione, il fatto risulta essere stato descritto come violativo sia del secondo che del primo comma dell’art. 659 cod. pen.; illuminante è, in tal senso, il riferimento agli “schiamazzi” della clientela, con il quale richiamo testualmente ci si riporta alla ipotesi astratta descritta nel primo comma dell’art. 659 cod. pen.
Pertanto, il riferimento alla impossibilità di riqualificazione del fatto di fronte a questa Corte sulla base delle giurisprudenza della Corte Edu in materia di prevedibilità della contestazione e di divieto di eseguire tale riqualificazione “a sorpresa”, senza cioè dare all’imputato la possibilità di interloquire su di essa, è del tutto fuori luogo, posto che nel caso di specie la contestazione elevata a carico del prevenuto già descriveva il fatto a lui attribuito come integrativo anche della condotta contravvenzionale di cui al comma primo dell’art. 659 cod. pen.
Vi è, piuttosto, da verificare - trattandosi di indagine da eseguire anche ex officio, pur in assenza di censure sul punto, in ogni stato e grado del procedimento (cfr.: Corte di cassazione, Sezione V penale, 16 giugno 2021, n. 23689) - una volta rettamente considerata la contestazione mossa all’Antonelli, la eventuale incidenza che sulla procedibilità di essa ha avuto la recente introduzione del dlgs n. 150 del 2022, nel testo risultante a seguito della entrata in vigore del decreto-legge n. 162 del 2022, convertito con modificazioni con legge n. 199 del 2022.
Come è noto, infatti, onde realizzare, in materia di giurisdizione penale, gli scopi del cosiddetto “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (comportanti l’effetto di ridurre entro l’anno 2026 del 25% la durata media dei processi penali) il legislatore con il citato dlgs n. 150 del 2022 ha, fra l’altro, esteso il regime di procedibilità a querela di parte per un ampio numero di reati, in particolare, contro il patrimonio e contro la persona.
Fra tali reati, sul dichiarato presupposto che anche per essi si tratti di “reati contro la persona” - pur ad onta del fatto che si tratti di reati inseriti nel Libro III, Titolo I, Capo I, Sezione I del codice sostanziale, in cui sono previste e punite, fra le altre, le “contravvenzioni concernenti (…) la tranquillità pubblica” – sono state inserite - con scelta fino ad ora priva di precedenti e tale da costituire, pertanto, un άπαξ – due ipotesi di reato contravvenzionale, cioè quelle previste dall’art. 660 cod. pen. e, appunto, dal primo comma dell’art. 659 cod. pen.
Ora, a prescindere dai problemi applicativi che una tale scelta legislativa potrebbe porre, in particolare con riferimento alla seconda delle ipotesi criminose sopra indicate (uno per tutti: la procedibilità officiosa è ristabilita nel caso in cui il reato “sia commesso nei confronti di persona incapace per età o per infermità”, cosa che è, quanto meno, di problematico accertamento considerato che la fattispecie di cui ora ci si interessa è penalmente rilevante laddove essa sia anche solo potenzialmente idonea a coinvolgere negativamente un numero indeterminato di persone – cfr., infatti, fra le molte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre 2018, n. 45262; idem Sezione I penale, 28 febbraio 2012, 7748 – di tal che ove fosse presentata una denuncia non avente le caratteristiche della querela, per verificare se si tratta di reato procedibile o meno sarebbe necessario verificare se fra i potenziali soggetti danneggiati vi sono persone che “per età o per infermità” siano “incapaci”, espressione quest’ultima anch’essa dogmaticamente di vago significato, non essendo chiaro a quale genere di capacità essa si riferisca), è indubbio che la stessa, trattandosi di disposizione di carattere processuale introducente in regime giudiziario più favorevole all’imputato, è applicabile anche ai processi in corso, fra questi compresi anche quelli pendenti in grado di legittimità.
A riprova di tale, peraltro ineludibile, deduzione vi è la previsione contenuta nell’art. 85, comma 1, del dlgs n. 150 del 2022, secondo la quale “per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”.
Si tratta, pertanto, di disposizione in linea di principio applicabile a tutti i reati per i quali sia già in corso il processo (si sottolinea sul punto la meritoria immediata abrogazione della originaria previsione, contenuta nel testo primigenio dell’art. 85 del dlga n. 150 del 2022, la quale prevedeva, per i reati per i quali già era stata esercitata la azione penale, una macchinosa e dispendiosa modalità di informazione delle persone offese dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela, con decorrenza del termine per tale esercizio dalla data - quanto meno variabile da caso a caso, oltre che legata alla incertezza della reperibilità di tali persone offese – in cui l’informazione fosse stata recapitata al destinatario) dovendosi considerare che, secondo la previsione rispettivamente dell’art. 419, comma 1, e dell’art. 552, comma 3, cod. proc. pen., la persona offesa, essendo destinataria o della richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato formulata dal Pm ovvero della diretta citazione a giudizio del medesimo ad opera del Pm nei casi previsti dall’art. 550 cod. proc. pen., già sia stata così informata del fatto costituente reato.
Si soggiunge, per altro verso, che il considerare la persona offesa informata del fatto costituente reato nei modi di cui sopra in relazione ai giudizi già pendenti, potrebbe non essere pienamente appagante proprio in relazione al reato per il quale si procede il quale, avendo come potenziali soggetti passivi una pluralità indeterminata di individui, ben difficilmente può consentire la notificazione degli atti dianzi segnalati a tutte le possibili “parti offese”.
Ma una tale problematica non si pone, tuttavia, nella presente fattispecie per le ragioni che ora saranno illustrate.
Ed, invero - considerata la previsione di cui al ricordato art. 85, comma 1, del dlgs n. 150 del 2022 - dovrebbe ritenersi che, laddove nel termine previsto per la presentazione della querela, cioè i tre mesi decorrenti, giusta la generale previsione di cui all’art. 124, comma primo, cod. pen., dalla data di entrata in vigore del citato dlgs n. 150 del 2022, debba essere celebrato il processo o, comunque, tenuta un’udienza di esso, i procedimenti penali interessati dalla ricordata novità normativa, non dovrebbero essere trattati, onde dare al soggetto che vi abbia interesse, la possibilità di godere integralmente dello spatium deliberandi a lui concesso per valutare se procedere o meno alla presentazione del conquesto; infatti, laddove gli stessi fossero trattati durante tale periodo il loro destino, con grave nocumento per la persona offesa che non si sia ancora querelata, sarebbe segnato dovendo necessariamente ad essi essere applicato l’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. con l’obbligo per il giudice di pronunziare immediatamente il proscioglimento dell’imputato stante la mancanza della condizione di procedibilità.
Ritiene, tuttavia, il Collegio che una tale esigenza, pur in assenza di formale querela nel caso che ora interessa, non sia oggetto di una scelta ineludibile.
Ed invero, come in passato questa Corte ha già avuto occasione di puntualizzare, poiché la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richiede formule particolari, essa, può essere, pertanto, riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, i quali, ove emergano situazioni di incertezza, vanno, comunque, interpretati alla luce del favor querelae (Corte di cassazione, Sezione V penale, 24 gennaio 2022, n. 2665).
Nel novero di tali atti può essere ricompresa, sempre secondo la interpretazione di questa Corte, anche la costituzione di parte civile od anche la semplice riserva di costituirsi parte civile (cfr.: Corte di cassazione, Sezione II penale, 7 febbraio 2020, n. 5193, principio espresso proprio in relazione ad un reato divenuto procedibile a querela di parte nelle more del giudizio).
Pertanto, quanto al caso di specie, la mancanza di querela - infatti essa non è stata rinvenuta in atti - non inficia la procedibilità del presente giudizio, stante la costituzione di parte civile di due fra le persone offese e, pertanto, anche danneggiate dal reato.
Privo di pregio è il quarto motivo di impugnazione, essendo del tutto consolidata l’indicazione giurisprudenziale secondo la quale l’effetto di depenalizzazione e, pertanto, la degradazione a mero illecito amministrativo delle condotte comportanti immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità, determinatosi in occasione della entrata in vigore della legga n. 447 del 1995, recante “Legge quadro sull’inquinamento acustico”, si verifica esclusivamente nella ipotesi in cui le immissioni sonore, senza comportare la lesione, neppure potenziale al bene della quiete pubblica, superino, tuttavia, i limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia (per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 19 dicembre 2017, n. 56430); nel nostro caso, perciò, stante l’accertata violazione non tanto dei parametri normativi quanti di quelli riferiti alla tutela del bene interesse “quiete pubblica” protetto dalla norma ora in discussione (accertamento questo operato dal Tribunale riminese, frutto di una verifica empirica rimessa al suo discrezionale apprezzamento trattandosi di circostanza di fatto: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 marzo 2015, n. 11031), si è chiaramente al di fuori dell’ambito applicativo della ipotesi di mero illecito amministrativo invocata da parte del ricorrente.
Al parziale accoglimento del ricorso proposto dall’Antonelli consegue, come accennato: a) l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riguardo al reato di cui all’art. 659, secondo comma, cod. pen., stante l’insussistenza del fatto; b) l’annullamento della sentenza impugnata relativamente al trattamento sanzionatorio derivante dalla commissione della residua contravvenzione di cui al primo comma del medesimo art. 659 cod. pen., con rinvio al Tribunale di Rimini in diversa composizione personale, per la rideterminazione di esso; c) il rigetto degli altri motivi di impugnazione non afferenti alla ipotesi di reato ritenuta insussistente, e l’assorbimento del motivo di impugnazione avente ad oggetto la dichiarata sospensione condizionale della pena, dovendo lo stesso essere riesaminato ex novo in esito alla rideterminazione della pena in sede di giudizio di rinvio.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. la pronunzia avente ad oggetto la responsabilità dell’Antonelli in ordine al reato di cui all’art. 659, comma primo, cod. pen. va dichiarata definitiva.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condotta riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 659, comma 2, cod. pen., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e con rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio per le residue condotte, qualificate ai sensi dell’art. 659, comma 1, cod. pen., al Tribunale di Rimini, in diversa composizione, per nuovo giudizio sul punto.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2023