Nota critica a Corte Costituzionale sentenza n. 68/2018.
di Massimo GRISANTI
Con la sentenza n. 68/2018, al punto 8) del Considerato in diritto la Corte Costituzionale, in termini ambigui, per non dire contraddittori, ha salvato dalla scure d’incostituzionalità le disposizioni dell’art. 56, co. 14, della legge regionale Umbria n. 1/2015 laddove « … la citata norma regionale prescrive che, con riguardo agli interventi nelle zone vincolate, il Comune debba richiedere alla soprintendenza dapprima un parere sul piano attuativo, con esclusivo riguardo alle opere di urbanizzazione e infrastrutturali ivi programmate, al fine di verificare la compatibilità del programma con l’interesse paesaggistico, e successivamente un parere preliminare al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, inerente alla realizzazione dei singoli interventi edilizi rientranti nell’ambito del piano … ».
La problematicità della pronuncia sta nel termine “esclusivo” in cui la norma regionale confina il parere degli organi ministeriali: in ispecie considerato che i Giudici costituzionali hanno poi richiamato, a sostegno della loro decisione, la posizione del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, sentenza n. 2666/2013) nella quale viene affermato che l’intervento del MIBACT « … riguarda solo ciò che del piano attuativo è oggetto essenziale, come, ad esempio, le opere di urbanizzazione … ».
La questione è che l’art. 13 della legge n. 1150/1942, non a caso intitolato “Contenuto dei piani particolareggiati”, stabilisce, essenzialmente, che debbano essere determinate anche « … le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze … ».
Pertanto, allorquando i Giudici della Consulta affermano che l’intento di assicurare la massima tutela dei valori paesaggistici « … è perseguito mediante la previsione di un primo parere della soprintendenza circa la generale compatibilità paesaggistica del piano degli interventi programmati sul territorio in questione, in attuazione del PRG, costituito dall’insieme delle opere di urbanizzazione e delle infrastrutture, opere il cui impatto potrebbe realmente incidere sui valori paesaggistici espressi dal territorio preso in considerazione … », ecco che affermano incidentalmente che la dislocazione e la conformazione d’insieme delle masse degli edifici non incide realmente sui valori paesaggistici.
Una statuizione che non solo assolutamente non convince, ma che addirittura opera un’abrogazione implicita di quella parte dell’art. 13 della legge n. 1150/1942 che impone la valutazione degli organi ministeriali sulla dislocazione d’insieme delle masse edificatorie perché riconosciuto, implicitamente, che la tutela paesaggistica non può essere conseguita attraverso la valutazione dei singoli episodi edilizi.
Dispiace che un Giudice attento come la relatrice e redattrice dott.ssa Sciarra abbia apposto la propria firma sotto questa sentenza. I Giudici non possono non sapere che fino a quando le Regioni non formano piani paesaggistici contenenti limitazioni edilizie si avrà, così, una totale deregulation nella fase di rilascio dei permessi di costruire, atteso che la Soprintendenza, in fase di valutazione dei singoli progetti edilizi dei fabbricati, non avrà strumenti concreti per impedire acché i costruendi fabbricati siano perfettamente aderenti a quella dislocazione delle masse e delle altezze fissate nei piani attuativi in ordine alle quali il Mibact non avrebbe (per effetto di questa sentenza della Consulta) alcun potere di interdizione.