Cass. Sez. III n. 33034 del 4 ottobre 2006 (c.c. 25 mag. 2006)
Pres. Postiglione Est. Franco Ric. Ercolino
Urbanistica. D.I.A. e termini

Il T.U. edilizia colloca alla scadenza del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il quale l’interessato può iniziare i lavori ed il termine ultimo entro il quale la P.A. può inibire l’inizio delle opere, fermo restando il potere di far cessare i lavori che dovessero risultare illegittimi con gli opportuni poteri di autotutela, di vigilanza e sanzionatori.

Camera di consiglio del 25.5.2006
SENTENZA N. 626
REG. GENERALE n. 13818/2006


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III.mi Signori
1. Dott. Amedeo POSTIGLIONE                               Presidente
2. Dott. Alfredo TERESI                                           Consigliere
3. Dott. Mario GENTILE                                           Consigliere
4. Dott. Amedeo  FRANCO  (est.)                             Consigliere
5. Dott. Antonio IANNIELLO                                      Consigliere

 
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da Ercolino Giovanni, nato ad Avella il 21 settembre 1968, e da Ercolino Carmine, nato ad Avella il 7 luglio 1931;


avverso l'ordinanza emessa il 10 marzo 2006 dal tribunale di Avellino, quale giudice del riesame;


udita nella udienza in camera di consiglio del 25 maggio 2006 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Guglielmo Passacantando, che ha concluso per il rigetto del ricorso;


Svolgimento del processo


Con decreto del 20 febbraio 2006 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avellino dispose il sequestro preventivo, in relazione al reato di cui all'art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, di un'area interessata ai lavori di ampliamento di un impianto di distribuzione di g.p.l. facente capo ai due indagati.


Il tribunale del riesame di Avellino, con la ordinanza impugnata, respinse la richiesta di riesame osservando: a) che il responsabile comunale aveva chiesto, sia pur tardivamente, una integrazione della documentazione allegata alla denunzia di inizio attività relativa ai lavori in questione, e che i documenti richiesti non risultavano ancora prodotti; b) che quindi, nonostante il decorso del termine di trenta giorni di cui all'art. 23 testo unico dell'edilizia, doveva essere ancora valutata la sussistenza delle condizioni per poter utilmente seguire la procedura di cui alla detta disposizione; c) che sussisteva il periculum in mora a nulla rilevando che i lavori fossero stati sospesi dopo la richiesta di integrazione documentale.


Gli indagati propongono ricorso per cassazione deducendo:


a) violazione di legge e mancanza di motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari;


b) violazione dell'art. 23 testo unico dell'edilizia. Osservano che non sussisteva il fumus del reato contestato dal momento che era gia decorso il termine di 30 giorni di cui all'art. 23 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, dalla data del 4.11.05 in cui era stata depositata la denunzia di inizio attività.


Motivi della decisione


II ricorso è fondato essendo l'ordinanza impugnata chiaramente erronea.


Dallo stesso testo dell'ordinanza si ricava, infatti, che gli odierni ricorrenti avevano regolarmente presentato al comune la denunzia di inizio attività per l'esecuzione dei lavori di ampliamento dell'impianto di distribuzione e che erano decorsi i 30 giorni previsti dall'art. 23 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, senza che il comune avesse effettuato alcun rilievo e soprattutto senza che avesse esercitato il potere inibitorio previsto dal comma 6 del medesimo articolo, notificando agli interessati l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento avendo riscontrato l'assenza di una o più delle condizioni stabilite.


Essendo quindi decorso il termine di 30 giorni senza l'emanazione di un provvedimento inibitorio da parte del comune, si era ormai formato il provvedimento amministrativo abilitativo e quindi gli indagati erano muniti di un valido ed efficace titolo che attribuiva loro il diritto di eseguire l'intervento di cui alla denuncia di attività.


Né potrebbe pensarsi che il comune abbia esercitato legittimamente il potere inibitorio dopo la scadenza del termine di 30 giorni, dal momento che deve ritenersi - conformemente del resto all'orientamento della giurisprudenza amministrativa - che alla scadenza del trentesimo giorno senza l'emanazione di un ordine del comune di non effettuare l'intervento, da un lato, si forma il titolo abilitativo e sorge il diritto dell'interessato ad eseguire i lavori e, dall'altro lato, viene meno il potere del comune di emanare legittimamente un provvedimento inibitorio ai sensi dell'art. 23, comma 6, d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 308/2004; Sez. IV, n. 3498/2005).


E difatti, il citato art. 23 prescrive al comma 1 che «il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia... », e al comma 6 che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento.... ».


II testo unico dell'edilizia, pertanto, ha espressamente collocato allo scadere del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il quale l'interessato può iniziare i lavori e il termine ultimo entro il quale la P.A. può inibire l'inizio delle opere.


Ciò, ovviamente, non significa che la pubblica amministrazione, allo scadere del trentesimo giorno, abbia perso ogni potere di far cessare l'esecuzione di lavori che dovessero rilevarsi illegittimi, ma solo che non può più esercitare lo specifico potere inibitorio previsto dall'art. 23 cit. Ben può invece il comune continuare ad esercitare eventualmente tutti gli opportuni poteri di autotutela, di vigilanza e sanzionatori. Ad esempio, potrebbe essere ordinata la immediata sospensione dei lavori ai sensi dell'art. 27, terzo comma, testa unico dell'edilizia, con conseguente eventuale configurabilità del reato di cui all' art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel caso di prosecuzione dei lavori nonostante l'ordine di sospensione.


Nel caso di specie, però, non risulta che tali poteri di autotutela e sanzionatori siano stati esercitati dal comune. Anzi, dal testo della ordinanza impugnata nemmeno risulta che sia stato - sia pure tardivamente ed illegittimamente- esercitato il potere inibitorio di cui all'art. 23, comma 6, cit. L'ordinanza impugnata, infatti, ha ritenuto illecito il comportamento degli indagati esclusivamente in base alla circostanza che il comune - peraltro oltre il termine di 30 giorni - ha richiesto una integrazione della documentazione allegata alla DIA. E' però di tutta evidenza che questa semplice richiesta di documentazione non poteva certamente far venir meno l'efficacia e la validità del titolo abilitativo che si era ormai formato con la scadenza del termine e far qualificare come illecito un comportamento lecitamente tenuto dagli indagati nell'esercizio del diritto loro conferito dal titolo abilitativo già formatosi. Non è quindi in alcun modo configurabile il reato ipotizzato solo perché gli indagati hanno continuato i lavori dopo la richiesta di integrazione documentale effettuata dopo che il titolo si era già formato.


Per completezza deve anche osservarsi che nel ricorso i ricorrenti affermano che in data 5.1.06 il comune avrebbe emesso un ordine di sospensione dei lavori, che gli stessi allegano essere illegittimo. L'ordinanza impugnata non parla in alcun modo di questo ordine di sospensione dei lavori e deve pertanto ritenersi che il provvedimento cautelare non sia basato su questo provvedimento. In ogni modo, quand'anche questo ordine di sospensione fosse stato effettivamente emesso e dovesse ritenersi legittimo, risulta dalla stessa ordinanza impugnata, e comunque non è contestato, che gli indagati hanno eseguito tale ordine ed hanno immediatamente sospeso i lavori (l'ordinanza impugnata afferma che i lavori sono stati sospesi addirittura in conseguenza della richiesta di integrazione documentale) sicché, anche sotto questo profilo, non è allo stato configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.


Consegue da quanto evidenziato che devono essere annullati senza rinvio - per mancanza del fumus del reato ipotizzato - sia l'ordinanza impugnata sia il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avellino il 20.2.2006 e che va ordinata la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.


Per questi motivi


La Corte Suprema di Cassazione


annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo ed ordina la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.


Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 cod. proc. pen.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2006.


Il consigliere estensore              Il presidente
   Amedeo FRANCO                    Amedeo POSTIGLIONE