Nel vasto panorama
legislativo dedicato al tema della protezione dell’ambiente, l’attenzione
maggiore viene prestata ai fenomeni chimici, mentre l’inquinamento determinato
da fenomeni fisici è stato solo di recente preso nella dovuta considerazione
(si pensi, ad esempio, all’interesse ora suscitato dal fenomeno del cosiddetto
elettrosmog, determinato dall’emissione di campi magnetici generati da
elettrodotti ed impianti di radiotrasmissione).
Una
situazione analoga si è verificata con riferimento all’inquinamento acustico,
fenomeno che, come ormai riconosciuto unanimemente dalla scienza medica, è
idoneo a provocare effetti sicuramente dannosi per la salute delle persone.
Come
è stato osservato in dottrina[1]
con la legge 23 dicembre 1978 n.833 (Legge di riforma sanitaria) veniva preso in
considerazione il problema delle emissioni sonore negli ambienti di lavoro,
abitativi e nell’ambiente esterno.
Maggior
attenzione al problema, al contrario, veniva prestata dalla normativa
comunitaria attraverso l’emanazione di numerosi provvedimenti[2].
Sebbene
la salvaguardia dell’integrità psicofisica dei lavoratori con riferimento
all’inquinamento acustico sia disciplinata da norme specifiche (articolo 24
D.P.R. 30356 e D.Lgs. 1581991 n.
277) è tuttavia solo con il D.P.C.M. 1 marzo 1991 che per la prima volta venne
preso in considerazione in modo organico l’inquinamento da rumore negli
ambienti abitativi e nell’ambiente esterno fissando i limiti massimi di
esposizione.
Tali
disposizioni, ancora efficaci, venivano peraltro emanate in via transitoria in
attesa dell’emanazione della legge quadro sull’inquinamento acustico.
Con
esse si stabilivano soglie di accettabilità dei livelli di rumore su tutto il
territorio nazionale escludendo dall’ambito di operatività del D.P.C.M. gli
ambienti di lavoro (separatamente disciplinati, come si è detto) ed altri
fenomeni di rilevante entità quali, ad esempio, quelli conseguenti alle
emissioni sonore determinate dall’esercizio delle attività aeroportuali.
Il
D.P.C.M. del 1991 indicava i limiti massimi dei cd. livelli sonori equivalenti
(le definizioni si trovano l'allegato 1 al decreto) e prevedeva l’obbligo per
i Comuni di ripartire il territorio in aree territoriali corrispondenti a
livelli sonori omogenei (aree residenziali, industrializzate, miste)[3].
Venivano
anche fissati limiti per le sorgenti sonore operanti nelle aree di cui all'art.
2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (e cioè le zone comprese nel perimetro urbano
o a questo esterne) e nelle zone, essenzialmente industriali.
La
struttura e le finalità del D.P.C.M. 1991 sono state nuovamente prese in
considerazione dalla legge-quadro sull’inquinamento acustico n. 447 del 26
ottobre 1995 che tra l’altro ha previsto, nell’articolo 15, l’efficacia
transitoria della disciplina del 1991 fino alla completa attuazione delle nuove
disposizioni[4].
Come
chiaramente specificato nell’articolo 1, la legge 44785 “stabilisce
i principi fondamentali in materia di tutela dell’ambiente esterno e
dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico ai sensi e per gli
effetti dell’articolo 117 della Costituzione”.
Essa
fornisce anche le definizioni di concetti quali “inquinamento
acustico”, “ambiente abitativo”,
“sorgenti sonore fisse e mobili”,
“valori limite di emissione ed
immissione”, “valori di
attenzione” e “valori di qualità”
rilevanti per la concreta attuazione delle disposizioni contemplate dalla legge
(articolo 2) e vengono specificate in modo dettagliato le competenze in materia
di Stato, Regioni, Provincie e Comuni.
Nell’articolo
10 vengono infine previste sanzioni amministrative in caso di inosservanza delle
prescrizioni contenute nella legge quadro ovvero emanate in ossequio a quanto in
essa disposto.
Successivamente
all’entrata in vigore della Legge 44795 sono state emanate le seguenti
disposizioni:
-
D.M. 11121996
“Applicazione del criterio differenziale per gli impianti a ciclo produttivo
continuo”.
-
D.P.C.M.
1891997
“Determinazione dei requisiti delle sorgenti sonore nei luoghi di
intrattenimento danzante”. Questo decreto oltre a fissare limiti con
riferimento alle attività svolte tanto nei luoghi chiusi che all’aperto,
obbliga i soggetti responsabili delle emissioni a dotarsi di sistemi automatici
di rilevamento le cui registrazioni devono essere conservate a disposizione
degli organi di controllo.
-
D.M. 31101997
“Metodologia di misura del rumore aeroportuale”. Questo decreto indica le
modalità con le quali devono essere effettuate le rilevazioni del rumore
aeroportuale all’interno delle tre zone individuate dal decreto medesimo.
-
D.P.C.M.
14111997
“Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”. Questo
provvedimento fissa limiti assoluti e differenziali di immissione (valore
massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore
nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno) coincidenti con quelli già
previsti dal D.P.C.M. del marzo
1991. Vengono inoltre fissati limiti di emissione (valore massimo di rumore che
può essere emesso da una sorgente), valori di attenzione (presenza di rumori
che segnalano l’esistenza di un potenziale rischio per la salute umana o per
l’ambiente) e valori di qualità (obiettivi da conseguire nel breve, medio,
lungo termine).
-
D.P.C.M.
5121997
“Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici”. Con tale
decreto vengono individuate le caratteristiche che devono essere possedute dagli
edifici al fine di limitare l’inquinamento acustico. Sono introdotti altresì
valori limite relativi alla rumorosità degli impianti a funzionamento continuo
e discontinuo.
-
D.P.R.
11121997 n.496
“Regolamento recante norme per la riduzione dell’inquinamento acustico
prodotto dagli aeromobili civili”. Questo provvedimento che, unitamente al
D.M. 31101997, si riferisce al rumore aeroportuale, è finalizzato al
contenimento dell’inquinamento acustico generato dagli aeromobili civili.
-
D.M.
1631998 “Tecniche
di rilevamento e di misurazione dell'inquinamento acustico”[5].
Tale disposizione fissa le nuove metodologie di rilevamento e misurazione del
rumore. La sua entrata in vigore ha determinato il definitivo abbandono delle
metodologie fissate dal D.P.C.M. del 1991 che erano rimaste in vigore, in via
transitoria, dopo l’emanazione del D.P.C.M. 14111997.
-
D.P.C.M.
3131998 “Atto di
indirizzo e coordinamento recante criteri generali per l'esercizio dell'attività
del tecnico competente in acustica, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b), e
dell'art. 2, commi 6, 7 e 8, della legge 26 ottobre 1995, n. 447 "Legge
quadro sull'inquinamento acustico"”. Il decreto individua i requisiti
professionali dei soggetti che
svolgono l’attività di tecnico competente in acustica.
-
DPR 18111998
n.459 “Regolamento
recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, n.
447, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario.”
Il provvedimento inquadra l’ambito di applicazione delle disposizioni in esso
contenute e fissa i limiti di immissione ed i valori limite di emissione
all’interno delle zone individuate.
I
provvedimenti attuativi della legge-quadro in precedenza richiamati, come è
facilmente desumibile dalla semplice lettura delle date, sono stati quasi tutti
emanati in un arco di tempo assai ristretto contribuendo così a rendere
possibile l’effettiva attuazione della legge 44795 contrariamente alle non
rosee previsioni formulate dalla dottrina subito dopo la sua entrata in vigore
definendo l’intervento legislativo come “…un
grande proclama del quale, forse, si vedrà attuazione nel prossimo decennio”[6].
L’insolito
attivismo del legislatore non ha tuttavia definitivamente fugato le
preoccupazioni dei commentatori di cui si è appena detto.
Mancano
ancora all’appello, infatti, sette provvedimenti attuativi non ancora emanati.
Inoltre
l’insieme di norme che definisce ora lo stato di attuazione della legge quadro
non contribuisce a semplificare l’attività dell’interprete e presenta
aspetti tecnici complessi che, in alcuni casi, non sono rimasti esenti da
critiche.
E’ il
caso, ad esempio, del D.P.R. 45998 sull’inquinamento acustico da traffico
ferroviario che ha deluso le aspettative di quanti ritenevano ormai
sufficientemente avviato il processo di attuazione della legge quadro con
modalità tali da rendere possibile una effettiva tutela dall’inquinamento
acustico[7].
Non va
inoltre dimenticato che all’emanazione dei provvedimenti attuativi deve poi
seguire l’attività legislativa delle Regioni (ad un sommario esame risulta
che solo la Liguria e la Toscana abbiano sinora legiferato in materia) e
l’intervento delle Province e dei Comuni cui la legge quadro attribuisce
rilevanti ed estese competenze.
Va detto,
però, che con l’entrata in vigore della legge-quadro la materia
dell’inquinamento acustico è stata senz’altro disciplinata in modo più
organico rispetto al passato.
Ciò
non significa, tuttavia, che l’attenzione tardivamente dedicata dal
legislatore all’inquinamento da rumore abbia fornito uno strumento valido ed
efficace per il contenimento e la repressione del fenomeno.
Al
contrario, l’introduzione della legge quadro ha determinato, come si vedrà in
seguito, problemi interpretativi in
parte non ancora risolti fornendo, in alcuni casi, comode vie di fuga a quanti
operano con scarsa attenzione alla salute dei cittadini.
Ci
si riferisce, in particolare, al problema affrontato in più occasioni dalla
giurisprudenza circa la depenalizzazione dell’articolo 659 C.P. conseguente
alla emanazione della legge-quadro.
Va
poi osservato che la citata legge 44795 è stata oggetto di critiche,
sicuramente condivisibili, da parte della dottrina.
Si
è osservato, in particolare, che la legge in esame appare di difficile pratica
attuazione, dovendo la stessa essere integrata mediante la successiva emanazione
di norme tecniche e di altro tipo entro termini prefissati poi, di fatto, non
rispettati o comunque, rispettati solo in parte come si è in precedenza
accennato[8].
Non
va poi sottaciuto che la previsione di sanzioni esclusivamente amministrative
non rappresenta un valido strumento per la repressione di comportamenti
illeciti.
Come
è infatti avvenuto per altre disposizioni in tema di tutela ambientale, la
applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla disciplina di settore
rimane spesso un evento assai raro e, nella maggior parte dei casi, privo di
effetti concreti.
Chiunque
abbia un minimo di esperienza nel settore può aver modo di constatare quali
siano le pratiche conseguenze di una siffatta scelta da parte del legislatore.
Le
ragioni di tale situazione sono facilmente individuabili, in primo luogo, nella
cronica inefficienza degli uffici preposti ai controlli e nella sporadicità dei
controlli medesimi, effettuati nella maggior parte dei casi solo a seguito di
ripetuti solleciti da parte di privati o associazioni.
In
alcuni casi, poi, non è di secondaria importanza la struttura gerarchica e
l’organizzazione degli organi preposti al controllo e la facilità con la
quale gli stessi possono essere soggetti a condizionamenti determinati da
esigenze di politica locale ovvero di natura economica rappresentata dalla
rilevanza degli interessi che sottendono all’esercizio di determinate attività.
Ciò
non significa, però, che il ricorso alla sanzione penale risolva i problemi in
precedenza indicati.
Invero,
pur determinando effetti deterrenti di maggiore rilevanza ed essendo garantito
dall’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, l’intervento
della magistratura risulta fortemente ridimensionato in parte dalle stesse
circostanze in precedenza indicate (scarsità dei controlli da parte dei
soggetti preposti) ed anche da non rare sottovalutazioni dei fenomeni da parte
della stessa magistratura
requirente e giudicante.
Tale
situazione viene tuttavia mitigata, spesso, dalla presenza di indirizzi
giurisprudenziali consolidati che forniscono utili elementi per
l’interpretazione delle disposizioni applicate.
Ciò
è avvenuto anche con riferimento all’inquinamento acustico almeno fino
all’entrata in vigore della legge-quadro che ha causato, come si è già
detto, alcune incertezze negli interpreti.
Va pure
ribadito che, indipendentemente dalla pratica efficacia delle sanzioni
amministrative previste dalla disciplina di settore, la emanazione del D.P.C.M.
del 1991 prima e della legge-quadro poi hanno comunque disciplinato in modo
organico il settore fornendo all’interprete utili punti di riferimento.
Resta da
indicare, per completezza, quali siano le altre disposizioni in tema di rumore
che direttamente o indirettamente tutelano la generalità dei cittadini
dall’inquinamento fonico. In tale elenco non vanno dunque comprese le
disposizioni poste a tutela dei lavoratori cui peraltro si è già fatto cenno
in precedenza.
Si
rinvengono così:
-
il D.M. 28/11/1987 n.588 “Attuazione delle direttive CEE
n.79/113, n.81/1051, 85/405, 84/533, 85/406, 84/534, 84/535, 85/407, 84/408,
84/537 e 85/409 relative al metodo di misura del rumore, nonché al livello
sonoro o di potenza acustica di motocompressori, gru a torre, gruppi elettrogeni
di saldatura,, gruppi elettronici e martelli demolitori azionati a mano,
utilizzati per compiere lavori nei cantieri edili e di ingegneria civile”.
Tale decreto prevede, nell’articolo 5, la possibilità per il sindaco di
disciplinare, con provvedimento motivato, in relazione all’emissione sonora,
l’impiego dei macchinari suddetti in base alle disposizioni vigenti.
-
Il D.Lv 27/1/1992 n. 134 “Attuazione
della direttiva 85594CEE relativa al rumore aereo emesso dagli apparecchi
domestici”.
-
Il D.Lv. 2711992 n.135 “Attuazione delle direttive 86662CEE
e 89514CEE in materia di limitazione del rumore prodotto dagli escavatori
idraulici e a funi, apripista e pali caricatrici”.
-
Il D.Lv. 2711992 n. 136 “Attuazione delle direttive 88180CEE
e 88181CEE relative al livello di potenza acustica ammesso dei tosaerba”.
-
Il D.Lv. 2711992 n.137 “Attuazione della direttiva 87405CEE
relativa al livello di potenza acustica ammesso delle gru a torre”.
-
Il D.M. 431994 n.316 “Regolamento recante norme in materia di
limitazione del rumore prodotto dagli escavatori idraulici e a funi, apripista e
pali caricatrici”.
-
Il D.M. 2531994 n.317 “ Regolamento recante norme relative al
livello di potenza acustica ammesso per i tosaerba”.
-
Il D.M. 19121994 “Disposizioni sulla limitazione delle
emissioni sonore dei velivoli subsonici a reazione in conformità del programma
di azione della CEE in materia ambientale”.
-
Il D.M. 2831995 “Attuazione della direttiva CEE 9214 in tema
di limitazione delle emissioni sonore dei velivoli subsonici a reazione”.
Presa
dunque visione del panorama normativo attualmente vigente, va ora rilevato che
l’unico strumento di tutela penale in materia di inquinamento da rumore resta
ancora oggi, se si escludono le norme relative agli ambienti di lavoro,
l’articolo 659 C.P.
Ciò
posto, appare necessario esaminare ora quale sia la struttura della disposizione
richiamata, l’ambito di applicazione della stessa (anche alla luce della
legge-quadro 44795 e dei provvedimenti attuativi) accennando anche alla nutrita
casistica rinvenibile nei numerosi precedenti giurisprudenziali.
L’articolo
659 C.P. rappresentava, almeno fino a pochi anni orsono, l’unico strumento
repressivo utilizzabile per combattere, anche se indirettamente,
l’inquinamento acustico.
Attualmente,
in presenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale e delle
disposizioni introdotte dalla legge quadro sull’inquinamento acustico, sembra
possibile una più incisiva utilizzazione degli strumenti legislativi
disponibili.
L’articolo
659 C.P. è inserito nel codice penale tra le contravvenzioni concernenti
l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica.
In più
occasioni si è precisato che esso prevede due distinte ipotesi di reato: una,
contemplata dal primo comma, che punisce il disturbo della pubblica quiete da
chiunque determinato e cagionato con modalità espressamente e tassativamente
determinate; l’altra, disciplinata dal secondo comma, che punisce le attività
rumorose, industriali o professionali, esercitate in difformità dalle
prescrizioni di legge o dalle disposizioni dell’autorità.
La
distinzione tra le due figure autonome di reato è stata peraltro recentemente
ricordata dalla Corte di Cassazione[9].
Si
è poi osservato[10]
che, affinché possa ritenersi configurata la fattispecie contravvenzionale
prevista dal primo comma, deve accertarsi in concreto il disturbo al riposo o
alle occupazioni delle persone, mentre l’esercizio di mestieri o professioni
rumorose determina l’applicazione delle sanzioni previste dal secondo comma
prescindendo dall’effettivo disturbo, in quanto il reato si configura ogni
volta che tali attività siano
esplicate contravvenendo ai limiti imposti dai regolamenti o dagli altri
provvedimenti adottati dall’Autorità.
Altrettanto
pacifica, secondo la giurisprudenza, è la natura di reato di pericolo della
contravvenzione prevista dall’articolo 659 c.p., tanto che la violazione può
configurarsi anche in assenza di offesa a soggetti determinati quando venga
posta in essere una condotta idonea ad arrecare disturbo ad un numero
indeterminato di persone[11].
Trattasi
inoltre di reato eventualmente permanente in quanto l’evento perturbante può
protrarsi per un tempo indeterminato.
Quanto
all’elemento soggettivo la Corte di cassazione ha in un primo tempo rilevato
come non sia richiesto il dolo, tanto meno specifico, essendo sufficiente la
sola volontarietà del fatto[12].
In
altra occasione la Corte ha avuto modo di occuparsi della questione con
riferimento all’applicabilità dell’articolo 5 C.P. così come modificato a
seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la decisione del 24
marzo 1988, N. 364[13].
A tale
proposito i giudici di legittimità osservavano che un operaio addetto all’uso
di un martello pneumatico che provocava rumori eccedenti la normale tollerabilità
non poteva invocare a suo favore l’ignoranza della legge poiché essendo egli
professionalmente inserito in un determinato campo di attività, ben
avrebbe facilmente potuto informarsi sulle prescrizioni dell’autorità in
materia (nella fattispecie, una ordinanza sindacale che l’imputato affermava
di non conoscere a causa del suo stato di semplice dipendente).
Più
recentemente, tuttavia, si è precisato che non è configurabile neppure la
colpa, non solo per la violazione dell’articolo. 659 C.P., ma anche per quella
contemplata dall’articolo 674, nei
confronti del titolare di uno stabilimento industriale il quale “abbia
adottato, anche con notevole
anticipo rispetto alle ditte concorrenti e con considerevole
dispendio di
risorse in termini economici, tecnologie di intervento altamente
qualificate per prevenire le immissioni”[14].
Va poi
rilevato che la individuazione di due autonome ipotesi di reato ha indotto in
alcuni casi a ritenere che l’esercizio di una industria o di un mestiere
rumoroso possa essere sanzionata esclusivamente in base al disposto del secondo
comma dell’articolo 659 c.p.
A
tali argomentazioni si è tuttavia obiettato osservando come la violazione
contemplata dal primo comma dell’articolo 659, ascrivibile a “chiunque”,
sia in realtà applicabile con riferimento a tutte le fonti di rumore che
arrechino disturbo ivi comprese, dunque, le attività descritte nel secondo
comma.
La
fattispecie prevista dal secondo comma è invece applicabile, come si è detto,
a tutte le attività rumorose che, indipendentemente dal disturbo arrecato in
concreto, si svolgono in contrasto con le norme poste da leggi e regolamenti.
La
questione relativa all’ambito di applicazione delle due ipotesi
contravvenzionali è stata peraltro risolta, per certi aspetti, dalla Corte di
Cassazione che ha evidenziato la inefficacia dell’esistenza di una
autorizzazione amministrativa all’esercizio di un’attività rumorosa ai fini
dell’esclusione della configurabilità del reato previsto dal secondo comma
dell’articolo 659, sul presupposto che l’esercizio dell’attività
autorizzata deve comunque esplicarsi nel rispetto delle leggi e delle
prescrizioni a tutela della quiete pubblica[15].
La
Corte ha anche affermato che, sebbene l’esercizio di attività rumorosa non
sia sanzionabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 659 c.p. quando
avvenga nel rispetto delle prescrizioni dell’autorità e delle disposizioni di
legge, è comunque applicabile il primo comma della medesima disposizione
qualora l’uso di strumenti sonori ecceda il normale esercizio dell’attività
ed arrechi disturbo all’occupazione o al riposo delle persone (la fattispecie
esaminata riguardava l’esercizio di attività di discoteca a carattere
stagionale)[16].
Il
principio è stato ribadito prendendo in esame l’attività di esercizio di un
“piano - bar” in un caso in cui le emissioni sonore eccedenti la normale
tollerabilità erano determinate dall’uso abnorme degli strumenti normalmente
utilizzati dall’esercente ed alla produzione di altri rumori non strettamente
connessi con l’espletamento di tale attività[17].
Più
in generale, si è pure precisato che la violazione contemplata dal primo comma
dell’articolo 659 può concretarsi anche
in presenza di attività pienamente legittima sotto il profilo amministrativo
poiché, contrariamente a quanto avviene per il reato di cui al secondo comma,
deve prescindersi ”da ogni
autorizzazione o legittimità di operato, valutandosi soltanto il disturbo
arrecato ai terzi mediante la condotta descritta dalla norma”[18].
La Corte
di cassazione ha anche fornito ulteriori indicazioni sulle modalità di
accertamento del reato, ricordando che per l’ipotesi contravvenzionale
contemplata nel primo comma è necessario fornire la prova dell’idoneità del
rumore a cagionare turbativa della quiete pubblica, mentre con riferimento al
reato previsto dal secondo comma dell’articolo 659 l’evento perturbante deve
ritenersi presunto “iuris et de iure”.[19]
Sempre
con riferimento alla violazione prevista dal primo comma, la Corte ha precisato
che “la valutazione circa l’entità
del fenomeno rumoroso va fatta in rapporto alla media sensibilità del gruppo
sociale in cui tale fenomeno si verifica”[20]
non essendo peraltro sufficiente l’effettivo disturbo ad un numero di persone
limitato, poiché è necessario constatare l’effettiva attitudine ad arrecare
disturbo ad un numero indeterminato di persone[21].
L’accertamento,
inoltre, non va necessariamente effettuato mediante perizia o consulenza
tecnica, poiché il giudice potrà trarre adeguati elementi di convincimento
attraverso altri mezzi di prova quali, ad esempio, le dichiarazioni testimoniali
di persone in grado di riferire su fatti oggettivamente percepiti[22].
Tralasciando
di menzionare la nutrita casistica relativa alla violazione in esame che, solo
negli ultimi cinque anni, spazia dalle emissioni moleste provocate
dall’attività di discoteca[23],
dell’esercizio di una fonderia[24],
all’abbaiare di un cane[25]
ed al suono delle campane di una chiesa,[26]
è il caso di affrontare ora la ben più complessa questione dei rapporti
intercorrenti tra la norma penale appena esaminata e la legge quadro
sull’inquinamento acustico.
Come
si è accennato in precedenza, la questione è ancora aperta ed è stata
affrontata in modo differente da dottrina e giurisprudenza.
La
prima decisione edita con la quale sembra essere stato affrontato il problema è
quella di un G.I.P. che, nel rigettare la richiesta di decreto penale formulata
dal pubblico ministero pronunciava sentenza di assoluzione ritenendo
implicitamente abrogato l’articolo 659 c.p.[27].
La
decisione, in realtà sinteticamente motivata, sollevava per la prima volta le
questioni di cui ancora si discute ma venne presto annullata dalla Corte di
cassazione con una pronuncia nella quale, in modo sufficientemente articolato,
si suggeriva una coerente lettura delle disposizioni applicate[28].
Osservava
la corte che le disposizioni in esame tutelano beni giuridici diversi ed era
pertanto da escludersi la implicita abrogazione ritenuta dal G.I.P.
Veniva
poi aggiunto che è compito dell’interprete verificare di volta in volta se i
casi sottoposti alla sua attenzione configurino una violazione amministrativa
conseguente all’inosservanza dei limiti fissati con la legge-quadro
ovvero una lesione o messa in pericolo della pubblica quiete sanzionabile
in base all’articolo 659 C.P.
Mentre
si attendeva il primo giudizio della Corte sull’argomento, altre inedite
decisioni dei giudici di merito prospettavano soluzioni intermedie ritenendo che
l’abrogazione conseguente all’entrata in vigore della legge quadro
riguardasse solo il secondo comma dell’articolo 659.
Tale
situazione venutasi a creare induceva ad alcune riflessioni[29].
Già
la dottrina aveva infatti sollevato la questione in un primo commento alla
legge-quadro formulando alcune riserve circa la possibile depenalizzazione
dell’articolo 659 C.P.[30];
l’intervento della giurisprudenza rendeva però necessaria una più
approfondita valutazione delle disposizioni citate.
A
tale proposito si osservava in primo luogo che la legge 44795 prevede
espressamente, nell’articolo 16, l’abrogazione delle norme incompatibili da
effettuarsi con modalità espressamente indicate e che tale disposizione risulta
tuttora inattuata.
Si
aggiungeva poi che da un confronto diretto tra le disposizioni contenute
nell’articolo 10 secondo comma della legge quadro e quelle contemplate
l’articolo 659 primo comma C.P. (le uniche astrattamente sovrapponibili tra
loro) appariva di tutta evidenza l'impossibilità di ritenere implicitamente
abrogata la norma penale.
Vi
era da tenere conto, però, anche della possibile applicabilità del principio
di specialità contemplato dall’articolo 9 della legge 24111981 n.689.
Anche
tale soluzione veniva esclusa per una serie di motivi.
In
primo luogo si osservava, con riferimento all’ipotesi contravvenzionale
prevista dal primo comma dell’articolo 659 C.P., che le due fattispecie da
sottoporre a confronto erano sicuramente differenti tra loro: una, infatti,
riguarda il semplice superamento dei valori massimi di emissione ed immissione
contemplati dalla legge-quadro, l’altra, invece, concerne il disturbo della
pubblica quiete effettuato con modalità
diverse ed espressamente indicate.
Le
evidenti differenze della struttura giuridica dell’illecito e del bene
giuridico tutelato induceva a trarre analoghe conclusioni anche con riferimento
alla violazione contemplata dal secondo comma dell’articolo 659.
A
tale proposito si ricordava che la Corte di Cassazione nell’indicare le
modalità per una corretta applicazione dell’articolo 9 legge 68981 aveva più
volte evidenziato che la verifica della sussistenza del rapporto di specialità
deve essere effettuato con riferimento alla fattispecie concreta, al fine di
accertare se la stessa, in tutti i suoi elementi materiali possa ricondursi ad
entrambe le disposizioni esaminate.
Utilizzando
tale principio interpretativo appariva evidente che l’articolo 10 secondo
comma della legge-quadro ha una portata applicativa diversa e minore rispetto a
quella dell’articolo 659 secondo comma poiché la prima disposizione contempla
il solo superamento di valori limite precedentemente fissati, mentre la
disposizione penale può essere violata anche attraverso l’esercizio di
attività rumorose in spregio a disposizioni impartite dall’autorità con
modalità o per ragioni diverse da quelle prese in considerazione dalla legge
quadro, non potendosi escludersi, ad esempio, la fissazione di limiti più
restrittivi da quelli individuati dalla legge quadro fissati in situazioni
particolari o per finalità diverse
da quelle prese in considerazione dalla legge predetta.
Si
osservava infine che mentre la disposizione penale abbraccia il fenomeno delle
immissioni rumorose e moleste nel suo complesso, l’articolo 10 della legge
quadro contemplava esclusivamente violazioni formali e che tale circostanza
rendeva di tutta evidenza le pratiche conseguenze di una diversa interpretazione
che avrebbe determinato una considerevole limitazione degli strumenti repressivi
disponibili.
Nello
stesso giorno in cui veniva depositata la sentenza Rosso di cui si è detto in
precedenza, avveniva il deposito di altra pronuncia di segno opposto[31].
In
essa la Corte riconosceva la immediata applicabilità delle disposizioni
contenute nella legge-quadro indipendentemente dalla emanazione dei previsti
regolamenti da parte degli enti competenti per essere comunque rimasti in vigore
i valori limite fissati dal D.P.C.M. del 1991.
Da
ciò consegue, ad avviso della Corte, la sussistenza di un evidente rapporto di
specialità tra la disposizione penale di cui al secondo comma dell’articolo
659 e quella contemplata dall’articolo 10 della legge 44795 che determina
l’applicabilità di tale ultima fattispecie rispetto a quella penale di
carattere generale.
Nell’affermare
ciò, tuttavia, la Corte precisa che la presenza della norma speciale non
determina l’abrogazione della disposizione di carattere generale e, anzi,
“…ogni altra violazione, diversa da
quella riguardante la regolamentazione dell’inquinamento ambientale, posta in
essere dagli esercenti una professione o un mestiere rumoroso contro le
disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità (come dice l’art.
659 comma 2 C.P.) e non prevista come illecito amministrativo da altra norma di
carattere speciale, rimane sottoponibile alla sanzione penale di cui al citato
articolo 659 ”.
In altra
pronuncia di data anteriore (ma depositata qualche giorno dopo la pubblicazione
della sentenza Marasco Petromilli di cui si è appena detto)[32]
la Corte forniva una diversa interpretazione delle disposizioni in esame
formulando alcune osservazioni in parte ribadire nella successiva sentenza Rosso
citata in precedenza.
Sempre
riferendosi al secondo comma dell’articolo 659 C.P. la Corte ribadiva che esso
contiene una norma imperfetta o in bianco il cui precetto necessita di
integrazione da parte di altre leggi, regolamenti o atti amministrativi.
Le
disposizioni integrative “devono essere
dirette a disciplinare e determinare specificamente le modalità spaziali e
temporali dell’esercizio delle attività di lavoro rumoroso. A questo fine
sono irrilevanti le disposizioni dettate ad altri scopi, la cui violazione
configurerà, qualora ne ricorrano le condizioni, altri reati o infrazioni
amministrative”.
Sulla
base di tale presupposto la Corte escludeva dunque l’applicabilità nella
fattispecie (esercizio commerciale che produceva emissioni rumorose attraverso
un condizionatore d’aria) dell’articolo 10 secondo comma legge 44795
regolante la diversa materia dell’inquinamento acustico.
Nel
commento alle due pronunce[33]
non si condivideva l’iter logico seguito dalla sentenza Marasco Petromilli
ritenendo che la stessa, nel sostenere l’immediata applicabilità delle
sanzioni amministrative pur in assenza delle disposizioni integrative previste
dalla legge-quadro, risultava in contrasto con il divieto di interpretazione
analogica enunciato dall’articolo 1 della legge 68981.
Veniva
tuttavia riconosciuta la correttezza del richiamo alla possibile applicazione
del principio di specialità di cui all’articolo 9 Legge 68981.
Sulla
base di tale presupposto venivano anche formulate alcune riserve sul contenuto
della sentenza Giacomelli rilevando come le disposizioni della legge quadro e
del D.P.C.M. del 1991 “non si
preoccupano solo di regolamentare il fenomeno dell’inquinamento acustico,
quale evento autonomamente ed astrattamente considerabile, ma investono anche la
disciplina delle diverse sorgenti ed attività rumorose, quali antecedenti
necessari produttivi del pregiudizio acustico”.
In una
successiva sentenza[34]
la Corte mutava ancora una volta orientamento ritenendo ormai depenalizzata
l’ipotesi contravvenzionale di cui al secondo comma dell’articolo 659 a
seguito dell’entrata in vigore della legge quadro del 1995 ma precisava che
tale depenalizzazione non poteva considerarsi estesa la primo comma
dell’articolo citato ove non viene preso in considerazione il superamento di
determinati livelli di rumorosità, bensì le conseguenze negative
dell’attività rumorosa sulle occupazioni ed il riposo delle persone ovvero
sugli spettacoli i ritrovi ed i trattenimenti pubblici non contemplate dalla
disciplina amministrativa.
Dopo
pochi giorni veniva depositata altra decisione[35]
con la quale veniva ribadito che la violazione contemplata dal secondo comma
dell’articolo 659 non poteva considerarsi abrogata dall’articolo 10 Legge
44795 poiché conserva rispetto a tale ultima disposizione un ambito di
applicazione più ristretto ed accompagnando l’osservazione con un richiamo
esemplificativo all’ipotesi in cui l’attività rumorosa sia svolta nel
rispetto dei limiti di emissioni acustica fissate per legge ma in ora diversa da
quella stabilita dai regolamenti vigenti in un determinato comune.
La tesi
della depenalizzazione veniva nuovamente prospettata in altra decisione[36]
pur se successive sentenze, anche recenti, sembrano riconoscere implicitamente
la configurabilità della contravvenzione contemplata dal secondo comma
dell’articolo 659[37].
Da ultimo
l’orientamento veniva nuovamente confermato in altre due pronunce con preciso
riferimento, però, al caso in cui la condotta si configuri nel superamento dei
limiti di accettabilità delle emissioni sonore conseguenti all’esercizio di
mestieri rumorosi[38]
anche se altre più recenti sentenze ancora una volta ammettono la applicabilità
dell’articolo 659 secondo comma[39].
Alla luce
delle pronunce sopra richiamate appare evidente che al Corte di Cassazione non
ha ancora raggiunto un indirizzo univoco nell’individuare i rapporti
intercorrenti tra la disciplina penale e quella amministrativa di più recente
introduzione. E’ inoltre facile prevedere che ulteriori questioni verranno
sollevate se e quando verrà data attuazione all’articolo 16 della legge
44795 che, come si è detto in precedenza, prevede l’abrogazione delle norme
incompatibili con la legge medesima.
Sembra
inoltre opportuno osservare che le argomentazioni poste a sostegno delle
richiamate decisioni che prospettano la depenalizzazione dell’articolo 659
secondo comma non sembrano fornire una convincente risposta alle perplessità
sollevate dopo l’entrata in vigore della legge quadro né, tantomeno, sembrano
inficiare le diverse conclusioni cui si è giunti nelle altre pronunce che
prospettano la soluzione contraria.
Le
considerazioni finora formulate dalla Corte non sembrano rappresentare però per
l’interprete una situazione di obiettiva incertezza in quanto forniscono
comunque utili spunti per delimitare l’ambito di operatività delle
disposizioni richiamate.
Deve
infatti osservarsi che è stato sempre e comunque escluso qualsiasi effetto
conseguente all’entrata in vigore della legge quadro sull’ipotesi
contravvenzionale prevista dal primo comma dell’articolo 659 e che si è in più
occasioni ribadito che la ritenuta depenalizzazione del secondo comma e la
conseguente applicabilità della disciplina amministrativa deve ritenersi
limitata alle ipotesi di superamento dei limiti di emissione, con la conseguenza
che restano escluse non solo le attività poste in essere in violazione di altre
disposizioni di legge o regolamentari, ma anche quelle che possono configurare
la diversa contravvenzione prevista al primo comma.
Sembra
dunque che anche applicando l’indirizzo giurisprudenziale meno rigoroso
restano comunque soggette a sanzione penale i casi maggiormente significativi
limitandosi l’applicazione delle norme amministrative alle meno gravi
violazioni formali.
Va poi
aggiunto che tale ultimo indirizzo non sempre ha convinto i giudici di merito
che, in alcune occasioni, si sono discostati dalla giurisprudenza della Corte
con articolate e convincenti decisioni.
A tale
proposito va segnalata una interessante pronuncia[40]
nella quale viene non solo affermata la illegittimità dell’autorizzazione al
superamento dei limiti massimi di inquinamento acustico rilasciata ai sensi
dell’articolo 6 lettera H) legge 44795 nel caso di attività esercitata in
modo continuativo e permanente (nel caso esaminato la vicenda riguardava un
autodromo) ma viene anche sostenuta una tesi diametralmente opposta a quella
prospettata in alcune delle decisioni della Suprema Corte in precedenza
richiamate.
Il
pretore ha infatti ritenuto la sussistenza di un effettivo rapporto di specialità
tra l’articolo 659 secondo comma C.P. e l’articolo 10 secondo comma legge
44795, ma nel senso che la disposizione penale è speciale rispetto a quella
amministrativa e ciò in quanto quest’ultima si rivolge a chiunque eserciti o
impieghi una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore mentre l’altra prende
in considerazione esclusivamente i titolari di una attività rumorosa.
Presi
dunque in considerazione i rapporti tra la disciplina penale e quella
amministrativa in tema di rumore, resta da effettuare, per concludere, un breve
cenno agli aspetti pratici conseguenti l’applicazione delle norme, con
particolare riferimento alle tecniche di indagine ed alle soluzioni adottabili.
E’
evidente che le condotte punibili in base al disposto dell’articolo 659 C.P.
possono essere poste in essere, come pure si è accennato, nei modi più
disparati.
L’attività
di indagine deve dunque necessariamente essere adattata alle concrete esigenze
di volta in volta individuate.
Gli
accertamenti si basano tuttavia, in modo prevalente attraverso la constatazione
diretta dell’attività disturbante da parte degli ufficiali ed agenti di
Polizia Giudiziaria eseguita per lo più attraverso l’impiego di appositi
strumenti quali, ad esempio il “fonometro” utilizzato direttamente o da un
ausiliario di P.G. all’uopo nominato.
Le
misurazioni, di regola, vengono effettuate tenendo conto dei limiti fissati
dalle disposizioni che disciplinano la materia (il D.P.C.M. del 1991 e le altre
norme in precedenza richiamate) che, indipendentemente dai problemi
interpretativi sopra rappresentati la cui soluzione è rimessa
all’apprezzamento del magistrato, costituiscono pur sempre un utile punto di
riferimento.
Per
acquisire dati di sicura affidabilità il controllo viene normalmente effettuato
con più accessi ai luoghi interessati dal disturbo, non preannunciati ed in
orari diversi richiedendo altresì che la misurazione strumentale sia
accompagnata da una descrizione della situazione in concreto riscontrata.
I verbali
che documentano tali attività, per lo più effettuate di iniziativa dalla
Polizia Giudiziaria in base al disposto dell’articolo 354 C.P.P. hanno poi
ingresso al dibattimento quali atti irripetibili oppure, quando vengono disposte
direttamente dal Pubblico Ministero, vengono effettuate con modalità tali da
non pregiudicarne la successiva utilizzazione.
Assume
altresì rilevanza, nelle indagini in tema di inquinamento acustico,
l’acquisizione delle dichiarazioni delle persone informate sui fatti che
potranno riguardare non solo l’intensità del rumore e l’effettivo disturbo
arrecato, ma anche altri aspetti del fenomeno quali, ad esempio, le modalità e
gli orari di determinate attività, gli accorgimenti approntati per evitare i
controlli etc.
Si
richiede infine agli operatori di Polizia Giudiziaria di verificare
presso l’amministrazione comunale o altri enti, quali siano i regolamenti o
gli altri provvedimenti che disciplinano le attività rumorose svolgentisi nel
territorio ove è stato riscontrato il fenomeno ed una adeguata preparazione,
anche con riferimento agli aspetti tecnici della materia, per sostenere in modo
efficace il ruolo di testimone nella successiva fase dibattimentale del
procedimento sempre possibile nonostante per la violazione de quo sia prevista
l’estinzione mediante oblazione.
Le
contravvenzioni contemplate dall’articolo 659 C.P. hanno natura di reato
eventualmente permanente, cosicché viene generalmente ritenuta ammissibile
l’applicazione della misura cautelare reale del sequestro preventivo al fine
di interrompere la permanenza in atto o di evitare che la disponibilità dello
strumento utilizzato possa agevolare successive violazioni della disposizione
penale.
La
Corte di cassazione nell’ammettere l’applicabilità della misura ha però
correttamente precisato entro quali limiti la stessa debba estendere la propria
efficacia.
A
tale proposito si è escluso in due occasioni che possa operarsi il sequestro di
un immobile quando questo sia estraneo al
reato, costituendo
semplicemente il luogo dove il reato stesso e'
stato commesso. In un caso si trattava di un circolo all’interno del
quale era stato installato un impianto di diffusione sonora che generava rumori
molesti,[41]
mentre nell’altro veniva riconosciuta l’illegittimità della misura
applicata ad un pubblico esercizio per i rumori derivanti dall’attività che
vi veniva svolta ma causati dagli avventori all’esterno del locale[42].
Sulla
scorta delle indicazioni fornite dalla Corte la misura viene dunque applicata
esclusivamente sugli strumenti utilizzati per la produzione del rumore.
Tale
soluzione consente inoltre, in alcuni casi, di salvaguardare contestualmente le
esigenze di tutela della pubblica quiete e quelle economiche del contravventore
subordinando la restituzione del bene sequestrato all’adempimento di
specifiche prescrizioni.
Tale soluzione, consentita dall’articolo 85 disp. att. C.P.P., può essere attuata con modalità diverse adattabili a specifiche esigenze che spaziano dagli interventi più radicali quali, ad esempio, la sostituzione degli impianti rumorosi o l’esecuzione di lavori di insonorizzazione, agli accorgimenti meno gravosi ma comunque efficaci quali ad esempio la apposizione di sig