Consiglio di Stato Sez. II n. 4697 del 27 maggio 2024
Sviluppo sostenibile.Risparmi energetici incentivabili
I risparmi energetici incentivabili, la cui dimostrazione compete al richiedente, devono essere calcolati al netto dei risparmi non addizionali, cioè di quei risparmi che si sarebbero comunque ottenuti per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa o del mercato; ciò significa che devono essere escluse dal sostegno le tecnologie già rappresentative del mercato o del settore di riferimento, nonché gli interventi che devono essere realizzati per effetto di obblighi normativi. Gli interventi suscettibili di incentivazione sono invece quelli concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione. Al contrario, se non lo sono, finiscono per essere un sussidio all’impresa da parte dello Stato lesivo della concorrenza
Pubblicato il 27/05/2024
N. 04697/2024REG.PROV.COLL.
N. 03151/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3151 del 2021, proposto da
E4f S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio De Portu, Alessandra Mari, Matteo Corbo, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alessandra Mari in Roma, via degli Scialoja 18;
contro
Gestore dei Servizi Energetici - Gse S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Pellegrino, Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento 11;
Ricerca Sul Sistema Energetico - R.S.E. S.p.A., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 9743/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore dei Servizi Energetici - Gse S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2024 il Cons. Stefano Filippini;
Udito l’avvocato Matteo Corbo per l’appellante;
Vista l’istanza di passaggio in decisione della controversia depositata dalla difesa appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata il TAR per il Lazio ha rigettato le domande proposte dalla Soc E4f S.r.l. con cui si chiedeva:
- quanto al ricorso principale, l’annullamento del provvedimento GSE/P2010047482 del 29.4.2016 che annullava d'ufficio il provvedimento di accoglimento della proposta di progetto e di programma di misura (PPPM n. 0175751093614T012) e di due richieste di verifica e certificazione (le RVC, già precedentemente approvate, n. 0175751093615R016 e n. 0175751093615R016-1#1), nonché l’accertamento del diritto alla percezione dei certificati bianchi spettanti ai sensi del DM 28 dicembre 2012;
- quanto ai motivi aggiunti, l’annullamento del provvedimento GSE/P20160071148 datato 11.8.2016 con cui il GSE ha intimato a E4F s.r.l. di restituire, nel termine di 30 gg., n. 137 titoli di efficienza energetica di tipo I “indebitamente percepiti” per un importo complessivo pari ad euro 14.337,05; nonché della nota 12 ottobre 2016 con cui il GSE sollecitava al pagamento.
1.1. A sostegno di tale decisione il TAR ha posto i seguenti rilievi giudicati dirimenti:
- risulta legittima e adeguata la considerazione, effettuata dal GSE con il provvedimento di “annullamento d’ufficio”, circa la carenza del requisito della “addizionalità” dell’intervento, rispetto al ritorno economico dell’investimento, nell’ambito dei criteri fissati dal Dm 28 dicembre 2012 e dalle linee guida EEN 9/2011;
- l’annullamento dei titoli incentivanti non costituisce di regola manifestazione di potere di autotutela, ma è riconducibile al potere di verifica, accertamento e controllo (volto ad accertare la corrispondenza rispetto a quanto dichiarato dall’interessato), sicchè il relativo esercizio è privo di spazi di discrezionalità ed ha, al contrario, natura doverosa e vincolata; comunque, il termine dei diciotto mesi per l’autotutela, introdotto dalla L. n. 124 del 2015, non può decorrere prima del 28.8.2015 rispetto a tutti i provvedimenti rilevanti nella specie (di accoglimento della PPPM e delle RVC) e anteriormente emanati;
- sono infondate le censure relative alla violazione dell'art. 10-bis L. n. 241 del 1990 stante la preclusione alla caducazione giurisdizionale derivante dall'art. 21-octies, co. 2, L. n. 241 del 1990;
- non ricorre la violazione del principio di legittimo affidamento del privato, attesa la natura di operatore professionale tenuto, secondo un criterio di diligenza ordinaria, a prevedere la possibilità di un rigetto della propria domanda (o del ritiro dei titoli indebitamente assegnati);
- sono infondate le ulteriori censure mosse in riferimento al provvedimento che ha ingiunto la restituzione dei contributi percepiti.
2. Avverso detta decisione ha proposto appello la società E4F S.R.L., articolando le censure che possono riassumersi nei termini seguenti:
2.1. ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE – CARENZA DI MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA SU UN PUNTO DI DIRITTO DECISIVO – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 107 SS. DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA – VIOLAZIONE DELLE LINEE GUIDA 27 OTTOBRE 2011 EEN 9/11 – VIOLAZIONE DEL D.M. 28 DICEMBRE 2012. Si contesta in sostanza la valutazione, da parte del GSE prima e del TAR poi, che avrebbe stravolto la nozione di addizionalità “di mercato” ricollegandola a requisiti finanziari che, a prescindere dalla loro ragionevolezza o meno, non erano mai stati previsti né erano prevedibili da parte dell’operatore; invero: - non spettava al TAR determinare se i TEE costituissero o meno un aiuto di Stato nel senso di cui agli artt. 107 ss. TFUE; - in ogni caso, i TEE non possono essere affatto sussunti nella categoria di cui agli artt. 107 ss. TFUE, giacché non deve essere svolta alcuna analisi controfattuale della misura sotto il profilo economico-finanziario; - comunque, nessuna norma di settore ha mai esteso il concetto di addizionalità a profili finanziari, né in alcun modo l’operatore è mai stato messo nelle condizioni di poterlo immaginare; sicché un’eventuale analisi controfattuale deve limitarsi ai profili normativi, tecnologici e “di mercato”, in senso stretto. Né la definizione di addizionalità fornita dalle Linee Guida consente di evincere alcun profilo “finanziario”; neppure il GSE ha mai previsto tale requisito tra quelli necessari per il mantenimento degli incentivi; restano dunque oscuri i criteri seguiti dal GSE e dal TAR per affermare retroattivamente che il payback dell’intervento attuato da E4F sia troppo breve in termini economico-finanziari.
2.2 – ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE, SOTTO ALTRO PROFILO – INAMMISSIBILITA’ DELL’INTEGRAZIONE POSTUMA DELLA MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E TRAVISAMENTO DELL’ ATTO – DIFETTO ASSOLUTO DI MOTIVAZIONE – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO. Si contesta il giudizio del TAR circa il mancato adempiuto dell’onere di dimostrare in maniera accurata e rigorosa i presupposti tecnici ed economici per l’accesso all’incentivo, anche in termini della necessaria addizionalità.
2.3 – VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO – OMESSA CONSIDERAZIONE DI UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA – MANIFESTA CONTRADDITTORIETA’ DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO – VIOLAZIONE DELL’ART. 21-NONIES L. 241/1990 – VIOLAZIONE DELL’ART. 42 D.LGS. 28/2011. Il provvedimento impugnato va ricondotto al paradigma dell’art. 21-nonies L. 241/1990, come recentemente affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4983 del 17.6.2022; in base a tale inquadramento, difettano nella specie i presupposti di cui all’art. 21-nonies L. 241/1990 perché manca la “violazione rilevante”, non è stato effettuato alcun bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato alla stabilità dell’atto, a fronte dell’indiscutibile interesse pubblico al mantenimento dell’atto, avendo l’intervento generato dei risparmi di energia.
2.4 – VIOLAZIONE DELL’ART. 10-BIS L. 241/1990 in considerazione della natura di annullamento in autotutela dell’atto.
2.5 – VIOLAZIONE DELLE DIRETTIVE 27/2012 E 28/2009 - VIOLAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI DI LEGITTIMO AFFIDAMENTO, CERTEZZA DEL DIRITTO E PROPORZIONALITÀ. Sussiste un legittimo affidamento di E4F che deve essere tutelato; è violato il principio di proporzionalità; si invoca il precedente di questo Consiglio (sentenza n. 2188 del 5.3.2024) in tema di preminenza dell’interesse pubblico generale a promuovere l’efficienza energetica, il risparmio di energia e la massima produzione di energia da fonti rinnovabili a fini di contrasto dell’inquinamento atmosferico e dei cambiamenti climatici.
2.6. Nell’atto di appello figurano altresì (ai motivi 6, 7, 8) censure attinenti il provvedimento che disponeva il recupero delle somme già erogate; tuttavia, a seguito dell’adozione del provvedimento GSE/P20230011112 del 5.4.2023 (secondo cui l’efficacia dell’annullamento d’ufficio deve decorrere dalla data della sua adozione -29.4.2016-), l’appellante ha evidenziato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione in merito ai profili di censura attinenti alla ripetizione degli incentivi già erogati, dichiarando dunque di rinunciare ai motivi 6,7,8; invero, con il provvedimento del 5.4.2023, il GSE ha affermato che “il provvedimento di annullamento del 29 aprile 2016, prot. GSE/P20160047482 resta valido in quanto le difformità riscontrate non sono state superate”; tuttavia, “in base a quanto previsto dal comma 3-ter dell’art. 42 del D.lgs. 28/11, così come da ultimo modificato dall’art. 56 del DL 76/2020, gli effetti dell’annullamento del riconoscimento dei titoli decorrono dall’adozione del provvedimento ovverosia dal 29 aprile 2016. Restano pertanto salve le rendicontazioni già approvate con le RVC nn. 0175751093615R016 e 0175751093615R016-1#1”.
3. Si è costituito il GSE contrastando analiticamente il gravame, richiamando gli argomenti difensivi già condivisi dal primo giudice.
4. In vista dell’udienza di discussione sono state depositate memorie difensive e di replica con le quali le parti hanno insistito sulle rispettive deduzioni.
5. Sulle difese e conclusioni in atti, la controversia è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza del 16.4.2024.
DIRITTO
6. L’appello è infondato, per le ragioni di seguito esposte, rispetto alle questioni per le quali non occorre dichiarare (per effetto della circostanza di cui al superiore punto 2.6) la sopravvenuta carenza di interesse in capo alla società appellante.
7. Deve premettersi in fatto che, con il ricorso introduttivo proposto al TAR la soc. E4F s.r.l. ha esposto di svolgere attività di consulenza a favore di soggetti pubblici e privati in materia di riduzione e ottimizzazione dei consumi di energia con lo scopo di far accedere al meccanismo dei certificati bianchi (CB) i soggetti che le conferiscono l’incarico, così come avvenuto per il cliente partecipante XLog s.r.l. (società del gruppo GEOX), che nel 2014 ha deciso di eseguire interventi per l’efficientamento energetico degli impianti di illuminazione interna dello stabilimento sito nel Comune di Trevignano, consistente in un magazzino di oltre 66.000 metri quadrati, attraverso la sostituzione dei precedenti tubi fluorescenti con alimentatori ferromagnetici con avanzata tecnologia LED completa di ottica con recuperatore e alimentatore elettronico; antecedentemente all’intervento lo stabilimento era comunque dotato di un impianto con una avanzata tecnologia ampiamente diffusa sul mercato, avendo i tubi fluorescenti dei costi decisamente inferiori rispetto alla tecnologia LED e dei consumi energetici in ogni caso molto contenuti. Dunque la determinazione di XLog di procedere alla riqualificazione energetica dell’impianto sarebbe stata assunta solamente con il proposito di ridurre ulteriormente i consumi, facendo affidamento sull’accesso al meccanismo incentivante dei certificati bianchi, in assenza del quale non avrebbe effettuato l’intervento. La società E4F aveva quindi sviluppato l’algoritmo di rendicontazione nella proposta di progetto e programma di misura (PPPM) n.0175751093614T012, che veniva approvata dal GSE in data 27 febbraio 2015; la società aveva poi presentato due richieste di verifica e certificazione (RVC n. 0175751093615R016 e RVC n.0175751093615R016-1#1), pure approvate dal GSE; con riferimento alla terza RVC presentata (la n. 017575109336115R016-1#2), invece, la EF4 è stata invitata a fornire documentazione attestante l’addizionalità dell’intervento, in quanto, secondo il GSE, la RVC sarebbe risultata carente dei requisiti previsti dal decreto disciplinante i certificati bianchi e dalle Linee Guida, in ragione del fatto che “i risparmi energetici conseguiti sono tali da ripagare in breve tempo l’investimento sostenuto”.
Successivamente all’inoltro della documentazione di parte, il GSE aveva comunicato il preavviso di rigetto, ritenendo non sussistente l’addizionalità dell’intervento “perché i risparmi generati si sarebbero comunque verificati per effetto dell’evoluzione tecnologica, normativa e del mercato; …dall’esame dei costi dichiarati si evince che il solo risparmio di energia elettrica (140 tep/anno) consente un risparmio economico superiore al costo dell’investimento”; con provvedimento 30 marzo 2016 il GSE comunicava l’intenzione di annullare la RVC già approvata; e, con provvedimento 29 aprile 2016, il GSE effettivamente annullava d’ufficio: il provvedimento di accoglimento della PPPM n.0175751093614T012, la RVC n. 0175751093615R016 e la RVC n.0175751093615R016-1#1, disponendo contestualmente il rigetto della terza RVC (la n. 017575109336115R016-1#2), ribadendo il rilievo relativo alla non addizionalità dell’intervento e, quanto al rigetto della RVC n. 017575109336115R016-1#2, affermando che la stessa non sarebbe risultata conforme al DM 28 dicembre 2012, in quanto formulata sulla base di quanto previsto dalla richiamata PPPM.
8. Tanto considerato, osserva il Collegio che i primi due motivi di appello (che, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente) sono infondati.
In primo luogo deve segnalarsi che il Collegio non considera dirimente la prospettazione dell’appellante, che muove dalla considerazione secondo cui il TAR sarebbe giunto alla decisione ora impugnata sulla base dell’erronea riconduzione dei c.d. certificati bianchi (anche noti come “Titoli di Efficienza Energetica”, TEE) nel novero degli aiuti di Stato (in senso stretto); e che da tale erroneo inquadramento sarebbe derivata la ricerca, nello specifico investimento, del requisito della c.d. di addizionalità “di mercato”, peraltro in accezione estesa a profili finanziari che invece non sarebbero previsti da disposizione alcuna.
Invero, ad avviso del Collegio, nella presente sede non rileva il tema della riconducibilità o meno dei certificati bianchi nel novero degli aiuti di Stato in senso proprio, atteso che la soluzione a cui è pervenuto il primo giudice trova adeguato sostegno giuridico già nella letterale formulazione delle Linee Guida EEN 9/11 (applicabili al progetto in questione), le quali definiscono non addizionali “quei risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell’evoluzione tecnologica, normativa e del mercato”. Al proposito, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, il requisito della addizionalità costituisce aspetto che è onere dell’impresa provare e che non può essere inteso in termini meramente legati all’evoluzione tecnologica, ma deve essere allargato ai profili economici (o di “mercato”) sottesi alla messa in atto dell'intervento (cfr., Cons. Stato sez. II, 7 aprile 2022 n. 2581; Cons. Stato sez. II, 17 giugno 2022, n. 4983).
E’ dunque legittimo affermare che i risparmi energetici incentivabili, la cui dimostrazione compete al richiedente, devono essere calcolati al netto dei risparmi non addizionali, cioè di quei risparmi che si sarebbero comunque ottenuti per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa o del mercato; ciò significa che devono essere escluse dal sostegno le tecnologie già rappresentative del mercato o del settore di riferimento, nonché gli interventi che devono essere realizzati per effetto di obblighi normativi. Gli interventi suscettibili di incentivazione sono invece quelli concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione. Al contrario, se non lo sono, finiscono per essere un sussidio all’impresa da parte dello Stato lesivo della concorrenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2019, n. 2380).
Inoltre, posto che il concetto di “addizionalità” non può essere inteso in termini meramente legati alla sola evoluzione tecnologica ma (come anche consegue dalla lettera della definizione normativa, di cui all’art. 1 delle richiamate Linee Guida) deve anche essere allargato ai profili economici (o di “mercato”) che sono sottesi alla messa in atto dell'intervento, nelle ipotesi in cui quest'ultimo consenta il riassorbimento dei costi di investimento sostenuti solo per effetto del risparmio che ne deriva, logicamente la complessiva operazione non potrà considerarsi addizionale proprio perché essa, nel sostenersi da sola, non soddisfa il requisito della logica di sistema (la necessità del sostegno economico) nei sensi anzidetti; con la conseguenza che la rilevanza dei costi di investimento necessari per la realizzazione del progetto, in uno con la stima dei risparmi economici che essi potranno determinare, è insita nella definizione normativa che espressamente si riferisce anche all'evoluzione del mercato di riferimento.
Invero, sul piano teleologico, la ratio che ispira il sistema di incentivazione in esame è quella di stimolare i potenziali beneficiari ad intraprendere attività economiche che altrimenti non avrebbero avviato senza la concessione dell’aiuto. Mentre, nel caso in cui il costo dell’operazione trovi copertura nei risparmi da essa generati, viene meno l’effetto incentivante sotteso al meccanismo dei certificati bianchi, poiché il proponente può comunque realizzarla ricorrendo alla tecnologia media di mercato con un ritorno economico in tempi brevi dell’investimento.
In definitiva, ciò che viene correttamente in rilievo non è la convenienza economica dell’intervento o la ponderazione di opinabili profili finanziari, bensì la stretta correlazione tra incentivo e risparmio energetico, in quanto il primo costituisce condicio sine qua non del secondo: e, come già detto, laddove il risparmio sia suscettibile di essere comunque realizzato per effetto della fisiologica evoluzione tecnologica, normativa e di mercato, viene meno la causa dell’incentivo che, ove erogato, si tradurrebbe in un mero sussidio all’impresa privo di logica giustificazione e lesivo della concorrenza.
Anche la giurisprudenza più recente ha ribadito che il costo d’investimento non può essere escluso dalla valutazione del requisito di addizionalità, poiché la complessiva operazione non potrà considerarsi “addizionale” laddove essa, nel sostenersi da sola, non soddisfa il requisito della “necessità dell’aiuto” che costituisce la ratio sottesa al meccanismo dei certificati bianchi (Cons. Stato, sez. VII, 29 settembre 2023 n. 10309).
E dunque, il requisito in questione deve essere inteso in termini non meramente legati all’evoluzione tecnologica, ma estesi anche ai profili economici (o di “mercato”) che sono sottesi alla messa in atto dell’intervento. Gli interventi suscettibili di incentivazione devono, quindi, essere concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione (Cons. Stato, sez. II, n. 5095 del 2023; in senso analogo Cons. Stato, sez. IV, n. 2380 del 2019).
Ne discende che la capacità del progetto di riassorbire i costi di investimento non rileva in sé quale atipica condizione ostativa all’ammissione al beneficio, ma in quanto atta a provare il difetto di addizionalità che costituisce un requisito espressamente previsto dalle Linee giuda ai fini dell’incentivazione, come sopra chiarito.
Nella specie il GSE prima e il TAR poi hanno adeguatamente esposto e considerato che l’intervento inizialmente approvato (efficientamento energetico degli impianti di illuminazione interna dello stabilimento sopra indicato, consistente in un magazzino di oltre 66.000 metri quadrati, attraverso la sostituzione dei precedenti tubi fluorescenti con alimentatori ferromagnetici -GE MASP 2x58W-, con avanzata tecnologia LED completa di ottica con recuperatore e alimentatore elettronico -Disano, mod. 927 echo bilampada-) comportava costi di investimento di scarsa rilevanza atteso che “il progetto generava 262 TEE/anno” e che “considerato un prezzo medio dei TEE pari a 250 €/TEE, l’intervento avrebbe beneficiato quindi di un incentivo annuo pari a 65.500 €/anno, ovvero un incentivo totale pari a 327.500 €, in 5 anni. Considerando sia il risparmio economico in bolletta per l’energia elettrica (117.500 €/anno) sia i benefici derivanti dai TEE (circa 65.500 €/anno) si sarebbe ottenuto un beneficio economico totale pari a 183.000 €/anno; l’intervento avrebbe avuto un tempo di ritorno dell’investimento pari a 1,6 anni, a fronte di un incentivo della durata di 5 anni”.
Dunque sotto il profilo economico (e quindi di “mercato”, inteso come collocazione dell’impresa nel generale contesto concorrenziale) grazie alle caratteristiche del nuovo impianto di illuminazione, l’investimento, a prescindere dal beneficio incentivante, consente in un lasso di tempo indiscutibilmente breve, il rientro dalla cifra investita.
In questi termini è stato adeguatamente escluso il requisito dell’addizionalità, in quanto l’iniziativa, per quanto risulta in atti e non adeguatamente contrastato, è inquadrabile in una naturale e ordinaria innovazione del ciclo imprenditoriale. In ragione dunque anche del tempo di ritorno dell’investimento (payback time), di natura estremamente contenuta e indice in questo caso sintomatico dell’assenza dell’addizionalità, non appare quindi censurabile -né comunque sindacabile sotto il profilo tecnico discrezionale- la decisione dell’amministrazione di escludere la società dal beneficio dell’incentivazione.
8.1. Né meritano condivisione le generiche contestazioni dell’appellante circa la correttezza dei valori economici individuati dal GSE, e condivisi dal TAR, per determinare il tempo di ritorno dell’intervento e l’assenza di addizionalità dei risparmi generati; invero, anche a voler considerare la differente valorizzazione economica dei TEE addotta dall’appellante, il rientro economico dell’investimento risulta comunque garantito in tempi molto più contenuti rispetto alla durata quinquennale dell’incentivo e l’assenza della addizionalità dei risparmi, sulla base dei costi dichiarati dall’impresa, è già dimostrata dal fatto che “il solo risparmio di energia elettrica (pari a circa 140 tep/anno) consente un risparmio economico significativamente superiore al costo dell’investimento dichiarato” (cfr. motivazione dell’atto impugnato con il ricorso principale).
Ne consegue che, anche sotto quest’ultimo profilo, correttamente il GSE e il primo giudice hanno ritenuto insussistente, e comunque indimostrata, la ricorrenza dei presupposti per l’incentivo richiesto (appunto, per mancanza del requisito dell’addizionalità).
Aspetto, quest’ultimo, rispetto al quale non è certo decisivo invocare (cfr. memoria di replica finale dell’appellante) la circostanza che anche il D.M. 11.1.2017 (decreto che ha regolato il meccanismo dei Certificati Bianchi nell’epoca immediatamente successiva alle norme applicabili al presente giudizio) e l’Allegato 3 al Decreto Direttoriale del MASE del 4.05.2023, (norma sopravvenuta rispetto alla proposizione del presente appello), prevedano ancora la “Installazione LED illuminazione” quale tipologia di intervento ammissibile per l’accesso al meccanismo in questione; invero, alla base del provvedimento impugnato il GSE non ha posto la non ammissibilità del tipo di intervento, bensì la differente circostanza che la specifica soluzione progettuale (con i suoi costi e i successivi risparmi nel consumo di energia) difettava, in concreto, del requisito della addizionalità di mercato.
8.2. Passando ora all’esame del terzo motivo di appello, con il quale si contesta la qualificazione operata dal giudice di primo grado del potere esercitato dal GSE, sostenendo che non si tratterebbe di un potere di verifica e controllo (decadenza), ma piuttosto di un potere di annullamento d’ufficio (come, peraltro, espressamente qualificato dallo stesso GSE nel provvedimento impugnato), osserva il Collegio che il compito di corretta qualificazione dell’atto amministrativo compete al giudice e che l’assunto difensivo non può essere condiviso.
Invero, la giurisprudenza consolidata in relazione a questo Istituto [cfr., per tutte, l’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, decisione n. 18 dell’11settembre 2020, secondo cui “la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell'autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall'art. 21 nonies della legge 241/1990 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti ...”], ha espressamente affermato che i poteri del GSE rientrano nel potere vincolato di decadenza per il venire meno dei presupposti o per la falsità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante. Si tratta di affermazioni relative alla disposizione dell’art. 42 comma 3 del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, che riguarda “l’erogazione di incentivi nei settori elettrico, termico e dell'efficienza energetica, di competenza del GSE”, a cui appartiene anche il regime dei cd. certificati bianchi.
La natura doverosa e vincolata del potere di decadenza a seguito dell’attività di verifica e controllo del GSE di cui all’art.42 del detto decreto legislativo è stata confermata dallo stesso legislatore che, con la modifica dell’art. 42 ad opera del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 del 2020, ha mantenuto il riferimento alla decadenza, pur prevedendo che debba essere disposta in presenza dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n.241.
Dunque, per orientamento univoco della giurisprudenza, i provvedimenti di decadenza del G.S.E si caratterizzano per l’esercizio di uno speciale e vincolato potere di verifica e controllo, che è estraneo al paradigma dell’autotutela di cui all’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato sez. IV, 24/01/2022 n. 462 e 20/01/2021 n. 594; sez. VI, 03/01/2022 n. 9 e 28/09/2021 n. 6516; Corte cost., 13/11/2020, n. 237).
E, secondo i richiamati canoni ermeneutici delineati dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, il confine tra autotutela e decadenza si desume dal fatto che quest’ultima si caratterizza, oltre che per un’espressa e specifica previsione da parte della legge e per il carattere vincolato del relativo potere, anche per la tipologia di vizio, individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto (Ad. Plen. 11 settembre 2020 n. 18).
L’esercizio del potere in questione da luogo, quindi, ad “un atto vincolato di decadenza accertativa dell'assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l'ammissione al finanziamento pubblico” (Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 50). Così deve quindi qualificarsi, ad avviso del Collegio, il provvedimento di specie, nel quale la revoca dell’incentivo è stata fondata sul rilievo, da parte del GSE, della carenza, sulla base della medesima documentazione già offerta dall’impresa in sede di richiesta di ammissione al beneficio, del requisito della addizionalità dei risparmi ottenuti rispetto a quelli che si sarebbero comunque verificati per effetto dell’evoluzioni tecnologica o del mercato.
8.2.1. Ma comunque, anche diversamente opinando, laddove cioè si volesse aderire all’attenta distinzione operata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4983 del 17.6.2022 tra ipotesi di autotutela e di decadenza, e quindi ricondurre lo specifico caso di esercizio del potere non all’art. 42 D. Llgs 28/2011, ma all’autotutela di cui all’art 21 nonies l. 241/1990, l’appello non potrebbe ugualmente trovare accoglimento.
Invero, il provvedimento non può dirsi emesso tardivamente in quanto risulta adottato in data 29.4.2016 a fronte di un procedimento amministrativo per la PPPM concluso con esito positivo in data 27.2.2015, dunque entro un termine che appare ragionevole in considerazione della complessità degli accertamenti di specie e dell’interesse pubblico sotteso all’atto impugnato (essendo finalizzato ad impedire esborsi di denaro pubblico privi di adeguata giustificazione causale) e comunque inferiore al riferimento massimo dei 18 mesi per l’annullamento d’ufficio introdotto con legge n. 124/2015; peraltro, considerando la data di entrata in vigore di quest’ultima disposizione (28.8.2015), il predetto termine non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l'esercizio del potere di autotutela amministrativa. Ne consegue che, rispetto a un titolo anteriore alla versione dell'art. 21 nonies applicabile ratione temporis, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 849 e precedente ivi citato: id., 13 luglio 2017, n. 3462): tanto comporta che il provvedimento impugnato non può reputarsi tardivo in quanto, essendo stato emesso il 29.4.2016, è intervenuto circa otto mesi dopo l'entrata in vigore della novella e quindi prima dello spirare del termine di 18 mesi contemplato dalla normativa invocata (cfr. Cons. Stato Sez. II, 23 maggio 2023, n. 5095).
Neppure fondate, nella medesima ottica alternativa in esame, appaiono le censure incentrate sulla pretesa violazione degli altri presupposti di cui all’art. 21-nonies L. 241/1990, considerato che:
- il provvedimento di accoglimento della PPPM si presentava viziato sotto il profilo della carenza del requisito della addizionalità di mercato, dunque affetto da una “violazione rilevante” rispetto alle previsioni di cui al D.M. 28.12.2012;
- il provvedimento si fonda su rilevanti ed evidenti aspetti di interesse pubblico essendo legato alla erogazione di risorse pubbliche;
- in assenza della necessaria addizionalità il progetto non era ammissibile, in base alla disciplina di riferimento; e nessuna violazione del principio di legittimo affidamento può essere lamentata dalla società che, in quanto operatore professionale, era tenuta, secondo un criterio di diligenza ordinaria, a prevede la possibilità di un rigetto della propria domanda (o del ritiro dei titoli indebitamente assegnati).
8.3. Parimenti infondato appare il quarto motivo di appello, atteso che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, il provvedimento impugnato risulta sussumibile nell’ambito della disciplina di cui all’art. 42, comma 3, d.lgs. 28/2011 e non nella diversa ipotesi di cui all’art. 21-nonies L. 241/1990).
Comunque, il preavviso relativo all’avvio “del procedimento di annullamento d’ufficio” dell’approvazione del PPPM e delle RVC è stato ritualmente effettuato con la nota GSE del 30.3.2016, contenente adeguata esplicitazione delle ragioni poste a base dell’atto ( e cioè che, dall'esame dei costi dichiarati si evince che il solo risparmio di energia elettrica,140 tep/anno, consente un risparmio economico superiore al costo dell'investimento dichiarato); vi è dunque un riferimento sufficiente a consentire ad E4F di comprendere pienamente le ragioni del procedimento avviato; del pari, le osservazioni dell’impresa del 16.4.2016 attengono anche alla questione di specie e risultano effettivamente considerate nel provvedimento finale.
Quanto poi al tema della idoneità dei soli risparmi di energia elettrica a consentire un risparmio significativamente superiore al costo dell’investimento dichiarato, le deduzioni dell’appellante non inficiano in maniera significativa l’assunto di fondo del GSE, e cioè della capacità dell’investimento di ripagarsi da solo, mediante il risparmio di energia elettrica, in tempo considerevolmente inferiore (sia esso pari a 1,6 oppure 2,4 o anche 3 anni -cfr. memoria di replica dell’appellante-) rispetto alla durata quinquennale del contributo pubblico in questione.
Peraltro, deve comunque considerarsi quanto già correttamente evidenziato dal TAR a proposito della preclusione alla caducazione giurisdizionale derivante dall'art. 21-octies, co. 2, L. n. 241 del 1990, sia in riferimento alla natura procedimentale e vincolata dell'atto impugnato sia alla sua correttezza sostanziale, avendo il GSE dimostrato in giudizio che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato.
8.4. Infondato è anche il quinto motivo di appello, per la parte che può ancora ritenersi rilevante.
E’ infatti evidente che, a seguito dell’adozione del provvedimento GSE/P20230011112 del 5.4.2023 (che ha disposto che l’efficacia dell’annullamento d’ufficio decorra dalla data della sua adozione -29.4.2016-), in capo all’appellante si configura la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dei profili di censura attinenti la ripetizione degli incentivi già erogati (invero, in base a quanto previsto dal comma 3-ter dell’art. 42 del D.lgs. 28/11, così come da ultimo modificato dall’art. 56 del DL 76/2020, gli effetti dell’annullamento del riconoscimento dei titoli decorrono dall’adozione del provvedimento, ovverosia dal 29 aprile 2016; ciò che ha comportato la stabilizzazione degli effetti delle rendicontazioni già approvate con le RVC nn. 0175751093615R016 e 0175751093615R016-1#1); e dunque, non pare che possa ulteriormente predicarsi la pretesa violazione del principio di proporzionalità a fronte di un intervento che, seppur capace di ripagarsi da solo in pochi anni, ha finito per essere comunque parzialmente incentivato.
Quanto, invece, al profilo della pretesa violazione del legittimo affidamento di E4F, come già sopra esposto, pare del tutto ragionevole affermare (come già fatto dal TAR) che, attesa la natura di operatore professionale dell’appellante, questo non potesse nutrire alcun affidamento incolpevole rispetto al profilo della addizionalità di mercato dell’intervento in questione.
Con riferimento, infine, alla pretesa violazione delle direttive 27/2012 e 28/2009, delle norme della CEDU, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, della Costituzione e della L. n. 241/1990, ferma restando la necessità -più volte ribadita dalla giurisprudenza- che l’accesso agli incentivi previsti a valere su risorse finanziarie pubbliche sia assicurato solo agli interventi conformi al quadro regolatorio applicabile, deve ulteriormente essere condiviso quanto già evidenziato dal TAR a proposito della carenza, rispetto al progetto di specie, della necessaria addizionalità, aspetto che rende lo stesso non ammissibile, in base alla disciplina di riferimento; né può essere trascurato il preminente interesse pubblico generale alla finalizzazione degli incentivi di settore agli interventi effettivamente capaci di generare risparmi “addizionali” di energia, così contribuendo effettivamente agli obiettivi posti dai richiamati atti eurounitari accettati dall’Italia e dalle previsioni dell’art. 9 della Costituzione recentemente novellato, di promuovere, anche nell’interesse delle future generazioni, l’efficienza energetica e il risparmio di energia.
9. In definitiva, l’appello, per quanto ancora di attualità, deve essere respinto, mentre ne deve essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse, limitatamente ai motivi concernenti l’impugnazione del provvedimento GSE/P20160071148 datato 11.8.2016 con cui il GSE ha intimato a E4F s.r.l. di restituire n. 137 titoli di efficienza energetica; .
10. Sussistono tuttavia, ad avviso del Collegio, evidenti ragioni per disporre la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile ed in parte lo respinge, nei sensi precisati in motivazione.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Carmelina Addesso, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere
Stefano Filippini, Consigliere, Estensore