Cass. Sez. III n. 2693 del 23 gennaio 2012 (Ud. 3 nov. 2011)
Pres. Mannino Est. Amoroso Ric. Cofano
Urbanistica. Opere precarie

L'opera precaria, sottratta al regime concessorio, è quella oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti e quindi non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica e rivolta a regolare. Ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e 1'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente assolva

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza in data 4/12/2009 il Tribunale di Brindisi, Sezione Distaccata di Fasano, giudicando C.C. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), ne affermava la penale responsabilità e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di giorni venti di arresto ed Euro 8.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali verso lo Stato. Subordinava il concesso beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, contestualmente disposta, entro due mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.

2. Con atto depositato in data 2/3/2010 il difensore di fiducia dell'imputato interponeva appello avverso quella decisione, chiedendo l'assoluzione "con formula piena o perchè il fatto non costituisce reato" o di non doversi procedere per intervenuto rilascio di d.i.a..

Deduceva che il giudice di primo grado non aveva tenuto conto del fatto che il C. aveva edificato sul terreno promesso in vendita, avente una specifica destinazione ad attività industriale e artigianale, dei manufatti precari in cui svolgere l'attività d'impresa, previo il deposito di apposita d.i.a, per lo scavo e la costruzione di una baracca di cantiere e della recinzione. Di seguito al silenzio assenso dell'ente, verso la fine del 2005 il C. aveva proceduto a edificare quanto previsto nella d.i.a., ossia un deposito per attrezzature da cantiere edile con relativo muretto di recinzione; all'inizio del 2006 aveva posizionato su base di calcestruzzo delle strutture precarie in ferro e lamiera; il 13/11/2006 i VV.UU. avevano constatato i lavori eseguiti dal C. e, ritenendoli abusivi, li avevano sequestrati; in data 1/12/2006 il C. aveva presentato al comune di Fasano una d.i.a. in sanatoria per i lavori eseguiti successivamente alla prima d.i.a. per i quali soltanto aveva chiesto la sanatoria; il 2/3/2007 il comune di Fasano aveva rilasciato un "certificato di esecutibilità" della d.i.a, in sanatoria con cui aveva assentito la realizzazione delle opere eseguite, sicchè l'intervento originario e quello successivo risultavano conformi agli strumenti urbanistici. La precarietà e l'impatto urbanistico erano stati dunque valutati dall'amministrazione al momento del rilascio dei titoli abilitativi, sicchè il giudice avrebbe dovuto dichiarare non doversi procedere per intervenuta d.i.a. in sanatoria.

In ogni caso, l'intervento realizzato era di minima entità, non attuava una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e non determinava una perdurante modifica dello stato dei luoghi. Si trattava di opere precarie in metallo e laminato, preordinate a soddisfare esigenze transitorie sotto il profilo funzionale dell'attività d'impresa svolta dal C.. Le stesse non necessitavano, quindi, di permesso di costruire, ma potevano essere assentite con semplice d.i.a.

3. Con sentenza del 26 gennaio 2011 la corte d'appello di Lecce rigettava l'appello confermando la sentenza del giudice di primo grado.

4. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.


MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 22 e 23 censurando in particolare la mancata applicazione della causa estintiva prevista a seguito del rilascio della dia in sanatoria ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 157 c.p., comma 1, e art. 161 c.p., comma 2, censurando la sentenza impugnata per la mancata applicazione della prescrizione.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. Quanto al primo motivo la corte d'appello, con valutazione di merito ad essa devoluta, ha motivatamente ritenuto che le opere realizzate dall'imputato rientravano tra gli interventi di nuova costruzione come tale subordinati al rilascio del permesso di costruire. Infatti il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10 prevede che occorre il permesso di costruire per l'istallazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. Cfr. Cass., sez. 3, 4 aprile 2003 - 10 giugno 2003, n. 24898, che ha affermato che la asserita natura precaria di un manufatto realizzato senza permesso di costruire non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione.

Nella specie la corte territoriale ha potuto accertare che l'opera realizzata dall'imputato andava considerata come avente carattere stabile e duraturo, e nient'affatto precario. Si trattava quindi di un intervento edilizio che necessitava di permesso di costruire non essendo sufficiente la mera d.i.a..

In particolare è emerso che il C. ha realizzato, quale committente e titolare della ditta individuale Arcadia, in assenza del permesso di costruire, dei manufatti abusivi costituiti da un vano allo stato grezzo adibito ad ufficio, per una superficie di mq. 40 circa, e da due capannoni in profilati metallici ancorati stabilmente al suolo, rispettivamente di mt. 20 x 7 x 3 e di mt. 13 x 6 x 2,80, nonchè di un piazzale con battuto in cemento pari a circa mq. 270.

Tale tipologia di manufatto rientra nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 che prevede come "interventi di nuova costruzione" - in quanto tali subordinati, ai sensi del successivo art. 10, al rilascio del permesso di costruire - anche l'installazione di manufatti leggeri, pur se prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. Invece l'opera precaria, sottratta al regime concessorio, è quella oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze improvvise o transeunti e quindi non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul territorio che la normativa urbanistica è rivolta a regolare. Cfr. Cass., sez. 3, 25 febbraio 2009 - 27 maggio 2009, n. 22054, secondo cui ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente assolva.

Restano esclusi, pertanto, dal regime del permesso di costruire soltanto i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere presto eliminati.

Nella specie i giudici di merito, con valutazione in fatto ad essi devoluta, hanno accertato che il carattere stabile e duraturo delle esigenze che il manufatto abusivamente realizzato mirava a soddisfare. Si trattava infatti di una struttura in muratura, adibita ad ufficio, e di due capannoni in lamierato, ancorati al suolo, di notevoli dimensioni e destinati all'esercizio dell'attività artigianale di lavorazione del ferro, trovata in pieno svolgimento in sede di sopralluogo.

Consegue altresì che alla d.i.a. in sanatoria ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, presentata dal C. in data 11.2.2006, dopo l'accertamento dell'abuso edilizio commesso, non possa essere riconosciuta alcuna efficacia estintiva del reato. Trattandosi di opere soggette a permesso di costruire, l'effetto estintivo del reato edilizio di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 45, comma 3, si sarebbe potuto ottenere, dunque, solo con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36.

4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo atteso che il reato è stato accertato alla data del 13 novembre 2006 e quindi la prescrizione (di cinque anni, nella sua durata massima, in ragione dell'intervenuta interruzione del decorso del relativo termine) non era ancora maturata al momento della sentenza della Corte d'appello (26 gennaio 2011). La quale, con valutazione in fatto ad essa devoluta, sufficientemente e non contraddittoriamente motivata, ha collocato l'ultimazione dei lavori alla fine del gennaio 2006, ed ha altresì considerato la sospensione del termine di prescrizione per effetto del rinvio dell'udienza dal 3 aprile 2009 al 3 luglio 2009 a causa dell'adesione del difensore all'astensione collettiva delle udienze.

5. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 novembre 2011.