Cass. Sez. III n. 54207 del 21 dicembre 2016 (Ud.18 nov 2016)
Presidente: Carcano Estensore: Mengoni Imputato: O G.
Tutela consumatori,Frode in commercio e mancato controllo della merce da parte dell'acquirente

Il delitto di frode nell'esercizio del commercio è configurabile anche nel caso in cui l'acquirente non effettui alcun controllo sulla merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l'atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, sia la possibilità per l'acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta.

 RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25/11/2013, la Corte di appello di Brescia, in riforma della pronuncia emessa il 4/6/2012 dal Tribunale di Mantova, dichiarava non doversi procedere nei confronti di P.F.M., S.F., T.C., T.M., O.G.P., A.M., D.P. e G.R. (per questi ultimi tre, previa declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio) per intervenuta prescrizione del delitto loro ascritto ai sensi degli artt. 416, 515 c.p., confermando le statuizioni civili; agli stessi - ciascuno con il rispettivo ruolo - era contestato di aver partecipato ad un'associazione per delinquere finalizzata all'adulterazione del latte, venduto come genuino alla XX s.p.a..

2. Propone ricorso per cassazione l' O.G., a mezzo del proprio difensore, deducendo - con due distinti motivi - la nullità della sentenza ed il difetto motivazionale in ordine ad entrambi i reati in esame; la Corte di appello, al pari del Tribunale, avrebbe infatti riconosciuto l'esistenza sia di un vincolo associativo, del quale però difetterebbe ogni requisito, specie con riguardo alla posizione del ricorrente (che, al più, potrebbe rispondere a titolo di concorso ex art. 110 c.p.), sia della fattispecie di frode in commercio, pacificamente mai riscontrata in via documentale e riconosciuta in sentenza soltanto attraverso elementi non sintomatici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.

Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione delle vicende (tra le varie, Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Cargnello, Rv. 265402; Sez. 3, n. 26505 del 20/5/2015, Bruzzaniti ed altri, Rv. 264396). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).

In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 216414 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).

Se questa, dunque, è l'ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato si evidenziano come inammissibili; ed invero, dietro la parvenza di una violazione di legge o di un difetto motivazionale, lo stesso di fatto invoca al Collegio una nuova e diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie (documentali e testimoniali) già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una lettura alternativa e più favorevole.

Il che, come appena riportato, non è consentito.

4. Il gravame, inoltre, oblitera del tutto che la Corte di appello rispondendo alle stesse doglianze qui riproposte - ha steso una motivazione di particolare rigore e portata logico-giuridica, fondata su oggettive (e non contestate) emergenze dibattimentali e priva di qualsivoglia aporia argomentativa; come tale, quindi, incensurabile in questa sede.

5. In particolare, con riguardo al delitto di cui all'art. 515 c.p., la sentenza ha sì rilevato l'assenza di prove documentali in ordine al fatto che il latte venduto a XX non possedesse talune caratteristiche pattuite, ma ha superato tale carenza con una pluralità di elementi fattuali e logici - non confutati in alcun modo, quindi pacifici - che, letti in modo sinergico, hanno condotto alla conferma della condanna con argomento scevro da vizi di sorta. Ed invero, la Corte di appello ha sottolineato che: 1) erano stati individuati imponenti flussi finanziari - per oltre 12,5 milioni di Euro - quali plusvalenze sulle vendite del latte, assolutamente non giustificabili con le ordinarie logiche commerciali, ma riferibili soltanto al profitto che il ricorrente e tutti i suoi sodali avevano ricavato dal meccanismo fraudolento posto in essere, sintetizzabile nella "ricostituzione" del prodotto (anche solo aggiungendo acqua ed altro, così quasi quadruplicandone la quantità); 2) era stato costituito un sofisticato meccanismo di conti e società fiduciarie, deputati a gestire e movimentare il danaro in esame; 3) il sequestro di una pen drive e alcuni floppy disk presso lo S. aveva evidenziato - con analitici riepiloghi - sia le forniture che le ripartizioni delle somme illecite; 4) non potevano essere accolte le giustificazioni offerte dagli imputati al riguardo, che avevano ricondotto questi importi soltanto ad operazioni di evasione/elusione fiscale, ma con espressioni del tutto generiche e senza alcun riscontro; 5) erano state intercettate numerose conversazioni telefoniche - peraltro su utenze estere, sì da far ritenere agli interlocutori di non poter esser captati - nelle quali taluni imputati parlavano in modo esplicito e diretto del meccanismo così realizzato e della pacifica vendita a XX di un prodotto di qualità molto inferiore rispetto al pattuito; 6) alcuni di questi, peraltro, nel corso degli interrogatori avevano reso parziali ma rilevanti ammissioni, ora tenendo a precisare che l'adulterazione del latte non lo aveva reso comunque nocivo ( P.), ora ammettendo il procedimento della "ricostituzione" (i fratelli T.) e l'uso del permeato, prodotto vietato per l'alimentazione umana, ora infine fornendo delucidazioni con riguardo alla suddivisione delle citate plusvalenze ( S.).

6. Ancora sul punto, la sentenza ha poi evidenziato - del pari con argomento del tutto adeguato e privo di ogni illogicità - che il mancato riscontro di tale difformità in sede XX ben poteva giustificarsi in ragione della presenza là proprio dell'odierno ricorrente, quale addetto agli acquisti della società (e definito la "quinta colonna"); il quale, "data la sua posizione, era perfettamente in grado di indirizzare i controlli e del resto è dimostrato che molto spesso i campioni venivano prelevati dagli stessi autisti delle autocisterne". Proprio l' O.G., inoltre, sovente presiedeva alle operazioni di ingresso delle autobotti e di campionamento del prodotto, si occupava dei contratti di trasporto, provvedeva a falsificare i relativi documenti. Sì da venire remunerato - complessivamente con una somma individuata in 1,1 milioni di Euro, da questi giustificati con una non meglio precisata attività di mediazione, della quale però è risultata difettosa ogni prova o riscontro di sorta. E con l'ulteriore precisazione - della quale la Corte di merito dà adeguato conto - che, giusta pacifica giurisprudenza di legittimità, il delitto di frode nell'esercizio del commercio risulterebbe comunque configurabile anche nel caso in cui l'acquirente non effettui alcun controllo sulla merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l'atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, che la possibilità per l'acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta (Sez. 3, n. 23819 del 30/4/2009, Ronghzen, Rv. 244024).

In forza di tutti questi elementi - si ribadisce, giammai contestati dal ricorrente - la sentenza ha quindi concluso per la piena configurazione del delitto di cui all'art. 515 c.p., essendo stato fornito a XX un prodotto di qualità e caratteristiche diverse (ed inferiori) rispetto a quanto contrattualmente definito; quel che il presente gravame contesta con asserzioni del tutto reiterative di quanto già sostenuto in sede di appello, e senza valutare affatto - tamquam non essent - le numerose e congrue considerazioni svolte al riguardo dalla Corte di merito, sopra sintetizzate.

7. Negli stessi termini, poi, si conclude quanto alla doglianza concernente il delitto di associazione per delinquere; anche al riguardo, infatti, la sentenza risulta sostenuta da una motivazione del tutto analitica e logica, che peraltro l' O.G. contesta senza addurre alcun effettivo argomento.

In particolare, il Collegio di merito ha rilevato che: a) tutti gli imputati avevano preso parte ad un meccanismo perfettamente organizzato, collaudato, stabile e consolidato; b) tutti gli imputati erano ben a conoscenza del proprio e dell'altrui ruolo (dalla produzione alla consegna), sapientemente diviso, con piena consapevolezza dell'intervento e dell'importanza di ciascuno; c) l'organizzazione si muoveva "in automatico", con tecniche sicure e ripetute in ogni occasione, nelle condotte e nella tempistica, senza che fosse necessario - di volta in volta - ribadirle o ricordarle, salvo dover affrontare limitate e contingenti questioni; d) a tal fine, erano state costituite società ad hoc, avevano operato soggetti fiduciari, erano stati aperti conti correnti, impiegati sempre documenti falsi, nonchè - per i contatti - utilizzati telefoni su utenze estere.

Quel che, con assoluta chiarezza, costituisce l'in sè dell'associazione per delinquere; ed invero, per pacifica e condivida giurisprudenza di questa Corte, tale consesso illecito si caratterizza per tre fondamentali elementi, congruamente ravvisati nel caso di specie, costituiti da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, dall'indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (per tutte, Sez. 3, n. 16339 del 17/1/2013, Burgio, Rv. 255359); esattamente quanto la sentenza impugnata ha evidenziato.

Quel che, ancora, il ricorso contesta con asserzioni del tutto generiche, limitandosi ad affermare - contro ogni evidenza, fattuale e giuridica - che quanto precede non sarebbe sufficiente a configurare il delitto contestato e l'elemento psicologico dello stesso in capo all' O.G., colpevole al più di un concorso nel reato.

8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2016.