Cass. Sez.III n. 43844 del 17 novembre 2009 (Ud.24 set.2009)  
Pres.Onorato Est. Lombardi Ric. Di Nataleattenuante
Urbanistica. Attività ripristinatoria o adeguatrice a lavori già ultimati

La circostanza attenuante della riparazione del danno può essere ritenuta in caso di spontanea ed efficace esecuzione ad opera del reo, a lavori ultimati, di un'ulteriore attività edilizia con finalità ripristinatorie o di adeguamento del manufatto abusivo alle prescrizioni urbanistico-edilizie violate.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica

Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 24/09/2009

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 1532

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. MULLIRI Guicla I. - Consigliere - N. 17336/2009

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Avv. BORROMETI Fabio, difensore di fiducia di DI NATALE Concetto, n. a Udine il 9.4.1944;

avverso la sentenza in data 5.11.2008 della Corte di Appello di Catania, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Modica in data 19.4.2007, venne condannato alla pena di giorni venti di arresto ed Euro 22.000,00, di ammenda, quale colpevole del reato di cui del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142, 146 e 181.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. LOMBARDI Alfredo Maria;

Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. DI POPOLO Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha confermato la pronuncia del Tribunale di Modica con la quale Di Natale Concetto era stato dichiarato colpevole del reato di cui al D.Lgs n. 42 del 2004, artt. 142, 146 e 181, a lui ascritto per avere realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, il tetto di copertura di un fabbricato in difformità dell'autorizzazione in data 27.1.2001 dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo ed, in particolare, per avere utilizzato per detta copertura tegole marsigliesi invece che i tipici coppi siciliani e per avere realizzato la falda del tetto con sbalzi ed aggetti sia alla linea di gronda che al colmo.

Il giudice di primo grado aveva, invece, escluso la responsabilità dell'imputato in ordine alla ulteriore difformità contestatagli, consistita nel non avere demolito una scala esterna che conduce al sottotetto.

La Corte territoriale ha rigettato il motivo di gravame con il quale l'appellante aveva dedotto che alla data dell'accertamento non era scaduto il termine concesso dalla Soprintendenza per il completamento dei lavori, sicché l'imputato avrebbe potuto ultimare detti lavori secondo le prescrizioni dell'autorità amministrativa. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia per carenza assoluta di motivazione e violazione di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 125 c.p.p., e carenza assoluta di motivazione. Si deduce che la sentenza impugnata è totalmente carente della indicazione delle ragioni che hanno indotto i giudici della Corte territoriale a respingere il gravame.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia l'esercizio da parte del giudice di poteri riservati dalla legge agli organi amministrativi e violazione di legge.

Si deduce che i lavori venivano eseguiti non solo in base all'autorizzazione n. 182 del 18.6.2001, ma altresì di un ulteriore provvedimento di approvazione del progetto di variante n. 49 del 6.3.2003; che, pertanto, alla data del 7.4.2005, di accertamento della violazione da parte degli organi della polizia municipale, non era ancora scaduto il termine triennale per la esecuzione dei lavori, sicché alla predetta data non era ancora possibile contestare la commissione di alcun illecito, in quanto non ancora configurabile in pendenza del termine per la ultimazione dell'intervento edilizio. Il ricorso non è fondato.

Osserva la Corte che l'imputato non risulta avere mai dedotto nella sede di merito che i lavori eseguiti fossero conformi alla autorizzazione per la esecuzione di varianti al progetto originario, ma solo che alla data dell'accertamento da parte degli organi di polizia municipale non era ancora scaduto il termine per il completamento dell'intervento edilizio.

Tale deduzione è stata ribadita anche in sede di legittimità, sia sotto il profilo del vizio di motivazione sul punto della sentenza impugnata, che per sostenere la tesi difensiva, secondo la quale la commissione del reato non si sarebbe perfezionata alla data dell'accertamento eseguito dai verbalizzanti.

Tale tesi è infondata.

Sul punto, peraltro, la sentenza impugnata, anche se in termini estremamente succinti, risulta correttamente motivata, avendo respinto l'assunto difensivo in base al rilievo che i lavori erano ultimati alla data dell'accertamento eseguito dai verbalizzanti. Accertamento che non ha formato oggetto di alcuna contestazione ed è senz'altro assorbente.

Con l'ultimazione dei lavori, invero, l'illecito risulta perfezionato in tutti i suoi elementi costituivi.

Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, infatti, l'ultimazione dei lavori determina la cessazione della permanenza dei reati afferenti alle violazioni edilizie e paesaggistiche (cfr. sez. 6^, 198913693, Lucarelli, RV 182274; sez. 3^, 199209617, Lino ed altro, RV 191853; sez. 3^, 199407286, Cappuccio, RV 198200; sez. un. 200217178, Cavallaro, RV 221399) e dalla data della stessa decorre il termine di prescrizione dei predetti reati.

Sicché un'ulteriore attività edilizia ripristinatoria o adeguatrice del manufatto alle prescrizioni potrebbe solo rilevare ai fini della concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6. Nè, peraltro, l'imputato ha mai dedotto nella sede di merito di essersi uniformato alle prescrizioni f. delle autorizzazioni ottenute entro il termine di scadenza da esse previsto.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Pubblica Udienza, il 24 settembre 2009. Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2009