Cass. Sez. III n. 30170 del 15 giugno 2017 (Cc 24 mag 2017)
Pres. Fiale  Est. Ramacci Imp. Barbuti
Urbanistica.Costruzione abusiva e acquisizione del bene al patrimonio comunale

Sottraendo l'opera abusiva alla demolizione prevista dalla legge, la delibera comunale che dichiara l'esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell'assetto urbanistico violato non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato. (Fattispecie nella quale la Corte ha reputato legittimo il rigetto, da parte del giudice dell'esecuzione, di istanza di sospensione dell'ordine di demolizione).



RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Salerno, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 25/1/2016 ha rigettato la richiesta di revoca o sospensione dell’ingiunzione alla demolizione di un manufatto abusivo per la realizzazione del quale Vincenzo BARBUTI era stato definitivamente condannato.
Avverso tale pronuncia il predetto propone personalmente ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 655, comma 3 cod. proc. pen., lamentando la mancanza del titolo esecutivo, in quanto le sentenze indicate nell’ingiunzione a demolire non lo riguarderebbero.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, sostenendo che il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto conto delle pronunce del giudice amministrativo (TAR Campania – Sez. II di Salerno n. 732 del 23/7/2009 in sede cautelare e n. 1159 del 22/6/2011), le quali avrebbero riconosciuto la illegittimità del provvedimento demolitorio emesso dall’amministrazione comunale.
Richiama, inoltre, le deliberazioni dell’amministrazione comunale aventi ad oggetto immobili abusivi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e versanti in condizioni analoghe, con le quali si era escluso l’abbattimento e disposta la destinazione degli immobili medesimi per fini di utilità sociale.

4. Con un terzo motivo di ricorso  deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta non condonabilità delle opere realizzate da parte del giudice dell’esecuzione.

5. Con un quarto motivo di ricorso  osserva che il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto dell’impossibilità tecnica di procedere alla demolizione.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, come il giudice dell’esecuzione abbia dato atto dell’esistenza di imprecisioni nell’ingiunzione a demolire riferite alla indicazione della sezione distaccata che aveva emesso uno dei titoli (Eboli in luogo di Cava dei Tirreni) ed alle date del secondo (emesso il 26 gennaio e non il 1 giugno e divenuto irrevocabile il 1 marzo e non il 28 novembre), riconoscendo, tuttavia, l’irrilevanza di tale errore materiale in ragione dell’inesistenza di altri titoli nei confronti dell’istante e rilevando come le altre indicazioni contenute nel provvedimento consentissero di escludere ogni incertezza circa l’esistenza del titolo esecutivo.
A fronte di tali considerazioni il ricorrente si limita a ribadire la propria tesi senza seriamente confrontarsi con quanto evidenziato nell’ordinanza impugnata, né può sostenersi, come avviene in ricorso, che tale errore materiale abbia creato confusione o incertezze, dal momento che lo stesso ricorrente ha dimostrato, con le ulteriori censure prospettate al giudice dell’esecuzione, di avere sempre avuto ben presenti i termini della questione.

2. Per quanto concerne, poi, gli argomenti sviluppati con il secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio che il Tribunale ha tenuto in debito conto le pronunce del giudice amministrativo indicate dal ricorrente, dando atto dei loro contenuti ed osservando come gli stessi riguardassero il fatto che il provvedimento demolitorio impugnato era riferito ad opere oggetto di istanza di condono non ancora esaminata dall’amministrazione comunale.
Rileva, peraltro, il Tribunale che le opere prese in esame nel giudizio amministrativo rappresentano solo parte degli abusi accertati nel procedimento penale giungendo evidentemente a tale conclusione sulla base di un accertamento in fatto, avente ad oggetto la verifica della natura e consistenza dei singoli interventi edilizi, che non può essere replicato né censurato in questa sede.
Altrettanto correttamente il giudice dell’esecuzione ha escluso ogni rilevanza delle determinazioni assunte dall’amministrazione comunale con riferimento ad altri manufatti abusivi.
Il legislatore ha infatti ritenuto preminente l’esigenza di un ripristino dell’originario assetto del territorio mediante la demolizione degli interventi abusivi, evitabile soltanto quando, con deliberazione consiliare, non sia dichiarata l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto già modo di precisare, a tale proposito, che la situazione particolare che viene a determinarsi in conseguenza della deliberazione comunale, sottraendo l'opera abusiva la suo normale destino, che è la demolizione, presuppone che la valutazione effettuata dall'amministrazione comunale sia estremamente rigorosa e deve essere puntualmente riferita al singolo manufatto, il quale va precisamente individuato, dando atto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta, dovendosi escludere che possano assumere rilievo determinazioni di carattere generale riguardanti, ad esempio, più edifici o fondate su valutazioni di carattere generale (Sez. 3, n. 25824 del 22/5/2013, Mursia, Rv. 25714001. V. anche Sez. 3, n. 9864 del 17/2/2016, Corleone e altro, Rv. 26677001).
Il Tribunale ha pertanto fatto buon uso di tale principio.

3. Anche la condonabilità delle opere, di cui tratta il terzo motivo di ricorso, è stata correttamente esclusa dal giudice dell’esecuzione, rilevando che l’immobile insiste in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, sicché un provvedimento di sanatoria non potrebbe essere lecitamente emesso dall’amministrazione comunale.
La costante giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, ha ripetutamente affermato, con riferimento al condono edilizio introdotto con la menzionata legge 326\03, che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire non è suscettibile di sanatoria (v. da ultimo, Sez. 3, n. 16471 del 17/02/2010, Giardina, Rv. 24675901, nonché ex. pl. Sez. 3, n. 35222 del 11/4/2007, Manfredi e altro, Rv. 23737301; Sez. 3, n. 38113 del 3/10/2006, De Giorgi, Rv. 23503301; Sez. 4, n. 12577 del 12/1/2005, Ricci, Rv. 23131501).
In altra occasione, nel ribadire il concetto, si è anche fornita dettagliata confutazione di alcune posizioni dottrinarie divergenti che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle disposizioni menzionate (Sez. 3, n. 6431 del 12/1/2007, Sicignano ed altri, Rv. 23732001).
Tale ultima pronuncia evidenziava, tra l’altro, l’inequivocabile contenuto della Relazione governativa al d.l. n. 269 del 2003, che ha chiarito alcuni dubbi interpretativi e non ha smentito il tenore delle disposizioni successivamente emanate.         
Pare inoltre opportuno ricordare anche quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale nell'ordinanza   (n.150\2009) con la quale si è dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269  sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l) e terzo comma, e 119 della Costituzione, sollevata dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, con ordinanza del 21 agosto 2008, riguardo alla condonabilità limitata ai soli “abusi minori” nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico secondo l'interpretazione, criticata dal giudice remittente, data con la menzionata sentenza n.6431\2007 di questa Corte.  
La Corte Costituzionale afferma, infatti, seppure incidentalmente, che “...può restare in disparte sia il rilievo per cui l'interpretazione tracciata dalla Corte di cassazione, nelle molteplici sentenze in materia (e non nella sola sentenza considerata), appare del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata, sia l'erronea ricostruzione, da parte del rimettente, della giurisprudenza di questa Corte quanto alla natura dei vincoli preclusivi della sanatoria, atteso che la sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come tali vincoli non debbano necessariamente comportare l'inedificabilità assoluta”.
Anche sul punto, dunque, la sentenza impugnata risulta immune da censure.

4. Per ciò che riguarda, infine, il quarto motivo di ricorso, va rilevato che la questione concernente la impossibilità tecnica della demolizione non è stata prospettata al giudice dell’esecuzione ed è stata proposta per la prima volta in questa sede.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00  


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 24.5.2017