Cass. Sez. III n. 58313 del 27 dicembre 2018 (Ud 25 ott 2018)
Pres. Ramacci Est. Reynaud Ric. Rocco
Urbanistica.Antisismica e citazione dirigente ufficio tecnico regionale
L’obbligo previsto dall’art. 98, comma 2, d.P.R. 380 del 2001, di citare per il dibattimento il dirigente del competente ufficio tecnico regionale, ai fini della sua escussione nei procedimenti relativi ai reati concernenti le costruzioni nelle zone sismiche, deve ritenersi subordinato alla valutazione circa la rilevanza della sua deposizione in ordine all’accertamento delle contravvenzioni o all’esercizio del potere-dovere di adottare le particolari statuizioni previste dal terzo comma della disposizione nel caso di violazioni di carattere sostanziale. In ogni caso, la sua omissione non genera nullità e non integra, per ciò solo, gli estremi della mancata assunzione di una prova decisiva deducibile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 31 gennaio 2018, il Tribunale di Napoli ha condannato l’odierno ricorrente alla pena di Euro 500 di ammenda, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per aver realizzato, sul terrazzo di copertura di un preesistente edificio, una struttura in legno costituita da otto pilastrini, senza averne dato preavviso scritto al competente ufficio tecnico della regione.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo l’inosservanza degli artt. 83, 95 e 98 d.p.r. 380/2001, della l. reg. Campania n. 9 del 1983, dell’art. 131 bis cod. pen., la mancata assunzione di una prova decisiva ed il vizio di motivazione.
2.1. In particolare, si osserva innanzitutto che la natura sismica della zona in cui è stata realizzata l’opera non poteva essere affermata se non risultante da prove acquisite nel dibattimento, lamentandosi che non fosse stata assunta sul punto la prova testimoniale decisiva del dirigente dell’ufficio tecnico della regione, prevista dall’art. 98, comma 2, d.P.R. 380/2001.
2.2. L’opera oggetto di processo – una tettoia in legno di modeste dimensioni, pertinenziale all’appartamento - non sarebbe in ogni caso stata soggetta all’applicazione della contestata disciplina.
2.3. Il Tribunale, benché richiesto, non ha poi valutato l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, che ben avrebbe potuto trovare applicazione nel caso di specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato con riguardo a tutti i motivi proposti, a fronte di consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità con i quali il ricorrente in alcun modo si confronta.
1.1. Quanto alla prima doglianza, contrariamente a quanto opina il ricorrente, è orientamento di questa Corte – che qui va ribadito – quello secondo cui, in tema di reati riguardanti la prevenzione del rischio sismico, l'individuazione dei comuni e delle aree sottoposte alla legislazione antisismica non è tema di prova, in quanto gli ambiti territoriali in questione sono definiti da norme poste da fonti secondarie di diritto oggettivo, che è dovere del giudice conoscere in applicazione del principio "iura novit curia" (Sez. 3, n. 5455 del 28/11/2013, dep. 2014, Nincheri e a., Rv. 258301; Sez. 3, n. 33767 del 10/05/2007, Puleo e a., Rv. 237376). Correttamente, dunque, l’ordinanza impugnata ha accertato che l’area del comune di Pozzuoli è classificata come zona a rischio sismico “2” in base all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, pubblicata su G.U. n. 105 dell’8 maggio 2003.
1.2. L’audizione del funzionario tecnico della regione sul punto, pertanto, non costituisce prova decisiva di cui può lamentarsi l’omessa assunzione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, di fatti, è decisiva quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817). A fronte della chiara indicazione normativa di cui si è detto, non si vede – ed il ricorrente non lo allega – che cosa avrebbe potuto diversamente riferire il funzionario regionale qualora escusso.
Del resto, l’obbligo di citare il dirigente del competente ufficio tecnico della regione previsto dall’art. 98, comma 2, d.P.R. 380 del 2001 – così come l’indicazione contenuta nel primo comma della disposizione, che vincola il pubblico ministero il quale ritenga di dover disporre accertamenti tecnici sulle opere, a scegliere il consulente nell’ambito delle pubbliche amministrazioni ivi indicate, evidentemente ritenute particolarmente competenti rispetto alle valutazioni che vengono in rilievo – appare funzionale alla sua audizione in dibattimento sull’accertamento delle violazioni che integrano gli estremi di reato, in particolare quelle alla disciplina costruttiva sostanziale, nonché all’applicazione del disposto di cui al terzo comma del citato articolo. Ci si riferisce alla decisione, connotata da particolare tecnicismo, circa la necessità d’impartire con la pronuncia di condanna l’ordine di demolizione delle opere non conformi alle norme tecniche previste per l’edificazione nelle zone sismiche, oppure, in alternativa, all’individuazione delle prescrizioni necessarie per renderle ad esse conformi, disposizioni che questa Corte ha ritenuto applicabili soltanto con riferimento alle violazioni sostanziali, ovvero per la inosservanza delle norme tecniche, e non anche per le violazioni meramente formali quale quella nella specie contestata (v. Sez. 3, n. 6371 del 07/11/2013, dep. 2014, De Cesare, Rv. 258899). Così, in particolare, si spiega la ratio delle citate disposizioni di carattere procedurale, che non sono applicabili nei procedimenti per reati lato sensu edilizi diversi da quelli concernenti le violazioni in zone sismiche (Sez. 3, n. 36575 del 21/06/2011, Badagliacca e a., Rv. 251379) e che, altrimenti, stonerebbero in un sistema processuale penale ove, da sempre, si ripudiano le prove legali (v. art. 193 cod. proc. pen. e 308 cod. proc. pen. abr.), si ammettono le prove atipiche (art. 189 cod. proc. pen.), si esalta il principio del libero convincimento del giudice, che trova oggi fondamento nell’art. 192, comma 1, cod. proc. pen. (per l’affermazione di questi principi, sotto differenti angoli visuali, cfr., ex multis, Sez. 1, n. 6467 del 11/05/2017, dep. 2018, Secolo, Rv. 272100; Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Verde, Rv. 266023; Sez. 3, n. 42027 del 18/09/2014, A., Rv. 260986; Sez. 5, n. 22612 del 10/02/2009, Paluca, Rv. 244197; Sez. 4, n. 45496 del 14/10/2008, Capraro e aa., Rv. 242029; Sez. 4, n. 32300 del 06/07/2006, Bellucci, Rv. 235183).
In conclusione – viepiù nel vigente sistema processuale, improntato al principio della «massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale» (così, il primo criterio direttivo enunciato nell’art. 2, n. 1, l. 16 febbraio 1987, n. 81, contenente la delega legislativa per l’emanazione del codice di procedura penale) – la previsione contenuta nell’art. 98, comma 2, d.P.R. 380 del 2001, che riproduce il disposto dell’art. 23, secondo comma, l. 2 febbraio 1974, n. 64, non può certo essere intesa come vincolo assoluto all’audizione quale teste del funzionario dell’ufficio tecnico regionale, né è prevista – o ravvisabile ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen. – alcuna nullità nel caso di mancata ammissione della suddetta prova. La disposizione, dunque, non deroga al generale principio secondo cui la prova – anche quando costituisca oggetto del diritto riconosciuto alle parti processuali – non viene ammessa se manifestamente superflua o irrilevante (art. 190, comma 1, cod. proc. pen.) e va letta alla luce di questo principio-guida. Deve quindi affermarsi il principio secondo cui l’obbligo previsto dall’art. 98, comma 2, d.P.R. 380 del 2001, di citare per il dibattimento il dirigente del competente ufficio tecnico regionale, ai fini della sua escussione nei procedimenti relativi ai reati concernenti le costruzioni nelle zone sismiche, deve ritenersi subordinato alla valutazione circa la rilevanza della sua deposizione in ordine all’accertamento delle contravvenzioni o all’esercizio del potere-dovere di adottare le particolari statuizioni previste dal terzo comma della disposizione nel caso di violazioni di carattere sostanziale. In ogni caso, la sua omissione non genera nullità e non integra, per ciò solo, gli estremi della mancata assunzione di una prova decisiva deducibile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.
2. Quanto alla contestata integrazione del reato ritenuto, la sentenza impugnata – facendo corretta applicazione degli insegnamenti di questa Corte, debitamente richiamati – ha logicamente argomentato che l’opera oggetto di contestazione era assoggettata alla disciplina in materia di costruzioni sismiche delineata negli artt. 83 ss. d.P.R. 380 del 2001, trattandosi, in sostanza, della sopraelevazione di un preesistente fabbricato mediante realizzazione di una tettoia di circa 60 mq. sul terrazzo di copertura, sostenuta da otto pilastrini in legno. Ricorreva, dunque, l’obbligo di dare preavviso scritto al competente ufficio tecnico della regione, previsto, nelle zone sismiche di cui all’art. 83 d.P.R. 380 del 2001, per «chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni» (art. 93, comma 1, d.P.R. 380 del 2001, la cui violazione integra gli estremi del reato previsto dal successivo art. 95).
Secondo il consolidato orientamento, di fatti, le disposizioni previste dagli artt. 83 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 si applicano a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità e per le quali si rende pertanto necessario il controllo preventivo da parte della P.A., a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell'intervento (Sez. 3, n. 9126 del 16/11/2016, dep. 2017, Aliberti, Rv. 269303; Sez. 3, n. 48950 del 04/11/2015, Baio, Rv. 266033; Sez. 3, n. 6591 del 24/11/2011, dep. 2012, D’Onofrio, Rv. 252441).
3. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 131 bis cod. pen. ed al vizio di motivazione per non aver la sentenza impugnata argomentato le ragioni della mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, trattasi di motivo manifestamente infondato e generico.
Va innanzitutto osservato che – diversamente da quanto allegato in ricorso – né dalla sentenza impugnata, né dal verbale dell’udienza di discussione risulta che, quantomeno in via subordinata, detta richiesta fosse stata avanzata al giudice di merito, sicché appare fuor di luogo invocare il vizio di mancanza di motivazione. In ogni caso, nel negare la sussistenza di elementi che potessero consentire di concedere le circostanze attenuanti generiche - nonostante l’incensuratezza dell’imputato ed il positivo giudizio, proiettato nel futuro, sulla sua personalità, che ha giustificato la concessione della sospensione condizionale della pena - il giudice di merito ha implicitamente, ma evidentemente, ritenuto che sul piano oggettivo il fatto non fosse di particolare tenuità. Al di là dei profili attinenti alla personalità del reo – valorizzabili ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, ai sensi dell’art. 133, secondo comma, cod. pen. ed invece irrilevanti ai fini del giudizio sulla sussistenza della causa di non punibilità in parola, salvo che nei limiti indicati dall’art. 131 bis, terzo comma, cod. pen. per l’accertamento dell’abitualità (cfr. Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016, dep. 2017, Sacco, Rv. 270948; Sez. 5, n. 45533 del 22/07/2016, Bianchini, Rv. 268307) - entrambi gli istituti richiedono infatti una complessiva valutazione (tra l’altro) dei parametri di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen., con specifico riguardo alle modalità della condotta, al grado di colpevolezza da esse desumibile ed all'entità del danno o del pericolo (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Avendo escluso che l’imputato meritasse le circostanze attenuanti generiche – nonostante il favorevole giudizio sulla sua personalità, precedente e successiva al reato – il tribunale, dunque, ha valutato che sul piano oggettivo si trattasse di reato di non modesta gravità. E, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto può essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033; Sez. 6, n. 51615 del 09/11/2016, Caboni, Rv. 268557).
Occorre ricordare, in ogni caso, che, in relazione alla stessa opera, erano stati contestati in processo, in continuazione con la contravvenzione oggetto di condanna, altri due reati, vale a dire la contravvenzione urbanistica di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380 del 2001 (per aver realizzato il manufatto, in zona vincolata, in assenza di permesso di costruire) ed il reato paesaggistico di cui all’art. 181 d.lgs. 42 del 2004 (per mancanza, altresì, del nulla-osta della competente autorità regionale), reati accertati in sentenza nella loro materialità, ma dichiarati estinti per conseguimento dei provvedimenti (urbanistico e paesaggistico) di sanatoria. In simili situazioni, il prevalente orientamento di questa Corte – condiviso dal Collegio e sul quale il ricorrente non spende parola – ha affermato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di "comportamento abituale", ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 19159 del 29/03/2018, Fusaro, Rv. 273198; Sez. 6, Sentenza n. 3353 del 13/12/2017, dep. 2018, Lesmo e a., Rv. 272123; Sez. 1, n. 55450 del 24/10/2017, Greco, Rv. 271904; Sez. 5, n. 48352 del 15/05/2017, Mogoreanu, Rv. 271271).
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25 ottobre 2018.