LA TUTELA DELL’AMBIENTE TRAMITE IL DIRITTO PENALE: PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE
a cura del dott. Alberto Galanti - Magistrato

Pubblicato su IndustrieAmbiente.it (si ringrazia il dott. Roberto Mastracci per averne concesso la pubblicazione)

La cornice europea
La normativa in tema di dell’ambiente costituisce uno degli esempi icastici di come l’Europa sia in grado di fungere da traino per Paesi tradizionalmente lenti nel recepire le istanze di tutela emergenti dal divenire della società.Nella materia che qui occupa il Consiglio d’Europa già nel 1998 ebbe ad emanare, conscio dell’insufficienza del presidio costituito dalle sanzioni contenute nelle varie Direttive della CEE in materia di acqua, aria e rifiuti, una Convenzione (firmata a Strasburgo il 4.11.1998) sulla protezione dell’ambiente tramite il diritto penale.
Le novità contenute nella Convenzione erano fondamentalmente due.
In primo luogo, per la prima volta si pensava all’introduzione di fattispecie delittuose volte a tutelare gravi attentati all’ambiente.
In secondo luogo si prevedeva la responsabilità delle persone giuridiche in caso di accertate violazioni.
Si prevedevano, in particolare, le seguenti violazioni:

a) lo scarico, l’immissione o l’introduzione di una quantità di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nell’acqua in grado di:
- causare la morte o lesioni gravi a persone;
- creare un rischio significativo di causare morte o lesioni gravi a persone;
b) lo scarico, l’immissione o l’introduzione illegali di una quantità di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nell’acqua che causino o siano in grado di causare un deterioramento durevole degli stessi ovvero la morte o lesioni gravi di persone o danni sostanziali a monumenti protetti, a altri beni protetti, al patrimonio, a piante o animali;
c) il deposito, trattamento, stoccaggio, trasporto, esportazione o importazione illegali di rifiuti pericolosi che causino o siano in grado di causare la morte o lesioni gravi di persone o un danno sostanziale alla qualità dell’aria, del suolo, dell’acqua, di piante o animali;
d) l’illegale funzionamento di un impianto produttivo nel quale si svolgano attività pericolose e che causino o siano in grado di causare la morte o lesioni gravi a persone o un danno sostanziale alla qualità dell’aria, del suolo, dell’acqua, di piante o animali;
e) la creazione, trattamento, stoccaggio, l’uso, trasporto, esportazione o importazione illegali di materiale nucleare o altre sostanze radioattive pericolose che causino o siano in grado di causare la morte o lesioni gravi di persone o un danno sostanziale alla qualità dell’aria, del suolo, dell’acqua, di piante o animali.
La Convenzione prevede che i reati anzidetti siano, normalmente, commessi “intenzionalmente”, locuzione che nel nostro linguaggio giuridico deve tradursi come “dolosamente”, giacché il dolo “intenzionale” esprime una forma più pregnante di prava voluntas. Si prevede tuttavia all’articolo 3 che gli Stati adotteranno misure adeguate per punire i fatti anzidetti se commessi con negligenza, ossia colposamente, salvo che espressamente non depositino una riserva con cui intendano limitare la responsabilità ai soli casi di negligenza grave (“gross negligence”). La Convenzione non è stata ratificata praticamente da alcun Paese. Tale mancanza non costituisce tuttavia sintomo di disinteresse, ma è la conseguenza del trasferimento della tematica in ambito comunitario (il Consiglio d’Europa, infatti, non è organo dell’Unione europea, come il Consiglio dell’Unione europea). Il Consiglio europeo, riunito a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, aveva chiesto alle istituzioni comunitarie uno sforzo per concordare definizioni, incriminazioni e sanzioni comuni per un numero limitato di attività criminose particolarmente gravi, ivi compresi i reati ambientali.

Il Consiglio, dietro pressione della Danimarca, ha ritenuto – nonostante nel 2001 fosse stata presentata una proposta di direttiva sulla tutela penale dell’ambiente, di disciplinare la tematica ritenendo che la materia appartenesse al cd. “terzo pilastro”, ossia la realizzazione di quello “spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia” previsto dal trattato di Maastricht.
Fu quindi adottata il 27 gennaio 2003 la Decisione Quadro 2003/80/GAI del Consiglio relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale.
La decisione quadro riprendeva in modo pressoché pedissequo i contenuto della Convenzione, prevedendo tuttavia l’introduzione di due nuove fattispecie criminose:
1) il possesso, la cattura, il danneggiamento, l\'uccisione o il commercio illeciti di esemplari di specie protette animali o vegetali o di parti di esse, quantomeno ove siano definite dalla legislazione nazionale come minacciate di estinzione;
2) il commercio illecito di sostanze che riducono lo strato di ozono, quando sono commessi intenzionalmente.
Altre piccole ma importanti modifiche riguardavano la nozione di deterioramento, che ora viene indicato come “durevole e rilevante”, e l’elemento psicologico del reato, prevedendosi all’articolo 2 che gli Stati membri dovranno prevedere la punibilità dei reati per negligenza “o quanto meno per negligenza grave”.Inoltre, tutti i rifiuti (“inclusi quelli pericolosi”) vengono inclusi nel reato di trattamento illecito di rifiuti.
Quanto alle persone giuridiche, la decisione quadro prevedeva (articolo 6) che esse fossero ritenute responsabili quando il reato fosse commesso “a loro vantaggio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, la quale detenga una posizione dominante in seno alla persona giuridica, basata sul potere di rappresentanza di detta persona giuridica, o sull\'autorità di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o sull\'esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica.
Si prevedeva altresì che le persone giuridiche potessero essere dichiarate responsabili quando la perpetrazione dei reati fosse dovuta a “carenza di sorveglianza o controllo”, richiamandosi pertanto in modo esplicito la c.d. reklessness del diritto anglosassone.

La decisione quadro è stata impugnata dalla Commissione, che già nel 2001 (proposta della Commissione Europea 2001/0076, edita nella G.U.C.E. n. 180E del 26.6.2001) aveva affermato che un “acquis communitaire in materia di reati contro l’ambiente può e deve essere stabilito nell’ambito del diritto comunitario”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 175 del Trattato istitutivo della Comunità.
La Corte di Giustizia UE, costituita in Grande Sezione, con sentenza resa il 13 settembre 2005 (causa C-176/03) ha annullato la decisione quadro, affermando che “in sede di attuazione della politica ambientale, qualunque armonizzazione penale, ancorché limitata come quella derivante dalla Decisione quadro, deve essere esclusa, quand’anche si rivelasse necessaria a garantire l’effettività del diritto comunitario”, e che “la tutela dell’ambiente costituisce uno degli obiettivi essenziali della Comunità”, riconducibile pertanto al c.d. “primo pilastro”, nel cui ambito gli artt. 174-176 del Trattato “costituiscono, in via di principio, la cornice normativa entro la quale deve attuarsi la politica comunitaria in materia ambientale”.
Pertanto, in esito a questa actio finium regundorum, la Commissione ha presentato in data 9 febbraio 2007 una proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell’ambiente.
La direttiva sostanzialmente riprende i contenuti della decisione quadro, con piccole ma significative modificazioni.
E’ stato in primo luogo aggiunto un nuovo reato consistente nel “deterioramento illecito significativo di un habitat protetto”.

Il “deterioramento durevole o sostanziale” diventa “danno rilevante” (per cui la eventuale “durevolezza” degrada a criterio per stabilire la rilevanza del danno).
È stato inoltre aggiunto un reato per le “spedizioni illegali di rifiuti”, al fine di tener conto della nuova normativa comunitaria. Le spedizioni illegali di rifiuti dovranno considerarsi reati penalmente perseguibili sono nei casi più gravi, cioè quando interessino “volumi non trascurabili” e vengano posti in essere “per fini di lucro”.
Nel funzionamento illecito di un impianto, viene altresì considerata la fattispecie in cui presso lo stesso “siano depositate sostanze o preparazioni pericolose”.

Sparisce, al contrario, ogni riferimento “a monumenti protetti, a altri beni protetti, al patrimonio”, mentre le piante e gli animali vengono più propriamente ridefiniti “flora e fauna”.
Quanto all’elemento psicologico si osserva un ribaltamento rispetto alla Convenzione COE del 1998: ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della proposta, si prevede la punibilità per colpa “quando il reato è commesso per negligenza grave e provochi danni rilevanti all\'aria, al suolo, alle acque, alla fauna o alla flora”, precisandosi tuttavia nella relazione illustrativa che “i comportamenti contemplati dalla proposta di direttiva sono considerati penalmente perseguibili quando sono commessi intenzionalmente o, quanto meno, per grave negligenza”. Si introduce inoltre un secondo limite per i colposi, prevedendosi che solo i reati di danno, e non quelli di pericolo concreto, debbano necessariamente essere puniti penalmente, salvo i diritto degli Stati membri di prevedere sanzioni più gravi.

Si introduce inoltre uno specifico obbligo di sanzionare le condotte di reato quando “sono commessi nell\'ambito di una organizzazione criminale”, con un rinvio all’emananda decisione quadro sul crimine organizzato, prevedendosi quindi un obbligo di sanzione nei confronti delle c.d. “ecomafie”.
La legislazione nazionale
La tutela dell’ambiente, in Italia, ha subito alterne fortune. Negli anni settanta, in assenza di qualsivoglia normativa di riferimento, fu la giurisprudenza ad apprestare, con una interpretazione pretoria ed evolutiva delle norme del codice penale, i primi presidi a tutela dell’ambiente. Seguì un periodo di forte spinta legislativa che, partendo dalla c.d. “legge Merli” del 1975, per passare al D.P.R. 915/1982, al D.P.R. 175/1988, al D. lgs.vo 22/1997, è infine approdata al (discusso) Testo Unico, decreto legislativo n. 152/2006.Sul versante costituzionale, il rilevo dell’ambiente nella Carta Fondamentale appare un dato acquisito. Con sentenza n. 210 del 28 maggio 1987, la Corte Costituzionale ha inteso, con la locuzione “ambiente”, tutto ciò che garantisce ed assicura la preservazione della «persona umana in tutte le sue estrinsecazioni», in questo modo riconducendolo nella sfera dei diritti fondamentali della persona. La Corte, in particolare, rinviene un ancoraggio costituzionale alla tutela dell’ambiente dal sistema normativo che emerge dal secondo comma dell’art. 9 Cost., secondo cui la Repubblica «tutela il paesaggio»e dalla disciplina contenuta nell’articolo 32 Cost., che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività.
Recentemente, con la nota sentenza n. 62/2005, il Giudice delle Leggi ha ribadito che “l’ambiente non è una materia in senso tecnico, ma un valore costituzionale”. La stessa corte, con sentenza 641/87, ha inoltre riconosciuto nell’ambiente “un bene immateriale che ha rilevanza giuridica soltanto per il riconoscimento contenuto nella stessa legge n. 349 del 1986 e che rientra fra le «res communia omnium» … unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell\'insieme, sono riconducibili ad unità.

Il fatto che l\'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l\'ordinamento prende in considerazione.
L\'ambiente é protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l\'esigenza di un «habitat» naturale nel quale l\'uomo vive ed agisce e che é necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; é imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto”.
La Corte ha quindi aggiunto che “vi sono, poi, le norme ordinarie che, in attuazione di detti precetti, disciplinano ed assicurano il godimento collettivo ed individuale del bene ai consociati; ne assicurano la tutela imponendo a coloro che lo hanno in cura, specifici obblighi di vigilanza e di interventi. Sanzioni penali, civili ed amministrative rendono la tutela concreta ed efficiente. L\'ambiente é, quindi, un bene giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme. Non é certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei c.d. “beni liberi”, é fruibile dalla collettività e dai singoli”. La stessa Carta Fondamentale, al novellato articolo 117, comma 2, lettera s), nel riservare alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, riconosce esplicitamente la valenza costituzionale di detti beni. Sul punto, la Corte ha più volte ribadito (ex plurimis sent. n. 108/2005) che la «tutela dell’ambiente di cui alla lettera s) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, si configura come una competenza statale non rigorosamente circoscritta e delimitata, ma connessa e intrecciata con altri interessi e competenze regionali concorrenti». La «tutela dell’ambiente», pertanto, non costituirebbe una “materia” in senso tecnico, quanto un “valore costituzionale trasversale”, che attraversa orizzontalmente tutto il tessuto costituzionale (v. sentt. n. 12/2007 e, soprattutto, n. 407/2002: “la tutela dell’ambiente non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze [...] che ben possono essere regionali”). Spetta quindi allo Stato determinare idonei standards di tutela da rispettare all’interno dell’intero territorio nazionale (cfr. sentenze nn. 307/2003 e), laddove le regioni possono intervenire con norme, afferenti alle materie in cui esercita la potestà legislativa concorrente, che debbono rigorosamente muoversi entro la “cornice” delineata dalla legislazione statale. (v. sentt. nn. 259/2004, 303/2003, 312/2003). Se così è, appaiono ben chiare tutte le difficoltà connesse ad una possibile definizione del “bene ambiente”, suscettibile di tutela penale (sul punto v., più diffusamente, infra). Sul versante della normazione statale, la materia ad oggi resta – salvo rare eccezioni – totalmente regolata, a livello sanzionatorio, da fattispecie contravvenzionali. La necessità di introdurre un presidio penale più forte è tuttavia avvertita da tempo. Già nel 1998 fu istituita, nell’ambito della c.d. “Commissione ecomafia” istituita dal Ministro per l’ambiente, una sottocommissione, preseduta dal Prof. Adelmo Manna, la quale produsse una bozza di articolato volto ad introdurre nel Libro II del codice penale un Titolo VI-bis, rubricato “delitti contro l’ambiente”.Il pregevole contributo, che costituisce il punto di partenza di tutti i successivi tentativi di codificazione in materia di “crimini ambientali”, mirava a realizzare in un unico contesto la tutela pena dell’ambiente e dei beni culturali, prevedendo da un lato l’introduzione di specifiche fattispecie di reato per l’”inquinamento ambientale”, il “traffico di rifiuti”, la “frode in materia ambientale”, dall’altro di reati quali “l’alterazione del patrimonio naturale” e l’”alterazione del patrimonio culturale”, oltre a contenere una specifica ipotesi di reato associativo. Anche la Commissione di riforma del codice penale presieduta dal Dr. Nordio ha tentato di fornire una sistematica collocazione dei reati ambientali in seno al codice penale, comprensiva tanto delle ipotesi contravvenzionali (rectius: “già” contravvenzionali, visto che nel progetto Nordio la distinzione tra delitti e contravvenzioni veniva eliminata) che delittuose, fra cui spiccavano, per la novità, le fattispecie di “impedimento all’accesso” e di “inottemperanza ai doveri di bonifica e ripristino”, nonché la speciale causa di non punibilità per chi rimuovesse il danno o il pericolo prima dell’esercizio dell’azione penale.

Anche la dottrina ha fornito il suo contributo. Di particolare rilievo appare infatti lo schema di DDL pubblicato sul sito www.lexambiente.it [1], coordinato dal Dr. Luca Ramacci, il quale contiene la fattispecie di “disastro ambientale” nonché una forma di estinzione delle contravvenzioni in materia di ambiente ricalcata sugli articoli 20 e seguenti del d. lgs. 758/1994.
In Parlamento, nella XV Legislatura sono stati altresì presentati numerosi disegni di legge, fra cui il DDL C-1731 (Balducci ed altri), il DDL C-368 (Sospiri)il DDL C-830 (Scalera), il DDL C- 1536 (Libè ed altri), il DDL C-2569 (Franzoso ed altri), C. 2461 (Mazzoni ed altri), e molti altri.I tempi erano maturi affinchè anche il Governo facesse sentire la sua voce.
Il disegno di legge governativo
Il 22 maggio 2007 è stato presentato alla camera dei Deputati il DDL, n. C-2692, su proposta del Ministro dell’ambiente e del Ministro della giustizia.
A differenza di alcuni progetti di legge presentati in Parlamento, il disegno di legge governativo non contiene una definizione di “ambiente” valida a fini penali.
Ad esempio, il DDL C-1536 definisce l’ambiente, ai fini della legge penale, come “l’insieme delle risorse naturali, sia come singoli elementi che come cicli naturali, del territorio e delle opere dell’uomo protette dall’ordinamento per il loro interesse ambientale, paesaggistico, artistico, archeologico, architettonico e storico”.
Tale definizione, tuttavia, ingenera confusione tra la tutela dell’ambiente e quella del paesaggio, che riceve sua autonoma disciplina nel il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490. In sede penale, inoltre, il DDL governativo C-2806, recante “Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria penale in materia di reati contro il patrimonio culturale”, presentato il 19 giugno 2007 alla Camera dei Deputati, contiene una nuova e autonoma disciplina sanzionatoria in materia di beni culturali e paesaggio
La definizione dianzi menzionata, inoltre, rischia da un lato di introdurre una nozione riduttiva del bene tutelato (ne restano fuori gli aspetti più prettamente “patrimoniali”, relativi alla fruibilità da parte della collettività), affastella dall’altro elementi eterogenei, quali le risorse naturali e il creato dall’uomo. Manca, inoltre, ogni riferimento ad un aspetto fondamentale, quale quello della tutela della vita e dell’incolumità individuale e collettiva.
La scelta, pertanto, è stata (correttamente) quella di non procedere ad una puntuale definizione del bene, ma di affidare alle fattispecie incriminatrici il compito di evidenziare, volta per volta, i beni specifici tutelati quale espressione del “valore” ambiente, come evidenziato dalla gurisprudenza costituzionale richiamata in narrativa.

Il testo, che si propone di costituire una summa ragionata delle varie iniziative legislative che lo hanno preceduto, si muove lungo tre distinte linee direttrici.
In primo luogo, si è scelto di non riservare la tutela penale dell’ambiente al solo ambito codicistico. E’ stato ritenuto infatti che le contravvenzioni meramente “formali” (mancanza di autorizzazione o violazione delle prescrizioni contenute nella stessa), nonché i reati di c.d. “pericolo astratto” (superamento di soglie di inquinamento predeterminate dalla legge) debbano continuare, per la loro stretta prossimità con normativa di carattere tecnico, ad essere disciplinate dalla normativa extracodicistica in materia di ambiente e segnatamente dal codice dell’ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), riservandosi al codice penale la materia dei delitti, colposi o dolosi, di pericolo concreto o di danno. Questa soluzione appare in maggiore sintonia con un codice penale incentrato sul rigoroso rispetto del principio di offensività del reato e coerente con le indicazioni provenienti dall’Unione europea.
In secondo luogo, si è optato di strutturare i reati in ragione del crescente grado di offesa al bene giuridico tutelato: dal pericolo concreto al danno, fino al “disastro ambientale”.
In terzo luogo si è scelto di riconoscere ai delitti introdotti natura dolosa, prevedendo poi la punibilità di talune fattispecie di reato a titolo di colpa, per coprire le varie realtà fenomeniche.
Sul punto, occorre ricordare come la proposta di direttiva imponga la punibilità almeno della “colpa grave”, ferma restando la possibilità per gli Stati membri di perseguire penalmente anche i reati commessi per semplice negligenza. Il nostro ordinamento penale ignora tuttavia il concetto di “colpa grave” come limite interno per la punibilità di determinate condotte: l’unica norma che allo stato consente una valutazione “dosimetrica” della colpa è l’articolo 133 del codice penale, secondo il quale, nell’irrogare la pena in concreto, il giudice deve tenere conto “dell’intensità del dolo e del grado della colpa”, operazione in cui si potrà tenere conto anche del livello di “scienza ed esperienza” specifiche dell’autore del reato.
Del resto, l’opportunità di inserire nel codice una definizione di colpa grave e la difficoltà di una enucleazione dei suoi contenuti concreti hanno costituito oggetto di lungo dibattito in seno alla Commissione di riforma del codice penale presieduta dal Prof. Giuliano Pisapia, proprio per la estrema delicatezza della tematica. La Commissione, nei principi di delega consegnati al Ministro, definisce la colpa come grave “quando, tenendo conto della concreta situazione anche psicologica dell’agente, è particolarmente rilevante l’inosservanza delle regole ovvero la pericolosità della condotta, sempre che tali circostanze oggettive siano manifestamente riconoscibili”.

Nell’ambito di una riforma sistematica del codice penale potrà trovare spazio una circoscrizione della responsabilità, almeno per taluni reati, nell’ambito della colpa grave, ma tale strada non appare percorribile, per i suoi effetti “di sistema”, in una riforma di settore.
Il DDL, infine, ha ritenuto (riprendendo una previsione del progetto Nordio) di introdurre all’interno del Titolo VIII, Capo I, del Libro Secondo del codice penale, l’articolo 498-bis, norma che tutela l’ambiente non già sotto il profilo squisitamente naturalistico, ma come bene economico, la cui compromissione ne impedisce la fruizione da parte della collettività.
Da ultimo, la responsabilità delle persone giuridiche, ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001, è stata ampliata anche con riferimento ai delitti in materia di ambiente.
Per le fattispecie contravvenzionali previste, in primo luogo, dal Codice dell’Ambiente, si prevede (conferendo a tal fine apposita delega al Governo) la possibilità di definizione anticipata secondo il meccanismo prescrizioni/pagamento in misura ridotta, sperimentato con successo dal decreto legislativo 758/1994 in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, prevedendosi peraltro l’esclusione dalla procedura per le contravvenzioni aventi ad oggetto sostanze pericolose ovvero connotate da maggiore pericolosità.

Per quanto riguarda i rapporti tra i reati oggetto dell’intervento e il preesistente quadro normativo, è stata prevista una delega al Governo per coordinare le nuove sanzioni con le precedenti, con abrogazione delle norme incompatibili preesistenti anche apportando, ove necessario, i necessari aggiustamenti alle fattispecie penali introdotte, con particolare riferimento all’evoluzione normativa europea.
E’ chiara peraltro la scelta secondo la quale quando il medesimo fatto sarà punito in via contravvenzionale in ragione del pericolo astratto cagionato e come fattispecie delittuosa (come reato di pericolo concreto o di danno), si applicherà solo la seconda disposizione in ragione del principio c.d. di “assorbimento”.
Si prevede inoltre, quale principio di delega, che non si applichi ai delitti introdotti il principio di specialità delle sanzioni amministrative di cui all’articolo 9 della legge n. 689/1981.
Il testo governativo si compone di cinque articoli[1].

L’articolo 1 reca modifiche al codice penale.
La lettera a) prevede l’introduzione nel Libro II del codice penale del TITOLO VI-bis, rubricato “Dei delitti contro l’ambiente”.

La lettera b) introduce le nuove fattispecie criminose.
L’articolo 452-bis, rubricato “Inquinamento ambientale”, punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da cinquemila a trentamila euro chiunque illegittimamente immette nell’ambiente sostanze o energie cagionando o contribuendo a cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante:
a) delle originarie o preesistenti qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell’aria;
b) per la flora o per la fauna selvatica
Nella formulazione della norma, si è ritenuto opportuno distinguere le varie componenti di cui il bene ambiente si compone, onde evitare sovrapposizioni e confusioni normative. La locuzione “illegittimamente” esprime in modo sintetico tutti i casi in cui l’emissione non sia consentita dalla normativa o da provvedimenti dell’autorità (la proposta di direttiva utilizza la locuzione “illecitamente” per indicare “la violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o decisioni della Comunità, degli Stati membri o di un’autorità competente finalizzate alla protezione dell’ambiente”).
Il successivo articolo 452-ter, rubricato “Danno ambientale. Pericolo per la vita o l’incolumità personale”, punisce l’autore del fatto di cui all’articolo che precede con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da ventimila a sessantamila euro, se la compromissione durevole o rilevante si verifica. La proposta di direttiva non definisce la nozione di compromissione rilevante, lasciando agli Stati membri il compito di definire l’ambito della “rilevanza”. Nel testo proposto si riprende sostanzialmente la definizione contenuta nel progetto Nordio, incentrata non tanto sull’attività in sé quanto sugli effetti della stessa sull’ambiente. La compromissione, quindi, si definisce rilevante “quando la sua eliminazione risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali”.
Si prevede inoltre che, se dalla illegittima immissione deriva il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni.
Il successivo articolo 452-quater (Disastro ambientale) prevede che chiunque illegittimamente immette nell’ambiente sostanze o energie cagionando o contribuendo a cagionare un disastro ambientale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da trentamila a duecentocinquantamila euro.
Si definisce disastro ambientale il “fatto che, in ragione della rilevanza oggettiva o dell’estensione della compromissione, ovvero del numero delle persone offese o esposte a pericolo, offende la pubblica incolumità”.
La definizione proposta accoglie il contributo fornito dalla giurisprudenza. La Corte di Cassazione Sez. III del 27 aprile 2004, sentenza n. 19505 (c.d. “Sentenza Porto Marghera”) ha infatti chiarito come il concetto di disastro “non può ridursi ad un concetto che racchiuda solo eventi di vasta portata o tragici. Che così non è risulta dalla complessità della questione poiché il disastro è un elemento dei reati di danno ma connota anche i reati di pericolo ed in quest\'ultimo caso la mancanza dell\'evento-danno e l\'assunzione della sola sua possibilità/probabilità come fattispecie costitutiva evidenzia il limite della «imponenza» e «tragicità» quale misura del disastro giuridicamente inteso. Anzi, proprio la qualità del bene giuridico tutelato (la pubblica incolumità) e la diffusa scelta della punibilità delle condotte generatrici anche del solo pericolo, che quindi anticipano la soglia della punibilità stessa fanno assumere sotto la stessa norma situazioni di fatto tra loro molto diverse...”.


Anche la giurisprudenza di merito ha trattato specificamente il tema del disastro ambientale, fornendo indicazioni ermenutiche preziose. Secondo Tribunale Venezia, sez. 01 sent. 29/05/2002 «elementi costitutivi del reato di disastro innominato doloso (art. 434 cod. pen.) sono la gravità e la diffusività degli eventi nell\'ambito di una comunita\', tali da porre concretamente in pericolo la pubblica incolumità, realizzati con comportamenti anche protratti nel tempo che hanno, ciascuno con efficienza causale, determinato la situazione di rischio”. Per Tribunale Massa, sent. 20/05/1993 “circa la configurabilità della specifica nozione di disastro, ed il relativo elemento psicologico del reato, devesi ritenere sufficiente una condotta colposa - sia commissiva che omissiva - che si ponga in rapporto di causalità efficiente, o anche di mera concausalità, con un «evento di danno» che colpisca collettivamente - con effetti eccezionalmente gravi, o complessi ed estesi - cose e persone, ingenerando pubblica apprensione; non e\' altresi\' da ritenere necessario che dal disastro sia conseguito un\'effettivo danno alla pubblica incolumità, in quanto il pericolo corso dalla stessa collettività, quale conseguenza di un disastro, appare circostanza sufficiente ai fini di integrare il delitto”.
Come appare evidente, ciò che contraddistingue il reato di disastro non è la sola imponenza del fenomeno, quanto gli effetti di tale imponenza sulla pubblica incolumità, che dalla portata dello stesso risulta offesa, ciò che giustifica anche la punizione di situazioni di rischio.

Accanto alla nozione “generalpreventiva” di disastro, si è tuttavia ritenuto di prevedere, quale autonoma e alternativa conseguenza, una definizione più propriamente riferita all’ambiente naturale, prevedendosi che “la stessa pena si applica se il fatto cagiona una alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema” e ciò indipendentemente dal verificarsi di una lesione per la pubblica incolumità.
Il successivo articolo 452-quinquies (Alterazione del patrimonio naturale, della flora e della fauna) sanziona condotte diverse da quelle di immissione, che pur tuttavia si connotano per la lesione del bene giuridico ambiente.
Si prevede quindi che sia punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da duemila a ventimila euro chiunque illegittimamente:
a) sottrae o danneggia minerali o vegetali cagionando o contribuendo a cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante per la flora o il patrimonio naturale;
b) sottrae animali ovvero li sottopone a condizioni o trattamenti tali da cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante per la fauna selvatica.
Nei casi previsti dal comma 1, se la compromissione si realizza, le pene sono aumentate di un terzo.
L’articolo 452-sexies contiene due circostanze aggravanti, prevedendo che nei casi previsti dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater e 452-quinquies, la pena è aumentata di un terzo se la compromissione o il pericolo di compromissione dell’ambiente:
a) ha per oggetto aree naturali protette o beni sottoposti a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico;

b) deriva dall’immissione di radiazioni ionizzanti.
Il successivo articolo 452-septies (Traffico illecito di rifiuti) punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da diecimila a trentamila euro chiunque illegittimamente, con una o più operazioni cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, tratta, abbandona o smaltisce ingenti quantitativi di rifiuti.
Se la condotta di cui al comma 1 ha per oggetto rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da ventimila a cinquantamila euro.
Se la condotta di cui al comma 1 ha per oggetto rifiuti radioattivi, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a otto anni e della multa da cinquantamila a duecentomila euro.Le pene di cui ai commi che precedono sono aumentate di un terzo se dal fatto deriva il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante:
a) delle originarie o preesistenti qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell’aria; b) per la flora o per la fauna selvatica. Se dal fatto deriva il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone, le pene previste dal primo, secondo e terzo comma sono aumentate fino alla metà e l’aumento non può essere comunque inferiore ad un terzo. Rispetto alla proposta di direttiva manca il riferimento al “fine di lucro”, ritenendosi evidentemente che il dato quantitativo fosse necessario e sufficiente quale elemento costitutivo del reato. Qualora la direttiva fosse formalmente emanata, si potrebbe valutare la possibilità di introdurre il requisito del “fine di profitto”, che comprende anche il c.d. “lucro indiretto”, ossia il risparmio per le mancate spese di smaltimento legale dei rifiuti. L’articolo 452-octies sanziona il traffico di materiale radioattivo o nucleare e l’abbandono di materiale radioattivo o nucleare. Si prevede infatti che sia punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 250.000 euro chiunque illegittimamente cede, acquista, trasferisce, importa o esporta sorgenti radioattive o materiale nucleare. Alla stessa pena soggiace il detentore che si disfa illegittimamente di una sorgente radioattiva.

La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se dal fatto deriva il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante:
a) delle originarie o preesistenti qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell’aria;
b) per la flora o per la fauna selvatica.

Se dal fatto deriva il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone, si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni e della multa da quindicimila a centomila euro.

Tale norma si rende particolarmente opportuna in quanto l’attuale normativa relativa alle sostanze radiattive (incentrata prevalentemente sul decreto legislativo n. 230/1995) appresta anch’essa una tutela meramente contravvenzionale, né la recente emanazione del Decreto Legislativo 6 febbraio 2007, n. 52, recante "Attuazione della direttiva 2003/122/CE Euratom sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane" ha potuto modificare di molto la situazione stante gli stretti confini sanzionatori contenuti nei principi di delega della legge comunitaria

L’articolo 452-nonies (rubricato “Delitti ambientali in forma organizzata”) mira a punire le c.d. “ecomafie”. Esso si compone di due commi: il primo volto ad aggravare di un terzo le pene per l’associazione per delinquere “semplice” (416 c.p.) quando essa è diretta, anche in via non esclusiva o prevalente, allo scopo di commettere taluno dei reati di cui al presente titolo.
Il secondo, invece, prevede che quando taluno dei reati previsti dal presente titolo è commesso avvalendosi delle condizioni di cui al comma terzo dell’articolo 416-bis ovvero avvalendosi dell’associazione di cui all’articolo 416-bis, le pene previste per ciascun reato sono aumentate fino alla metà e l’aumento non può comunque essere inferiore a un terzo. Rispetto ad altri disegni di legge, non si è prevista una autonoma forma di reato associativo. Tale scelta appare corretta in quanto se è vero che tale indicazione è fornita nella normativa europea, è altresì vero che molti ordinamento non conoscono una fattispecie generale di reato associativo, quale l’articolo 416 del codice penale, ciò che li costringe a prevedere autonome fattispecie per singoli reati o categorie di reati.
Nel caso di specie, non appare ravvisabile alcuna peculiarità strutturale tale da consigliare la creazione di una nuova e autonoma fattispecie criminosa (presente, ad esempio, nell’associazione di tipo mafioso di cui all’articolo 416-bis, o in quella sovversiva di cui all’articolo 270), ragion per cui si è optato per la previsione di una aggravante ad effetto speciale.
Il secondo comma, inoltre, contempla sia l’ipotesi in cui il delitto sia posto in essere direttamente dall’associazione di tipo mafioso, sia il caso in cui soggetti estranei alla stessa affidino alle mafie il compito di smaltire illegalmente in loro vece, ciò che consente di applicare loro l’aumento in via diretta ed autonoma, senza il rischio di ricorrere al tanto dibattuto “concorso esterno” nell’associazione mafiosa.L’articolo 452-decies (Frode in materia ambientale) punisce chiunque, al fine di commettere taluno dei delitti previsti nel presente titolo, ovvero di conseguirne l’impunità, falsifica in tutto o in parte, materialmente o nel contenuto, la documentazione prescritta ovvero fa uso di documentazione falsa, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa fino a diecimila euro.
Se la falsificazione concerne la natura o la classificazione di rifiuti, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da cinquemila a ventimila euro.

Tale norma appare di grande rilievo per il vasto utilizzo che si rinviene nella prassi di formulari, bolle di accompagnamento e registri di carico e scarico dei rifiuti, volti al fine di mascherare operazioni di smaltimento illecito

L’articolo 452-undecies (Impedimento al controllo) prevede che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il titolare o il gestore di un impianto che, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o immutando artificiosamente lo stati dei luoghi, impedisce o intralcia l’attività di controllo degli insediamenti o di parte di essi ai soggetti legittimati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni

Tale norma si rende assolutamente necessaria al fine di consentire agli organi di controllo, troppo spesso ostacolati nei compiti di istituto, di svolgere efficacemente il proprio lavoro.
L’articolo 452-duodecies prevede (Delitti colposi contro l’ambiente) che se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-quinquies, 452-septiese 452-octies è commesso per colpa, le pene previste dai predetti articoli è diminuita della metà.
L’articolo 452-terdecies (Pene accessorie. Confisca) prevede che la condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-quinquies, 452-septies e 452-octies comporta, per tutta la durata della pena principale:

1) la interdizione temporanea dai pubblici uffici
2) la interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;
3) la incapacita` di contrattare con la pubblica amministrazione;
La condanna per alcuno dei delitti previsti dal presente titolo, ad eccezione degli articoli 452-decies e 452-quaterdecies, terzo comma, comporta la pena accessoria della pubblicazione della sentenza penale di condanna.
Alla condanna ovvero all’applicazione di pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale per il reato di cui all’articolo 452-septies consegue in ogni caso la confisca dei mezzi e degli strumenti utilizzati, ai sensi dell’art. 240, comma 2.
Alla condanna ovvero all’applicazione di pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale per il reato di cui all’articolo 452-octies consegue in ogni caso la confisca della sorgente radioattiva o del materiale nucleare. La sorgente o il materiale nucleare confiscati sono conferiti all’Operatore nazionale ovvero al gestore di un impianto riconosciuto secondo le modalità definite dalla normativa tecnica nazionale.
L’articolo 452-quaterdecies (Bonifica e ripristino dello stato dei luoghi) dispone che in caso di condanna ovvero di applicazione della pena ai sensi dall’articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice ordina la bonifica, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’articolo 197
L’eventuale concessione della sospensione condizionale della pena è in ogni caso subordinata all’adempimento degli obblighi di cui al primo comma.

Accanto alla sanzione “processuale” dell’obbligo di bonifica e dell’eventuale revoca del beneficio della pena sospesa, il DDL prevede anche una specifica sanzione sostanziale: il terzo comma della disposizione in esame prevede infatti una la pena della reclusione da uno a quattro anni nei confronti di chi non ottempera alle prescrizioni imposte dalla legge, dal giudice ovvero da un ordine dell’Autorità per il ripristino, il recupero o la bonifica dell’aria, dell’acqua, del suolo, del sottosuolo e delle altre risorse ambientali inquinate.La lettera c) dell’articolo 1 introduce, al Titolo VIII, Capo I, del Libro II del codice penale, dopo l’articolo 498, l’articolo 498-bis (Danneggiamento delle risorse economiche ambientali), il quale tutela il bene ambiente inteso in senso economico, punendo con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da ventimila a cinquantamila euro la condotta di chi offende le risorse ambientali in modo tale da pregiudicarne l’utilizzo da parte della collettività, gli enti pubblici o imprese di rilevante interesse.
Il rigore sanzionatorio che ispira tutta l’iniziativa legislativa è temperato da tre disposizioni, che consentono di attribuire al DDL un giudizio di sostanziale equilibrio nella distribuzione dei “costi” della novella a carico dei suoi destinatari.
L’articolo 452 – quinquiesdecies (Ravvedimento operoso) prevede che le pene previste per i delitti previsti dal presente titolo sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, nell’individuazione o nella cattura di uno o più autori di reati, nell’evitare la commissione di ulteriori reati e nel consentire la sottrazione di risorse rilevanti per la commissione di delitti.
L’articolo 452-sexiesdecies (Causa di non punibilità) prevede una specifica causa di non punibilità per l’autore di taluno dei fatti previsti dai precedenti articoli del presente titolo, che volontariamente rimuova il pericolo ovvero elimini il danno da lui provocati prima che sia esercitata l’azione penale.L’articolo 3 del DDL, nei criteri di delega al Governo, prevede inoltre l’introduzione di una procedura di estinzione delle contravvenzioni e delle violazioni amministrative previste dalla normativa speciale in materia ambientale, fra cui le violazioni previste dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, da disciplinare in modo sostanzialmente analogo a quella degli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, con esclusione delle violazioni relative a sostanze pericolose ovvero delle fattispecie connotate da maggiore pericolosità.
L’articolo 2 del disegno di legge reca modificazioni al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, inserendovi un articolo 25-sexies - (Reati ambientali).
Si prevede (anticipando i contenuti della proposta di direttiva in tema di responsabilità delle persone giuridiche) che, in relazione alla commissione di taluno dei delitti previsti dal Titolo VI-bis del Libro II del Codice Penale si applichino all\'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:


a) per i delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quinquies, 452-septies, primo e secondo comma, 452-octies, primo comma, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;
b) per i delitti di cui agli articoli 452-quater, 452-septies, terzo, quarto e quinto comma, e 452-octies, secondo e terzo comma, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote;

Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera b), si applicano le sanzioni interdittive previste dall\'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.

Al comma 3 si dispone che se l\'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei agli articoli 452-septies e 452-octies, si applica la sanzione dell\'interdizione definitiva dall\'esercizio dell\'attività ai sensi dell\'articolo 16, comma 3 del decreto.

L’articolo 3 del disegno di legge conferisce delega al Governo per adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, uno o più decreti legislativi concernenti il riordino, il coordinamento e l’integrazione delle disposizioni legislative concernenti illeciti penali ed amministrativi in materia di difesa dell’ambiente e del territorio, nonché la previsione di una procedura di estinzione agevolata delle violazioni contravvenzionali e amministrative in materia di ambiente. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge, il Governo potrà emanare disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del comma 1.

Nell’esercizio della delega di cui al punto 1, il Governo si dovrà attenere inoltre ai seguenti principi e criteri direttivi:


1) abrogazione esplicita di tutte le norme incompatibili con quelle introdotte;
2) disciplina del principio di specialità tra sanzioni amministrative e le sanzioni penale introdotte dalla presente legge, nel senso che ai fatti puniti ai sensi del titolo VI-bis del libro secondo codice penale si applichino soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di ambiente.
Nell’esercizio del potere di delega, il Governo viene altresì autorizzato ad apportare alle fattispecie introdotte dagli articoli 1 e 2 della legge, tutte le modifiche necessarie a coordinare l’intervento legislativo proposto con l’assetto normativo previgente al fine di evitare duplicazioni, lacune e sovrabbondanze, anche alla luce della normativa europea eventualmente introdotta in materia di tutela penale dell’ambiente nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge e quelle di entrata in vigore del decreto o dei decreti delegati.

La presente relazione sarebbe monca senza un, sia pur fugace, cenno al DDL governativo in materia di reati contro il paesaggio ei beni culturali.

Il testo, oltre a prevedere fattispecie di reato “comuni” qualificate dal bene giuridico leso (ricettazione, furto, riciclaggio), riprendendo la sistematica della Commissione Manna (che distingueva le due ipotesi delittuose di “alterazione del patrimonio naturale” e “alterazione del patrimonio culturale”) contempla una specifica circostanza aggravante del reato di danneggiamento di cui all\'articolo 635 del codice penale ove esso abbia ad oggetto un bene culturale, con espressa previsione di una fattispecie di reato di danneggiamento colposo.

Il testo prevede, in oltre, di trasformare la fattispecie contravvenzionale di cui all\'articolo 734 del codice penale nel delitto di “danneggiamento di bene paesaggistico” e prevedendone una fattispecie colposa,

Si prevede inoltre:
a) di riformulare, trasformandola in delitto, la fattispecie contravvenzionale di cui all\'articolo 181, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, concernente i lavori di qualsiasi genere eseguiti su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione dell\'autorità competente o in difformità da essa, prevedendo sanzioni analoghe a quelle stabilite per il delitto di cui alla lettera a) ed estendendone l\'applicabilità ai casi di inosservanza del divieto di esecuzione o dell\'ordine di sospensione dei lavori, impartiti a norma dell\'articolo 150 del decreto legislativo n. 42 del 2004;

b) di rivedere il sistema delle aggravanti previste al comma 1-bis del medesimo articolo 181, disciplinando i casi in cui i lavori illeciti ricadano in parchi archeologici o aree di interesse archeologico ovvero abbiano comportato la realizzazione di nuove volumetrie o aumenti della volumetria originaria superiori a una misura da determinare specificamente; confermare l\'esimente di cui al comma 1-ter del medesimo articolo 181; confermare che con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato e prevedere la confisca di quanto sequestrato;

c) di prevedere (specularmente a quanto visto in materia di delitti contro l’ambiente) il delitto di frode in materia paesaggistica, costituito dal fatto di chi, al fine di commettere i delitti di cui alle lettere a) e b), ovvero di conseguirne l\'impunità, falsifica, anche solo parzialmente, materialmente o nel contenuto, la prescritta documentazione ovvero fa uso di documentazione falsa.

d) di predisporre sanzioni adeguate a carico delle persone giuridiche.
Alberto Galanti Magistrato addetto all’Ufficio Legislativo del ministero della giustizia
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[1] L’esposizione dei contenuti del DDL ricalca in modo fedele i contenuti della relazione di accompagnamento dello stesso.