TAR Lazio (RM) Sez. II n. 32824 del 14 ottobre 2010
Sviluppo sostenibile. Costruzione impianti energetici
L’art. 5-bis del DL 5/2009, ha quale scopo essenziale è, basta leggerne l’epigrafe, <<… la necessità di collocare in un quadro unitario le disposizioni finalizzate alla promozione dello sviluppo economico e alla competitività del Paese, anche mediante l’introduzione di misure… in grado di sostenere… il rilancio produttivo…>>.Esso s’inserisce nel solco delle norme d’accelerazione della costruzione di impianti energetici e, nella misura in cui esso serve a diversificare le fonti d’energia e la dipendenza energetica del Paese, è rivolto ad incentivarne, non meno dalle regole di trasferimento ad imprese e famiglie contenute nel medesimo DL 5/2009, sviluppo e competitività.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 32824/2010 REG.SEN.
N. 09584/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 9584/2009 RG, proposto dall’Associazione tra Agenzie d'affari in mediazione turistiche e di viaggi – ASSAGAIME di Rosolina, dal Consorzio operatori balneari – COB, dal Villaggio turistico Rosapineta Sud, dalla VILLAGGI CLUB s.r.l., dalla Coop. CONSORZIO DELTA NORD s.r.l., dalla Coop. FOCE PO DI MAISTRA s.r.l., tutte con sede in Rosolina (RO), dalla GREENPEACE ONLUS, dall’Associazione italiana per il WWF – ONLUS e da ITALIA NOSTRA - ONLUS, tutte con sede in Roma, nonché dal Comitato cittadini liberi Porto Tolle, con sede in Porto Tolle (RO), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Matteo CERUTI e Valentina STEFUTTI, con domicilio eletto in Roma, v.le A. Saffi n. 20,
contro
- il MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI ed il MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona dei sigg. Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e
- la REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Ezio ZANON ed Andrea MANZI, con domicilio eletto in Roma, via F. Confalonieri n. 5 e
nei confronti di
- ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dal prof. Giuseppe DE VERGOTTINI e dall’avv. Cesare CATURANI, con domicilio eletto in Roma, via A. Bertoloni n. 44 e
- Cesare DONNHAUSER, controinteressato, non costituito nel presente giudizio,
per l'annullamento
A) - del decreto prot. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato nella G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto proposto dalla Società controinteressata per la realizzazione d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi, ubicata nel Comune di Porto Tolle (RO), in luogo dell’esistente centrale ad olio combustibile; B) – del parere favorevole reso dalla Commissione tecnica VIA-VAS n. 285 del 29 aprile 2009 e del successivo parere espresso dal Comitato di coordinamento della Commissione reso nella seduta del 9 luglio 2009; C) – del parere favorevole reso dal MIBAC in data 16 marzo 2009; D) – dei decreti della Giunta regionale del Veneto n. 4067 del 28 dicembre 2005, n. 150 del 30 gennaio 2007 e n. 2018 del 7 luglio 2009, con cui la Regione impugnato ha espresso parere favorevole all’impianto de quo; E) – dei pareri della Commissione regionale veneta VIA n. 120 del 25 ottobre 2005, n. 149 del 17 gennaio 2007 e n. 244 del 30 giugno 2009, del parere dell’ARPA prot. n. 82234 del 29 giugno 2009 e della Relazione tecnica regionale in data 29 giugno 2009; F) – ove occorra, del decreto n. 194 del 23 giugno 2008, con cui il Ministro dell’ambiente ha proceduto alla quasi totale rinnovazione dei componenti della Commissione VIA – VAS; G) – ove occorra, delle deliberazioni della Giunta regionale del Veneto n. 2176 del 2 agosto 2005, n. 2974 dell’11 ottobre 2005 e n. 3609 del 22 novembre 2005, nella parte in cui la Regione intimata ha affidato alla Segreteria regionale infrastrutture e mobilità le competenze in materia di VIA, nonché della deliberazione giuntale n. 252 del 7 febbraio 2006, nella parte in cui individua nel Segretario regionale alle infrastrutture il Presidente della Commissione regionale VIA; H) – ove occorra, della deliberazione giuntale n. 1408 del 16 maggio 2006, recante l’approvazione del Piano progressivo di rientro relativo alle polveri PM10;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimati e della sola Società controinteressata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all'udienza pubblica del 26 maggio 2010 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, gli avvocati CERUTI, STEFUTTI, MANZI e CATURANI, il prof. DE VERGOTTINI e l’Avvocato dello Stato GUIDA;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
L’ASSAGAIME, con sede in Rosolina (RO) e consorti (meglio indicati in premessa) rendono noto che, nel territorio comunale di Porto Tolle (loc. Polesine Camerini) e sita nel delta del Po –ancorché attualmente al di fuori del perimetro provvisorio del relativo Parco–, esiste da vari decenni una centrale termoelettrica finora funzionante ad olio combustibile.
Detto Sodalizio e consorti dichiarano altresì che, con istanza in data 31 maggio 2005, l’ENEL PRODUZIONE s.p.a., corrente in Roma, ha chiesto al Ministero dell’ambiente il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 1, c. 2 del DL 7 febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55), con contestuale pronuncia di compatibilità ambientale ex art. 6 della l. 8 luglio 1986 n. 349. Tanto con riguardo al progetto di realizzazione d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi, in luogo della predetta centrale ad olio combustibile.
Detto Sodalizio e consorti fanno presente pure che la Commissione VIA nazionale del Ministero dell’ambiente espresse in un primo tempo una decisione interlocutoria, comunicata alla Società istante il 13 agosto 2007, di segno sfavorevole alla richiesta de qua. E ciò in relazione sia alla qualità peggiore delle emissioni in atmosfera d’una CTE a carbone rispetto a quelle d’una CTE alimentata a metano, sia all’irrilevanza in sé della vetustà dell’impianto esistente e del suo mantenimento in un’area delicata qual è il delta del Po.
A seguito d’una nuova formale istanza della ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a., susseguente a sua volta al deposito di integrazioni progettuali ed alla ripubblicazione dell’annuncio a mezzo stampa, il Ministero dell’ambiente ha riattivato, in data 6 febbraio 2008, il procedimento di VIA. È nel frattempo intervenuto l’art. 5-bis del DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009 n. 33), in virtù del quale la Commissione nazionale VIA ha espresso, in data 29 aprile 2009, il proprio parere favorevole al progetto di riconversione della Società istante. Sono seguiti poi la deliberazione n. 2018 del 7 luglio 2009 –con cui la Giunta regionale del Veneto ha recepito il parere favorevole della Commissione VIA regionale– , nonché il decreto prot. n. DSA-DEC 2009/0000873 del 24 luglio 2009, pubblicato nella G.U. n. 189 del successivo 17 agosto, con cui il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto de quo.
Avverso tali atti e tutti quelli presupposti, sono allora insorti l’ASSAGAIME e consorti innanzi a questo Giudice, con il ricorso in epigrafe, deducendo in punto di diritto otto articolati gruppi di censure. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni statali e la Regione intimate, le quali concludono per l’infondatezza della pretesa attorea. Pure la Società controinteressata resiste in giudizio, eccependo articolatamente sia la legittimazione dei ricorrenti, sia, nel merito, la stessa fondatezza delle doglianze in questioni.
Alla pubblica udienza del 26 maggio 2010, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio
DIRITTO
1. – È all’odierno esame del Collegio la questione, posta in questa sede dal Sodalizio ricorrente e consorti con otto articolati gruppi di censure, avverso il decreto, in una con gli atti presupposti meglio indicati in epigrafe, con cui il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto, a suo tempo proposto dalla ENEL DISTRIBUZIONE s.p.a., per la realizzazione in Porto Tolle (RO), loc. Polesine Camerini, d’una centrale termoelettrica da 1980 Mw ed alimentata a carbone e biomasse vergini nella misura massima del 5% su due gruppi, in luogo d’una precedente ad olio combustibile.
Il ricorso in epigrafe è privo di pregio e va respinto, per le considerazioni di cui appresso.
2.1. – Il primo gruppo di motivi s’incentra sui pretesi vizi dell’art. 5-bis del DL 10 febbraio 2009 n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009 n. 33), in virtù del quale <<… per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l'alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell'allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152…>>. Tal norma è stata introdotta, con efficacia dal 12 aprile 2009, dalla legge di conversione n. 33/2009, donde la pacifica sua applicabilità a tutti i procedimenti in corso, compreso il procedimento di VIA sull’ impianto per cui è causa.
2.2. – È manifestamente irrilevante la questione di legittimità del citato art. 5-bis per violazione dell’art. 77 Cost., a cagione del difetto dei presupposti di necessità ed urgenza della norma de qua, nonché dell’asserita estraneità di essa rispetto alle misure d’incentivazione ad alcuni settori economici ed industriali cui, in origine, era dedicato il DL 5/2009.
Il primo argomento, dirimente ai fini della predetta irrilevanza–come si vedrà appresso–, all’uopo adoperato dai ricorrenti concerne non già i vizi di contenuto ed in procedendo nella conversione del DL 5/2009, bensì l’incompatibilità di tal norma con le regole ex art. 30 della l. reg. Veneto 8 settembre 1997 n. 36, istitutiva del Parco del Delta del Po.
In sostanza, qui si predica, da parte dei ricorrenti stessi, la necessità del medesimo art. 5-bis, nella specie ed ai fini della legittimità del decreto VIA impugnato, perché senza di esso i Ministeri intimati non avrebbero potuto “superare” la pretesa preclusione derivante, verso l’impianto de quo, dal citato art. 30 della l.r. 36/1997. In base a quest’ultimo, nel territorio dei Comuni interessati dal Parco del Delta del Po, <<… gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minor impatto ambientale…>>. A ben vedere, per un verso la “necessità” del citato art. 5-bis è tutta da dimostrare, posto che l’art. 30 della l.r. 36/1997 non impone per forza l’alimentazione a gas metano per le centrali elettriche, all’uopo bastandone una che assicuri un <<…pari o minor impatto ambientale…>>, sicché occorre verificare, IN CONCRETO e rispetto al gas metano, l’impatto ambientale complessivo della scelta d’alimentazione per la proposta trasformazione della centrale di Porto Tolle. Per altro verso, non v’è neppure la sicurezza circa la scelta prioritaria, da parte della norma regionale, a favore del solo gas metano, delle cui maggior sicurezza ed appropriatezza, ai fini dell’alimentazione dell’impianto, non v’è prova certa rispetto a quanto dedotto nel decreto impugnato, a parte ogni considerazione sull’impianto ambientale in sé del metanodotto occorrente a tal alimentazione. Per altro verso ancora, la perentoria asserzione del Ministero intimato, in data 13 agosto 2007 e per la quale è <<… comunque peggiore, allo stato attuale della tecnologia e in termini generali, il quadro emissivo di una CTE a carbone rispetto a quello di un corrispondente impianto alimentato a metano…>>, non è conducente alla tesi attorea perché, se adoperata così, s’appalesa mera petizione di principio circa i <<termini generali>> ed è affermazione basata rebus sic stantibus (2007) e senza richiamo di dati scientifici seri, precisi e concordanti nella situazione attuale (2010) per quanto riguarda l’evoluzione tecnologica.
Da ciò discende la possibilità della localizzazione dell’impianto per cui è causa anche in base all’art. 30 della l.r. 36/1997, indipendentemente dal jus superveniens del 2009.
Tanto in disparte la relazione introduttiva sul progetto del parere, poi reso dalla Commissione regionale VIA del Veneto in data 30 giugno 2009, nella parte in cui s’espresse, secondo i ricorrenti in senso favorevole alla propria tesi, sul preteso “superamento” del medesimo art. 30 da parte dell’art. 5-bis. Invero, siffatta asserzione, che in realtà si sostanzia in un passaggio assai stringato (<<… l’art. 30… è stato di fatto superato dal seguente art. 5bis…>>), non ha alcun valore giuridico e s’appalesa mero dato notiziale, non ulteriormente sviluppato nel corpo del parere. Ferma allora la soggezione di questo Giudice solo alla legge –e non certo al rispettabile, ma atecnico assunto del relatore della Commissione–, la norma regionale pretende non già l’obbligo dell’alimentazione a gas metano o altre fonti alternative non inquinanti, come potevasi evincersi nel testo anteriore alla novella di cui alla l.r. 26 febbraio 1999 n. 18, ma la possibilità d’usare fonti di PARI o MINORE impatto ambientale. Come si vede, la novella del 1999, ben lungi dall’aver introdotto una regola meno restrittiva della precedente, in realtà pone un più preciso, serio ed articolato parametro di verifica del sistema d’alimentazione, basato non più sul solo profilo delle emissioni in atmosfera, ma sul complessivo impatto sul territorio conseguente alla riconversione dell’impianto. Né mette conto confutare in modo puntuale, sotto il profilo del calcolo delle quantità delle emissioni ed al contrario di ciò che fa la Società controinteressata –che invece offre un serio principio di prova sull’inesistenza di condizioni peggiorative a causa dell’alimentazione a carbone–, l’assunto attoreo circa la peggior qualità ambientale d’un siffatto impianto rispetto a quello alimentato a gas metano, posto che i ricorrenti non riportano, neppure in sede conclusionale, dati scientifici certi e seri per corroborare detto assunto.
Pertanto, se non v’è un’immediata diretta e specifica preclusione, da parte del ripetuto art. 30, al nuovo sistema d’alimentazione dell’impianto, allora il richiamo all’art. 5-bis del DL 5/2009, aldilà della citazione di quest’ultimo in vari documenti del procedimento di VIA, è del tutto inutile, non essendo né scontato, né ineluttabile un giudizio negativo sul progetto della controinteressata in base alla sola norma regionale. Donde la non necessità, per questo Giudice, di risolvere la presente controversia applicando il citato art. 5-bis e, quindi, l’irrilevanza, secondo la prospettazione attorea, della questione di legittimità costituzionale di esso, senz’uopo d’ulteriore disamina degli argomenti sulla non manifesta infondatezza di questa.
2.3. – È appena da osservare che il comunicato della Presidenza della Repubblica in data 17 aprile 2009, laddove lamenta che <<… sottoporre al Presidente della Repubblica per la promulgazione, in prossimità della scadenza del termine costituzionalmente previsto, una legge che converte un decreto-legge notevolmente diverso da quello a suo tempo esaminato, non gli consente l’ulteriore, pieno esercizio dei poteri di garanzia che la Costituzione gli affida…>>, s’appalesa non conducente alla tesi attorea.
Sul punto non sfugge certo al Collegio che l’eventuale abuso del contenuto, da parte delle Camere, d’un decreto-legge mercè l’inserzione di norme spurie o non assistite dai necessari presupposti della necessità e dell’urgenza, possa precludere l’esercizio dei poteri presidenziali di controllo. E ciò soprattutto ove il ristretto termine stabilito per la conversione (rectius, per la promulgazione della relativa legge) del decreto-legge, impedisca di fatto al Capo dello Stato il rinvio alle Camere a’sensi dell’art. 74 Cost. Ma ciò non preclude punto al Presidente della Repubblica, ove se ne riscontrino i presupposti, d’adoperare tutti i rimedi all’uopo posti sia dalla Costituzione, sia dalla prassi, tra cui la facoltà d’inviare messaggi alle Camere stesse a’sensi dell’art. 87, II c., Cost.
Nemmeno convince il richiamo alla giurisprudenza costituzionale sulla verifica dell’esistenza dei predetti presupposti, ossia della causa che legittima l’emanazione dei decreti-legge, ancorché, a ben vedere, la citata sentenza della Corte 23 maggio 2007 n. 171 riguardò una norma inserita ab origine nel DL 29 marzo 2004 n. 80 (convertito, con modificazioni, dalla l. 28 maggio 2004 n. 140).
Al riguardo, non dura fatica il Collegio a ritenere né che l’uso del decreto-legge sia sostenibile dalla mera enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessità e d’urgenza, né che il decreto-legge si esaurisca nella sola constatazione della ragionevolezza della disciplina che esso introduce. Poiché tali concetti, ad avviso del Collegio, sembrano poter valere anche per le norme inserite in sede di conversione, in linea di massima questo Giudice potrebbe anche rinviare al Giudice delle leggi, affinché v’eserciti il proprio scrutinio, quella norma, originaria o sopravvenuta, che si connoti per la sua evidente estraneità rispetto alla materia su cui, affermandovi la necessità ed urgenza –e, quindi, forzando il procedimento ordinario di formazione cui la norma stessa sarebbe invece soggetta–, il decreto-legge intende intervenire. Tanto con particolar riguardo alla verifica della sussistenza dei presupposti de quibus, il cui eventuale difetto non è certo eliso dal sol fatto della conversione in legge. Solo, però, che nella specie tal evenienza non si riscontra nell’art. 5-bis del DL 5/2009, il cui scopo essenziale è, basta leggerne l’epigrafe, <<… la necessità di collocare in un quadro unitario le disposizioni finalizzate alla promozione dello sviluppo economico e alla competitività del Paese, anche mediante l’introduzione di misure… in grado di sostenere… il rilancio produttivo…>>. Ad una sua serena lettura, il ripetuto art. 5-bis s’inserisce nel solco delle norme d’accelerazione della costruzione di impianti energetici e, nella misura in cui esso serve a diversificare le fonti d’energia e la dipendenza energetica del Paese, è rivolto ad incentivarne, non meno dalle regole di trasferimento ad imprese e famiglie contenute nel medesimo DL 5/2009, sviluppo e competitività.
Speciosa e, comunque, mera petizione di principio è poi la censura attorea per cui il medesimo art. 5-bis sarebbe privo di copertura finanziaria, non essendo fornito alcun serio principio di prova in ordine al preteso maggior esborso di denaro pubblico, neppure circa la prospettazione per cui la riconversione a carbone d’una centrale termoelettrica ad olio combustibile implicherebbe per forza l’aumento delle emissioni di CO2 e, quindi, siffatto esborso.
2.4. – A più forte ragione s’appalesa manifestamente infondata la pretesa illegittimità dell’art. 5-bis per violazione dell’art. 117 Cost., per la duplice, evidente ragione che, per un verso, la norma statale è criterio direttivo alle Regioni per alcuni casi di riconversione dei sistemi di alimentazione delle centrali termoelettriche e, per altro verso, essa riguarda non la sola produzione di energia, ma soprattutto le modalità di tutela dell’ambiente nell’esercizio, così conformato, d’ogni attività produttiva energetica per il dimezzamento dei valori emissivi rispetto a quelli posti dall’art. 273 del Dlg 152/2006.
E che tali principi riguardino pure la proposta trasformazione della centrale termoelettrica di Porto Tolle, non par dubbio, posto che essa s’inserisce nella strategia d’incremento dell’offerta energetica, a fronte del crescente deficit energetico nazionale, per il quale è ragionevolmente prevedibile l’insufficienza degli impianti esistenti e di quelli ancora in costruzione. E l'interesse pubblico alla produzione elettrica (in genere, energetica) è certo un interesse di natura primaria, strettamente legato allo sviluppo economico e sociale di tutta la Repubblica e, quindi, esclude che tal trasformazione sia da reputare un problema di rilevanza meramente locale, mentre va visto nell'ottica dei bisogni d’approvvigionamento energetico nazionale.
In tal caso, il congiunto giudizio su necessità energetiche nazionali e presupposti ambientali implica una ponderazione complessa, che coinvolge profili tecnici e profili di vera e propria opportunità complessiva, tali da trascendere ogni localismo. Poiché spetta allo Stato la potestà legislativa concorrente in tema di <<produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia>> di cui all'art. 117, c. 3, Cost., anzitutto non può giammai predicarsi una pretesa superiorità d’ogni scelta locale o regionale, ove non sia previamente delineato un disegno che bilanci seriamente le esigenze connesse alla produzione di energia e gli altri interessi, variamente modulati, di gestione del territorio. Né basta: oltre a siffatta ponderazione concertata propria del metodo di produzione dell’energia –in ossequio al principio di leale cooperazione tra i diversi livelli di governo–, il miglioramento dell’efficienza e della competitività delle infrastrutture energetiche nazionali impinge, anche trasversalmente come ben evincesi dal medesimo art. 5-bis, su fattori ambientali ineludibili per ogni Regione, sì da giustificare la piena competenza statale e la responsabilità esclusiva della Commissione statale VIA-VAS per tutti i progetti e sulle prescrizioni inerenti agli impianti termoelettrici.
3.1. – Né si comprende, a differenza di ciò che opinano i ricorrenti, in che cosa sostanzi il censurato scostamento del parere di detta Commissione (recte, del relativo Comitato di coordinamento) in data 9 luglio 2009 rispetto ad alcune modifiche che la Commissione VIA regionale aveva chiesto d’apportare alle prescrizioni poste con il parere statale del precedente 29 aprile.
Invero, secondo la prospettazione attorea, anzitutto si riscontrerebbe la non condivisione, da parte del Comitato stesso, delle osservazioni regionali alle prescrizioni nn. 4) (limiti più rigorosi per le emissioni massiche totali di metalli e loro composti), 5) (previsione di standard per emissioni massiche totali di IPA e PCDD/F di kg 0,5/anno e, rispettivamente, g 0,1/anno), 10) (necessità di prevedere, a monte dei filtri a manica, un sistema d’iniezione e dosaggio di adsorbente solido per un abbattimento più efficace di microinquinanti) e 19) (necessità di prevedere un monitoraggio per le ricadute di arsenico, cadmio, nichelio, piombo, vanadio, benzopirene, PIA e diossine e, in continuo, per il mercurio nell’aria).
Ebbene, per un verso, il decreto impugnato recepisce tutte le prescrizioni poste dalla deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 2018 del 7 luglio 2009, come a sua volta contenute nel parere del precedente 30 giugno, sicché ictu oculi non consta al Collegio l’esistenza di un’effettiva dissociazione tra il provvedimento statale e la volizione della Regione Veneto. Per altro verso, il predetto Comitato in effetti ha accolto solo due delle osservazioni e richieste di modifica formulate dalla Commissione regionale VIA, non condividendo sì le quattro dianzi elencate, ma fornendo sul punto seria motivazione. A tal ultimo riguardo, a pagg. 31/32 del gravame introduttivo, i ricorrenti si limitano ad enunciare siffatti scostamenti, senza, però, adoperare argomenti a confutazione ed usando frasi poi non molto più articolate da quelle or ora adoperate dal Collegio, sicché non mette conto di fare ulteriori approfondimenti.
Non a diversa conclusione reputa il Collegio di pervenire con riguardo alla censura sull’omessa partecipazione, al procedimento poi sfociato nel decreto impugnato, della Regione Emilia – Romagna. In disparte l’assenza d’ogni doglianza da parte di quest’ultima –cosa, questa, che già elide in radice ogni interesse attoreo al riguardo–, in base all’art. 6, c. 4 della l. 8 luglio 1986 n. 349 rettamente il Ministero intimato ha ristretto la nozione di <<regione interessata>>, che dev’esser sentita nell’ambito del procedimento di VIA, solo a quella nel cui territorio interamente ricade l’intervento al quale la VIA si riferisce. Né giova a tal riguardo il richiamo all’art. 1, c. 4-bis del DL 7 febbraio 2002 n. 7 (convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2002 n. 55), in virtù del quale <<… nel caso di impianti ubicati nei territori di comuni adiacenti ad altre regioni, queste ultime sono comunque sentite nell'ambito della procedura di VIA…>>.Tale regola è stata sostituita dall’art. 3, c. 5-bis del DL 18 febbraio 2003 n. 25 (convertito, con modificazioni, dalla l. 17 aprile 2003 n. 83), che alla procedura di VIA sostituisce quella del procedimento unico di cui al precedente c. 2, al quale, per vero, la Regione Emilia – Romagna partecipa.
3.2. – Lamentano ancora i ricorrenti l’omessa acquisizione del parere dell’Ente parco del Delta del Po, ancorché l’impianto per cui è causa ricada in un’area esterna al perimetro del parco stesso., ma pure tal censura è da rigettare. In disparte siffatta ultima (e dirimente) osservazione e rilevato che non consta alcuna doglianza dell’Ente sulla propria mancata partecipazione, tale omissione non sembra sussistere in punto di fatto, giacché l’Ente stesso è stato sentito a’sensi dell’art. 5, c. 7 del DPR 8 settembre 1997 n. 357, giusto suo parere in data 15 marzo 2007.
3.3. – Quanto poi al motivo con cui si lamenta l’omessa applicazione nella specie dell’All. IV) al DPCM 27 dicembre 1988 (recante le procedure per i progetti termoelettriche a turbogas), questo s’appalesa infondato..
Com’è noto, il complesso delle regole poste dall'art. 1 del DL 7/2002 previde un'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio di impianti d’energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, rilasciata dal Ministero delle attività produttive in sostituzione delle autorizzazioni, concessioni e atti di assenso comunque denominati previsti dalla legislazione vigente. La disciplina de qua, che trovò conferma dal Giudice delle leggi (cfr. C. cost., 13 gennaio 2004 n. 6), riguardò la concentrazione in una con l’accelerazione, in capo allo Stato, di funzioni amministrative in una materia affidata sì alla legislazione concorrente, ma per la salvaguardia della necessaria unitarietà dell'esercizio di tali compiti prevista dall'art. 118 Cost. per esigenze d’integrità dei bisogni energetici della Repubblica. Sicché la compressione delle competenze delle amministrazioni regionali e locali fu giustificata dalla celerità con cui, per evitare il pericolo dell’interruzione della fornitura d’energia elettrica su tutto il territorio della Repubblica, furono concentrate in capo allo Stato dette funzioni amministrative per la costruzione o il ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo, da svolgersi con l’intesa delle Regioni e delle Amministrazioni locali interessate. In tale ottica –stante la necessità d’immediato potenziamento del quadro energetico nazionale–, fu reputata costituzionalmente legittima pure la disposizione dell’art. 1, c. 5 del DL 7/2002, che previde, tra l’atro, la sospensione fino <<… al 31 dicembre 2003 (del)l'efficacia dell'allegato IV al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1989…>>.
Siffatta disposizione, ben prima della scadenza del termine colà previsto, è stata dichiarata ultrattiva dall’art. 1-sexies, c. 8 del DL 29 agosto 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 ottobre 2003 n. 290), così stabilizzando la disciplina dell’art. 1 del DL 7/2002, ab origine solo transitoria, a causa dell’attuale permanenza delle esigenze di sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Né varrebbe obiettare che, in fondo, l’art. 1-sexies, c. 8 non avrebbe espressamente stabilito detta stabilizzazione anche in contrario avviso all’All. IV) al DPCM 27 dicembre 1988.
È materialmente vero che l’art. 34, c. 1, ult. per. del Dlg 152/2006 ha mantenuto ferma, nelle more dell'emanazione delle norme tecniche sulla valutazione ambientale <<… l'applicazione di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988…>>. Tuttavia, tal regola va intesa nel senso che, ferme l’autorizzazione unica ex art. 1 del DL 7/2002 e la stabilizzazione dell’intero sistema colà recato grazie al predetto art. 1-sexies, c. 8 –che v’ha fatto integrale rinvio recettizio–, la permanenza delle esigenze energetiche giustifica l’attualità del sistema semplificato, ma non per questo meno garantistico, rispetto al sistema dettato dal ripetuto DPCM. Sicché il richiamo al ripetuto DPCM al più riguarda l’utilizzabilità di regole tecniche nello stesso contenute e non può prescindere da un giudizio di compatibilità con il principio di semplificazione procedurale di cui al successivo c. 7. In altre parole, fuori dalle regole tecniche colà esistenti –e solo in quest’accezione il Ministero intimato ebbe modo di richiamare le norme dell’art. 6 del ripetuto DPCM nel corso del lungo procedimento preparatorio al decreto VIA–, il procedimento è e resta soltanto quello evincibile dalla ratio dell’art. 1 del DL 7/2002, secondo la lettura all’uopo resa dal Giudice delle leggi. Si deve lasciare, quindi, alla nuova fonte regolamentare la scelta discrezionale di quale e quanta partecipazione pubblica può esser assicurata, de futuro ed oltre all’apporto dei i corpi rappresentativi locali titolari di funzioni e potestà ambientali, nei singoli procedimenti di VIA.
4. – Per ciò che attiene al terzo gruppo di censure, concernenti i pretesi vizi di formazione e di funzionamento della Commissione VIA-VAS, i ricorrenti lamentano l’incompetenza del Comitato di coordinamento di detta Commissione perché avrebbe disatteso alcune osservazioni regionali.
Il motivo è da respingere , anzitutto perché il parere della Regione Veneto è, per interventi soggetti a VIA statale quale quello per cui è causa, meramente consultivo/collaborativo, non certo vincolante, giusta quanto evincesi dall’art. 36, c. 4 del Dlg 152/2006 circa l’esclusiva competenza del Ministero intimato sulla questione. È da osservare che, mentre l’impugnato parere della Commissione VIA è stato rilasciato il 29 aprile 2009, il parere della Commissione regionale veneta è stata rilasciata solo il successivo 30 giugno. Sicché il Comitato tecnico di coordinamento non ha espresso il parere, come detto già a suo tempo reso dal plenum della Commissione, su cui poi è stato emanato il decreto VIA, ma s’è solo dato carico di tal documento regionale, provvedendo ad inserire alcune delle osservazioni nel testo definitivo del decreto stesso. Del pari, il Comitato non ha rigettato le osservazioni della Commissione regionale sulle citate prescrizioni nn. 4), 5), 10) e 19), ma non le ha motivatamente condivise e s’è limitato ad effettuarne un giudizio di compatibilità con il parere già reso dal plenum, senza modificarne il contenuto.
Si dolgono poi i ricorrenti che il parere della Commissione VIA-VAS sarebbe inficiato da una situazione d’incompatibilità in capo a quello (dott. Franco SECCHIERI), tra i componenti di essa, che è pure membro della Commissione regionale veneta. La tesi non ha gran senso, in primo luogo perché nessuna norma d’organizzazione dei due organi pone alcun divieto di partecipazione all’uno, piuttosto che all’altro o ad entrambi. Né vale obiettare che, in fondo, egli non sarebbe “imparziale” sol perché, in sostanza, avrebbe espresso aliunde avvisi favorevoli alla riconversione dell’impianto de quo, giacché l’invocata imparzialità ex art. 97 Cost., peraltro da riferirsi all’intero organo collegiale, consiste non già nell’aprioristica condiscendenza verso la tesi dei ricorrenti, bensì nel perseguimento dell’obiettivo di massimizzazione dell’interesse pubblico, sotteso alla riconversione, attraverso la seria, leale, razionale e proporzionata ponderazione di tutti gli interessi privati o altri coinvolti nel relativo procedimento. Anche il richiamo all’art. 51, I c., n. 4, c.p.c. non sembra nella specie conducente, giacché tal disposizione, recante l’obbligo di astenersi per il Giudice che abbia conosciuto della lite in altro grado del processo, a tutto concedere logicamente presuppone una sorta di rapporto procedimentale tale da configurare il segmento statale come revisio prioris instantiae di quello regionale. Ma così non è: il procedimento di VIA statale è nell’esclusiva competenza della P.A. statale, sicché, nel relativo procedimento, il parere regionale è essenzialmente collaborativo del compito spettante alla Commissione VIA-VAS statale, a sua volta consultivo rispetto all’Autorità competente (il Ministero dell’ambiente, di concerto con il MIBAC).
Del tutto infondata è poi la doglianza sull’illegittima composizione della Commissione VIA-VAS, in quanto il Consilgio di Stato (sez. VI), con decisione n. 8253 del 17 dicembre 2009 da cui il Collegio non ha alcun motivo di discostarsi, ha integralmente riformato la sentenza di prime cure che aveva a suo tempo annullato la nomina di tal Commissione, di talché sul punto nulla quaestio.
5. – V’è ancora un quarto gruppo di questioni attinenti al sub-procedimento regionale di VIA, la prima delle quali riguarda, in gran sintesi, la pretesa strettezza dei tempi per la convocazione di tutti i soggetti, che hanno proposto osservazioni al progetto da sottoporre a VIA, nella sede dell’inchiesta pubblica ex art. 18 della l.r. 26 marzo 1999 n. 10.
Al riguardo, non sfugge certo al Collegio il principio generale, ben investigato in tema d’avvio del procedimento amministrativo (cfr., da ultimo, Cons. St., VI, 22 ottobre 2008 n. 5172) o per la pubblicazione del PRG adottato al fine di consentire la produzione delle osservazioni (sulla funzione della pubblicazione, cfr., p. es., Cons. St., IV, 13 luglio 2010 n. 4546)–, per cui, per quanta discrezionalità si possa avere nella organizzazione d’un procedimento a termini liberi, occorre pur sempre prevederne di acconci affinché sia consentita all'interessato un'effettiva partecipazione procedimentale.
Giova, tuttavia, precisare che l’art. 18, c. 6 della l.r. 10/1999 prevede lo svolgimento dell’inchiesta pubblica con i soli soggetti che hanno presentato le osservazioni, ossia con quei soggetti che sono già ben consapevoli del progetto sottoposto a VIA. E tal conoscenza proviene loro non già aliunde, bensì dalla stessa scansione del procedimento di VIA, nella misura in cui il soggetto proponente, ai sensi del precedente art. 14, è tenuto a depositare il progetto e ad inviarlo, in una con gli altri documenti prescritti, alle Amministrazioni interessate, oltre ad effettuare la pubblicazione del relativo annuncio, dalla data del quale decorre, tra l’altro, anche il termine ex art. 18, c. 1 per l’espressione del parere da parte della Commissione VIA. Né basta: il successivo art. 15 impone al soggetto proponente il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell’ultimo annuncio ex art. 14, c. 3, per la presentazione al pubblico del progetto de quo. Non è allora chi non veda come, nel sistema delineato dalla l.r. 10/1999, non solo ben sussistano svariati termini predefiniti al fine essenziale, oltre che della conclusione del procedimento di VIA, di consentire le osservazioni, ma soprattutto come la congruità del termine d’audizione s’adegui in relazione all’effettiva presentazione di dette osservazioni, donde l’inutilità di censure che non dimostrino una reale pretermissione, nella specie e NON in astratto, di tal facoltà. Tanto per tacer del fatto, ben evincibile dal chiaro tenore del medesimo art. 18, c. 6, che le osservazioni de quibus costituiscono non formule di codecisione nell’espressione del parere VIA, ma meri apporti collaborativi, che si possono risolvere nella sola audizione degli interessati e che non abbisognano quindi di puntigliose confutazioni.
In tal ottica, specioso s’appalesa allora l’assunto attoreo per cui l’inchiesta pubblica dovrebbe esser condotta non solo dal Presidente della Commissione regionale VIA, ma anche dai Comuni e dalla Province interessati, in quanto, in disparte il chiaro dato testuale che ne limita la competenza solo al primo –stante appunto la natura collaborativa e non decisoria dell’inchiesta stessa–, ciò appare in evidente contrasto con il principio di concentrazione nella sola autorità competente (cfr. l’art. 5, c. 1, lett. p e, per le regioni, l’art. 7, c. 6 del Dlg 152/2006) d’ogni potestà di definizione della VIA.
Non maggior pregio esprime la successiva censura di violazione dell’art. 5, c. 1 della l.r. 10/1999, in quanto, in disparte l’estrema latitudine delle espressioni adoperate dalla norma (<<…è istituita (la) Commissione regionale VIA, presieduta dal Segretario regionale competente in materia ambientale …>>), è nella discrezionale volizione organizzatoria della Regione, in coerenza con il proprio Statuto, d’assegnare la materia ambientale e, più specificamente, quella in tema di VIA al dirigente di più alto livello che s’occupi pure delle infrastrutture e della mobilità. E ciò sia perché a tal settore precipuo afferisce essenzialmente la funzione di VIA, sia perché la natura complessa e trasversale della materia (rectius, delle funzioni pubbliche in tema) d’ambiente non implica per forza, specie in un’organizzazione per settori e funzioni e non per ministeri e direzioni generali qual è di solito l’Amministrazione regionale, la concentrazione dei relativi compiti nella struttura che s’occupa pure del territorio.
6. – Con il quinto gruppo di censure i ricorrenti impugnano il decreto VIA e gli altri e presupposti atti, perché, a loro dire e giusta quanto evincesi dal parere della Commissione regionale VIA in data 30 giugno 2009, il progetto in questione <<… presenta carenze approfonditive nel confronto tra la riconversione a carbone e le altre soluzioni alternative…>> e sarebbe <<… del tutto evidente che ad esempio, le emissioni in atmosfera di un impianto alimentato a gas naturale di pari potenza sarebbero decisamente inferiori rispetto a quello proposto…>>.
In ordine al primo aspetto, non nega il Collegio che, ove in effetti si fossero riscontrati nel progetto mancati approfondimenti circa eventuali soluzioni alternative sull’alimentazione dell’impianto, ciò si sarebbe risolto in un’indebita carenza progettuale, a condizione, però, che tal obbligo discendesse dalla legge e vi fosse una predeterminata gerarchia dei sistemi d’alimentazione.
Così, per vero, non è, nella misura in cui la deroga, stabilita dal ripetuto art. 5-bis del DL 5/2009 per la riconversione delle preesistenti centrali termoelettriche alimentate ad olio combustibile in esercizio –qual è quella in esame–, non è in assoluto, ma riguarda solo i limiti di localizzazione territoriale, purché siffatta trasformazione a carbone o ad altro combustibile solido assicuri l'abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50% rispetto ai limiti previsti dalle sezz. 1, 4 e 5 della parte II dell'all. II) (p.te V) del Dlg 152/2006. In tal caso, non serve che il progetto rechi alcuna graduazione delle alternative dei sistemi d’alimentazione, la VIA potendo esser autorizzata, o no, a seconda che in concreto quello a carbone non superi i predetti limiti, senza necessità di prevedere soluzioni alternative, del tutto inutili rispetto alla previsioni di legge e che, in tutta franchezza ed ove richiesti, s’appaleserebbero adempimenti meramente defatigatori in capo al soggetto proponente, cui già incombono oneri progettuali assai complessi. E la speciosità, ancor prima che della censura attorea, dello stesso passaggio del parere regionale –peraltro assai scarno e non particolarmente specifico–, ben si ravvisa nell’art. 3, c. 1 del DL 25/2003 il quale, ai fini dell'effettuazione della VIA sui progetti di modifica o ripotenziamento di impianti di potenza superiore a 300 MW, considera <<… prioritari i progetti… che comportano il riutilizzo di siti già dotati di adeguate infrastrutture di collegamento alla rete elettrica nazionale, ovvero che contribuiscono alla diversificazione verso fonti primarie competitive…>>. Non è infatti chi non veda come la norma citata ponga essa un criterio di priorità, anch’esso d’altronde assai garantistico per le esigenze ambientali, che fa scolorare ogni pretesa sulla “necessità” di alternative.
Da ciò discende l’evidente erroneità logico-argomentativa dell’assunto che i ricorrenti basano sulla nota dell’ARPAV – dip.to prov. di Rovigo in data 29 giugno 2009, per cui la controinteressata non avrebbe <<… presentato un quadro conoscitivo dello stato della qualità dell’aria nel territorio del Delta del Po…d’importanza fondamentale se consideriamo che l’impianto si colloca in una delle aree (la pianura Padana) più inquinate d’Europa e nel contempo a più elevata vocazione ed interesse naturalistico (il parco regionale del Delta del Po)…>>.
Infatti, per un verso, il richiamo ai problemi generali dell’intera pianura padana, per un impianto il quale si colloca, per notoria cognizione geografica, nell’estremo suo lembo orientale ed in una posizione d’evidente proiezione nel mar Adriatico, appare più ad colorandum che decisivo, tant’è che, a fronte della pretesa di studi e ricerche in capo alla controinteressata, non è fornito un serio approccio a confutazione dirimente sull’insopportabilità ambientale non già dell’alimentazione a carbone in genere, ma dell’effetto dell’impianto nello specifico territorio d’influenza di questo.
Per altro verso, nemmeno significativo è il giudizio dell’ARPAV circa il ben noto fenomeno dell’emissione di polveri sottili conseguente al nuovo sistema d’alimentazione dell’impianto. Invero, ciò che rileva sul punto, ai fini d’un giudizio positivo, o no, di VIA, è non già un’emissione qualsivoglia di dette polveri, ma il bilanciamento di tutti gli interessi sottesi al funzionamento dell’impianto, espresso in forma numerica con l’attestamento dei valori d’emissione al di sotto del limite imposto.
Per altro verso ancora, il concetto di “limite” va inteso non già (o non solo) come mero valore-soglia, ma più propriamente come valore-limite commisurato alla media giornaliera calcolata sperimentalmente in condizioni di funzionamento standard e di carico medio degli impianti, se del caso (come nella specie) imponendo parametri più stringenti di quelli posti dalle linee-guida nazionali, recanti i criteri per l’individuazione delle migliori e più recenti tecnologie disponibili (MTD o, se si vuole, BAT) in tema di grandi impianti di combustione (LCP), per tener conto di eventuali fluttuazioni o anomalie dei parametri in determinate condizioni di funzionamento.
Infine, non convince il richiamo dell’ARPAV allo studio della prof. Laura TOSITTI, allegato alla CT in un contenzioso innanzi all’AGO e citato dai ricorrenti, per cui, a suo dire, emergerebbero criticità per l’aria nell’area deltizia. Il relativo calcolo è effettuato con riguardo non già alla potenzialità effettivamente inquinante dell’impianto ove funzionante, bensì alla circostanza che in fondo oggidì l’impianto stesso <<[… non è funzionante, salvo sporadiche accensioni, n.d.r.]…>>. Al contrario, il parere della Commissione ha effettuato i propri calcoli considerando appunto che <<… la conversione a carbone … non andrà ad incidere sullo stato attuale della qualità dell’aria in misura maggiore rispetto alla situazione che vede la centrale ad olio combustibile esercita per una produzione di soli 0,7 TWh …>>, donde la perfetta consapevolezza del funzionamento ridotto dell’impianto stesso.
Il Collegio, pertanto e stante l’incongruità di tali aspetti, non ritiene di dover confutare la censura attorea, che li adopera per dimostrare la contraddittorietà da cui sarebbe inficiata, secondo i ricorrenti, la citata nota dell’ARPAV. Secondo i ricorrenti, infatti, quest’ultima rammenta l’entrata in vigore dell’art. 5-bis del DL 5/2009 e reputa che la norma non consenta (o non consenta più) il raffronto <<… con l’ambientalizzazione della centrale ad OCD o a combustibili gassosi…>>, invece di concludere per un parere negativo sulla VIA. Al contrario, per il Collegio: A) – le testé usate premesse dei ricorrenti sono o spurie o logicamente non concludenti; B) – l’interpretazione della l.r. 36/1997 è ictu oculi erronea e non è utilizzabile nella specie né dai ricorrenti stessi, né dagli organi regionali; C) – il senso del citato art. 5-bis è quello di assicurare riconversioni anche in deroga, ma con un effetto d’abbattimento delle emissioni, in relazione, trattandosi nella specie d’un grande impianto di combustione, ai livelli di prestazione ottenibili dall’applicazione delle MTD. Né basta: parlando della qualità dell’aria che sarebbe comunque peggiore in caso di alimentazione a carbone a fronte di quella a metano, i ricorrenti non tengono conto della circostanza che, per l’impianto a carbone, è prevista una ciminiera d’altezza ben maggiore da quella per un analogo impianto a gas, onde le sostanze emesse, ancorché riguardino ossidi di zolfo ed ossidi d’azoto (ma ex lege equivalenti), tendono più facilmente a ricadere a distanze maggiori dal punto d’emissione (bocca della ciminiera) e, dunque, le concentrazioni sono meno elevate. È appena da osservare che, per un impianto a gas d’analoga potenza a quella della centrale per cui è causa, occorrerebbe un numero d’unità superiore a quanto previsto per quest’ultima, sicché non si avrebbe un maggior impegno di territorio, ma vi sarebbe bisogno di più ciminiere più basse, determinando così un effetto di ricaduta delle emissioni maggiore e viciniore.
È pure da far presente come il futuro impianto di rigassificazione di Porto Viro, a detta dei ricorrenti utilizzabile per un progetto alternativo d’alimentazione della centrale della controinteressata, non costituisce un argomento ineludibile ai fini della perfezione del parere VIA per cui è causa. Per vero, il rigassificatore de quo avrebbe potuto costituire una valida alternativa, di cui tutti i soggetti del procedimento di VIA avrebbero dovuto tener conto, solo se fosse stato già esistente e funzionante alla data del parere o, perlomeno, in via d’una realizzazione tanto avanzata da prevederne in tempi certi l’entrata in funzione. In secondo luogo, non va sottaciuto come tale rigassificatore non avrebbe escluso a priori, a differenza di ciò che opinano i ricorrenti, la necessità d’un gasdotto, giacché detto impianto si collocherà a circa km 15 dalla costa, al largo di Porto Levante, imponendo, quindi ed in disparte l’assoluta dipendenza della controinteressata da un unico fornitore, una condotta, per mare e per terra, per l’approvvigionamento della centrale. Non è allora chi non veda come tutte tali situazioni, compresa quella dell’unicità del fornitore –che garantisce certo non già alcuna diversificazione delle fonti d’approvvigionamento, bensì a costui una rendita di posizione per mera scelta amministrativa–, non siano in grado d’assicurare la seria, effettiva e continua alimentazione a gas di detta centrale elettrica a costi accettabili per il buon funzionamento dell’impianto e per il consumatore finale.
7.1. – Relativamente poi al gruppo di censure attoree avverso le emissioni inquinanti ed i pretesi effetti nocivi di questi sulla salute pubblica, in primo luogo i ricorrenti lamentano che, in ordine alle emissioni di microinquinanti, il decreto VIA impugnato conclude per autorizzarne concentrazioni maggiori rispetto a quanto previsto nel progetto della controinteressata.
Al riguardo, affermano i ricorrenti che, mentre l’ARPAV aveva suggerito limiti orari d’emissione di siffatti microinquinanti in coerenza con le indicazioni del BREF 2006, la Commissione regionale VIA s’è pronunciata per il dimezzamento delle emissioni a camino rispetto ai valori massimi posti dal Dlg 152/2006. La Commissione nazionale VIA ha constatato la divergenza di opinioni tra i due organismi regionali, stabilendo che il valore limite d’emissione di metalli e loro composti debbano rispondere ai parametri massimi di cui all’All. II), p.te II) alla Parte V del Dlg 152/2006.
Sfugge allora, stante la piena responsabilità al riguardo della Commissione nazionale VIA ed in difetto di argomenti tecnici specifici a confutazione, in che cosa mai si sostanzi il dedotto vizio di sviamento se, come si vede, la scelta s’è attestata entro i valori stabiliti dalla legge. E ciò soprattutto se si considera che tal valutazione tecnica statale, in sé non manifestamente irragionevole o abnorme –in difetto di dimostrazioni contrarie o dell’accertata illegittimità dei valori ex lege–, è intervenuta dopo ed a causa di un’ampia divergenza d’opinioni tra i due organi regionali, anch’essi non fondati su ragioni tali da far propendere nella specie necessariamente per l’una tesi, piuttosto che per l’altra. È da osservare, d’altronde, che la scelta statale diverge da quella della Commissione regionale VIA essenzialmente perché quest’ultima operando un riferimento indifferenziato per i metalli e loro composti, indicato in 3 t/anno, s’appalesa non coerente con la norma statale che, invece, classifica i metalli per tipo. Rettamente quindi detta scelta s’orienta, come nella specie, per il rispetto del Dlg 152/2006 in tutti i casi in cui non vi siano parametri per i quali non sia possibile agire direttamente con tecnologie d’abbattimento disponibili, sicure, appropriate ed efficaci e viceversa.
7.2. – Non a diversa conclusione reputa il Collegio di pervenire con riguardo alla violazione del principio di precauzione, per ciò che attiene ai principali inquinanti (ossidi di zolfo, polveri, CO2, ecc.), in quanto le prescrizioni imposte alla controinteressata non sarebbero sul punto allineate con le BAT (o, secondo l’acronimo italiano, le MTD)
A fronte delle affermazioni dei ricorrenti, osserva il Collegio che quelle imposte dal decreto VIA sul punto alla controinteressata non possono dirsi di per sé soli contrarie o divergenti alle BREF (linee-guida) per i grandi impianti di combustione e, correlativamente, non improntate al rispetto del principio di precauzione.
Invero, i documenti BREF sono elaborati in sede UE al fine di suggerire agli Stati membri ed agli operatori del settore l’individuazione delle BAT (migliori tecniche disponibili) e le condizioni di applicabilità alle singole vicende (p.es., nella specie agli LCP, o grandi impianti di combustione). In tal caso, le regole scaturenti dai BREF e, in particolare, i livelli d’emissione là posti non esprimono né valori massimi inderogabili, né tampoco valori limite d’emissione per i singoli inquinanti, servendo piuttosto ad indicare (seri) modelli di riferimento, applicati sulla scorta delle linee-guida, per migliorare allo stato dell’arte le prestazioni ambientali. Dal canto loro, dette linee-guida vanno non eseguite tout court, ma applicate in modo calibrato al tipo ed alle particolarità dell’impianto e del sito in cui si colloca, negli ovvi limiti non solo delle conoscenze tecniche, ma soprattutto della loro sostenibile realizzabilità tecnica ed economica nel singolo contesto, al fine d’ottenere il miglioramento sperato in termini di valori d’emissione. E siffatta sostenibilità è tenuta presente dal BREF, laddove reputa i limiti indicati nelle BAT raggiungibili non illic et immediate –a pena, cioè, di VIA negativa per il sol fatto dello sforamento anche d’un solo parametro–, bensì con ragionevole gradualità, lungo un ampio arco di tempo ed in un ottimale assetto d’esercizio dell’impianto. Dal che non tanto la vincolatezza a priori di tali dati come se fossero sempre e comunque valori massimi d’emissione, ma più propriamente la necessità di considerarli come obiettivi da raggiungere nel tempo occorrente affinché si contemperino con tutte le situazioni, locali, ambientali ed economiche in cui si colloca l’impianto o, in parole più semplici, affinché si realizzi un adeguamento dei limiti emissivi realistico e realizzabile.
I valori riportati nel BREF rappresentano un valore medio di riferimento, ossia la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi d’esercizio, che indica l’idoneità pratica di date tecniche a costituire la base logica di massima dei valori limite di emissione, preordinati ad evitare o, se del caso e ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso. Tanto a differenza di quelli che la legge effettivamente pone come valori limite, i quali non devono esser mai superati in nessuna condizione di funzionamento a regime dell’impianto. Se ciò è vero, l’indicazione attorea (cfr. pag. 85 del gravame introduttivo) dei parametri CO e NH3, che i ricorrenti assumono discostarsi dalle BAT, s’appalesa erronea in base al significato del BREF.
7.3. – Neppure convince la doglianza circa la (pretesa) carenza d’istruttoria sul grave impatto non meramente locale, bensì globale delle emissioni inquinanti di CO2 e di altri “gas serra” da parte dell’impianto de quo, il quale, ad avviso dei ricorrenti, si porrebbe in contrasto con la normativa in materia di VIA, avendo il decreto impugnato omesso di valutare la compatibilità del progetto della controinteressata con il piano nazionale d’assegnazione delle quote di CO2 e fatto prevalere nella specie considerazioni d’ordine economiche.
Non sfugge certo al Collegio che le norme sulla VIA siano in linea di principio improntate alla necessità d’una stima qualitativa e quantitativa degli impatti indotti dell’opera sul sistema ambientale considerato nel suo complesso.
Nella specie, tuttavia, il decreto impone che, ai fini della diminuzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, la controinteressata inserisca la centrale de qua nella sperimentazione, già in atto per quella di Brindisi, per la cattura e lo stoccaggio della CO2 stessa. In disparte, peraltro, il contributo europeo concesso alla controinteressata proprio per la riconversione dell’impianto di Porto Tolle –sì da poter concludere per la positività dell’apporto di tal centrale all’abbattimento delle emissioni di CO2–, è poi di tutt’evidenza che siffatta operazione, pur se condotta a cura dei singoli Stati, va inserita in un quadro normativo ed esecutivo di respiro sopranazionale. Sicché occorre verificare il rispetto della predetta clausola generale non già soffermandosi sulla vicenda d’un singolo impianto, ma valutando la questione in base alla strategia che la Repubblica ha inteso delineare, in concreto con il piano nazionale delle emissioni in atmosfera, in adempimento delle norme europee sul tema. Per evitare, quindi, ogni inadempimento degli obblighi internazionali e comunitari della Repubblica in soggetta materia, bisogna che le emissioni in atmosfera della centrale di Porto Tolle siano prese in esame non solo come dato assoluto, ma anche alla luce delle metodiche e delle tecniche di loro trattamento, quanto a cattura e stoccaggio, che si rendono disponibili grazie al completamento dell’impianto di Brindisi e che potranno essere immediatamente utilizzati da quello per cui è causa, non appena a sua volta ultimato.
Suggestive, ma non dirimenti s’appalesano inoltre le censure attoree in ordine alla pretesa assenza di prescrizioni, nel decreto impugnato, a tutela della salute in relazione all’emissione di polveri sottili. Ad una serena lettura delle numerose ed articolate prescrizioni colà contenute, ben s’evince invece lo sforzo della Commissione statale VIA, a fronte d’un impianto che per il sol fatto d’esser alimentato a carbone abbisogna di regole certe per ben funzionare e per non urtare sensibilità ed interessi obiettivamente rilevanti, di fissare i modi di salvaguardia di questi ultimi. È al riguardo ben noto, essendo stato ampiamente investigato dalla giurisprudenza di questo Giudice, il principio per cui è legittimo il giudizio positivo di VIA condizionato da molteplici ed articolate prescrizioni e condizioni –interessanti in concreto tutti gli aspetti d’incidenza dell’opera sull’ambiente–, giacché tutto ciò costituisce una valutazione recante sufficienti e ragionevoli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in coerenza con il principio d’economicità dell’azione amministrativa e di leale collaborazione tra i soggetti del procedimento.
8. – Con il settimo gruppo di censure, i ricorrenti prospettano il negativo impatto di detto impianto sul paesaggio interessante l’area del Delta del Po, nelle cui vicinanze esso si situa.
Al riguardo e a parte la non ancora intervenuta conclusione del connesso, ma distinto procedimento d’autorizzazione unica alla riconversione, non pare corretta la censurata discrasia tra il parere della locale Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio ed il parere del MIBAC. Invero, la mera constatazione dell’estraneità dell’impianto alla naturalezza deltizia, effettuato dalla predetta Soprintendenza, non implica di per sé alcun giudizio negativo –e, comunque, non è questa la conclusione cui detto organo è pervenuto–, trattandosi d’un impianto esistente da lungo tempo e la cui riconversione implica la liberazione di ca. 40 ha. dalle vecchie strutture. Del pari, il rinvio alla sede d’autorizzazione unica di alcune prescrizioni progettuali di natura architettonica, cui il MIBAC ha reputato d’ancorare il proprio parere favorevole e ben lungi dall’implicare un vizio della VIA –stante l’ontologica differenza tra i due procedimenti ed il tipo di interessi pubblici specificamente coinvolti in quello autorizzativi–, s’appalesa corretto in relazione al livello progettuale preliminare su cui s’esercita la VIA stessa e che ben consente integrazioni nella progettazione definitiva, senza che ciò abbisogni d’un nuovo decreto sull’impatto ambientale.
Tanto non volendo considerare che il MIBAC ha imposto fin da subito alla controinteressata di concordare, per la parte della sistemazione paesaggistica ed in ordine alla definizione del progetto –la cui redazione preliminare ha positivamente superato il vaglio della VIA–, prima della conferenza dei servizi finali e prima dell’effettivo inizio dei lavori. Del pari, non ha gran senso il richiamo degli artt. 147 e 26 del Dlg 22 gennaio 2004 n. 42, perché il primo concerne la realizzazione di opere statali –mentre la controinteressata è una delle imprese esercenti la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica–, ed il secondo recede rispetto alla speciale procedura d’autorizzazione unica ex art. 1, c. 1 del DL 7/2002.
9. – L’ottavo gruppo di motivi d’impugnazione prende le mosse dalla circostanza che la centrale di Porto Tolle è posta nel SIC <<Delta del Po>> e nella zona di protezione speciale – ZPS <<Delta del Po>>, per concludere per l’illegittima inadeguatezza della valutazione d’incidenza di tal impianto su tali aree protette.
Per un verso, i ricorrenti affermano, a causa della realizzazione di detta centrale, la provocazione di alcuni impatti ambientali sulle aree de quibus, con particolar riguardo all’adeguamento della rete navigabile, al continuo transito di navi carboniere, alla realizzazione d’una conca di navigazione per collegare la Laguna di Barbamarco con la Busa di Tramontana e con il frequente transito di grossi natanti presso i bassi fondali alle bocche a mare della citata Laguna. Ora, il decreto VIA si fonda sul parere della Commissione statale la quale, sul punto, conclude per impatti esistenti, ma modesti sugli habitat e sulle componenti biotiche ed abiotiche delle aree comprese nel SIC e nella ZPS. A siffatte conclusioni, il citato parere perviene in esito a valutazioni su tutti gli odierni censurati aspetti, verso cui i ricorrenti non offrono argomenti contrari tali da dimostrarne, con evidente e pari ragionevolezza, la manifesta erroneità. Né maggiori profili d’incongruenza possono riscontrarsi nel parere favorevole della Commissione regionale VIA o in quello, parimenti favorevole della Direzione pianificazione territoriali e parchi in data 29 giugno 2009, poi recepite in varia guisa nel parere statale, in quanto quest’ultimo pone svariate prescrizioni per limitare le movimentazione delle merci in un unico sito, per limitare il disturbo dell’ittiofauna, ferme le ulteriori misure di mitigazione in capo alla controinteressata ed a loro volta oggetto d’apposito e continuo monitoraggio.
Per altro verso, il richiamo all’art. 5, commi 9 e 10 del DPR 8 settembre 1997 n. 357 è inconferente, per la duplice ragione che è evidente l’impatto della centrale de qua sulle aree protette –senza che ciò implichi per forza la negatività, specie a seguito delle prescritte mitigazioni–; e che le disposizioni citate attengono essenzialmente ai casi in cui la valutazione d’incidenza sia stata denegata e l’opera debba esser comunque realizzata, ossia un’ipotesi non verificatasi nella specie.
Per altro verso ancora, i ricorrenti lamentano l’illegittimità della valutazione d’incidenza per omessa informazione al pubblico dell’avvenuto deposito, da parte della controinteressata, dell’ integrazione documentale richiestale dalla Regione. Sul punto, consta che la Società rese disponibili gli atti inerenti a detta valutazione nel 2007, tant’è che se ne diede opportuna pubblicità, anche su quattro giornali quotidiani nazionali. Quanto, poi, alle integrazioni dell’8 ottobre 2008 e del 24 giugno 2009 mandate alla Direzione regionale pianificazione territoriale e parchi, l’art. 26, c. 3-bis del Dlg 152/2006 dà facoltà d’imporre al proponente l’apposita pubblicità anche per la documentazione integrativa <<… ove ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali e rilevanti per il pubblico …>> e non in ogni caso.
10. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va integralmente rigettato, ma la complessità e la novità delle questioni suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, respinge il ricorso n. 9584/2009 RG in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Stefano Toschei, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/10/2010