TAR Sicilia (CT) Sez. IV n. 2178 del 14 novembre 2018
Urbanistica.Collegamento alle reti idrica e fognaria comunale

Il collegamento alle reti idrica e fognaria comunale, in assenza di puntuali precisazioni nel titolo abilitativo, deve essere inteso come diretto, non potendosi avallare interpretazioni estensive nell’ambito di un settore, come quello dell’edilizia, presupponente un pieno controllo del Comune territorialmente competente sull’operato degli interessati. La conformità delle opere in concreto realizzate rispetto a quelle consentite dal titolo abilitativo, infatti, costituisce un presupposto di legittimità la cui inosservanza è severamente punita dalla legge con la demolizione dei manufatti abusivamente edificati, salvo casi di difformità contenute per i quali è prevista una diversa e meno rigorosa sanzione.

Pubblicato il 14/11/2018

N. 02178/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00282/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 282 del 2016, proposto da
Giuseppe Antonio Schepis, Pasqualino Schepis, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Amalfa, Antonia La Cava, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Mingiardi in Catania, via G. D'Annunzio, 39/A;

contro

Comune di Gualtieri Sicaminò non costituito in giudizio;

nei confronti

Domenico Schepis, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesca De Pasquale, Antonio Suria, Maurizio Suria, con domicilio eletto presso lo studio Fausto Giannitto in Catania, via L. Rizzo,29;

per l'annullamento

del provvedimento n.191 del 26 novembre 2015 Gen.447, notificato il 27 novembre 2015, con il quale il Responsabile dell’Area S.T.A. del Comune di Gualtieri Sicaminò ha ingiunto ai ricorrenti la demolizione dell’allaccio fognario acque bianche e nere del fabbricato sito in Gualtieri Sicaminò, via Nuova, 2, censito in catasto al foglio 1, particella 2515, sub. 3, 4, 5, 6;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Domenico Schepis;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2018 il dott. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso spedito per la notifica a mezzo posta il 18 gennaio 2016 ai sensi della L. 53/1994 dall’avv. Francesco Amalfa e notificato il 20 gennaio 2016 al Comune di Gualtieri Sicaminò ai sensi dell’art.41 c.p.a., nonché depositato presso la segreteria del T.A.R. Sicilia, Sezione Staccata di Catania, il 15 febbraio 2016 ai sensi dell’art.45 c.p.a., unitamente all’istanza di fissazione dell’udienza di merito ai sensi e per gli effetti dell’art.71 c.p.a., SCHEPIS Giuseppe Antonio e SCHEPIS Pasqualino domandavano l’annullamento del provvedimento di demolizione dell’allaccio fognario acque bianche e nere del fabbricato di loro proprietà sito in Gualtieri Sicaminò alla via Nuova n.2, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi: 1) violazione ed erronea e falsa applicazione dell’art.7 L.R. 37/1985 (art.34 co.1 D.P.R. 380/2001 e art.12 L. n.47/1985), eccesso di potere sotto il profilo del difetto assoluto di attribuzione, poiché l’impianto di scarico dei reflui collegato non direttamente alla rete fognaria comunale ma al pozzetto privato di SCHEPIS Domenico costituirebbe oggetto di una servitù acquisita a titolo originario per usucapione che non pregiudica i rapporti con il Comune, stante il pagamento costante del canone fognario da parte dei ricorrenti; 2) violazione ed erronea e falsa applicazione dell’art.7 L.R. n.37/1985 (art.34 co.1 D.P.R. n.380/2001, art.12 L. n.47/1985) in relazione all’art.5 L. 37/1985, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità nei presupposti, poiché l’impianto di scarico dei reflui in questione costituirebbe, al più, una parziale difformità meritevole di una sanzione pecuniaria e non di un ordine di demolizione.

I ricorrenti deducevano di essere comproprietari dell’immobile sito in Gualtieri Sicaminò alla via Nuova n.2, censito in catasto al foglio 1, part. 2515 sub.3,4,5,6, munito di un impianto di scarico delle acque bianche e nere collegato alla rete comunale fognaria tramite un pozzetto sito nella proprietà di SCHEPIS Domenico. All’esito del sopralluogo effettuato, i tecnici comunali rilevavano la presenza del predetto impianto, ed il Responsabile dell’Area S.T.A. ne ordinava la demolizione, poiché eseguito in difformità alle C.E. n.23/1990 e 13/1994, con rimessione in pristino dei luoghi. I ricorrenti, allora, impugnavano il provvedimento di demolizione chiedendone l’annullamento.

Si costituiva in giudizio SCHEPIS Domenico, opponendosi all’accoglimento del ricorso.

Il Comune di Gualtieri Sicaminò, invece, non si costituiva in giudizio nonostante la regolare notifica del ricorso.

I ricorrenti e SCHEPIS Domenico depositavano, inoltre, memorie conclusive.

All’udienza pubblica del 25 ottobre 2018, il Collegio, dopo avere udito i difensori comparsi per le parti costituite, tratteneva il ricorso in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità dell’impugnato provvedimento poiché nelle relazioni allegate ai titoli abilitativi rilasciati, costituiti dalle concessioni edilizie n.23/1990 e 13/1994, si precisava soltanto che “l’impianto di adduzione idrico e quello di scarico delle acque bianche e nere saranno collegati alle rispettive reti comunali”, senza specificarne in modo alcuno la modalità di collegamento.

Il Collegio osserva che il collegamento alla rete comunale, in assenza di puntuali precisazioni nel titolo abilitativo, deve essere inteso come diretto, non potendosi avallare interpretazioni estensive nell’ambito di un settore, come quello dell’edilizia, presupponente un pieno controllo del Comune territorialmente competente sull’operato degli interessati. La conformità delle opere in concreto realizzate rispetto a quelle consentite dal titolo abilitativo, infatti, costituisce un presupposto di legittimità la cui inosservanza è severamente punita dalla legge con la demolizione dei manufatti abusivamente edificati, salvo casi di difformità contenute per i quali è prevista una diversa e meno rigorosa sanzione. Di conseguenza, non può ritenersi fondata la tesi del ricorrente volta a considerare inclusa nella generica nozione di collegamento alla rete comunale riportata nelle menzionate concessioni edili anche l’ipotesi di un collegamento indiretto, tanto più se lo si intenda realizzare mediante la costituzione di un’apposita servitù su un limitrofo terreno altrui, come accaduto nella fattispecie, rilevando, ai fini della valutazione di conformità delle opere costruite rispetto a quanto previsto nel titolo abilitativo di riferimento, non soltanto l’an ed il quid, ma anche il quomodo.

Pertanto, la doglianza è infondata.

Nell’ambito del primo motivo, il ricorrente deduce, poi, un ulteriore profilo di illegittimità, sostenendo la nullità ex art.21 septies L. n.241/1990 dell’ordinanza di demolizione in questione poiché incidente soltanto sui rapporti tra privati, ed ossia tra i ricorrenti ed il vicino SCHEPIS Domenico, in ordine alla prospettata controversa servitù di scolo.

Il Collegio osserva che il Comune intimato si è limitato ad accertare la difformità dell’opera in questione rispetto al titolo abilitativo che avrebbe dovuto legittimarne la realizzazione, esercitando poteri rientranti nelle sue prerogative senza alcuna indebita interferenza nei rapporti di vicinato tra privati, non rilevando la dedotta sussistenza della servitù di scolo ai fini dell’emissione dell’impugnato provvedimento.

Pertanto, il primo motivo è infondato.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione, erronea e falsa applicazione dell’art.7 L.R. 37/1985 (art.34 co.1 D.P.R. 380/2001, art.12 L. n.47/1985) in relazione all’art.5 L.R. 37/1985, l’eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti, poiché la rilevata difformità dal titolo edilizio abilitativo sarebbe talmente contenuta da essere meritevole soltanto della sanzione pecuniaria e non di quella, ben più grave, dell’ordine di demolizione nell’occasione irrogata.

Il Collegio osserva che, secondo quanto stabilito dall’art.7 della L.R. 37/1985, “Sono da considerare opere eseguite in parziale difformità dalla concessione quelle le cui variazioni siano al di sotto dei limiti fissati alle lettere b, c e d dell’art. 4 della presente legge” ed ossia non implicanti un aumento della cubatura dell'immobile superiore al 20 per cento, un aumento della superficie utile calpestabile e dell'altezza dell'immobile superiore al 10 per cento, la riduzione dei limiti di distanza dai confini o dai cigli stradali in misura superiore al 10 per cento, rispetto a quelli prescritti.

Con riguardo al caso in esame, non si riscontra nessuna delle ipotesi previste dalla legge, non superando l’opera in contestazione nessuno dei limiti dimensionali stabiliti dalla citata norma. L’impianto di scarico in questione, infatti, non implica né un aumento di cubatura, né un aumento della superficie utile calpestabile o dell’altezza dell’immobile, né una riduzione dei limiti di distanza dai confini o dai cigli stradali. Donde, la considerazione dell’impianto di scarico dei ricorrenti quale opera realizzata in parziale difformità dal titolo abilitativo.

Di conseguenza, la disciplina applicabile è quella contemplata dall’art.34 D.P.R. n.380/2001 secondo cui “Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”. E poiché la realizzazione di un collegamento diretto alla rete comunale, nella fattispecie, non pregiudica di regola, né sembra in concreto pregiudicare in assenza di prove offerte al riguardo dai ricorrenti, la parte di edificio regolarmente edificata, il Comune ha correttamente disposto la demolizione soltanto delle opere abusivamente realizzate.

Non pertinente, infine, è il richiamo all’art.5 co.1 L. 37/1985 dal momento che la disciplina evocata dai ricorrenti si applica agli “interventi di manutenzione straordinaria e di recupero conservativo” e, quindi, non anche ad opere originariamente realizzate unitamente all’edificio di cui sono parte come l’impianto in questione.

Il ricorso, pertanto, va respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza ed, avuto riguardo al valore indeterminabile della controversia ed allo scaglione di riferimento di cui all’art.5 co.6 del D.M. 55/2014 (da € 26.000,01 ad € 52.000,00), vanno liquidate in favore di SCHEPIS Domenico ed a carico dei ricorrenti nella misura di seguito indicata:

COMPENSI PROFESSIONALI

Fase di studio della controversia (rid.50%) € 977,50

Fase introduttiva del giudizio (rid.50%) € 675,00

Fase di trattazione € 0,00

Fase decisionale (rid.50%) € 1652,50

Fase cautelare € 0,00

Totale compenso per fasi € 3.305,00

Rimborso forfettario 15,00% € 495,75

C.P.A. 4% € 152,03

base imponibile € 3.952,78

I.V.A. 22% € 869,61

Somma finale € 4.822,39

Nessuna statuizione, invece, va adottata per la regolamentazione delle spese processuali tra i ricorrenti ed il Comune intimato, stante la mancata costituzione in giudizio di quest’ultimo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solito tra loro, alla rifusione delle spese processuali sostenute di SCHEPIS Domenico che liquida in € 4.822,39 a titolo di compensi, ivi incluso rimborso forfettario, C.P.A. ed I.V.A. come per legge.

Nulla sulle spese tra i ricorrenti ed il Comune di Gualtieri Sicaminò.

Manda alla Segreteria di trasmettere copia della presente decisione alle parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Giovanni Iannini, Presidente

Gustavo Giovanni Rosario Cumin, Primo Referendario

Maurizio Antonio Pasquale Francola, Referendario, Estensore