Cass. Sez. III n. 4072 del 31 gennaio 2012 (PU 20 dic. 2011)
Pres. Fiale Est. Amoresano Ric. Castellan
Urbanistica. Ampliamento manufatto

Non può ricondursi alla nozione di pertinenza urbanistica o volume tecnico l'ampliamento di un manufatto atteso che questo per la relazione di congiunzione fisica con la struttura principale costituisce parte integrante di essa quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa per la realizzazione dei bisogni cui è destinato

OSSERVA

1) Con sentenza in data 24.1.2011 la Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone dell'8.10.2009, con la quale C.A., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di giorni 20 di arresto ed Euro 11.000,00 di ammenda, con sostituzione della pena detentiva con la corrispondente sanzione pecuniaria, e perciò alla pena complessiva di Euro 11.760,00 di ammenda, per i reati di cui al D.Lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 (capo a) e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (capo b), unificati sotto il vincolo della continuazione.

Ricordava la Corte territoriale che il procedimento era nato da una notizia di reato trasmessa dal Comune di Zoppola in data 25.11.2005, con cui sì denunciava l'avvenuta realizzazione, in ampliamento di un immobile preesistente, di un locale di mt.2,35 X 2,80, adibito a ricovero di macchinari (da destinare ad affumicatura di insaccati) senza concessione edilizia ed in assenza di autorizzazione paesaggistica. Il C. era rimasto coinvolto nella vicenda in qualità di progettista e direttore dei lavori. Tanto premesso, riteneva la Corte, disattendendo i motivi di appello, che l'opera non potesse considerarsi un volume tecnico di stretta pertinenza dell'opera principale, costituendo essa un ampliamento dell'opera preesistente e ricadendo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

Non era poi maturata la prescrizione, in quanto ricadendo l'opera in zona sottoposta a vincolo, la permanenza del reato doveva ritenersi cessata solo a seguito della rimozione della stessa, accertata in data 3 ottobre 2007.

2) Ricorre per Cassazione C.A., a mezzo del difensore, denunciando la inosservanza ed erronee applicazione della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 52 del 1991, artt. 72 e 76, nonchè del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, nonchè la contraddittorietà della motivazione.

Trattandosi di volume tecnico (era stato accertato che era destinato ad impianto di lavorazione delle carni), per la realizzazione dell'opera, secondo la richiamata L.R., era, stante le limitate dimensioni del manufatto, sufficiente una DIA e non occorreva autorizzazione paesaggistica.

3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) E' vero che, secondo la L.R. Friuli, art. 72, comma 1, lett. c) sono da considerare nuovi interventi non aventi rilevanza urbanistica "la realizzazione di volumi tecnici che si rendessero indispensabili a seguito della installazione di impianti tecnologici necessari per le esigenze degli edifici esistenti".

I Giudici di merito, con accertamento in fatto, hanno, però, ritenuto che non ci si trovasse in presenza di un volume tecnico, tenuto conto che il manufatto dalle dimensioni di mt.2,5 X 2,7 circa costituiva un ampliamento dell'opera principale, (tanto che lo stesso ricorrente aveva fatto richiesta di autorizzazione edilizia, negata però dal Comune anche perchè la costruzione ricadeva in zona sottoposta a vincolo paesaggistico).

A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. c6), infatti, sono da considerare interventi di nuova costruzione, come tali richiedenti il previo rilascio di permesso di costruire, gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale". Non ogni pertinenza, quindi, è esente da permesso di costruire, ma "esclusivamente quelle di scarsa rilevanza, non solo sotto il profilo quantitativo (ovvero quelle con volumetria non superiore al quinto di quello dell'edificio principale), ma anche sotto quello qualitativo (e, cioè, sempre che le norme tecniche degli strumenti urbanistici non le considerino comunque, interventi di nuova costruzione, tenuto conto della zonizzazione e del loro impatto ambientale e paesaggistico), come ricavabile dalla previsione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e 6) (Cass.pen.sez.3 n.6109 dell'8.1.2008).

Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte non può ricondursi alla nozione di pertinenza urbanistica o volume tecnico "l'ampliamento di un manufatto atteso che questo per la relazione di congiunzione fisica con la struttura principale costituisce parte integrante di essa quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa per la realizzazione dei bisogni cui è destinato" (Cass.sez,3 , 12.10.2005 n.36941). Infatti "la nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata dall'art. 817 c.c., ha peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale - preordinata ad un'esigenza oggettiva dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede" (vedi tra le molteplici decisioni, Cass. sez.3, 9.12.2004, Bufano). L'opera pertinenziale inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, sicchè non può considerarsi tale l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte..." (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.2017 del 25.10.2007-Giangrasso; conf, più di recente, Cass.sez.3 n.20349 del 16.3.2010).

3.1.1) Per quanto riguarda piò specificamente i "volumi tecnici" si è ritenuto che "integra il reato edilizio previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), la realizzazione, senza permesso di costruire, di un volume tecnico di rilevante ingombro destinato od incidere oggettivamente in modo significativo sui luoghi esterni. (Cass.pen.sez.3 n. 7217 del 17.11.2010). Volumi tecnici, sono, infatti, "quelli strettamente necessari a consentire e contenere l'eccesso di quelle parti degli impianti tecnici e che non possono trovare sistemazione entro il corpo dell'edificio" (Cass. sez. 3 n. 2187 del 3.12.1992).

3.2) In ordine alla configuratalità, poi, del reato di cui al capo a), è pacifico che gli interventi che, comunque, alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, pur se eseguibili mediante "semplice" denuncia di inizio attività ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e 2, sia se eseguibili in base alla cosiddetta super DIA, prevista dal comma 3 della citata disposizione, necessitano del preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo" (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.8739 del 21.1.2010), configurandosi in mancanza il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (Cass. pen. sez. 3 n. 15929 del 12.1.2006).

3.3) Non può, infine, essere dichiarata la prescrizione, sia che si voglia ritenere la stessa maturata prima (non essendovi sul punto deduzioni con il ricorso), sia se maturata dopo la emissione della sentenza impugnata (l'inammissibilità del ricorso preclude la declaratoria di eventuali cause estintive).

Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent.n.23428/2005-Bracale). Tale decisione, operando una sintesi delle precedenti, ha enunciato il principio che l'intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perchè contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591 c.p.p., comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art. 606 c.p.p., comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d'ufficio. L'intrinseca incapacità dell'atto invalido di accedere davanti ai giudice dell'impugnazione viene a tradursi in una vera e propria "absolutio ab instantia" derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale".

3.4) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell'art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2011.