Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3669, del 27 luglio 2015.
Beni Culturali.Legittimità imposizione di vincolo indiretto ex art. 45 del d.lgs. 42/2004

Non è il bene in sé a costituire oggetto della tutela, ma il valore che sul bene si esprime perciò, non solo il singolo bene, ma l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale può richiedere una conservazione particolare, e a questo servono le eventuali “prescrizioni di tutela indiretta”, cioè il cosiddetto vincolo indiretto conformato dall’art. 45 del Codice. Nella fattispecie in esame il potere è stato esercitato in coerenza e congruità con lo scopo della funzione: l’Amministrazione ha avuto cura di coniugare le esigenze di tutela dei beni immobili che prospettano sulla piazza del Plebiscito (palazzo Reale, chiesa di San Francesco di Paola, palazzo Salerno e palazzo della Prefettura) con quelle relative alla destinazione pubblica della piazza stessa. Il provvedimento impugnato non si attesta su una indifferenziata e immotivata negazione di qualsiasi fruizione della piazza, e nella ricerca della mera conservazione statica della stessa e dei monumenti che vi prospettano, ma modula tali esigenze, e quelle connesse di promozione dei valori che vi si esprimono, con la necessità di mantenere l’uso alla quale, per definizione, la piazza è destinata, che è quella di luogo di aggregazione e di incontro da parte della collettività. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03669/2015REG.PROV.COLL.

N. 00656/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 656 del 2015, proposto da: 
Ministero per i beni e le attività culturali in presone del ministro in carica, Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e provincia, in persona del soprintendente in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

contro

Comune di Napoli in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari e Anna Pulcini, elettivamente domiciliato in Roma, via Francesco Denza, 50/1 presso l’avvocato Nicola Laurenti; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 2604/2014, resa tra le parti, concernente imposizione di vincolo indiretto.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Basilica e l’avvocato Laurenti per delega dell’avvocato Ferrari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

L’Amministrazione dei beni e le attività culturali chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Campania ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Napoli avverso il provvedimento della competente Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici n. 1737 dell’8 maggio 2013, recante apposizione del vincolo indiretto ex art. 45 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, d’ora innanzi: Codice) sulla piazza del Plebiscito di Napoli.

I) La sentenza impugnata, dopo aver puntualizzato che le parti in giudizio, entrambe Amministrazioni pubbliche, controvertono sull’ampiezza del vincolo indiretto apposto sulla piazza, e che quindi la controversia concerne non l’an, ma il quomodo del vincolo stesso, ha rilevato che l’art. 45 del Codice attribuisce al Ministero la “facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”, così significando che tutto ciò che non distrugge, deteriora, rende inservibile, può (in tesi) rendersi non illegittimo, se ed in quanto inscrivibile nel canone della fruizione diretta e della valorizzazione, che costituisce il criterio ispiratore dell’intero Codice.

Secondo il primo giudice, i poteri delle Amministrazioni competenti devono, perciò, inserirsi nell’ambito della valorizzazione e della fruizione pubblica del patrimonio culturale, evidenziate dall’art. 1 del Codice, funzioni che non si esauriscono nella mera difesa dei beni da possibili deturpazioni. In tale prospettiva il provvedimento impugnato, nella parti contestate in giudizio (limitative dell’utilizzo dello spazio antistante la Chiesa di S. Francesco da Paola per l’apposizione di sedie e tavolini per ristoro, e dell’incremento, sulla piazza, della superficie delle zone da allestire per attività attrezzate), si manifesta illegittimo in quanto ispirato ad un’ottica meramente restrittiva, essendo dichiaratamente diretto “ad evitare che sia danneggiata la prospettiva e che siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”, e contenendo soltanto prescrizioni limitative dell’uso pubblico, in contrasto con la vocazione aggregativa della piazza stessa, senza adeguata motivazione.

II) L’appello proposto dall’Amministrazione comunale è fondato.

La sentenza impugnata è argomentata a partire da un presupposto di fondo, che non è condivisibile, e che ravvisa una contrapposizione tra la finalità di conservazione e quella di valorizzazione di un bene avente valore culturale.

A tale proposito, va innanzitutto ricordato che il principio generale del Codice espresso all’art. 1, comma 2, per il quale “la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”, non costituisce la fruizione pubblica e la valorizzazione del bene quale unica finalità della funzione, come sembra ritenere il primo giudice, ma iscrive anche la tutela a pieno e pari titolo (del resto, è del tutto evidente che la conservazione di un bene è il primo e ineludibile passo per la sua valorizzazione).

Inoltre, deve essere ancora puntualizzato che non è il bene in sé a costituire oggetto della tutela, ma il valore che sul bene si esprime: perciò, non solo il singolo bene, ma l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale può richiedere una conservazione particolare: e a questo servono le eventuali “prescrizioni di tutela indiretta”, cioè il cosiddetto vincolo indiretto conformato dall’art. 45 del Codice.

Questa norma attribuisce all’Amministrazione la funzione di creare le condizioni affinché il suddetto valore possa compiutamente esprimersi, senza altra delimitazione spaziale e oggettiva che non quella attinente alla sua causa tipica, che è di “prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”, secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità. Come è stato già precisato da questo Consiglio di Stato (per tutte, sez. VI, 3 luglio 2012 n. 3893), tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell’esercizio del potere di vincolo: perciò il potere che si manifesta con l’atto amministrativo deve essere esercitato in modo che sia effettivamente congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto.

Scopo legale che, nel caso del vincolo indiretto, concerne, come si è detto, la cosiddetta cornice ambientale di un bene culturale: ne deriva che il limite di legittimità in cui si iscrive l’esercizio di tale funzione deve essere ricercato nell’equilibrio che preservi, da un lato, la cura e l’integrità del bene culturale e, dall’altra, che ne consenta la fruizione e la valorizzazione dinamica.

Nella fattispecie in esame il potere è stato esercitato in coerenza e congruità con lo scopo della funzione: l’Amministrazione ha avuto cura di coniugare le esigenze di tutela dei beni immobili che prospettano sulla piazza del Plebiscito (palazzo Reale, chiesa di San Francesco di Paola, palazzo Salerno e palazzo della Prefettura) con quelle relative alla destinazione pubblica della piazza stessa. Come si legge nel provvedimento impugnato, il vincolo indiretto è stato, infatti, modulato a seconda delle zone in cui è destinato a incidere, e così mediante l’individuazione di un’area di rispetto integrale, nella quale non è consentito alcun tipo di occupazione di suolo pubblico, di un’area nella quale è consentita, per una durata temporalmente limitata e per esigenze stagionali del commercio, il posizionamento di sedie, tavoli e teloni, di un’area, infine, destinata a ospitare manifestazioni ed eventi temporanei di carattere politico, religioso, militare, ricreativo, culturale e di spettacolo.

Il provvedimento impugnato non si attesta, quindi, su una indifferenziata e immotivata negazione di qualsiasi fruizione della piazza, e nella ricerca della mera conservazione statica della stessa e dei monumenti che vi prospettano, ma modula tali esigenze, e quelle connesse di promozione dei valori che vi si esprimono, con la necessità di mantenere l’uso alla quale, per definizione, la piazza è destinata, che è quella di luogo di aggregazione e di incontro da parte della collettività.

La determinazione dell’ampiezza della zona da preservare e delle concrete modalità di tutela appartiene, del resto, alla discrezionalità tecnica dell’Amministrazione a ciò preposta, sicché, una volta che sia accertata la congruenza del vincolo con le finalità della funzione, l’indagine del giudice deve arrestarsi laddove non ne venga dimostrato – il che qui non è avvenuto – l’irragionevolezza o la non proporzionalità. Riposa sulla leale collaborazione tra le parti la gestione concreta del vincolo indiretto, collaborazione doverosa in considerazione della natura pubblica dei soggetti coinvolti e della rispettiva titolarità degli interessi della collettività cui essi sono preposti; gestione concreta comunque assoggettata al sindacato giurisdizionale sia pur sempre nei limiti intrinseci al giudizio di legittimità.

III) In conclusione, la sentenza merita la riforma chiesta con l’appello, che deve essere accolto in quanto fondato.

Le spese del giudizio possono, data la qualità pubblica delle parti e la natura della controversia, essere compensate tra le stesse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)