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Sez. 3, Sentenza n. 9504 del 10/02/2005 Ud. (dep. 10/03/2005 ) Rv. 230983
Presidente: Vitalone C. Estensore: Grillo C. Relatore: Grillo C. Imputato: Lovato. P.M. Izzo G. (Parz. Diff.)
(Rigetta, App. Brescia, 2 Febbraio 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Accumulo di veicoli fuori uso - Autorizzazione ex art. 28, D.Lgs. n. 22 del 1997 - Necessità - Mancanza - Reato di cui all'art. 51 - Configurabilità.
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Massima (Fonte CED Cassazione)
La raccolta di veicoli fuori uso in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 28, D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 configura il reato di cui all'art. 51, comma primo, del citato decreto, atteso che per gli stessi sussiste l'obbligo giuridico di disfarsene ex art. 46, D.Lgs. n. 22, con termini più rigorosi dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 24 giugno 2003 n. 209.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 10/02/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 280
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - N. 25380/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LOVATO Mirella, nata a Mantova il 24/7/1949;
avverso la sentenza n. 196/04 del 2-11/2/2004, pronunciata dalla Corte di Appello di Brescia.
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Carlo M. Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. IZZO G., con cui chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
la Corte osserva:
FATTO E DIRITTO
Con la decisione indicata in premessa, la Corte di Appello di Brescia confermava integralmente la sentenza 5/3/2003 con la quale il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, aveva condannato Lovato Mirella, legale rappresentante della ditta "Lovato F.lli s.r.l.", alla pena di mesi 5 di arresto ed euro 2.500,00 di ammenda in ordine ai reati di cui agli artt. 51, comma 1 lett. a) e b), e 50, commi 1 e 2, D.L.vo n. 22/1997, accertati rispettivamente il 13/9/99 ed il 26/10/2000 raccolta non autorizzata di rifiuti speciali non pericolosi (carcasse e rottami di autoveicoli, pneumatici usati, bombole di gas vuote, rottami ferrosi e bidoni vuoti) e pericolosi (n. 70 batterie usate), nonché inottemperanza all'ordinanza sindacale 22/6/2000 di rimozione di rifiuti non autorizzati. L'imputata ricorre per Cassazione, deducendo: 1) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 6, comma 1 lett. a), D.L.vo n. 22/1997, così come autenticamente interpretato dall'art. 14 D.L. n. 138/2002, convertito in L. n. 178/2002, nonché carenza ed illogicità di motivazione del provvedimento impugnato (ex art. 606, comma 1 lett. 'b' ed 'e', c.p.p.), non potendosi qualificare rifiuti i materiali accantonati - in vista di un futuro utilizzo, senza alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del D.L.vo n. 22/1997 - dalla ditta F.lli Lovato, esercente commercio di autoveicoli nuovi ed usati e di pezzi di ricambio, attività regolarmente autorizzata dal Comune di Mantova; 2) erronea applicazione dell'art. 51, comma 1 lett. a) e b), D.L.vo n. 22/1997 e manifesta irrazionalità della motivazione (ex art. 606, comma 1 lett. 'b' ed 'e', c.p.p.), perché, pur avendo la Corte distrettuale riconosciuto che non veniva svolta dalla ditta Lovato attività di raccolta di rifiuti, trattandosi tutt'al più di "deposito incontrollato", tuttavia veniva ritenuta corretta la condanna della prevenuta per raccolta non autorizzata di rifiuti; 3) erronea applicazione degli artt. 6, comma 1 lett. m), e 28, comma 5, D.L.vo n. 22/1997, nonché carenza di motivazione (ex art. 606, comma 1 lett. 'b' ed 'e', c.p.p.), avendo la Corte escluso - per quanto concerne i rifiuti pericolosi - la ravvisabilità del "deposito temporaneo", ritenendo che il registro di carico e scarico, di cui all'art. 12, non fosse tenuto in modo corretto e che non ricorressero le altre condizioni prescritte dal menzionato art. 6, senza però specificarne i motivi; 4) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 6, comma 1 lett. a), D.L.vo n. 22/1997, così come autenticamente interpretato dall'art. 14 D.L. n. 138/2002, convertito in L. n. 178/2002, nonché carenza ed illogicità di motivazione del provvedimento impugnato (ex art. 606, comma 1 lett. 'b' ed 'e', c.p.p.), avendo la Corte ribadito in modo apodittico che l'area aziendale della ditta Lovato fosse occupata da rifiuti, ritenendo pertanto legittimo l'ordine di rimozione impartito dal Sindaco, senza però valutare se il materiale depositato avrebbe potuto essere riutilizzato senza alcun trattamento preventivo e senza pregiudizio per l'ambiente ovvero previo trattamento preventivo diverso da qualsiasi attività di recupero disciplinata nell'allegato C del D.L.vo n. 22/1997, secondo il menzionato art. 14 (ius superveniens). All'odierna udienza dibattimentale, il P.G. conclude come riportato in premessa.
Il ricorso non merita accoglimento.
Anche se esposte in quattro distinte doglianze, le censure sostanzialmente sono due: 1) i materiali rinvenuti nell'area aziendale non vanno qualificati rifiuti, alla luce
dell'interpretazione autentica della definizione di rifiuto fornita dall'art. 14 L. n. 178/2002,- 2) per quanto concerne i rifiuti pericolosi, si trattava di "deposito temporaneo", per cui non era richiesta alcuna autorizzazione. Entrambi gli assunti sono infondati. Relativamente alla qualificazione di rifiuto del materiale trovato nell'area della ditta F.lli Lovato s.r.l., deve ricordarsi che, nel nuovo CER, i veicoli fuori uso figurano alla voce 16 01 04 come rifiuti pericolosi oppure, se privati dei liquidi e delle altre componenti pericolose, alla voce 16 01 06 e sono stati oggetto, in sede comunitaria, di una decisione ad hoc (n. 119/2001/CE del 27/1/2001); i pneumatici fuori uso figurano alla voce 16 01 03; i rottami ferrosi alla voce 16 01 17; le bombole di gas alla voce 16 05; le batterie alla voce 16 06. Pertanto sussiste la prima delle condizioni, quella oggettiva, richieste dall'art. 6, comma 1 lett. a), D.L.vo n. 22/1997.
Anche la seconda condizione di detta norma ricorre, non apparendo dubbio l'atteggiamento psicologico del detentore di tali rifiuti (di disfarsi degli stessi), che si desume dalle circostanze concrete in cui essi erano tenuti e dal loro pessimo stato di conservazione, senza considerare che, per i veicoli fuori uso (e dall'ordinanza sindacale di rimozione, intervenuta quasi un anno dopo, risulta che erano ancora in loco due autovetture, dodici autocarri e quindici cassoni), sussiste un preciso obbligo giuridico di disfarsene, ex art. 46 D.L.vo n. 22/1997, materia adesso ridisciplinata in termini ancora più rigorosi dal D.L.vo 24/6/2003, n. 209, ovviamente non applicabile ai fatti de quibus, ex art. 2 c.p..
Non possono ritenersi sussistenti, poi, ad avviso del Collegio, le condizioni di deroga di cui al comma 2 del menzionato art. 14 D.L. n. 138/2002, convertito in L. n. 178/2002, non essendo stato dimostrato dalla ricorrente - su cui grava l'onus probandi, trattandosi di eccezioni alla regola - che i materiali in questione potevano essere ed erano effettivamente e oggettivamente riutilizzati senza - subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente (comma 2 lett. 'a'), ovvero dopo aver subito un trattamento preventivo senza necessità di alcuna delle operazioni di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22/1997 (comma 2 lett. 'b').
Quindi, trattandosi di rifiuti speciali (pericolosi e non) presumibilmente prodotti da terzi, in mancanza di prova contraria, in quanto la ditta Lovato esercita attività di commercio autoveicoli e pezzi di ricambio da cui non dovrebbero residuare rifiuti del tipo di quelli in questione, era indispensabile l'autorizzazione prescritta dall'art. 28 D.L.vo n. 22/97, senza la quale il materiale de quo non poteva essere tenuto nell'area aziendale, vietando l'art. 51, comma 1, D.L.vo n. 22/1997 sia la raccolta, che il recupero e lo smaltimento di rifiuti, in mancanza della stessa.
D'altro canto non può neppure parlarsi, nella fattispecie in esame, con riferimento alle batterie esauste, di deposito temporaneo, come prospettato dalla difesa. Infatti, secondo l'art. 6, comma 1 lett. m), del decreto Ronchi, esso consiste nel "raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti", purché ricorrano una serie di condizioni specificamente indicate dalla norma. Orbene, a parte la considerazione (già di per sè assorbente) che manca la prova che i rifiuti in questione fossero stati prodotti dalla ditta della prevenuta, non sussistono neppure la maggior parte delle altre condizioni dettate dal legislatore, come hanno accertato i giudici del merito e, comunque, il deposito temporaneo deve essere effettuato sull'area a ciò abilitata e non altrove. Potrebbe semmai parlarsi, allora, di deposito incontrollato di rifiuti propri, sempre che fosse provata tale origine per quelli in questione, ma anche questa condotta, riferendosi ad una impresa, è penalmente sanzionata ed in pari misura dall'art. 51, comma 2, D.L.vo n. 22/1997.
Dalle esposte considerazioni emerge, poi, la legittimità dell'ordinanza sindacale 22/6/2000 non ottemperata, con quel che ne consegue in punto responsabilità della prevenuta.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2005.
Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2005