Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Pacella Coluccia
Urbanistica. Differenz tra volumi tecnici e vani di sgombero
“Volumi tecnici'' sono i volumi - non utilizzabili né adattabili ad uso abitativo - strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle nome urbanistiche.
I “vani di sgombero” non sono,invece, volumi tecnici, poiché assolvono funzioni complementari all’abitazione.
Udienza Pubblica del
12.1.2007
SENTENZA N. 51
REG. GENERALE n. 35851/05
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. Ernesto Lupo Presidente
2. Dott. Claudia Squassoni Componente
3. Dott. Aldo Fiale Componente
4. Dott. Amedeo Franco Componente
5. Dott. Antonio Ianniello Componente
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PACELLA COLUCCIA Nicola, nato a Specchia il 18.2.1957
avverso la sentenza 14.3.2005 della Corte di Appello di Lecce
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Gioacchino Izzo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 14.3.2005, confermava la sentenza 24.2.2004 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase, che aveva affermato la responsabilità penale di PaceIla Colaccia Nicola in ordine al reato di cui:
- all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza di concessione edilizia, la sopraelevazione di un manufatto in muratura con annessa pensilina - acc. in Tricase, Marina Serra, il 18.3.2003) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi uno di arresto ed euro 9.000,00 di ammenda, con ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, concedendo il beneficio della sospensione condizionale subordinato alle effettive demolizione e rimessione in pristino nel termine di due mesi della formazione del giudicato.
La Corte territoriale affermava, in proposito, l'irrilevanza del permesso di costruire n. 16/2004, rilasciato dal Comune di Tricase ex art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 della legge n. 47/1985), in seguito ad autorizzazione paesaggistica del 29.9.2003, rilevando che con quel provvedimento era intervenuta sanatoria di un'opera diversa da quella effettivamente realizzata, essendo quell'accertamento di conformità riferito alla "costruzione di vani tecnici", laddove era stata realizzata invece una sopraelevazione ad uso abitativo (destinazione non consentita dalle previsioni pianificatorie vigenti).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Pacella Coluccia, il quale ha eccepito:
- l'erroneo disconoscimento di efficacia al permesso di costruire rilasciato in sanatoria, ex art. 36 del T.U. n. 380/2001, con illegittimo esercizio, da parte del giudice penale, di potestà riservata ad organi amministrativi;
- la effettiva destinazione del manufatto costruito in sopraelevazione a "vano tecnico", destinato ad accogliere una centrale termica e serbatoi idrici con pompe autoclavi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè articolato in fatto e manifestamente infondato.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, gli art. 22 e 13 della legge n. 47/1985 (le cui previsioni sono state trasfuse negli art. 36 e 45 del T.U. 380/2001) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata "in sanatoria" e di accertare che l'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. III. 30.5.2000, Marinaro; 7.3.1997, n. 2256, Tessari e altro; 24.5.1996, Buratti e altro).
Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve ricordarsi che si pone quale presupposto indispensabile, per il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, la necessità che l'opera sia "conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda" (secondo l'attuale formulazione dell'art. 36 T.U. n. 380/2001, l'intervento deve risultare "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda").
Il rilascio del provvedimento sanante, inoltre, consegue ad un'attività vincolata della PA, consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
2. Nella fattispecie in esame i giudici del merito, con argomentazioni razionali, hanno verificato in punto di fatto che la richiesta di accertamento di conformità riguardava:
- la ristrutturazione di un vano di sgombero di circa 18,90 mq., già esistente con rialzo di circa 75 cm. delle murature portanti;
- la costruzione di altro vano tecnico, di mq. 14,55, adiacente a quello esistente;
- la costruzione di una "pensilina parapioggia" di mq. 4,09.
Il permesso di costruire in sanatoria n. 16/2004 ha autorizzato "volumi tecnici", laddove invece, attraverso il complesso delle opera anzidette (eseguite a completamento di un fabbricato composto da piano seminterrato e piano terra per una superficie coperta di circa 288 mq.), è stata realizzata una vera e propria sopraelevazione ad uso abitativo, ponentesi in contrasto con le previsioni di piano vigenti.
3. "Volumi tecnici" sono i volumi - non utilizzabili né adattabili ad uso abitativo - strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all' interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
I "vani di sgombero" non sono, invece, volumi tecnici, poiché assolvono funzioni complementari all'abitazione.
Nel caso che ci riguarda - in conclusione - a fronte dell'accertata realizzazione di locali ampiamente eccedenti le strette necessità di sistemazione degli impianti idrico e termico del fabbricato preesistente nonché agevolmente adattabili ad uso abitativo - legittimamente è stato affermato che il provvedimento sanante non comporta l'estinzione del reato urbanistico, poiché non sono applicabili l'art. 22 della legge n. 47/1985, né l'art. 45 del T.U. n. 380/2001 (difettandone i presupposti).
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la Struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato motivazionale, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000/00.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
ROMA, 12.1.2007
SENTENZA N. 51
REG. GENERALE n. 35851/05
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. Ernesto Lupo Presidente
2. Dott. Claudia Squassoni Componente
3. Dott. Aldo Fiale Componente
4. Dott. Amedeo Franco Componente
5. Dott. Antonio Ianniello Componente
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PACELLA COLUCCIA Nicola, nato a Specchia il 18.2.1957
avverso la sentenza 14.3.2005 della Corte di Appello di Lecce
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Gioacchino Izzo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 14.3.2005, confermava la sentenza 24.2.2004 del Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Tricase, che aveva affermato la responsabilità penale di PaceIla Colaccia Nicola in ordine al reato di cui:
- all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza di concessione edilizia, la sopraelevazione di un manufatto in muratura con annessa pensilina - acc. in Tricase, Marina Serra, il 18.3.2003) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi uno di arresto ed euro 9.000,00 di ammenda, con ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, concedendo il beneficio della sospensione condizionale subordinato alle effettive demolizione e rimessione in pristino nel termine di due mesi della formazione del giudicato.
La Corte territoriale affermava, in proposito, l'irrilevanza del permesso di costruire n. 16/2004, rilasciato dal Comune di Tricase ex art. 36 del T.U. n. 380/2001 (già art. 13 della legge n. 47/1985), in seguito ad autorizzazione paesaggistica del 29.9.2003, rilevando che con quel provvedimento era intervenuta sanatoria di un'opera diversa da quella effettivamente realizzata, essendo quell'accertamento di conformità riferito alla "costruzione di vani tecnici", laddove era stata realizzata invece una sopraelevazione ad uso abitativo (destinazione non consentita dalle previsioni pianificatorie vigenti).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Pacella Coluccia, il quale ha eccepito:
- l'erroneo disconoscimento di efficacia al permesso di costruire rilasciato in sanatoria, ex art. 36 del T.U. n. 380/2001, con illegittimo esercizio, da parte del giudice penale, di potestà riservata ad organi amministrativi;
- la effettiva destinazione del manufatto costruito in sopraelevazione a "vano tecnico", destinato ad accogliere una centrale termica e serbatoi idrici con pompe autoclavi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè articolato in fatto e manifestamente infondato.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, gli art. 22 e 13 della legge n. 47/1985 (le cui previsioni sono state trasfuse negli art. 36 e 45 del T.U. 380/2001) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata "in sanatoria" e di accertare che l'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso ex art. 5 della legge 20.3.1865, n. 2248, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. III. 30.5.2000, Marinaro; 7.3.1997, n. 2256, Tessari e altro; 24.5.1996, Buratti e altro).
Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve ricordarsi che si pone quale presupposto indispensabile, per il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, la necessità che l'opera sia "conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda" (secondo l'attuale formulazione dell'art. 36 T.U. n. 380/2001, l'intervento deve risultare "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda").
Il rilascio del provvedimento sanante, inoltre, consegue ad un'attività vincolata della PA, consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
2. Nella fattispecie in esame i giudici del merito, con argomentazioni razionali, hanno verificato in punto di fatto che la richiesta di accertamento di conformità riguardava:
- la ristrutturazione di un vano di sgombero di circa 18,90 mq., già esistente con rialzo di circa 75 cm. delle murature portanti;
- la costruzione di altro vano tecnico, di mq. 14,55, adiacente a quello esistente;
- la costruzione di una "pensilina parapioggia" di mq. 4,09.
Il permesso di costruire in sanatoria n. 16/2004 ha autorizzato "volumi tecnici", laddove invece, attraverso il complesso delle opera anzidette (eseguite a completamento di un fabbricato composto da piano seminterrato e piano terra per una superficie coperta di circa 288 mq.), è stata realizzata una vera e propria sopraelevazione ad uso abitativo, ponentesi in contrasto con le previsioni di piano vigenti.
3. "Volumi tecnici" sono i volumi - non utilizzabili né adattabili ad uso abitativo - strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all' interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
I "vani di sgombero" non sono, invece, volumi tecnici, poiché assolvono funzioni complementari all'abitazione.
Nel caso che ci riguarda - in conclusione - a fronte dell'accertata realizzazione di locali ampiamente eccedenti le strette necessità di sistemazione degli impianti idrico e termico del fabbricato preesistente nonché agevolmente adattabili ad uso abitativo - legittimamente è stato affermato che il provvedimento sanante non comporta l'estinzione del reato urbanistico, poiché non sono applicabili l'art. 22 della legge n. 47/1985, né l'art. 45 del T.U. n. 380/2001 (difettandone i presupposti).
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la Struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato motivazionale, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000/00.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
ROMA, 12.1.2007