Cass. Sez. III n. 34812 del 17 luglio 2017 (Cc 13 gen 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Liberati Imputato: Dargoul
Urbanistica.Finalità della destinazione d’uso
La destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 5 luglio 2016 il Tribunale di Brescia ha respinto la richiesta di riesame presentata da Ahmed Dargoul, proposta in relazione al decreto di sequestro preventivo del 17 giugno 2016 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, di un immobile in Comune di Coccaglio, censito al N.C.E.U. al f. 11, n. 355, sub 32, con destinazione commerciale, di cui era stata mutata dall'indagato la destinazione d'uso, adibendolo a luogo di culto.
Nel disattendere la richiesta di riesame il Tribunale ha ribadito la sussistenza degli indizi del reato di cui agli artt. 31 e 44 d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza del mutamento della destinazione urbanistica dell'immobile concesso in locazione all'imputato, nella sua veste di presidente di una associazione culturale e sociale per extracomunitari, da quella originaria commerciale e terziaria a luogo di culto, sottolineando che l'area nella quale si trova l'immobile ottenuto in locazione dall'imputato è classificata come Zona D2 - commerciale e terziaria di completamento, cui è estranea l'attività di culto, ma anche l'attività culturale tipica di associazioni culturali e religiose, con la conseguente configurabilità del reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. 380/2001, per il mutamento di destinazione d'uso dell'immobile in assenza della realizzazione di opere, comportante un aggravio del carico urbanistico.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, mediante il difensore di fiducia, che lo ha affidato a undici articolati motivi, enunciati come segue nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione della normativa speciale sugli edifici di culto, ed in particolare degli artt. 32, comma 4, I. 383 del 2000 e 23 ter d.P.R. 380/2001, sottolineando che l'art. 32 della I. n. 383 del 2000 stabilisce che la sede delle associazioni di promozione sociale e i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee indipendentemente dalla destinazione urbanistica, con la conseguente erroneità della affermazione della sussistenza di un illecito in conseguenza della destinazione dei locali concessi in locazione alla associazione presieduta dal ricorrente a luogo di incontro e di culto.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato mancanza di motivazione in ordine ai rilievi formulati con il primo motivo, che erano già stati sottoposti al Tribunale con la richiesta di riesame e non erano stati presi in considerazione, con la conseguente violazione dell'art. 325 cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo e il quinto motivo ha denunciato violazione di legge a causa della mancata considerazione della non essenzialità della variazione, dovendo, secondo quanto al riguardo stabilito dall'art. 32 d.P.R. 380/2001, escludersi che vi fosse stata una variazione degli standard urbanistici previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 e che quindi il mutamento di destinazione potesse considerarsi variazione essenziale, avendo omesso il Tribunale di considerare l'assenza di qualsiasi incidenza della stessa sul carico urbanistico.
Ha inoltre prospettato violazione dell'art. 52 bis I. Regione Lombardia n. 12 del 2005, dell'art. 32 I. n. 382 del 2000 e dell'art. 7 I. n. 122 del 1989, sottolineando che la modifica della destinazione d'uso assume rilevanza penale solo se risulti incompatibile con le previsioni dello strumento urbanistico e se avvenga tra categorie autonome dal punto di vista urbanistico, in tale caso dovendosi verificare la variazione del carico urbanistico; nella specie, però, l'immobile non era utilizzato in via esclusiva come luogo di culto, e dunque non poteva essere affermata una incompatibilità edilizio - urbanistica della destinazione dell'immobile a tale uso, in quanto vi si svolgevano privatamente e saltuariamente preghiere, e non si era verificata la destinazione principale ed esclusiva all'esercizio del culto religioso o ad altre attività con riflessi di rilevante impatto urbanistico, e quindi non vi era stato alcun incremento del carico urbanistico.
2.4. Con il quarto e il settimo motivo ha denunciato l'illogicità e l'insufficienza della motivazione, a proposito dei rilievi già sollevati con la richiesta di riesame, in ordine alla non essenzialità della variazione di destinazione, e violazione di legge, in ordine all'accertamento della destinazione al culto dell'edificio, fondata esclusivamente su quanto dichiarato dalla figlia di uno degli associati a una dipendente comunale e da quest'ultima riferito alla polizia giudiziaria, mentre gli altri elementi acquisiti non consentivano di qualificare come moschea o luogo di culto generalizzato, cioè aperto al pubblico dei fedeli, i locali sequestrati.
2.5. Con il sesto, ottavo, nono, decimo e undicesimo motivo ha denunciato l'illogicità e l'insufficienza della motivazione a proposito dei rilievi già sollevati con la richiesta di riesame, in ordine alla non essenzialità della variazione di destinazione, alla omogeneità delle categorie all'interno della quale la stessa era avvenuta e alla assenza di incidenza della medesima sul carico urbanistico, nonché violazione dell'art. 681 cod. pen., in quanto la polizia giudiziaria aveva riscontrato un afflusso di persone modesto e compatibile con le finalità statutarie della associazione e con il numero degli associati, sicché non poteva essere ravvisata l'ipotesi di apertura di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento, essendo riservato ai soci l'accesso all'edificio.
Tali rilievi, già formulati con la richiesta di riesame, non erano stati considerati dal Tribunale, con la conseguente sussistenza di un ulteriore vizio di motivazione a cagione di tale omissione, che determinava mancanza di motivazione.
Ha inoltre lamentato che il sequestro era, indebitamente, stato esteso agli arredi, comprese le copie del Corano, e anche la condanna alle spese del procedimento.
3. Il Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta ha concluso per l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata, evidenziando la fondatezza del terzo motivo di ricorso, in quanto il mutamento di destinazione d'uso dell'immobile non era stata accompagnata da variazione di standard urbanistici, aumenti di cubatura o di superficie o altre violazioni, e quindi doveva essere considerata penalmente irrilevante, rimanendo così assorbiti gli altri motivi, eccettuati quelli relativi alla illogicità della motivazione, da ritenere inammissibili, trattandosi di richiesta di riesame avverso misure cautelari reali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, come peraltro sottolineato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, è fondato in relazione al primo e al terzo motivo, essendo del tutto mancante la motivazione riguardo all'aggravio del carico urbanistico conseguente alla diversa destinazione d'uso impressa all'immobile senza esecuzione di opere o aumento di volumi.
2. Il sequestro oggetto delle censure proposte dal ricorrente è stato disposto in relazione al mutamento di destinazione d'uso del fabbricato condotto in locazione dallo stesso Dargoul, nella sua veste di Presidente di una associazione culturale, posto in zona classificata come D2, riconnprendente aree commerciali e terziarie di completamento, sulla base del rilievo che all'interno di tale fabbricato sarebbe stata svolta attività di preghiera o di culto, determinante mutamento della destinazione d'uso del bene.
Al riguardo va dunque ricordato che questa Corte ha già chiarito (cfr. Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243102; conf. Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013, Tortora, Rv. 258686; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, Filippi, Rv. 260422; Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, Stellato, Rv. 267106) che la destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona.
L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale.
Il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è dunque solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, tenuto conto che nell'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico - contributivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell'ambito della medesima categoria.
Il Consiglio di Stato (Sez. 5, n. 24 del 3/1/1998, Comune di Ostuni c. Monticelli S.r.l.) ha affermato, al riguardo, che "la richiesta di cambio della destinazione d'uso di un fabbricato, qualora non inerisca all'ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un'alternazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede".
Quanto al mutamento di destinazione d'uso realizzato, come nel caso in esame, senza l'esecuzione di opere edilizie, è stato chiarito (cfr. Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013, cit., e successive conformi, tra cui Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, e Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, citate) che il mutamento di destinazione d'uso senza opere è attualmente assoggettato a S.C.I.A., purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea.
Dunque deve ritenersi consentita la modifica di destinazione d'uso funzionale che non comporti una oggettiva modificazione dell'assetto urbanistico ed edilizio del territorio e non incida sugli indici di edificabilità, che non determini, cioè, un aggravio del carico urbanistico, inteso come maggiore richiesta di servizi cosiddetti secondari, come ad esempio gli spazi pubblici destinati a parcheggio e le esigenze di trasporto, smaltimento di rifiuti e viabilità (cfr., Sez. 3, n. 24852 del 8/5/2013, Pace, non nnassimata), derivante dalla diversa destinazione impressa al bene.
3. Per quanto riguarda la destinazione a luogo di culto, la stessa non è astrattamente incompatibile con le categorie funzionali di cui all'art. 23 ter d.P.R. n. 380 del 2001, e cioè quella residenziale, quella turistico-ricettiva, quella produttiva e direzionale, quella commerciale e quella rurale, in quanto può coesistere con tali destinazioni, a condizione che non determini l'assegnazione dell'immobile a una diversa categoria funzionale tra quelle suddette e non comporti, ancorché tale destinazione non sia accompagnata dalla esecuzione di opere edilizie, un aggravio del carico urbanistico nel senso anzidetto.
L'attività di culto non rientra in alcuna delle suddette categorie funzionali, sicché il suo svolgimento, di per sé, non determina l'assegnazione dell'immobile a una di esse diversa da quella originaria, salvo che ciò venga in concreto accertato, unitamente, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, all'aggravio del carico urbanistico (cfr., in proposito, Sez. 3, n. 4943 del 17/01/2012, Bittesini, Rv. 251984; Sez. 3, n. 19378 del 15/03/2002, Catalano, Rv. 221951; Sez. 3, n. 26209 del 30/04/2003, Censullo, Rv. 225515). .
4. Ora, nella vicenda in esame, il Tribunale ha fondato il rigetto della richiesta di riesame sulle dichiarazioni rese a una dipendente del Comune di Coccaglio dalla figlia di uno dei partecipanti alla associazione culturale di cui il ricorrente è il presidente, che avrebbe riferito che nell'immobile condotto in locazione da detta associazione i fedeli si trovano quotidianamente a pregare; il Tribunale ha, però, omesso, oltre a qualsiasi riferimento alla imputazione di cui all'art. 681 cod. pen. (essendo stato disposto il sequestro anche in relazione a essa, che il Tribunale non ha, tuttavia, considerato), anche di accertare l'entità e l'incidenza di tale attività di culto, il suo riflesso sulla destinazione del bene e, soprattutto, sul carico urbanistico nel senso anzidetto: non è stato, in particolare, analizzato in alcun modo, nonostante la formulazione di una espressa censura sul punto da parte del richiedente, il mutamento, conseguente allo svolgimento di tale attività, dell'insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 1444\68 (cfr. Sez. 3, n. 36104 del 22/9/2011, Armelaní, Rv. 251251; Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 (dep. 2012), Susinno, Rv. 252016), né accertato se tale eventuale mutamento abbia determinato anche un aggravio del carico urbanistico, inteso come maggiore richiesta di servizi cosiddetti secondari, come ad esempio gli spazi pubblici destinati a parcheggio e le esigenze di trasporto, smaltimento di rifiuti e viabilità (cfr., Sez. 3, n. 24852 del 8/5/2013, Pace, non massinnata).
Ne consegue la sussistenza del vizio di violazione di legge denunciato dal ricorrente con il primo e il terzo motivo, risultando del tutto mancante l'accertamento in fatto e la relativa motivazione a proposito della entità della attività svolta nell'immobile condotto in locazione e oggetto del provvedimento di sequestro (se tale, cioè, da determinare un mutamento di destinazione da una categoria funzionale all'altra tra quelle indicate nell'art. 23 ter d.P.R. n. 380 del 2001), e riguardo alla incidenza della stessa sugli standard urbanistici (in misura tale da determinare un aggravio del carico urbanistico e quindi da consentire di ritenere configurabile il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 380 del 2001): a tale ultimo riguardo la motivazione dell'ordinanza impugnata risulta priva di riferimenti concreti, in quanto è sganciata da qualsiasi riferimento alla attività svolta nell'immobile, a quella precedente, al raffronto tra esse, e alla incidenza di quella da ultimo svolta sui servizi cosiddetti secondari, in guisa tale da determinare un aggravio del carico urbanistico.
5. L'ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Brescia, rimanendo con ciò assorbiti gli altri motivi di ricorso.
P.Q.M. Annulla con rinvio l'ordinanza impugnata al Tribunale di Brescia, sezione per il riesame.
Così deciso il 13/1/2017