Cass. Sez. III n. 27964 dell’8 luglio 2009 (Ud. 23 giu. 2009)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. D’Agostino
Ambiente in genere. Violazione di sigilli (conflitto)

Rimessione alle Sezioni Unite della Suprema Corte, per la soluzione della questione riferita alla possibilità di configurare il delitto di cui all’art. 349 cod. pen. (violazione di sigilli) allorquando i sigilli siano stati apposti esclusivamente per impedire l’uso illegittimo della cosa.

FATTO E DIRITTO

La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 14.3.2008, confermava la sentenza 31.1.2005 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di D. E. in ordine al reato di cui:

- all'art. 349 cpv. cod. pen. (per avere, nella qualità di custode, violato i sigilli apposti dall'autorità amministrativa ad un esercizio di ritrovo nel quale si effettuava attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza la prescritta autorizzazione - acc. in (OMISSIS)); e la aveva condannata alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la D., la quale ha eccepito erronea applicazione dell'art. 349 cod. pen., sostenendo che non sarebbe configurabile il reato di violazione di sigilli quando questi sono apposti non per assicurare la conservazione o l'identità della cosa, bensì - come nel caso di specie - per impedire la prosecuzione di attività commerciale in carenza della prescritta autorizzazione amministrativa.

La ricorrente fonda il gravame su quella parte della giurisprudenza di legittimità che, ancorata al dato letterale della norma incriminatrice, ha affermato il principio di diritto secondo il quale non ricorre il delitto di violazione di sigilli, di cui all'art. 349 cod. pen., quando il sigillo non è apposto "al fine di assicurare la conservazione o l'identità di una cosa" ma solo per la finalità, considerata diversa e tipicamente sanzionatoria, di impedirne l'uso (Si vedano, in tal senso, Cass.: Sez. 2^, 29.1.2004, n. 3416; Sez. 3^: 1.12.1999, n. 13710; Sez. 6^ 30.4.1988, n. 5248).

Un orientamento diametralmente opposto, però, si rinviene pure nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, essendo stato altresì affermato che l'oggetto del delitto di violazione di sigilli va individuato nella tutela della intangibilità della cosa rispetto ad ogni atto di disposizione o di manomissione, dovendosi ricondurre alla finalità di assicurare la conservazione della cosa anche la interdizione dell'uso disposta dall'autorità, senza che rilevino le finalità o le ragioni del provvedimento limitativo (Si vedano, in tal senso, Cass.: Sez. 3^, 15.2.2007, n. 6417; Sez. 3^, 26.1.2004, n. 2600; Sez. 6^ 24.8.1993, n. 7961).

L'esistenza di tali due contrapposte letture interpretative impone - ad avviso del Collegio - l'intervento regolatore delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, per la soluzione della questione riferita alla possibilità di configurare il delitto di cui all'art. 349 cod. pen. allorquando i sigilli siano stati apposti esclusivamente per impedire l'uso illegittimo della cosa.

P.Q.M.

La Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, visto l'art. 618 c.p.p., rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2009.