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Cassazione – Sezione terza penale – sentenza 13 febbraio 2005, n. 232
Presidente Dell’Anno – estensore Onorato
Pg Izzo – ricorrente Buzzoni
Permesso di costruire illegittimo. Disapplicazione. Limiti

CON MOTIVAZIONE

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Svolgimento del procedimento

1 Con provvedimento del 26 febbraio 2004 il Gip del tribunale di Livorno disponeva il sequestro preventivo, in danno della Spa Esaom-Cesa, di un’area di mare prospiciente via Tesei nel comune di Portoferraio, estesa mq. 12.700 più 3.650, e dei connessi punti di ormeggio, costituiti da frangiflutti e pontili galleggianti.
Il comune di Portoferraio, con atto del 23 luglio 2003 aveva concesso lo specchio di mare suddetto alla società Esaom-Cesa al fine di mantenervi un punto di ormeggio, costituito da frangiflutti e pontiti galleggianti per complessivi 48 posti barca e per la durata di 48 mesi dal 1 luglio 2003 al 30 giugno 2007. Ma, aderendo all’impostazione accusatoria del Pm, il Gip riteneva illegittima e quindi disapplicabile detta concessione, con la conseguenza che l’occupazione dello specchio d’acqua da parte della predetta società doveva considerarsi sine titulo. Gli amministratori delegati della società, Alberto Giannerini e Francesco Scelza, erano infatti indagati per il reato di cui agli articoli 54 e 1161 codice navigazione.
In precedenza il comune aveva rilasciato altre due concessioni alla Esaom-Cesa, in data 27 marzo e 24 aprile 2002, per consentire la creazione di un punto di ormeggio temporaneo in supporto alle attività preparatorie dei team partecipanti alla prossima edizione della competizione velica American’s Cup. La scadenza della seconda concessione era stabilita per il 30 giugno 2003.
Queste due concessioni erano state preparate da tre conferenze di servizi, presiedute dal capo del compartimento marittimo di Portoferraio, che si erano svolte nei mesi di aprile, giugno e luglio 2001, e a cui avevano partecipato l’agenzia del demanio, il comune di Portoferraio, il comando provinciale dei Vigili dei Fuoco di Livorno, l’autorità portuale di Piombino, la regione Toscana e la provincia di Livorno, oltre ad altri enti che avevano inviato per iscritto le loro osservazioni.
La conclusione concorde delle conferenze di servizi era stata che l’atto concessorio doveva avere carattere temporaneo e prevedere la rimozione delle strutture realizzate una volta esaurita la loro funzione di consentire la preparazione per la Coppa America.
Secondo il provvedimento del Gip, la concessione rilasciata il 23 luglio 2003 era innovativa rispetto alle precedenti ed era illegittima perché:
- a differenza delle prime, non era stata preceduta da alcuna attività istruttoria, impedendo così la valutazione degli altri interessi pubblici coinvolti, a cominciare da quello della sicurezza della navigazione (messo in questione dalla difficile compatibilità tra i pontili galleggianti e il pontile della società Elbana Petroli destinato alle manovre delle motocisterne);
- confliggeva con la natura temporanea delle concessioni precedenti;
- era difforme dal piano territoriale di localizzazione delle aree portuali, adottato dal comune, che, in attesa del piano attuativo, consentiva nello specchio d’acqua de quo soltanto “il posizionamento di pontili galleggianti per soddisfare esigenze turistiche temporanee”, laddove la concessione in esame soddisfaceva esigenze tutt’altro che temporanee.
Aggiungeva il giudice che i manufatti dell’Esaom avevano ormai perso l’originario carattere di precarietà, sicché abbisognavano della concessione edilizia, che però non era stata mai rilasciata.
Per conseguenza, sussisteva il fumus non solo della ipotizzata contravvenzione al codice della navigazione ma anche dei reato urbanistico.
Pacifiche le esigenze cautelari.
2 Su istanza di riesame presentata nell’interesse di Umberto Buzzoni, presidente e legale rappresentante della Spa Esaom-Cesa, il tribunale di Livorno, con ordinanza del 5 aprile 2004, ha confermato il sequestro.
Replicando agli articolati motivi dedotti a sostegno dell’istanza di riesame, il tribunale ha in sostanza osservato che:
- era forse vero che alla fattispecie concreta era astrattamente applicabile la procedura semplificata prospettata dai difensori; ma era anche innegabile che, “per la varietà, vastità e importanza degli interessi primari e secondari in essa coinvolti”, l’amministrazione competente era stata indotta ad adottare in un primo tempo la procedura complessa sopra descritta;
-doveva quindi ritenersi che la concessione del 23 luglio 2003 era illegittima per eccesso di potere perchè non aveva spiegato le ragioni oggettive che avevano suggerito di semplificare drasticamente la procedura, e perché non aveva congruamente motivato sull’interesse primario e aveva mal ponderato l’importanza degli interessi secondari coinvolti.
3 I difensori del Buzzoni hanno proposto ricorso per cassazione deducendo:
a) erronea applicazione degli articoli 54 e 1161 codice navigazione in relazione agli articoli 8 e 24 del relativo regolamento di esecuzione, nonché dell’articolo 1 della legge 494/93, come sostituito dall’articolo 10 legge 88/2001;
b) apparente e perplessa motivazione;
c) erronea applicazione degli articoli 4 e 5 legge 2248/1865 All. E;
d) violazione dell’articolo 321 comma 3 ter Cpp.
In sintesi osservano che:
- non assolve all’obbligo di adeguata motivazione il richiamo della presunta particolarità della vicenda e della pregressa attività procedimentale, anche perché nel caso di specie si trattava di un mero rinnovo della precedente concessione;
- il Comune, cui sono attualmente attribuite le funzioni in materia di concessione di beni demaniali prima esercitate dalle direzioni marittime e dalle capitanerie di porto, può concedere la gestione di punti di ormeggio con concessione-licenza invece che con concessione-contratto, quando - come nella specie - essa non comporta impianti di difficile rimozione, ai sensi dell’articolo 8 del regolamento di esecuzione per la navigazione marittima;
- inoltre lo stesso articolo 8 prevede che le concessioni di durata non superiore al quadriennio che non importino impianti di dìfficile rimozione possono essere rinnovate senza formalità istruttoria, salvo il parere della intendenza di finanza sulla misura del canone;
- ancora, a norma dell’articolo 10 legge 88/2001, che ha sostituito il comma 2 dell’articolo 1 legge 494/1993 le concessioni ivi contemplate hanno durata di sei anni e alla scadenza si rinnovano per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza;
- per conseguenza la complessa attività istruttoria che ha preceduto le concessioni del 23 marzo e del 24 aprile del 2002 era stata “sovraordinata” e “superflua”, mentre il rinnovo della concessione di cui al provvedimento del 23 luglio 2003 aveva avuto correttamente luogo senza alcuna attività istruttoria ex articolo 8 Reg. cit., essendo rimasti immutati gli elementi oggettivi naturali e i requisiti soggettivi della concessione. Infatti l’articolo 24 del Reg. cod. nav.richiede una previa istruttoria solo in ipotesi di variazioni della concessione attinenti alla estensione della zona concessa. alle opere o alla modalità di esercizio. Mentre la semplice variazione di durata non può trasformare la concessione da “temporanea”a “definitiva”;
- sono stati erroneamente applicati gli articolo 4 e 5 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, perchè i giudici non si sono limitati a conoscere incidentalmente i vizi di legittimità della concessione 23 luglio 2003, ma hanno inammissibilmente censurato un vizio di merito, di fatto sostituendosi alla Pa nella ponderazione degli interessi coinvolti nella vicenda;
- infine è stato violato il comma 3 ter dell’articolo 321 Cpp perché il provvedimento di sequestro non è stato notificato al comune di Portoferraio, titolare della funzione concessoria, che pertanto non è stato messo in grado di presentare istanza di riesame.
3.1 Con memoria scritta successiva, tempestivamente prodotta, i difensori hanno ulteriormente argomentato sulla illegittimità del sequestro, sottolineando che mancavano i presupposti perché il giudice potesse disapplicare la concessione del 23 luglio 2003, sia perché questa non era risultata conseguenza di “ipotesi criminose”, sia perché, considerata la complessità delle norme che regolano la materia, non poteva comunque ravvisarsi una “illegalità eclatante” della concessione stessa.

Motivi della decisione

4 Va anzitutto disatteso il motivo di censura per la mancata notificazione del provvedimento di sequestro al comune di Portoferraio.
Invero, la norma del comma 3 ter dell’articolo 321 Cpp stabilisce che copia dell’ordinanza di convalida del sequestro di urgenza (ma per analogia deve intendersi anche copia del decreto di sequestro emesso dal giudice su richiesta del Pm ex comma 1 dell’articolo 321) deve essere immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. La norma ha lo scopo evidente di accelerare la possibilità dell’interessato di proporre istanza di riesame, ma non è stabilita a pena di nullità. La mancata notifica del provvedimento ha il solo effetto di impedire la decorrenza del termine di impugnazione e pertanto non pregiudica l’intervento, l’assistenza o la rappresentanza dell’interessato ai sensi dell’articolo 178 lettera c) Cpp (cfr. sulle conseguenze della notificazione non immedìata Cassazione, Sezione terza, 1099/96, c.c. 7.3.1996, Giorgio, rv. 204267). E’ da notare peraltro che l’obbligo della notifica è previsto solo a favore della persona a cui le cose sono state sequestrate e non a favore di tutti i possibili interessati a impugnare. Nel caso di specie, il comune di Portoferraio non era la persona a cui i beni demaniali sono stati sequestrati, ma solo il soggetto pubblico che aveva dato in concessione quei beni. Come tale, poteva certamente ritenersi soggetto “interessato” e quindi legittimato ex articolo 324 Cpp a proporre istanza di riesame, ma non per questo era destinatarìo della notifica obbligatoria imposta dal suddetto comma 3 ter, atteso che l’obbligo della notifica non è previsto a favore di tutti i possibili interessati al riesame dei sequestro. A prescindere da queste considerazioni, comunque, la società concessionaria non ha interesse a proporre la censura che è solo relativa all’ente concedente.
5 Per il resto, però, il ricorso merita accoglimento. Invero, il Gip, prima, e il tribunale del riesame, dopo, per disporre e confermare il sequestro preventivo, hanno dovuto disapplicare la concessione comunale del 23 luglio 2003 con una motivazione che oltrepassa i limiti in cui la giurisprudenza prevalente di questa corte ha circoscritto il potere del giudice penale di sindacare gli atti amministrativi illegittimi. L’evoluzione giurisprudenziale nella soggetta materia - com’è noto - è stata sofferta e non sempre lineare.
Il primo punto fermo fu apposto dalle Su con la notissima sentenza Giordano, 3/1987, c.c.31.1.1987, rv. 176304 e 175115, la quale stabili in sostanza i seguenti principi: a) il giudice penale, ai sensi degli articoli 4 e 5 della legge 2248/1865 All. E), sull’abolizione del contenzioso amministrativo, ha il potere di disapplicare solo gli atti amministrativi illegittimi che comportano una lesione di diritti soggettivi; b) invece, gli atti amministrativi che rìmuovono un ostacolo al libero esercizio dei diritti (nullaosta, autorizzazioni) o che costituiscono diritti in capo a soggetti privati (concessioni), se illegittimi, non possono essere disapplicati dal giudice penale, a meno che la disapplicazione non trovi fondamento in una esplicita previsione legislativa ovvero nel generale potere del giudice di interpretare la norma penale nei casi in cui l’illegittimità dell’atto amministrativo si configuri essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa; e) per conseguenza, il reato di costruzione edilizia senza concessione non è configurabíle quando questa sia stata rilasciata illegittimamente; mentre è configurabile quando questa sia stata rilasciata da organo assolutamente privo del potere dì provvedere oppure sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la acquisisce, giacché in questi ultimi casì l’atto amministrativo è giuridicamente inesistente o illecito, e quindi non è oggettivamente riferibile alla sfera del lecito giuridico. Questi principi sono state più volte ribaditi dalle sezioni semplici. Così, per limitarsi ad alcune sentenze. è stato precisato che:
- il giudice penale può sindacare la legittimità di un atto amministrativo solo qualora la legittimità dell’atto si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa, ovvero quando l’atto amministrativo, per essere frutto dì collusione tra amministratori e soggetti unteressati, non possa essere oggettivamente riferito alla sfera del lecito giuridico (Sezione terza, 673/88, ud. 18.11.1987, Forlani, rv. 177439);
- in materia edilizia il giudice deve controllare soltanto l’esistenza dell’atto concessorio, essendogli - viceversa - precluso il controllo della sua legittimità dell’atto, salvi i casi di collusione tra richiedente e autorità amministrativa (Sezione terza, 2693/91, Sertorelli, rv. 186505);
- il reato di costruzione in assenza di concessione non è configurabile quando la concessione rilasciata sia soltanto illegittima, ma non illecita (Sezione terza, 3459/95, De Nobili, rv. 201225);
- il reato di cui all’articolo 20 lettera c) legge 47/1985 postuta che le opere siano realizzate in assenza di concessione edilizia: il che si verifica anche quando l’atto amministrativo sia privo di uno dei suoi requisiti essenziali (forma, volontà, contenuto), oppure provenga da organo assolutamente privo dei potere di adottarlo, ovvero sia frutto di attività criminosa del titolare del potere; non si verifica invece quando è viziato il procedimento amministrativo che ha preceduto il provvedimento, e cioè il modo in cui il potere è stato esercitato, giacché in tal caso il difetto non attiene all’esistenza dell’atto ma alla sua legittimità (Sezione sesta, 2378/95, Pm e Barillaro, rv. 202581).
Sul tema sono ancora intervenute le Su, chiamate a risolvere la questione se potesse essere configurato il reato di cui all’articolo 20 lettera a) legge 47/1985 qualora l’opera edilizia fosse stata realizzata a seguito di concessione edilizia ma in violazione delle norme degli strumenti urbanistici esistenti, atteso che - secondo l’ordinanza di rimessione - per configurare il reato il giudice avrebbe dovuto disapplicare la concessione illegittima. Il supremo consesso nomofilattico ha osservato che “la concessione non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici”, sicché il giudice penale può affermare la sussistenza del suddetto reato in quanto l’opera edilizia è difforme dagli strumenti urbanistici, senza che tale giudizio implichi “una non consentita disapplicazione da parte del giudice penale dell’atto amministrativo concessorio” (Su11635/93, Pm in proc. Borgia, rv. 195359).
In questa linea è stato affermato il sindacato incidentale del giudice ordinario sulle ordinanze contingibili e urgenti emesse dal sindaco ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 22/1997 in tema di smaltimento dei rifiuti, in quanto lesive dei diritti soggettivi collettivi alla salute e all’ambiente (Sezione terza, 377/98, c.c. 27.1.1998, Pm in proc. Rizzi). E ancora, sotto altro profilo, si è riconosciuto al giudice penale il potere di controllare la legittimità delle medesime ordinanze in quanto cause di giustificazione dei reati in tema di smaltimento di rifiuti, e quindi quali elementi, di natura negativa, della fattispecie penale, sottolineandosi comunque che il giudice non può sostituirsi al sindaco nell’esercizio del suo potere discrezionale, non può cioè effettuare egli stesso quel bilanciamento tra gli interessi che l’ordinamento affida all’autorità amministrativa (Sezione terza, 12692/98, ud. 16.10.1998, Schepis).
Solo qualche isolata pronuncia si è spinta ad affermare il potere del giudice penale di sindacare sic et simp1iciter non solo gli atti amministrativi estintivi o modificativi di diritti soggettivi, ma anche quelli costitutivi di diritti soggettivi o volti a rimuovere ostacoli al loro esercizio (Sezione terza,390/96, ud. 28.11.1995, Pm in proc. Tombolesi, rv.203713).
Da ultimo alcune sentenze hanno sostenuto in genere che l’illegittimità dell’atto amministrativo può essere sindacata in via incidentale dal giudice penale solo se sia “macroscopica’“(ex plurimis, Sezione terza, 4421/96, ud. 24.1.1996. Oberto, rv. 204885) o “eclatante” (Sezione terza, 11988/97, Controzzi, rv. 209194), in tal modo introducendo un nuovo parametro di controllo di tipo più quantitativo che qualitativo.
In ogni caso, anche quelle pronunce che sostengono la sindacabilità della illegittimità (oltre che dell’illiceità) degli atti amministrativi escludono, in modo espresso o tacito, che il giudice penale possa sindacare il merito amministrativo del provvedimento.
6 Orbene, tenendo presenti i principi giurisprudenziali consolidati, si deve concludere che nel caso di specie i giudici di merito hanno ravvisato nell’atto concessorio del 23 luglio 2003 vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, che appaiono invece insussistenti o comunque, a tutto concedere, non macroscopici. Sicché è legittima la censura dei difensori ricorrenti secondo cui i giudici cautelari si sono sostanzialmente sostituiti all’autorità amministrativa nella ponderazione discrezionale degli interessi coinvolti nella anzidetta concessione alla società Esaom-Cesa dei punti di ormeggio nello specchio marino del comune di Portoferraio, con la conseguenza di risolvere in sede di giurisdizione ordinaria un problema di indubbio rilievo sociale che poteva essere affrontato solo davanti alla giustizia amministrativa.
Invero, due sono i profili di illegittimità che l’ordinanza impugnata ha ravvisato nell’atto di concessione suddetto: un vizio di eccesso di potere per incongrua motivazione in ordine all’interesse primario e per cattiva ponderazione degli interessi secondari coinvolti; e un vizio di violazione di legge per aver adottato una procedura amministratìva immotivatamente semplificata.
6.1 Sotto il primo profilo, va osservato che la giunta comunale con la delibera del 1 luglio 2003 approvò il rinnovo della concessione alla società Esaom-Cesa espressamente motivando con il preminente interesse pubblico al mantenimento dei punti di ormeggio, al fine di non impoverire l’offerta turistica complessiva e l’offerta nautica in particolare, in un momento in cui occorreva rafforzare l’immagine dellElba nel campo degli sports velici.
Resta così ragionevolmente individuato l’interesse pubblico concreto da realizzare attraverso la concessione, cioè l’interesse a consentire un uso speciale del bene demaniale che favorisse lo sviluppo del turismo diportistico e dello sport velico. Tanto premesso, non può ritenersi che l’autorità amministrativa abbia adottato il provvedimento concessorio per un fine (un interesse primario) diverso da quello istituzionale. Non ricorre infatti alcuna delle figure sintomatiche di eccesso di potere elaborate dalla giurisprudenza, e in particolare non è ravvisabile una motivazione incongrua o contraddittoria o un travisamento dei fatti.
6.2 Sotto il secondo profilo, è significativo che lo stesso tribunale del riesame abbia riconosciuto, sia pure in termini ipotetici, la applicabilità della procedura semplificata adottata dal comune per l’ultima concessione, ma abbia poi ravvisato, con un’argomentazione non certo impeccabile per rigore logico, un vizio di legittimità laddove l’autorità amministrativa non aveva motivato sulle ragioni che avevano suggerito la semplificazione procedurale rispetto alle precedenti concessioni.
Invero, sul punto le argomentazioni dei difensori ricorrenti sembrano cogliere nel segno.
6.2.1 Va anzitutto chiarito che spettava al comune la competenza ad emanare la concessione de qua, posto che, da una parte, l’articolo 105, comma 2, lettera l) del D.Lgs. 112/98 conferisce alle regioni il potere di rilasciare concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia, e dall’altra la legge regionale della Toscana 88/1998, all’articolo 27, comma 3, attribuisce ai comuni le funzioni concernenti le concessioni di beni del demanio marittimo e di zone di mare territoriale. Si tratta quindì di funzioni di amministrazione del demanio marittimo trasferite alle regioni e da queste subdelegate ai comuni, con deroga nella specifica materia alla norma generale di cui all’articolo 36 cod. nav..
6.2.2. Così accertata la titolarità del potere, non sembra che, nell’esercitarlo, il comune di Portoferralo abbia violato le procedure previste dalla legge.
Infatti, in via generale l’articolo 8 del regolamento per la navigazione marittima stabilisce che le concessioni per una durata non superiore al quadriennio che non importino impianti di difficile rimozione - come pacificamente erano le concessioni scadenti il 30.6.2003 - sono disposte con licenza, anziché per contratto pubblico, e possono essere rinnovate senza formalità di istruttoria, salvo il parere della intendenza di finanza sulla misura del canone.
Se non rinnovate, le concessioni si intendono cessate di diritto alla scadenza del termine senza che occorra alcuna diffida o costituzione in mora (articolo 25 reg. nav. mar.).
Nella specifica materia, peraltro, l’articolo 1 . comma 3, del Dpr 509/97, stabilisce che la concessione di beni del demanio marittimo per la realìzzazione di strutture dedicate alla nautìca da diporto, consistenti in punti di ormeggio (cioè, ai sensi dell’articolo 2 lett. e), aree demaniali marittime e specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto) è rilasciata seguendo, secondo principi di celerità e snellezza, le procedure vigenti in rnateria di strutture di interesse turistico-ricreativo.
E in tema di gestione di strutture ricettive e attività ricreative e sportive, l’articolo1 del Dl 400/93, convertito con modificazioni dalla legge 494/93, in seguito sostituito dall’articolo 10 legge 88/2001 e poi modificato dall’articolo 13 legge 172/03 (così come autenticamente interpretato dall’articolo 13, comma 1, della legge 172/03), dispone che le concessioni di dette strutture per finalità turistico-ricreative sono rilasciate con licenza (non con contratto) per la durata di sei anni e alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, salvo il potere discrezionale di revoca dell’autorità competente per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, di cui all’articolo 42 cod. nav..
E’ evidente che questa normativa specifica deve essere intesa come deroga alle regole generali dei succitati articoli 8 e 25 reg. nav. mar. limitatamente alle concessioni aventi ad oggetto punti di ormeggio per natanti da diporto (non appare quindi condivisibile Cassazione, Sezione terza, 8759/03, Ciavardini, rv 224165. per la quale l’articolo 25 sarebbe stato tout court implicitamente abrogato). Ne deriva che se, per valutazione di fatto preclusa in sede di legittimità, le strutture concesse alla società Esaom-Cesa rientravano in quelle contemplate nella richiamata legislazione speciale, esse potevano essere concesse per la durata di sei anni, rinnovabile automaticamente; se invece non vi rentravano, esse potevano essere concesse per una durata non superiore a un quadriennio, con atto concessorio discrezionalmente rinnovabile alla scadenza senza formalità di istruttoria.
In ogni caso, comunque, non si può dire che la concessione quadriennale del 23 luglio 2003 sia stata rilasciata in violazione delle procedure previste dalla legge; e tanto meno in violazione “eclatante” o “macroscopica”.
Così come non si può sostenere che essa fosse una “nuova” concessione e non un “rinnovo” della precedente, atteso che - invece - del rinnovo aveva tutti i requisiti, quali la identità di soggetti, di oggetto e di contenuto normativo. Quella che variava era solo la finalizzazione alla contingente preparazione per la American’s Cup, sostituita da una più generale finalizzazione ad altre regate veliche e attività dìportistiche.
7 - Hanno quindi errato i giudici cautelari laddove hanno ritenuto di disapplicare come illegittima la concessione del 23 luglio 2003 e per conseguenza hanno ravvisato il.fumus dei reati ipotìzzati.
Più esattamente, non potendo disapplicare la suddetta concessione, il giudice penale non poteva ritenere sussistente il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo di cui agli articoli 55 e 1161 cod. nav..
Per altro verso, non appare sussistere neppure il reato urbanistico ipotizzato solo dal Gip, ed esattamente configurabile come contravvenzione all’articolo 44 lettera a) del Dpr 380/01 per inosservanza delle prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici, l’affermazione della quale - secondo la citata sentenza Borgia - non implica la disapplicazione della concessione. Infatti la gestione quadriennale dei punti di ormeggio concessa alla società Esaom-Cesa non appare in contrasto con il piano territoriale di localizzazione delle aree portuali, atteso che questo consentiva il posizionamento di pontili galleggianti per soddisfare esigenze turistiche temporanee. In conclusione, va annullata senza rinvio l’ordinanza impugnata e per conseguenza anche il precedente decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip.

PQM

la Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro preventivo del Gip del tribunale di Livorno in data 26 febbraio 2004 e ordina la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 626 Cpp.