Pres. Lupo Est. Fiale Ric. P.M. in proc. Moltisanti
Urbanistica. Reati urbanistici e potestà legislativa regionale.
Deve escludersi, in ossequio al principio di legalità, che la scelta di criminalizzare o meno una certa condotta possa attribuirsi ala Regione consentendo l’opzione fra attrarre o meno una certa attività al regime del permesso di costruire.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Camera di consiglio
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 15/06/2006
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 696
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 14559/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SIRACUSA;
avverso l'ordinanza 6/03/2006 del Tribunale per il riesame di Siracusa;
pronunziata nei confronti di:
MOLTISANTI Corrado, n. ad Ispica (RG) l'8/05/1942;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. PASSACANTANDO G. che
ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 6/03/2006 il Tribunale di
Siracusa - in accoglimento dell'istanza di riesame proposta
nell'interesse di Moltisanti Corrado - revocava il sequestro preventivo
disposto in data 26/01/2006 dal GIP. di quello stesso Tribunale ed
avente ad oggetto una tettoia di 132 mq. in corso di costruzione in
assenza di permesso di costruire (adottato in relazione all'ipotizzato
reato di costruzione abusiva, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, lett.
b) e revocava il sequestro medesimo.
Rilevava il Tribunale che:
- l'opera in corso di realizzazione consiste, allo stato, in una
tettoia in elementi lamellari di abete, di circa mq. 132, priva di
elementi di chiusura laterali, i cui puntelli di sostegno risultano
infissi per mezzo di bulloni metallici al piano di calpestio di una
terrazza privata di copertura di un edificio;
- detta opera sarebbe
sottratta al regime del permesso di costruire a norma della L.R.
Sicilia 16 aprile 2003, n. 4, art. 20, comma 3 e 4, in relazione alla
precedente L.R. 10 agosto 1985, n. 37, art. 9 sì da potere
essere
eseguita senza necessità di concessione o autorizzazione e
previa mera
presentazione al Sindaco del Comune nel quale ricade l'immobile di "una
relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione,
che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di
sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle
igienico-sanitarie vigenti";
- nella fattispecie, a fronte degli
oggettivi caratteri di precarietà del manufatto, si
profilerebbe
l'assoluta irrilevanza penale dei fatti contestati, alla stregua di
disposizioni regionali emanate nell'esercizio di potestà
legislativa
esclusiva (art. 14 dello Statuto siciliano).
Avverso tale ordinanza
ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Siracusa, il quale ha eccepito che:
- in tema di disciplina
edilizia anche la legislazione delle Regioni a statuto speciale "si
deve armonizzare con le norme di principio della legislazione statale",
sicché "il concetto di opera precaria, cui anche la L.R. fa
riferimento, non può essere un concetto diverso da quello
previsto
dalla legislazione statale";
- nella specie, pertanto, il Tribunale
avrebbe dovuto interpretare la normativa regionale secondo i principi
della legislazione statale e ritenere, conseguentemente, che le opere
non siano precarie, in quanto non destinate a soddisfare esigenze
temporanee. Il difensore dell'indagato ha depositato memoria, in data
23/05/2006, prospettando l'inammissibilità del proposto
ricorso, che
introdurrebbe "apprezzamenti di fatto in ordine ad una situazione
accertata in concreto" e si riferirebbe a vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, laddove il sindacato di legittimità
sulle
ordinanze emesse dal Tribunale del riesame, a norma degli artt. 322 bis
e 324 c.p.p., è limitato dell'art. 325 c.p.p., comma 1,
all'esclusivo
vizio della violazione di legge.
Il ricorso del P.M. è fondato e merita accoglimento.
1. L'ammissibilità del ricorso.
Ai sensi dell'art. 325 c.p.p., contro le ordinanze emesse dal Tribunale
del riesame investito della verifica di legittimità del
sequestro, i
soggetti legittimati possono proporre ricorso per cassazione soltanto
per "violazione di legge".
Secondo l'indirizzo giurisprudenziale
ormai costante di questa Corte Suprema (vedi Sez. Unite, 28/01/2004, n.
5876; Sez., 3^, 15/07/2004, n. 36160), alla violazione di legge vanno
ricondotte la mancanza assoluta e la mera apparenza della motivazione
(e questa deve considerarsi "meramente apparente" quando sia del tutto
priva di requisiti minimi di coerenza e completezza: Sez. Unite,
28/05/2003, n. 12), ma non anche il vizio di manifesta
illogicità della
stessa ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Nella specie il P.M.
ricorrente non sovrappone una interpretazione propria a quella
effettuata da Tribunale, ma lamenta l'incoerenza della decisione
impugnata conseguente all'applicazione di erronei principi di diritto.
2. La normativa della Regione Siciliana.
In linea di principio, e con notazioni necessariamente schematiche,
deve premettersi che alla Regione autonoma Siciliana l'art. 14, lett.
f), dello Statuto (approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455)
riconosce competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica:
tale potestà, dunque, può svolgersi in maniera
piena, purché nel
rispetto dei limiti generali di legittimità (territoriale,
costituzionale, degli obblighi internazionali, etc.). La L.R. 10 agosto
1985, n. 37, art. 9 della Regione autonoma Siciliana (Nuove norme in
materia di controllo dell'attività urbanistico, edilizia,
riordino
urbanistico e sanatoria delle opere abusive) disciplina le "opere
interne" e dispone testualmente, ai primi due commi, che:
"1. Non
sono soggette a concessioni ne' ad autorizzazioni le opere interne alle
costruzioni che non comportino modifiche della sagoma della
costruzione, dei fronti prospicienti pubbliche strade o piazze,
nè
aumento delle superfici utili e del numero delle unità
immobiliari, non
modifichino la destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole
unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica
dell'immobile
e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate al
D.M. 2 aprile 1968, art. 2, lett. a) pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana n. 97 del 16 aprile 1968,
rispettino le originarie caratteristiche costruttive. Ai fini
dell'applicazione del presente articolo non è considerato
aumento delle
superfici utili l'eliminazione o lo spostamento di pareti interne o di
parte di esse. Non è altresì considerato aumento
di superficie utile o
di volume ne' modificazione della sagoma della costruzione la chiusura
di verande o balconi con strutture precarie".
2. Nei casi di cui al
comma precedente, contestualmente all'inizio dei lavori, il
proprietario dell'unità immobiliare deve presentare al
sindaco una
relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione,
che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di
sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti". La L.R. autonoma
Siciliana del 16 aprile 2003, n. 4, art. 20 (Disposizioni
programmatiche e finanziarie per l'anno 2003) introduce una norma
edilizia riguardante anch'essa le "opere interne" e dispone
testualmente, nei primi quattro commi, che:
"1. In deroga ad ogni
altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o
autorizzazioni ne' sono considerate aumento di superficie utile o di
volume ne' modifica della sagoma della costruzione la chiusura di
terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con
strutture precarie, ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla
osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel
caso di immobili soggetti a vincolo.
2. Nei casi di cui al comma 1,
contestualmente all'inizio dei lavori, il proprietario
dell'unità
immobiliare deve presentare al sindaco del Comune nel quale ricade
l'immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla
progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle
norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di
quelle
igienico-sanitarie vigenti, unitamente al versamento a favore del
Comune dell'importo di cinquanta Euro per ogni metro quadro di
superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria.
3. Le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche alla chiusura di
verande o balconi con strutture precarie come previsto dalla L.R. 10
agosto 1985, n. 37, art. 9; per tali casi è dovuto l'importo
di
venticinque Euro per ogni metro quadro di superficie chiusa.
4. Ai
fini dell'applicazione dei commi 1, 2 e 3 sono da considerare strutture
precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di
facile rimozione, si definiscono verande tutte le chiusure o strutture
precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie
esistente su balconi, terrazze a anche tra fabbricati. Sono assimilate
alle verande le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali
tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui
chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché
ricadenti su
aree private".
La Circolare 5/03/2004, n. 2 dell'Assessorato del
territorio e dell'ambiente della Regione Siciliana (pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 11 del 12/03/2004)
è
stata espressamente emanata "a chiarimento della L.R. n. 4 del 2003,
art. 20".
In essa l'organo amministrativo - dopo avere premesso che
"con l'espressione opere interne si intendono definire gli interventi
edilizi minori non incidenti sul prospetto, sulla sagoma, sulla
superficie e non comportanti un aumento di unità immobiliari
(L.R. n.
47 del 1985, ex art. 26" - ha evidenziato che "il legislatore
siciliano, già con la L.R. n. 37 del 1985, art. 9 aveva
ampliato,
rispetto alla normativa nazionale, le tipologie di tali interventi
minori includendo la chiusura di verande e balconi con strutture
precarie; successivamente con la L. n. 4 del 2003, art. 20 in sintonia
con l'evoluzione legislativa (vedi testo unico D.P.R. 6 giugno 2001, n.
380) tendente a ridurre a 2 i titoli abilitativi, la concessione
edilizia e la denuncia di inizio di attività (riservando il
primo agli
interventi rilevanti che importano un controllo preventivo e il secondo
agli interventi minori per i quali tale controllo non è
necessario),
sono state ulteriormente ampliate le tipologie assoggettate a semplice
denuncia di attività. Tra le nuove tipologie sono compresi
tutti gli
interventi su superfici sia interne che esterne che presentino come
comune denominatore la precarietà delle strutture
consistente nella
facile rimozione.
Recita inoltre l'ultima parte del comma 4 che, ai
fini dell'applicazione del regime semplificato, sono considerate
verande sia le chiusure che le strutture precarie suscettibili di
facile rimozione e che sono assimilabili alle verande numerose altre
strutture, purché aperte almeno da un solo lato su aree
private che si
devono intendere di natura pertinenziale.
D'altra parte, se così
non fosse, non si comprenderebbe per quale ragione logica la semplice
costruzione di una tettoia, o di una copertura con struttura precaria e
aperta da uno o più lati, debba scontare un regime
più rigoroso
comportante il titolo abilitativo della concessione, rispetto alla
chiusura di spazi già coperti che danno luogo ad un
intervento di
maggiore rilievo e consistenza". 3. La potestà legislativa
regionale in
materia di reati urbanistici. La Corte Costituzionale -
nell'interpretazione del principio della riserva di legge in materia
penale, posto dall'art. 25 Cost., comma 2, - ha costantemente affermato
il monopolio del legislatore statale, fondando tale posizione su
un'esegesi del complessivo sistema costituzionale che disvela la
statualità del ramo penale del diritto in ogni vicenda
costitutiva o
estintiva della punibilità. È stato evidenziato,
in particolare, che:
a) la scelta circa le restrizioni dei beni fondamentali della persona
è
cosi impegnativa che non può non essere di pertinenza dello
Stato; b)
la riserva di competenza alla legge statale è anche una
conseguenza
della necessità che vi siano in tutto il territorio
nazionale
condizioni di eguaglianza nella fruizione della libertà
personale, pena
la violazione dell'art. 3 Cost.; c) un eventuale pluralismo di fonti
regionali penali contrasterebbe con il principio dell'unità
politica
dello Stato (Si vedano, al riguardo, le ampie e diffuse argomentazioni
svolte nella sentenza n. 487 del 25/10/1989, riferita proprio a
disposizioni legislative della Regione Siciliana incidenti sul regime
del condono edilizio posto dalla L. n. 47 del 1985, art. 31). La
Consulta dunque, in coerenza con tali principi, ha più volte
censurato
leggi regionali comunque incidenti sul sistema penale, in senso
cioè
favorevole o contrario al reo.
Deve escludersi, pertanto, in
ossequio al principio di legalità, che la scelta di
criminalizzare o
meno una certa condotta possa attribuirsi alla Regione, consentendo
l'opzione fra attrarre o meno una certa attività al regime
del permesso
di costruire. In proposito:
- la formulazione del D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, art. 10, commi 2 e 3 consente alle Regioni l'esercizio di
una flessibilità normativa nella direzione di ampliare
l'area
applicativa del permesso di costruire, non determinando comunque un
ampliamento siffatto l'irrogazione delle sanzioni penali individuate
dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44;
- ai sensi del D.P.R. n.
380 del 2001, art. 22, comma 4, le Regioni a statuto ordinario possono,
con legge, ampliare o ridurre l'ambito applicativo della denuncia di
inizio dell'attività (D.I.A.), con la specificazione che gli
ampliamenti o le riduzioni delle categorie sottoposte dalla legge
statale a permesso di costruire non incidono, però, sul
regime delle
sanzioni penali, che alla sola normativa statale si correla, in
considerazione dei limiti posti dalla Costituzione alla
potestà
legislativa regionale.
4. I canoni interpretativi della normativa posta dalla Regione autonoma
Siciliana.
Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 2, comma 2, prevede che "Le Regioni a
statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano
esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel
rispetto e nei
limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione".
La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 303/2003 - ha affermato
che, quanto all'attività urbanistico-edilizia, "lo Stato ha
mantenuto
la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla
potestà di
dettare i principi della materia" e che "costituisce un principio
dell'urbanistica che la legislazione regionale e le funzioni
amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli
amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare
la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già
effettuate dalla
pubblica amministrazione". Costituisce altresì principio
della materia
"la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi
preventivi ed espressi... e taciti... libero il legislatore regionale
di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo". La L. n. 37 del 1985 e la
L. n. 4 del 2003 della Regione Siciliana - nonostante la competenza
esclusiva della Regione medesima in materia urbanistica - devono (ex
art. 117 Cost., anche come modificato dalla Legge Costituzionale n. 3
del 2001) comunque rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla
legislazione statale e quindi in ogni caso devono essere interpretate
in modo da non collidere con detti principi generali (vedi, al
riguardo: Corte Cost., sentenza n. 187 del 1997; Cons. giust. amm. Reg.
sic., 28/02/1995, n. 73; nonché Cass., Sez. 3^: 9/12/2004,
Garufi;
11/01/2002, Castiglia; 16/01/2001, Graziano).
Alla stregua di tale
premessa va effettuata, quindi, l'interpretazione della L.R. autonoma
Siciliana n. 4 del 2003, art. 20 ed al riguardo deve rilevarsi che:
- La giurisprudenza di questa Corte Suprema, con riferimento alla
normativa nazionale, è costantemente orientata nel senso che
la
trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri
perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di
pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non costituisce
realizzazione di una pertinenza, ne' intervento di manutenzione
straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta a
concessione
edilizia/permesso di costruire (vedi Cass., Sez. 3^: 28/10/2004,
D'Aurelio; 13/01/2000, Spaventi; 23/06/1989, Bindi; 6/04/1988, Rossi;
23/12/1987, Milani; 4/12/1987, Sanchini; 28/04/1983, Topi;
20/04/1983, Ambri).
- Anche il Consiglio di Stato si è espresso nel senso che la
realizzazione di una veranda chiusa con vetrate, determinando l'aumento
della superficie utile di un appartamento e la modifica della sagoma
dell'edificio, richiede il previo rilascio della concessione di
costruzione (vedi C. Stato, Sez. 5^: 8/04/1999, n. 394; 22/07/1992, n.
675).
- Il medesimo orientamento è stato espresso dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, a sezioni riunite,
con la sentenza 15/10/1991, n. 345 - pur nella vigenza della L.R. n. 37
del 1985, art. 9 ove, come già si è detto, veniva
testualmente previsto
che "Non è altresì considerato aumento di
superficie utile o di volume
ne' modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande
o balconi con strutture precarie" - e quel Consesso ha affermato la
necessità della concessione edilizia "nel caso di veranda
costruita con
elementi in alluminio e vetri che aumenti la volumetria dell'edificio
rispetto alla conformazione originaria, trattandosi peraltro di opera
destinata a perdurare a tempo indeterminato, a nulla rilevando in
contrario l'utilizzazione dei materiali diversi dalla muratura e
l'eventuale amovibilità delle strutture utilizzate".
- La L.R. n. 4 del 2003, art. 20 è intitolato "opere
interne", pur riguardando interventi edilizi anche "esterni".
Esso disciplina:
a) "la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi
interni con strutture precarie";
b) la realizzazione di verande, definite come "chiusure o strutture
precarie relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze
e anche tra fabbricati";
c) la realizzazione di altre strutture,
comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa riferimento a
tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a
condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture
precarie e siano aperte almeno da un lato.
La norma in esame dispone altresì che:
aa) gli interventi dianzi descritti non sono considerati aumento di
superficie utile o di volume ne' modifica della sagoma della
costruzione;
bb) "sono da considerare strutture precarie tutte
quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile
rimozione". - La mancanza di precarietà di una
trasformazione
urbanistico- edilizia del territorio è elemento essenziale
che deve
sempre esistere perché si possa riconoscere la
necessità del permesso
di costruire: in presenza di una precarietà dei manufatti,
invero, non
sussistono quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica
vuole regolare.
Le disposizioni regionali anzidette, procedendo
alla identificazione in via di eccezione di determinate opere precarie
non soggette a permesso di costruire, privilegiano - rispetto alla
interpretazione generale pur condivisa dal Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione Siciliana, con la sentenza 23/10/1998, n.
633 - il "criterio strutturale" (la circostanza che le parti di cui la
costruzione si compone siano facilmente rimovibili) a discapito di
quello "funzionale" (l'uso realmente precario e temporaneo cui la
costruzione è destinata). Tali disposizioni, pertanto, non
possono
essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti ed in
relazione alle stesse, anche nella accentuazione del riferimento alle
modalità costruttive ed alla stabilità materiale
dei manufatti, deve
rilevarsi che:
a) la "sagoma" di una costruzione attiene alla
conformazione planovolumetrica della stessa ed al suo perimetro inteso
in senso sia verticale sia orizzontale (vedi Cass., Sez. 3^:
18/03/2004, Calzoni;
9/02/1998, Maffullo; 12.5.1994, Soprani).
La norma regionale in esame pone eccezioni, quanto all'alterazione
della sagoma, in relazione al contorno orizzontale dell'edificio,
mentre non stabilisce che le opere da essa previste possano realizzarsi
in sopraelevazione di esso, attuandosi così una
modificazione del
perimetro verticale. Non può ritenersi, cioè, che
il legislatore
regionale abbia inteso consentire sostanzialmente la generalizzata
sopraelevazione di tutti gli edifici esistenti sul territorio isolano,
sia pure con strutture da considerarsi "precarie" nel senso dianzi
specificato, perché interventi siffatti, incidendo con
modalità
incrementative sui limiti di altezza dei fabbricati normativamente
fissati per le diverse zone territoriali omogenee, introducono
modifiche rilevanti delle caratteristiche fondamentali sia del singolo
edificio sia dell'aggregato urbano;
b) non può comunque
considerarsi "realizzata in modo tale da essere suscettibile di facile
rimozione" una tettoia di ampie dimensioni (pur sempre non intesa
oggettivamente a soddisfare necessità contingenti e limitate
nel
tempo), realizzata sul terrazzo di copertura di un edificio e
stabilmente incorporata, mediante plurimi puntelli di sostegno, alle
opere murarie già esistenti sì da non potersi
procedere alla
separazione se non incidendo sull'integrità di dette opere.
Deve
concludersi, pertanto, che la tettoia oggetto della fattispecie in
esame (pur presentandosi, allo stato, priva di elementi di chiusura
laterali) - la quale non è stata realizzata su una terrazza
di
collegamento ne' copre spazi già aggettanti dell'edificio,
ma si pone
in elevazione dello stesso per una rilevante estensione - essendo
idonea a determinare una stabile trasformazione del territorio, con
incremento dei limiti di altezza e possibile incidenza anche sul
computo delle distanze tra fabbricati, resta al di fuori dell'area di
applicazione della L.R. n. 4 del 2003, art. 20. 5. Per tutte le
considerazioni dianzi svolte, l'ordinanza impugnata deve essere
annullata con rinvio al Tribunale di Siracusa, il quale si
atterrà, in
sede di nuovo esame della vicenda, ai principi di diritto sopra
enunciati.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione;
visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.;
annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Siracusa.
Così
deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2006