Cass. Sez. III n. 1818 del 19 gennaio 2009 (Ud. 21 ott. 2008)
Pres. Grassi Est. Marini Ric. Baldessari
Urbanistica. D.i.a. e violazione dell’articolo 481 c.p.
In tema di responsabilità del progettista di lavori edili firmatario di relazione tecnica di asseverazione allegata a denuncia di inizio attività
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Aldo GRASSI Presidente
Dott. Pierluigi ONORATO Consigliere
Dott. Ciro PETTI Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Luigi MARINI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
BALDESSARI GIULIANO, nato a Trento il 29 Luglio 1952
Avverso la sentenza emessa in data 19 Marzo 2008 dalla Corte di Appello di Trento, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trento del 16 Maggio 2007, ha applicato al Sig.Baldessari le circostanze attenuanti generiche e ridotto a venti giorni di reclusione la pena inflitta in primo grado per il reato previsto dagli artt.481 c.p. e 29 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con sospensione condizionale della pena, non menzione della condanna, e revoca del beneficio dell\' indulto.
Fatto di reato commesso il 24 Gennaio 2006.
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. ALFREDO MONTAGNA, che ha concluso per l\'annullamento della sentenza senza rinvio.
Udito il Difensore, Avv. ROBERTO BERTUOL, che ha concluso per l\'accoglimento del ricorso.
RILEVA
Il Sig.Baldessari, quale progettista di lavori edili da effettuare su immobile situato nel centro storico del Comune di Lasino, ha sottoscritto la relazione tecnica di asseverazione che accompagna la D.i.a., in essa affermando che le opere da eseguire erano conformi ai vigenti strumenti urbanistici. Tale affermazione è stata ritenuta non conforme al vero, ed il Pubblico ministero ha disposto il rinvio a giudizio del progettista per rispondere del reato previsto dall\'art. 481 c.p. in relazione ai doveri fissati dall\'art. 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Con sentenza del 16 Maggio 2007 il Tribunale di Trento ha ritenuto fondata l\'accusa mossa al Sig.Baldessari e lo ha condannato alla pena di un mese di reclusione, pena interamente condonata.
Avverso tale decisione il Sig.Baldessari ha presentato dichiarazione di appello, articolata su quattro diversi motivi:
1) insussistenza del reato, posto che il modulo utilizzato per l\'attestazione si compone di parti prestampate e di spazi che debbono essere riempiti dal tecnico, così che solo questi ultimi contengono manifestazioni di scienza o attestazioni che possono assumere rilievo penale, escludendo quindi l\'attestazione relativa alla conformità agli strumenti urbanistici che si trova già stampata sul modulo stesso;
2) l\'assenza di offensività del fatto, posto che i lavori oggetto della D.i.a. sono soggetti a preventiva valutazione della commissione edilizia comunale, cui compete la valutazione della conformità con giudizio che non può essere influenzato dal contenuto del modulo prestampato;
3) la mancanza di dolo, posto che l\'attestazione incriminata deriverebbe da errore;
4) la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, l\'applicazione della sola pena pecuniaria e la non menzione della condanna nel certificato penale.
Con la sentenza oggi impugnata la Corte di Appello di Trento ha disatteso i primi motivi di ricorso, accogliendo soltanto quello relativo al trattamento sanzionatorio.
La motivazione della Corte territoriale muove dalla "qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità" che l\'art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 attribuisce al progettista, persona cui il comma primo dell\'art.23 della medesima legge attribuisce l\'obbligo di sottoscrivere una relazione accompagnatoria della D.i.a. "che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie". A tale previsione si collega l\'obbligo degli uffici comunali di informare l\'autorità giudiziaria "in caso di falsa attestazione del professionista abilitato", come previsto dal comma sesto del citato art. 23.
Muovendo da tali premesse normative la Corte territoriale ha affermato di ritenere fondata la interpretazione che vede nell\'attestazione del progettista una "certificazione" (secondo i principi fissati da Sezioni Unite Penali, sentenza 24 Aprile 2002, Panarelli) passibile di sanzione ai sensi dell\'art. 481 c.p. in caso di falsità, così consapevolmente distaccandosi dalla pronuncia con cui questa Corte ha ritenuto di escludere la natura certificativa del documento sottoscritto dal progettista (Sezione Quinta Penale, sentenza 26 Aprile 2005, n. 23668, Giordano).
Una volta riconosciuta la natura di certificazione del documento sottoscritto dal ricorrente, la Corte territoriale ha ritenuto che la consapevole sottoscrizione del medesimo sia sufficiente ad integrare il reato di falso quanto alla non veritiera conformità agli strumenti urbanistici vigenti (primo motivo di appello).
La stessa Corte ha poi respinto il secondo motivo di appello, ritenendo che il reato previsto dall\'art. 481 c.p. sia reato contro la fede pubblica e quindi reato di mero pericolo, così che non assume rilievo la circostanza che l\'attivazione degli organi comunali abbia impedito il verificarsi dell\'offesa; la presentazione della D.i.a e della relazione tecnica in esame erano sufficienti per dare inizio ai lavori, e tanto basta per escludere che la solerzia degli organi di controllo possa incidere sulla sussistenza e sul perfezionamento del reato. Parimenti, nulla rileva che la realizzazione delle opere in esame richiedesse il rilascio di permesso di costruire e non potesse avvenire sulla base della sola D.i.a., posto che il progettista, una volta scelta la seconda soluzione, era tenuto a rispettare le regole che ad essa si applicano.
Quanto al terzo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha escluso che il progettista possa essere incorso in semplice errore, posto che una di poco precedente valutazione degli uffici comunali sul progetto (valutazione del 25 Novembre 2005) aveva evidenziato l\'esigenza di rispettare le particolari tipologie di intervento previste dagli strumenti urbanistici per gli interventi su immobili situati nel centro storico.
Infine, la Corte ha motivato in ordine alla conferma della sanzione detentiva, alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, con conseguente diminuzione della pena, all\'applicazione ufficiosa della pena accessoria dell\'interdizione dalla professione ed alla revoca del condono in favore della più favorevole sospensione condizionale della pena.
Ricorre per cassazione la Difesa del Sig.Baldessari.
Con unico e articolato motivo lamenta violazione dell\'art. 606, lett.b) c.p.p. in relazione agli artt.481 c.p. e 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché violazione dell\'art. 606, lett.e) c.p.p. per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Tali violazioni atterrebbero a plurimi profili:
a) erronea non applicazione dei principi fissati dalla sentenza Giordano della Quinta Sezione Penale. Non solo la sentenza oggi impugnata utilizzerebbe in modo non coerente i termini "asseverazione", "dichiarazione di scienza", "attestazione", ma si sarebbe distaccata in modo superficiale e non convincente dai principi interpretativi affermati con la citata decisione della Corte di cassazione. La Corte avrebbe del tutto omesso di considerare che sussiste una diversità tra le dichiarazioni non veritiere, passibili di comunicazione all\'ordine professionale ai sensi del comma terzo dell\'art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e le false attestazioni, per le quali sussiste l\'obbligo di comunicazione all\'autorità giudiziaria ai sensi del sesto comma dell\'art. 23 della stessa legge.
b) Errata applicazione dell\'art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. La Corte di Appello avrebbe erroneamente disatteso l\'importanza della circostanza, sottopostale con i motivi di appello, che le opere da eseguire richiedevano la più complessa procedura del permesso di costruire e non potevano essere iniziate con la semplice presentazione di una D.i.a., così disattendendo la circostanza che la relazione del progettista allegata alla D.i.a. non aveva alcuna possibilità di trarre in inganno l\'amministrazione. La necessità di procedere con istanza di permesso di costruire è indubitabile, posto che sia il responsabile della procedura (prima con ordinanza di non esecuzione dei lavori, poi in sede testimoniale) sia il consulente tecnico hanno pacificamente sostenuto che le opere da effettuarsi su immobili del centro storico debbono essere preventivamente valutate dalla Commissione edilizia allorché comportino modificazione dei prospetti. Ne consegue che solo la Commissione edilizia può rilasciare la certificazione di conformità agli strumenti urbanistici, e che ha errato la Corte di Appello nel ritenere (pag.5 della motivazione) che la D.i.a. fosse strumento sufficiente a dare corso ai lavori, mentre in questo caso essa assume il valore di mera richiesta di autorizzazione, con la conseguente che l\'eventuale non veridicità di quanto attestato risulta penalmente irrilevante.
c) Errata applicazione dell\'art.481 c.p. con riferimento all\'elemento soggettivo del reato. L\'argomento utilizzato dalla Corte di Appello circa la perfetta conoscenza da parte dell\'imputato della non conformità delle opere, secondo quanto formalizzato nel parere preventivo dell\'Ufficio tecnico, avrebbe dovuto essere rovesciato e dimostra che il progettista è caduto in errore.
OSSERVA
A) La disciplina fondamentale, che viene richiamata nelle decisioni assunte nel caso in esame e che si pone a fondamento di parte della giurisprudenza richiamata anche dal ricorrente, è rappresentata dagli artt. 23 e 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
In particolare, l\'art. 23 (così sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002) ha ad oggetto la "Disciplina della denuncia di inizio attività" e, nei commi che qui rilevano, stabilisce quanto segue:
“1. Il proprietario dell\'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell\'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
"2,...
"3. Qualora l’immobile oggetto dell\'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti.
"4". .....
"5. La sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l\'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l\'attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari.
"6. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l\'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all\'interessato l\'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l\'autorità giudiziaria e il consiglio dell\'ordine di appartenenza.. E’ comunque salva la .facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
"7. Ultimato l\'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell\'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività."
Osserva la Corte che la disposizione in parola non lascia dubbi, nel suo significato letterale, oltre che, come si dirà, nella sua "ratio", che il professionista "abilitato" abbia un duplice obbligo: a) formare una relazione preventiva in cui si assume l\'onere di "asseverare": la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie; b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro tecnico che se ne assume la responsabilità) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale
Osserva poi la Corte che il termine "asseverare" ha nel vocabolario della Lingua italiana il significato di "affermare con solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto a verità/affidabilità del contenuto.
Il successivo art.29, che titola "Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività", nella parte che qui interessa prevede:
"1. Il titolare del permesso di costruire , il committente e il costruttore...
"2. Il direttore dei lavori...
"3. Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del codice penale. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all\'articolo 23, comma 1, l’amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l\'irrogazione delle sanzioni disciplinari."
Osserva la Corte che la disciplina prevista dal comma terzo dell\'art. 29 non può, non essere letta in coerenza con l\'art. 23 sopra ricordato e che in tale contesto assume valore decisivo la circostanza che al progettista abilitato venga attribuita la qualità di "persona esercente un servizio di pubblica necessità", ai sensi degli artt.359 e 481 c.p.
B) La lettura coordinata delle due norme consente così di giungere ad alcune conclusioni essenziali:
a) la decisione del committente e del suo professionista di non sollecitare mediante richiesta di permesso di costruire il preventivo controllo dell\'ente pubblico, e di procedere piuttosto con D.i.a. porta con sé una particolare assunzione di responsabilità del progettista stesso;
b) tale responsabilità trova fondamento nel particolare affidamento che l\'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell\'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell\'intervento;
c) muovendo da quell\'affidamento, la condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma terzo) che incide sulle previsioni dei commi primo e sesto dell\'art. 23 che precede. In particolare, merita qui richiamare la disposizione contenuta nel sesto comma dell\'art. 23, che in caso di "falsa attestazione" del professionista stesso prevede l\'obbligo per l\'ente territoriale di inoltrare segnalazione di reato all\' autorità giudiziaria;
d) non vi è dubbio che la "falsa attestazione" in parola, riferita dal comma sesto alle "condizioni stabilite", è quella prevista dal primo comma del medesimo art. 23;
e) la previsione della segnalazione all\'autorità giudiziaria va letta anche con riferimento alle disposizioni contenute nel comma settimo dell\'art. 23 e nel comma secondo dell\'art. 29, in quanto la responsabilità del direttore dei lavori per la difformità delle opere edificate rispetto a quelle contenute nel progetto iniziale allegato alla D.i.a rafforza il valore della relazione del progettista, che integra la dichiarazione stessa di inizio attività, come atto dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico: solo un atto definitivo e in sé compiuto può originare la responsabilità penale per chi esegue in difformità;
f) in altri termini, la costruzione della D.i.a. come atto a controllo successivo rafforza concetto di delega di potestà pubblica al soggetto qualificato, con dichiarazione del progettista che assume valore sostitutivo e quindi "certificativo";
g) tale carattere della dichiarazione del progettista trova conferma e non smentita nella circostanza che in presenza di "vincolo" ulteriore rispetto agli ordinari strumenti urbanistici il termine di trenta giorni previsto dal primo comma inizia a decorrere dal rilascio dell\'atto di assenso da parte dell\'amministrazione comunale;
h) l\'insieme delle disposizioni fin qui ricordate, ed in particolare il chiaro dettato del comma sesto dell\'art. 23, impone di considerare che l\'intervento dell\' ente amministrativo che prevenga l\'effettuazione dei lavori mediante un tempestivo controllo seguito da immediato ordine di non procedere non esclude la rilevanza penale della condotta di falsa attestazione posta in essere dal progettista.
C) Così esaminato il testo degli artt.23 e 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e ricostruita la "ratio" delle disposizioni in esse contenute, la Corte deve rilevare che alcune delle decisioni di legittimità che sono state richiamate nell\'ambito del presente procedimento o che appaiono assumere rilievo ai fini della presente decisione risultano, in realtà, riferite a situazioni di fatto diverse da quella oggi in evidenza e a questa non rapportabili.
E\' il caso della sentenza della Seconda Sezione Penale n. 3628/2006, Pinto (rv 235934), che ha affermato la non rilevanza penale, ai fini del contestato art. 481 c.p., di quelle parti delle attestazioni del privato che contengono giudizi e convincimenti soggettivi; tale valutazione si riferisce a documenti che, al di là della qualificazione loro attribuita, in realtà costituivano meri "studi di fattibilità" ed erano privi del supporto documentale che era richiesto dalla normativa in vigore.
E\' poi il caso della sentenza di questa Sezione n. 8303/2006, Cardini e altro (rv 233564), che, nell\'affermare la qualità di esercente un servizio di pubblica necessità del professionista, ha affrontato il caso di dichiarazione di conformità delle opere già eseguite in base a concessione edilizia.
E\', ancora, il caso della sentenza della Quinta Sezione Penale, n. 21639/2004, P.G. in proc Pizzini (rv 229184), che ha affrontato il caso di presentazione della D.i.a. per opere in realtà già realizzate ma prospettate come ancora da avviare.
C) Vanno così esaminate due sentenze di segno non coincidente che contengono motivazioni rilevanti ai fini della presente decisione. La prima è la più volte citata sentenza Giordano (Sezione Quinta Penale, n. 23668 del 26 Aprile-23 Giugno 2005, rv 231906) e la seconda è la sentenza di questa Sezione n. 9118 del 24 Gennaio-28 Febbraio 2008, Ma succi e altri, rv 238999.
C.1) La sentenza Giordano era chiamata ad intervenire su una contestazione di "falsa attestazione" del professionista in sede di relazione che accompagnava la D.i.a., con riferimento alla tipologia delle opere da realizzare, alla conformità delle stesse agli strumenti urbanistici, all\'assenza di vincoli. Richiamata una precedente e assai risalente decisione conforme della medesima Sezione (n. 11565 del 28 Giugno-2 Ottobre 1978, Ortenzi), la sentenza esclude che l\'attestazione del professionista abbia natura di "certificato". La motivazione non affronta l\'esegesi delle disposizioni contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ed afferma che non può avere natura certificativa la relazione allegata alla denuncia di inizio attività "riflettendo essa, per la parte progettuale, non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione e, per quanto riguarda l\'eventuale attestazione dell\'assenza di vincoli, un giudizio espresso dall\'agente, non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri (che, in quanto tali, dovrebbero già essere, tuttavia, nella disponibilità della pubblica amministrazione competente), ma suscettibile di derivare soltanto - come verificatosi nella specie - da un convincimento puramente oggettivo, poco importa, ai fini penalistici, se dovuto o meno a difetto di diligenza nella effettuazione delle opportune verifiche fattuali e normative".
Questa Corte ritiene che la motivazione si fondi su un basilare fraintendimento della normativa specifica in materia edilizia, come dimostra il passaggio in cui opera un riferimento, incluso tra parentesi, alla circostanza che la pubblica amministrazione già dovrebbe possedere le informazioni che il professionista le fornisce. Tale inciso dimostra che non si è compresa la fondamentale differenza tra richiesta di concessione - ora permesso di costruire - e D.i.a., e non si è avuto riguardo alle conseguenza che solo per questa seconda forma di domanda la legge riconduce alla falsa attestazione; conseguenze che sono definite in modo chiaro dagli artt.23, comma sesto e 29, comma terzo d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 con esplicito riferimento all\'obbligo per l\'ente pubblico di inoltrare segnalazione di reato all\'autorità giudiziaria.
La decisione in parola sembra, a parere di questa Corte, non solo contrastare con le citate disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ma incorrere in un vizio logico allorché confonde la esistenza dei presupposti del reato con quello che è soltanto un tema probatorio: la sussistenza dell\'elemento soggettivo del reato in presenza di attestazioni che contengono una parte di valutazione.
C.2) Il principio posto a fondamento della sentenza Giordano, che questa Corte non condivide per le ragioni appena esposte, sembra essere superato dalla più recente giurisprudenza, come dimostra, con ragionamento "a contrario" la richiamata sentenza n. 9918/2008, Masucci e altri di questa Sezione. Decidendo in tema di accusa di falsa attestazione contenuta nella relazione tecnica del progettista ad una domanda di concessione edilizia, la sentenza afferma (pag. 3): "trattandosi di concessione edilizia e non di Dia, la documentazione e la eventuale relazione presentata dai tecnici progettisti non aveva valore probante e fidefacente assoluto...".
Pur nella sua sinteticità il passaggio motivazionale e indiscutibile nel ritenere che non hanno valore di certificazione i documenti e le attestazioni allegate alla domanda di concessione, che non assume efficacia se non dopo il vaglio positivo dell\'ente pubblico, mentre a diverse conclusioni deve giungersi per la domanda di inizio attività, dotata di autonoma efficacia.
D) Una volta affermato che la falsa attestazione del progettista può integrare la fattispecie di reato contestata, la Corte deve ancora affrontare due profili di ricorso: la rilevanza dei controlli rimessi all\'ente territoriale in presenza di interventi edilizi in centro storico; l\'assenza dell’elemento soggettivo del reato.
D.1) Con riferimento al primo profilo alla Corte non resta che richiamare quanto più ampiamente detto in precedenza in merito alla esegesi del terzo comma dell\'art. 23 (diversa decorrenza del termine di trenta giorni solo in casi di bene immobile sottoposto a vincolo) e del successivo comma sesto per concludere che deve essere disatteso il secondo motivo di ricorso.
D.2) Quanto al secondo profilo, la ricostruzione operata dai giudici di merito circa la sussistenza dell\'elemento soggettivo del reato in capo al ricorrente appare coerente con gli elementi probatori e immune da vizi logici, e come tale sottratta al sindacato del giudice di legittimità (Sezioni Unite Penali, sentenza n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767; Seconda Sezione Penale, sentenza n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc.Vignaioli, rv 236893; Prima Sezione Penale, sentenza n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci rv 237207). In effetti, la valutazione che la Corte territoriale ha fatto del terzo motivo di ricorso si fonda anche sull\'esito negativo di precedente progetto presentato dal ricorrente agli uffici comunali, e la lettura che di tale circostanza è stata fornita dai giudici di merito può essere ritenuta dal ricorrente non condivisibile, prospettandosi in tal modo una opposta interpretazione dei fatti, ma appare assolutamente lineare sul piano logico e non meritevole di annullamento.
Alla luce delle considerazioni che precedono tutti i motivi di ricorso appaiono infondati. Alla reiezione del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 21 Ottobre 2008
Deposito in Cancelleria il 19/01/2009