Cass. Sez. III sent 6431 del 15 febbraio 2007 (ud. 12 gen. 2007)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Sicignano ed altro
Urbanistica. Non condonabilità interventi in zona vincolata
Non sono condonabili le nuove costruzioni realizzate in assenza di
titolo abilitativo edilizio in zone sottoposte a vincolo imposto a
tutela degli interessi paesistici (la sentenza si segnala per il fatto
che, oltre a ribadire il consolidato indirizzo della Corte in tema di
condono, confuta in modo inequivocabile le diverse intepretazioni
formulate sul punto)
Pubblica udienza 12.1.2007
SENTENZA
N. 83
REG.
GENERALE n. 23785/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1.
Dott. Ernesto
Lupo
Presidente
2. Dott. Claudia
Squassoni Consigliere
3. Dott. Aldo
Fiale
Consigliere
4. Dott. Amedeo
Franco
Consigliere
5. Dott. Antonio
Ianniello
Consigliere
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul
ricorso proposto da
1.
SICIGNANO Pasqua, nato a Castellammare di Stabia il 29.3.1920
2. DEL
GAUDIO Carmela, nata a Castellammare di Stabia il 3.1.1944
avverso
la sentenza 27.3.2006 della Corte di Appello di Napoli
Visti
gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
Udita,
in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito
il Pubblico Ministero, in persona del dr. Gioacchino Izzo, il quale ha
concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 27.3.2006, in parziale
riforma della sentenza 10.2.2005 del Tribunale di Torre Annunziata -
Sezione distaccata di Castellammare di Stabia:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di
Sicignano Pasqua e Del Gaudio Carmela in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. C), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in
zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta
concessione edilizia, un fabbricato in cemento armato, in triplice
elevazione, su un'area di mt. 24,00 x 12,70 - acc. in Castellammare di
Stabia, fino al 10.8.2002);
- agli artt, 2, 4, 13 e 14 legge n. 1086/1971;
- all'art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 (per avere edificato il fabbricato
anzidetto, senza la necessaria autorizzazione paesaggistica);
- agli artt. 81 cpv. e 349 cpv. cod. pen. (per avere più
volte violato i sigilli apposti al manufatto abusivo);
b) dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui agli artt. 1, 2,
17 e 20 legge n. 64/1974;
c) e, con le già riconosciute circostanze attenuanti
generiche equivalenti all'aggravante contestata per il delitto, essendo
stati unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv.
cod. pen., determinava la pena principale complessiva in mesi dieci di
reclusione ed euro 600,00 di multa per ciascuna imputata;
d) confermava: la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai
pubblici uffici; gli ordini di demolizione delle opere abusive e di
remissione in pristino dello stato originario dei luoghi; la
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena
subordinato alla demolizione effettiva del manufatto entro il termine
di un anno dalla formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso congiunto le imputate, le
quali - sotto i profili della violazione di legge e della carenza di
motivazione- hanno eccepito:
- la nullità della stessa per erronea applicazione del D.L.
30.9.2003, n. 269, convertito dalla legge 24.11.2003, n. 326: i giudici
del merito incongruamente non avevano tenuto conto di domande di
condono edilizio presentate in relazione alla normativa anzidetta sul
presupposto (contestato in ricorso con varie argomentazioni) della
inapplicabilità della stessa normativa alle nuove
costruzioni eseguite nelle zone assoggettate a vincolo paesaggistico;
- la violazione del diritto di difesa, in quanto il Tribunale
avrebbe illegittimamente revocato l'ammissione di testi addotti a
discarico;
- la incongrua subordinazione del concesso beneficio della sospensione
condizionale della pena alla effettiva demolizione del fabbricato.
Il difensore delle ricorrenti, in data 8.1.2007, ha depositato memoria
ulteriormente illustrativa dei motivi di gravame, ribadendo la
obbligatorietà della sospensione del processo (ex art. 38
della legge n. 47/1985) in seguito alla presentazione della domanda di
condono edilizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. In relazione alla prima doglianza, va ribadito l'orientamento
costante di questa Corte Suprema secondo il quale non sono suscettibili
di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, le nuove
costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo
edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli
interessi paesistici (vedi, tra le molteplici e più recenti
decisioni in tal senso, Cass., Sez. III, 5.4.2005, n. 12577, Ricci;
1.10.2004, n. 38694, Canu ed altro; 24.9.2004, n. 37865, Musio).
Il comma 26 di detto art. 32 dispone, infatti, che:
"Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di
illecito di erri all'allegato 1:
a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo
restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente
articolo, nonché 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili
soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47;
b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui
all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di
legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, con la quale é
determinata la possibilità, le condizioni e le
modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali
tipologie di abuso edilizio".
La seconda parte della lett. a) del comma 26 statuisce espressamente
dunque, che nelle aree sottoposte a vincolo di cui all'art. 32 della
legge n. 47/1985 (trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di
leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici,
ambientali e paesistici) è possibile ottenere la sanatoria
soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti
alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1:
restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria),
previo parere favorevole da parte dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo.
Ed in proposito non può mancarsi di rilevare che la
normativa statale sul condono edilizio, per la sua natura straordinaria
ed eccezionale, è di stretta interpretazione.
1.1 Inequivoca è altresì, al
riguardo, la Relazione governativa al D.L. n. 269/2003,
seconda la quale "... è fissata la tipologia di opere
assolutamente insanabili tra le quali si
evidenziano... quelle realizzate in assenza o in
difformità del titolo abilitativo
edilizio
nelle aree sottoposte ai vincoli imposti
sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi
idrogeologici, ambientali e paesistici ... Per
gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento
conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la
sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere
favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela. Per
i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggette a vincolo,
l'ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno
specifico provvedimento regionale"
Il Collegio è ben consapevole dei limiti dell'efficacia
delle enunciazioni contenute nella Relazione governativa in sede di
interpretazione del testo normativo.
Nella specie, però, la Relazione non contraddice gli
effettivi contenuti del testo della legge ed è invece utile
a chiarire alcuni punti oscuri che potrebbero dare luogo ad incertezze
applicative.
1.2 La prima obiezione che viene mossa alla
anzidetta interpretazione di questa Corte - considerata nel ricorso non
condivisibile, perché ingiustificatamente restrittiva - si
incentra sulla formulazione del comma 43 dell'art. 32 del D.L. n.
269/2003, che ha integralmente sostituito l'art. 32 della legge n.
47/1985.
Secondo quest'ultima norma - nel nuovo come nel precedente testo - per
le opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, il rilascio del
titolo abilitativo edilizio in sanatoria è subordinato al
parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del
vincolo stesso
Nel vecchio testo legislativo [che era stato
modificato, da ultimo, dall'art. 2, comma 43, della legge 23.12.1996,
n. 662] al silenzio dell'autorità competente, protrattosi
per un periodo determinato dalla presentazione della richiesta, veniva
generalmente attribuita valenza di parere favorevole.
In particolare, in caso di vincolo paesaggistico, l'esito di tacito
assenso si conseguiva:
- dopo 120 giorni dalla richiesta del parere, per le tipologie di abuso
relative a meri ampliamenti o non comportanti aumento di superficie o
di volume;
- dopo 180 giorni dalla presentazione della richiesta, invece, per le
tipologie di totale abusività.
Con la nuova formulazione normativa viene ripudiato
l'istituto del silenzio-assenso ed al comportamento omissivo
protrattosi oltre 180 giorni dalla richiesta di parere si attribuisce
valenza di silenzio-rifiuto tutti i tipi di vincoli.
Ai fini dell'acquisizione dei pareri "si applica quanto previsto
dall'art. 20, comma 6, del D.P.R. n. 380/2001" ed "il motivato dissenso
espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico - territoriale, ivi inclusa la Soprintendenza competente,
alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute
preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria"
(comma 4).
"Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni
riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta
che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte" (previsione,
quest'ultima, contenuta anche nella precedente formulazione).
In relazione alla intervenuta sostituzione dell'art. 32 della legge n.
47/1985 si afferma in ricorso che le tipologie di intervento ammesse a
condono non potrebbero sicuramente ridursi solo a quelle elencate nei
nn. 4, 5 e 6 dell'Allegato 1.
Non avrebbe senso, infatti, la obbligatoria convocazione di una
dispendiosa conferenza di servizi per opere di minima importanza (quali
la manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento
conservativo), né avrebbe senso richiedere per le medesime
opere la acquisizione del parere paesaggistico stante la disposizione
che tale parere invece esclude "quando si tratti di violazioni
riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta
che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte"
(violazioni queste ultime considerate più gravi di quelle
che possono commettersi in occasione dell'esecuzione degli interventi
di manutenzione o restauro).
1.3 Le argomentazioni dianzi enunciate non
appaiono, però, conducenti poiché esse non
tengono in conto che:
a) Nelle zone paesaggisticamente vincolate è inibita - in
assenza dell'autorizzazione già prevista dall'art. 7 della
legge n. 1497 dei 1939, le cui procedure di rilascio sono state
innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate
dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione dell'assetto
del territorio, attuata attraverso lavori
di qualsiasi genere, non soltanto edilizi, con le deroghe
eventualmente individuate dal piano paesaggistico, ex art. 143,
5° comma - lett. b, del D Lgs. n. 42/2004, nonché ad
eccezione degli interventi previsti dal successivo art. 149 e
consistenti (tra l'altro) nella manutenzione, ordinaria
e straordinaria, e nel consolidamento statico o
restauro
conservativo, purché non
alterino Io stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici.
b) Qualora un qualsiasi intervento edilizio da realizzarsi mediante
D.I.A. (quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed il
risanamento conservativo) riguardi immobili sottoposti a
tutela storico-artistica o
paesaggistico-ambientale [ai sensi del D.Lgs. n.
42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio); della legge n.
394/1991 (Legge-quadro sulle aree protette); della legge n. 183/1989
(Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del
suolo) e del D.Lgs. n 152/2006 (Norme in materia ambientale)]
l'effettuazione delle stesso e subordinata al preventivo
rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle
relative previsioni normative (art. 22, 6° comma, del TU. n.
380/2001).
Nell'ambito delle norme di tutela rientrano
altresì le previsioni:
- dei piani territoriali paesistici o dei piani
urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di
salvaguardia dei valori paesistici e ambientali;
- degli strumenti urbanistici, qualora siano espressamente rivolte alla
tutela delle caratteristiche paesaggistiche, ambientali,
storico-archeologiche, storico-artistiche, storico-architettoniche e
storico-testimoniali.
c) La previsione dell'art. 32 della legge n 47/1985 - secondo la quale "il
parere non è richiesto quando si tratti di violazioni
riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta
che non eccedano il 2 per centro delle misure
prescritte" [identica sia nel testo precedente,
più volte modificato fino alla formulazione risultante in
seguito alla legge n. 662/1996, sia in quello novellato dal D.L. n.
269/2003] - non è riferita, ad evidenza, al solo vincolo
paesaggistico, bensì a tutte quelle situazioni in cui
l'esistenza di un "vincolo" (quale limitazione alla sfera di godimento
e disposizione di un bene per il soddisfacimento e la tutela di
interessi pubblici) è affermata dal legislatore, con
terminologia sicuramente generica e per alcuni versi pure impropria, in
relazione a fattispecie anche molto diverse quanto a disciplina
giuridica, contenuti ed effetti.
Con elencazione avente carattere meramente esemplificativo
può ricordarsi che l'art. 32 inerisce - oltre che ai vincoli
paesistici ed ambientali - ai vincoli storici, artistici,
architettonici ed archeologici; ai vincoli idrogeologici; ai vincoli
previsti per i parchi e le aree naturali protette; ai vincoli derivanti
dall'esistenza di usi civici; ai vincoli derivanti dalle c.d. "zone di
rispetto" del demanio stradale, ferroviario ed aeroportuale, dei
cimiteri; alle prescrizioni imposte per le costruzioni da eseguirsi in
zone sismiche; ovvero ad altre limitazioni poste dal D.M. 1.4.1968, n.
1404.
Quanto al vincolo paesaggistico, la disposizione in
esame può razionalmente correlarsi soltanto ad eventuali
prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art 143, 5°
comma - lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché a previsioni
degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle
caratteristiche paesaggistiche ed ambientali.
d) Il riformulato 4° comma dell'art. 32 della legge a 47/1985
si limita a stabilire che "Ai fini dell'acquisizione del
parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall'articolo 20,
comma 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.
380",
Il richiamato art. 20, comma 6, del D.P.R. n. 380/2001 dispone, a sua
volta, che, "Nell'ipotesi in cui, ai fini della realizzazione
dell'intervento, sia necessario acquisire atti di assenso,
comunque denominati, di altre Amministrazioni,
diverse da quelle di cui all'art. 5, comma 3 [atti di assenso,
cioè, diversi dal parere dell'A.S.L. e dal parere dei Vigili
del Fuoco, ove necessari n.d.r.], il competente ufficio
comunale convoca una conferenza di servizi, ai sensi
degli artt. 14, 14bis, 14ter e 14quater
della legge n. 241/1990 e successive modificazioni".
Ai sensi dell'art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001, l'ufficio dello
sportello unico per l'edilizia "cura gli incombenti necessari ai fini
dell'acquisizione,
anche mediante conferenza ai sensi degli artt. 14,
14bis, 14ter e 14quater
della legge n. 241/1990 di servizi, degli atti di assenso comunque
denominati, necessari ai tini della realizzazione dell'intervento
edilizio).
Un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6 e dell'art. 5,
comma 4, del T.U. n. 380/2001 non consente però di affermare
che l'ufficio comunale sia imprescindibilmente obbligato a
convocare una conferenza di servizi qualora sia necessario
acquisire l'assenso di altre Amministrazioni {in difformità
dal previgente art. 4, 2° comma. del D.L. n. 398/1993, che
conferiva al responsabile del procedimento soltanto la
facoltà discrezionale di detta convocazione).
Appare corretta invece, in proposito, l'applicazione dell'art. 14,
2° comma, della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge
n. 15/2005, ove si stabilisce l'obbligatorietà della
conferenza di servizi quando l'Amministrazione competente per
l'adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di assenso
comunque denominati ad un'attività privata, provenienti da
altre Amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione
della relativa richiesta.
Il dirigente o responsabile dell'ufficio comunale, dunque, nel termine
che ha a disposizione per l'istruttoria, deve anzitutto
richiedere gli atti di assenso alle altre Amministrazioni coinvolte e,
solo qualora queste non si pronuncino entro 30 giorni dalla ricezione
della richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia
intervenuto il dissenso di una o più Amministrazioni
interpellate), deve essere convocata la conferenza.
1.4 Alla stregua delle disposizioni legislative dianzi enunciate e
della loro corretta ermeneusi non può attribuirsi rilevanza
alle prospettazioni che i sostenitori della tesi "estensiva" dei limiti
di applicabilità del terzo condono edilizio riferiscono:
- alla pretesa incongruenza della limitazione della
sanabilità ai soli interventi di manutenzione,
straordinaria, restauro e risanamento conservativo rispetto alla
previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 secondo la quale "il
parere non è richiesto quando si tratti di violazioni
riguardarti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta
che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte";
- all'eccessiva dispendiosità di una conferenza di servizi
da indirsi esclusivamente per interventi edilizi minori.
Si è rilevato, infatti, che:
- anche l'effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria,
restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree
assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, è
subordinata al preventivo rilascio del parere o
dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni
normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che può
avere sul paesaggio già il solo rifacimento totale
dell'intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne
alteri il precedente aspetto esteriore);
- la previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 ben si spiega con
riferimento ai "vincoli" di natura diversa da quello paesaggistico e,
quanto a quest'ultimo vincolo, può comunque correlarsi ad
eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143,
5° comma - lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché, a
previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla
tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali;
- per l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica la conferenza di
servizi non è imprescindibilmente obbligatoria.
1.5 Elementi decisivi in favore della prospettata
sanabilità degli abusi di cui alle tipologie 1, 2 e 3
neppure possono trarsi dalle disposizioni del comma 17 del medesimo
art. 32 del D.L. n. 269/2003, ove viene esplicitamente stabilito che "nel
caso di aree soggette ai vincoli di cui all'art. 32 della legge 28
febbraio 1985, n. 47, la disponibilità alla cessione
dell'area appartenente al patrimonio disponibile ovvero a riconoscere
il diritto a mantenere l'opera sul suolo appartenente al demanio o al
patrimonio indisponibile dello Stato è subordinata al parere
favorevole da parte dell'Autorità preposta alla tutela del
vincolo".
Tale disposizione è riferita alle "opere eseguite
da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte
del demanio statale". Essa però:
- è significativamente limitata dall'esclusione (posta dal
precedente comma 14) "del demanio marittimo, lacuale e fluviale,
nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico"
(immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege);
- non comporta certamente, quale inevitabile conseguenza, che - nel
caso di
nuove costruzioni realizzate abusivamente su suolo di
proprietà dello Stato e soggetto a vincolo paesaggistico,
idrogeologico o forestale - queste possano essere sanate ed il
trasgressore possa anche acquistare il suolo sul quale sono state
realizzate, previa disponibilità dello Stato a cederlo ed
acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo.
La disposizione va correttamente interpretata, invece, sempre alla
stregua dell'ermeneusi dell'art. 32 della legge n. 47/1985 dianzi
illustrata, tenendo conto dell'ampia nozione di "vincolo" che detto
articolo presuppone.
1.6 Una interessante tesi dottrinaria ha
prospettato l'interpretazione secondo la quale il legislatore, nel
comma 26 dell'art. 32 del D.L- n. 269/2003 - piuttosto che affermare
che le tipologie 1, 2 e 3 non si possono sanare nelle zone soggette a
vincolo, nelle quali sarebbero sanabili solo le tipologie 4, 5 e 6 -
avrebbe inteso individuare invece tutti gli abusi aventi rilevanza
penale ed ammetterli alla possibilità di sanatoria su tutto
il territorio nazionale, tenuto conto che gli abusi rientranti nelle
tipologie 4, 5 e 6 configurano reato soltanto nelle zone soggette ad
uno dei vincoli di cui all'art. 32 della legge n. 47/1985. Per questi
ultimi abusi minori, proprio poiché essi non configurano
reato nelle zone non soggette ad uno dei vincoli di cui all'art. 32
della legge n. 47/1985, avrebbe lasciato (con la disposizione di cui
alla lett. b dello stesso comma 26) alle Regioni la scelta di
assoggettarli o meno alla normativa di condono, evidentemente per i
soli aspetti amministrativi.
Questa tesi resta inficiata, però, dalle argomentazioni
svolte nella sentenza n. 196/2004 della Corte Costituzionale, che ha
dichiarato l'illegittimità del comma 26 "nella parte in cui
non prevede che la legge regionale possa determinare la
possibilità, le condizioni e le modalità per
l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso
edilizio dell'Allegato 1".
La Corte Costituzionale ha rilevato, al riguardo, che:
- "Non vi è dubbio sul fatto che solo il
legislatore statale può incidere sulla
sanzionabilità penale (per tutte v. la sentenza n. 487 del
1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative,
dispone di assoluta discrezionalità in materia di estinzione
del reato o della pena, odi non procedibilità (sentenze n.
327 del 2000, n. 149 del 1999 e n. 167 del 1989)“.
- "Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche
attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno
straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente
interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su
entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo; ma sul
piano della sanatoria amministrativa i vincoli che legittimamente
possono imporsi all'autonomia legislativa delle Regioni, ordinarie e
speciali, non possono che essere quelli ammissibili sulla base
rispettivamente delle disposizioni contenute nel nuovo art. 117 Cost. e
degli statuti speciali".
1.7 Quanto ai profili esclusivamente
penali (tenendo presenti i principi affermati nella sentenza
della Corte Costituzionale n. 196/2004) va evidenziato che:
a) Il comma 36 dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003 ricollega la
produzione degli "effetti di cui all'art. 38, comma 2, della
legge 28 febbraio 1985, n. 47" (estinzione dei reati edilizi
e di quelli già previsti dalle leggi n. 1086/1971 e n.
64/1974) ai soli illeciti ammessi a sanatoria.
b) Il comma 1 del novellato art 32 della legge n. 47/1985 dispone che
soltanto "il rilascio del titolo abilitativo edilizio [previo parere
favorevole delle Amministrazioni preposte alla specifica tutela
vincolistica n.d.r.] estingue anche il reato per la
violazione del vincolo".
c) Non può ritenersi, come si pretenderebbe in ricorso, che
nella vicenda in esame - quando pure il fabbricato abusivo in oggetto
non fosse ritenuto sanabile sotto il profilo amministrativo - sarebbe
comunque applicabile l'art. 39 della legge n. 47/1985
(estinzione dei reati conseguente alla mera effettuazione
dell'oblazione, qualora Ie opere non possano conseguire la sanatoria").
Mentre l'art. 31 della legge n 47/1985, infatti, nella sua formulazione
testuale, prevedeva una serie di requisiti esclusivamente in relazione
alla possibilità di conseguire la concessione o la
autorizzazione in sanatoria,
l'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003
convertito dalla legge n. 326/2003 (come già
l'art. 39 della legge n. 724/1994) subordina l'applicazione
degli interi capi IV e V della legge n. 47/1985 all'esistenza dei
requisiti attualmente prescritti perché l'opera possa essere
condonata.
L'art. 39 della legge n. 47/1985, conseguentemente, non
può essere applicato per le opere che oggettivamente non
abbiano i requisiti di condonabilità di cui all'art. 32 del
D.L. n. 269/2003.
2. La prima articolata doglianza delle ricorrenti
presenta, altresì, un altro aspetto di infondatezza evidente.
Anche qualora potesse pervenirsi ad affermare, invero, la
possibilità - fermamente negata da questa Corte Suprema - di
estendere a tutto il territorio nazionale la generica
ammissibilità a condono per gli abusi rientranti nelle
tipologie 1, 2 e 3 ricadenti in zone soggette a vincolo paesaggistico
[con esclusione soltanto di quelli eseguiti in violazione del vincolo
storico-artistico-monumentale, eccettuati dalla lett. e) del comma 27
dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, richiamata direttamente dalla lett.
a) del comma 26] si dovrebbe tenere pur sempre conto di quanto disposto
dal medesimo comma 27 dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003, ove si
stabilisce che "Fermo restando quanto previsto dagli articoli
32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono
comunque suscettibili di sanatoria, qualora:
d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli
imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli
interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e
paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette
nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della
esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del
titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;''.
Una disposizione siffatta sottrae comunque alla possibilità
di sanatoria per condono, in zone assoggettate a vincolo paesaggistico,
gli abusi edilizi di carattere sostanziale: quelli cioè non
conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti al momento della presentazione dell'istanza di
condono.
Ed una conformità siffatta nella vicenda in esame risulta
esclusa ictu oculi, poiché il fabbricato
residenziale abusivo in oggetto risulta edificato,
secondo il certificato di destinazione urbanistica, in zona avente
destinazione agricola (ove il P R G. vigente ammette solo
"gli impianti o le attrezzature strettamente necessari alla conduzione
dei fondi rustici") e destinazione a servizi (F6)
per "attrezzature annonarie di impianti industriali o commerciali
attinenti all'alimentazione (macello e mercato ortofrutticolo)".
2.1 In applicazione del comma 27, lett. d),
dell'art. 32 del D.L n. 269/2003 questa Corte - in alcune decisioni
richiamate anche dalle ricorrenti (Cass., Sez. III 29.1.2004, n 3350,
Lasi; 7.9.2004, n, 35984, Laudari) - ha affermato la non
sanabilità di specifiche opere realizzate senza titolo
abilitativo edilizio, in zone soggette a vincolo paesistico
preesistente, evidenziando esclusivamente che esse non erano conformi
alle prescrizioni dello strumento urbanistico comunale vigente.
In quelle decisioni l'esame della normativa di condono é
stata limitata alla constatazione che opere peculiarmente individuate
non erano comunque suscettibili di sanatoria, tenuto conto che, nelle
aree vincolate, solo nel caso di conformità agli strumenti
urbanistici le opere abusive possono essere sanate, previo nulla-osta
dell'autorità preposta al vincolo come disciplinato dal
nuovo testo dell'art. 32 della legge n 47/1985 nella formulazione
introdotta dal comma 43 dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003,
Non è stato effettuato, invece, in esse l'esame del completo
quadro di riferimento normativo per la delimitazione delle tipologie di
abuso sanabili, con particolare attinenza alle nuove costruzioni ed
alle ristrutturazioni edilizie in zone paesaggisticamente vincolate.
3. Nella vicenda in esame, in conclusione, legittimamente la Corte
territoriale - pure a fronte della accertata presentazione di domande
di condono - non ha applicato la sospensione di cui all'art. 38 della
legge n. 47/1985.
Deve evidenziarsi, in proposito, che dalla sentenza
delle Sezioni Unite 24.11.1999, n. 22, ric. Sadini - correlata
al condono edilizio previsto dall'art 39 della legge n. 724/1994, che
è norma formulata in modo speculare a quella posta dall'art.
32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 - può razionalmente
dedursi il principio generale secondo il quale il giudice,
già prima di sospendere il processo ex art. 44 della legge
n. 47/1985, deve effettuare un controllo in ordine alla sussistenza
delle condizioni legittimanti l'accesso alla procedura sanante
(data di esecuzione delle opere, stato di ultimazione delle stesse
secondo la nozione fornita dall'art. 31 della legge n. 47/1985;
rispetto dei limiti volumetrici, eventuali esclusioni oggettive della
tipologia d'intervento dalla sanatoria; tempestività della
presentazione, da parte di soggetti legittimati, di una domanda di
sanatoria riferita alle opere abusive contestate nel capo di
imputazione).
L'ambito di tale potere di controllo è strettamente connesso
all'esercizio della giurisdizione penale, perché
è il giudice che deve eseguire, in conclusione, l'indispensabile
verifica degli elementi di fatto e di diritto della causa estintiva.
Trattasi, inoltre, di compiti propri dell'autorità
giurisdizionale - conformi al dettato degli artt. 101, 2°
comma, 102, 104, 1° comma, e 112 Cost. - che non possono essere
demandati neppure con legge ordinaria all'autorità
amministrativa in un corretto rapporto delle sfere specifiche di
attribuzione.
Diversamente opinandosi si allungherebbero "inevitabilmente ed
inutilmente i tempi del processo".
Nel caso in cui il giudice sospenda il processo (ex arti. 44 o 38 della
legge n. 47/1985) in assenza dei presupposti di legge, la sospensione
è inesistente ed il corso della sospensione non è
interrotto.
In questa prospettiva, anche a fronte di una causa estintiva che il
legislatore avesse previsto esclusivamente allorquando le
opere siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, deve ritenersi erroneo l'assunto delle
ricorrenti secondo il quale il giudice penale non avrebbe la competenza
istituzionale per compiere l'anzidetto accertamento di
conformità.
4. Con il secondo motivo di ricorso le ricorrenti
lamentano che il giudice di primo grado (all'udienza del 10.2.2005)
avrebbe illegittimamente revocato l'ammissione di testi di lista della
difesa, dalla cui escussione si sarebbe potuto evincere che Del Gaudio
Carmela (figlia della coimputata Sicignano Pasqua) non era committente
delle opere edilizie in oggetto.
Tanto, invece, secondo quanto rilevato con esattezza dalla Corte di
merito, è stato compiuto nel pieno rispetto dell'art. 495,
commi 4 e 4 bis, c.p,p., avendo il giudice ritenuta
razionalmente "superflua" l'escussione di quei testi, tenuto conto che
essi erano stati ammessi "per testimoniare sull'autore,
sull'epoca e sull'entità di realizzazione delle opere",
circostanze ormai acquisite attraverso la prova giri raccolta,
risultando pure pacificamente che la Del Gaudio (la quale era stata
nominata custode del cantiere abusivo con provvedimenti del 9 gennaio,
del 24 luglio e del 5 agosto 2002 ed aveva spontaneamente accettato
tale nomina in luogo del fratello originariamente designato) non
risiedeva, a differenza della madre, nelle immediate vicinanze
dell'immobile in costruzione, bensì nel limitrofo Comune di
Gragnano.
L'opposizione del difensore, pertanto, che non è vincolante
per il giudice, risulta respinta dal Tribunale con motivazione adeguata
e razionale,
5. Quanto al terzo motivo di ricorso, infine,
è sufficiente rilevare che le
Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 3.2.1997, n,
714, ric. Luongo, alle cui diffuse argomentazioni, condivise da questo
Collegio, si rinvia - hanno affermato la legittimità della
subordinazione della sospensione condizionale della pena alla
demolizione dell'opera abusiva [principio ribadito costantemente. Vedi,
tra le molteplici decisioni, Cass. Sez. III, 17.4.2003, n. 18304,
Guido; Sez.III, 7.4.2000, n, 4086, Pagano; Sez. V, 30.9.1498, n. 10309,
Licata]
Deve ritenersi definitivamente superata, infatti, in materia
urbanistica, la visione di un giudice supplente della pubblica
Amministrazione, in quanto è il territorio a costituire
l'oggetto della tutela posta dalle relative norme penali: non
può affermarsi, pertanto, che la legge riserva
all'autorità amministrativa ogni tipo di intervento nella
materia e, avendo l'ordine di demolizione la funzione di eliminare le
conseguenze dannose del reato, ben può trovare applicazione
l'art. 165 cod. pen.
6. I reati non sono prescritti, poiché i termini di cui
all'art. 157 cod. pen. devono computarsi a decorrere dal 10.8.2002,
epoca in cui i lavori erano ancora in corso.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna delle ricorrenti, in
solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli arti. 607, 615 e 616 c.p.p,
rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento
delle spese processuali.
ROMA, 12.1.2007
L'
estensore
Il presidente
Aldo
Fiale
Ernesto Lupo
Urbanistica. Limiti condono in area vincolata
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