In tema di obbligatorietà dell’indicazione delle prescrizioni estintive delle contravvenzioni ambientali

di Vincenzo PAONE

I. Una recentissima decisione della Cassazione  (sez. III,  27 aprile 2022-19 maggio 2022, n. 19666, Ahmetovic, https://lexambiente.it/materie/ambiente-in-genere/164-cassazione-penale164/16292-ambiente-in-genere-procedura-estintiva-e-improcedibilit%C3%A0-azione-penale.html), adeguandosi al pregresso orientamento, ha ritenuto che «L'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale».
Con le presenti note vogliamo riflettere sulla questione anche per evidenziare le criticità connesse alla riportata affermazione e proporre una ricostruzione del sistema che mantenga fermo il principio dell’insussistenza della causa di improcedibilità dell'azione penale e al tempo stesso non sacrifichi ingiustificatamente l’interesse del contravventore ad accedere al meccanismo premiale che ha per sbocco l’estinzione del reato.
Per meglio inquadrare la tematica, occorrono due premesse: in primo luogo, gli artt. 318-bis e ss. D.Lgs. n. 152/2006 – al pari del d.leg. 19 dicembre 1994 n. 758, relativo alla sicurezza ed igiene sul lavoro – prevedono una procedura che presenta due momenti ben distinti. Il primo è la fase in cui l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartisce una specifica prescrizione per l'estinzione delle contravvenzione accertata; il secondo è la fase in cui, constatato l’adempimento tempestivo e conforme, l’organo di vigilanza ammette il contravventore al pagamento in forma ridotta e cioè al quarto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione.
La distinzione di queste due fasi, in verità, non compare nelle sentenze che si sono espresse in materia. Di contro, è essenziale tenere presente questo profilo perchè, come diremo più avanti, la normativa, interpretata dalla Corte cost. e dalla stessa Suprema Corte, non esclude affatto che la procedura  di cui trattasi possa consistere nell’attuazione della sola seconda fase della medesima.
La seconda permessa, pure non esplicitata nelle decisioni in esame,  riguarda le situazioni che si offrono all’organo di vigilanza:
1) regolarizzazione oggettivamente e soggettivamente possibile perché la condotta antigiuridica non è cessata o perché sono ancora presenti effetti della condotta eliminabili e il contravventore è ancora titolare della posizione giuridica che gli consente di provvedere;
2) regolarizzazione già avvenuta: è l’ipotesi oggetto della sentenza della Corte cost. n. 19 del 1998 che ha considerato il caso in cui il contravventore, prima dell’intervento prescrittivo dell’organo di vigilanza, provveda autonomamente  e spontaneamente a regolarizzare l’illecito;
3) regolarizzazione oggettivamente o soggettivamente non più possibile: è l’ipotesi comunemente classificata con la locuzione «condotta esaurita» oggetto di Cass. n. 36405 del 2019, imp. Rossello,  che ha ritenuto  che la procedura di estinzione delle contravvenzioni si applichi anche alle condotte esaurite dovendosi come tali intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore (a titolo esemplificativo: illecito istantaneo o comunque senza conseguenze rimuovibili; oppure, cessazione dalla carica di amministratore societario del contravventore).
Nelle situazioni sub 2) e 3), la procedura è «contratta» perché l'organo di vigilanza si deve limitare ad ammettere il contravventore all’oblazione amministrativa  in virtù del meccanismo denominato “ora per allora”. Al riguardo, è significativo un passaggio della motivazione della sentenza n. 36405 in cui la Corte, accennando alle pronunce che hanno affermato che l'omessa indicazione da parte dell'organo di vigilanza delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell'azione penale, puntualizza che «Le pronunce…prevedono la possibilità di presentare istanza di oblazione in sede amministrativa o in sede penale, come imposto dalla lettura costituzionalmente orientata dell'art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 758 del 1994…il contravventore, tanto che abbia commesso un illecito istantaneo, tanto che abbia spontaneamente regolarizzato l'illecito, può proporre istanza di oblazione al cui accoglimento e all'avvenuto pagamento segue l'estinzione del reato. Infatti, si afferma espressamente che il beneficio in questione non potrebbe essergli precluso per il solo fatto che non ci sia nulla da regolarizzare».

II. Invero, la perentorietà di alcune affermazioni contenute nelle pronunce dedicate all’argomento alimenta dubbi e criticità in sede applicativa.
Ricordiamo, infatti, che la giurisprudenza  sostiene che il contravventore non ha ‘‘diritto’’ a ricevere la prescrizione o l’imputato non può dolersi della mancata adozione della procedura perché non esiste un obbligo specifico in capo agli accertatori di provvedervi.
Tuttavia, la stessa Cassazione (a cominciare da Cass. 5/05/2010-12/07/2010 n. 26758, Cionna, Rv. 248097) evidenzia che nulla impedisce al trasgressore di chiedere all'organo di vigilanza di essere comunque ammesso all'oblazione in sede amministrativa ovvero non impedisce, successivamente, all'imputato di chiedere al giudice di essere ammesso all'oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell'oblazione in sede amministrativa (così par. 2.7 della sentenza Cionna).
In termini analoghi, Cass. 13/01/2017-17/02/2017  n. 7678, Bonanno, Rv. 269140,  ha sostenuto che «il fatto che l'organo di vigilanza, nel comunicare la notizia di reato al Pubblico Ministero, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all'imputato, non preclude, se è stata constatata l'avvenuta regolarizzazione, la richiesta di ammissione all'oblazione in sede amministrativa, così come non impedisce, successivamente, la richiesta dell'imputato al giudice di essere ammesso all'oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell'oblazione in sede amministrativa».
La contraddizione tra le riportate affermazioni è, a nostro avviso, più apparente che reale. Infatti, la sentenza qui  in esame afferma che «gli artt. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 non stabiliscono affatto che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria debbano obbligatoriamente impartire una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato, vuoi perché non vi è alcunché da regolarizzare, vuoi perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua».
Quest’ultimo passaggio ha attirato la nostra attenzione: ci siamo chiesti, infatti, se la Suprema Corte abbia consapevolmente indicato  le sole situazioni in cui la prescrizione possa essere omessa, salvo, tuttavia,  dare comunque corso alla seconda fase, quella contratta, della  procedura di cui trattasi.
Vi è da dire che  in altre decisioni che si sono espresse sul punto (v. Cass. 25/09/2019-6/12/2019, Fulle, Rv. 277468, Cass. 27-11-2019-24-02-2020, n. 7220, Nigro, Foro it., 2020, II, 537 e Cass. 8 aprile 2021-20 maggio 2021, n. 19986, Antoniazzi, Ambiente e sviluppo, 2021, 549), nel riferirsi alle situazioni in cui si può omettere la prescrizione, la Corte fa precedere l’elenco delle stesse  dall’espressione «ad esempio» (“perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua”).
In effetti, già la citata Cass. Cionna, esaminando la procedura estintiva applicata alla disciplina antinfortunistica, in molteplici passaggi della motivazione afferma che l'organo di vigilanza può determinarsi a non adottare alcuna prescrizione perché, ad esempio, non c'è nulla da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c'è già stata ed è congrua.
Se optiamo per l’interpretazione che le situazioni appena menzionate costituiscano una mera esemplificazione, si dovrebbe ipotizzare che la Corte avesse in mente anche il caso più frequente, e cioè quello in cui la regolarizzazione sia oggettivamente e soggettivamente possibile.
Secondo noi, è invece preferibile interpretare il pensiero (inespresso) della Suprema Corte nel senso che, nelle situazioni cristallizzate con i termini “non vi è nulla da regolarizzare o la regolarizzazione è già avvenuta”, manchi il presupposto per ingiungere l’eliminazione della contravvenzione e che perciò, limitatamente a queste due ipotesi, l’organo di vigilanza può non attivare la prima fase della procedura – emissione della prescrizione – ma passare direttamente alla seconda fase – ammissione all’oblazione – che resta obbligatoria e  non discrezionale.

III. Conviene trattenersi ancora su questo profilo. Infatti, la giurisprudenza è dell’avviso che, anche quando il trasgressore non abbia ricevuto la prescrizione di regolarizzazione dall'organo di vigilanza, ma abbia "regolarizzato" adottando misure equiparabili a quelle che l'organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli, oppure non abbia “nulla” da regolarizzare, possa chiedere di essere ammesso all'oblazione in misura ridotta.
Tuttavia, un conto è quando  l’organo di vigilanza prende atto, nell’ambito del sub-procedimento di cui è titolare prima dell’inoltro della notizia di reato, che il contravventore ha autonomamente  regolarizzato l’illecito e altro conto è quando si spoglia della procedura e trasmette gli atti al Pubblico Ministero con la notizia di reato.
In questa seconda evenienza, la legge nulla dispone sicchè non è dato sapere come si debba comportare il privato che, successivamente all’invio della notizia criminis, chieda di mettere in moto la procedura estintiva.  In altre parole, l’apertura “garantista” della Suprema Corte rischia di restare lettera morta perché non esiste alcuna norma che disciplini compiutamente la situazione «patologica» evocata dalla giurisprudenza.  
In questa ottica, è criticabile l’affermazione della Suprema Corte che l'imputato ha la facoltà di chiedere al giudice di essere ammesso all'oblazione ai sensi dell’art. 162 bis cp. Il problema è che, mentre nel sistema della sicurezza sul lavoro, il contravventore che abbia adempiuto alla impartita  prescrizione con modalità diverse da quelle prescritte o con tempi superiori, purchè non incongrui, oppure abbia regolarizzato spontaneamente prima dell’intervento dell’organo di vigilanza oppure non abbia nulla da regolarizzare, essendo la condotta esaurita,  è legittimato a versare, anche a titolo di oblazione ex art 162 bis cp, il quarto del massimo dell’ammenda, nel settore delle contravvenzioni ambientali questo beneficio non è previsto (v. art. 318-septies, comma 3) perché la misura dell’oblazione penale è sempre pari alla metà del massimo dell’ammenda.
Ne deriva l’evidente l’interesse del contravventore a che la procedura premiale venga ammessa nella fase del sub-procedimento che si svolge davanti all’organo di vigilanza.

IV. In definitiva, l’orientamento della Cassazione va integrato con le considerazioni che abbiamo svolto fin qui. In questo quadro, riteniamo, dunque, che non vi sia spazio per sostenere che è legittimo per l’organo di vigilanza non impartire la prescrizione di regolarizzazione anche nelle situazioni in cui vi sia «qualcosa da regolarizzare» (ovviamente, la questione si pone esclusivamente in quei casi in cui non si presenti la condizione ostativa che la violazione non abbia cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette di cui all’art. 318 bis D.Lgs. n. 152/2006).
Se non fosse così, sarebbe motivo di forte perplessità l’affermazione che l'organo di vigilanza possa limitarsi a comunicare la notizia di reato al P.M. senza esplicitare le ragioni per le quali non impartisce la prescrizione perché non solo vi è il rischio di un eccesso di soggettività, ma soprattutto si potrebbe determinare disparità di trattamento perché, a fronte di due identiche contravvenzioni commesse da soggetti diversi, il trattamento dell’organo di vigilanza potrebbe essere (ingiustificatamente) diverso, e cioè  avviare la procedura in un caso e non nell’altro. Il tutto aggravato dal fatto che la prescrizione di regolarizzazione impartita dall'organo di vigilanza non è un provvedimento amministrativo, ma un atto di polizia giudiziaria e dunque non ci si può rivolgere al giudice amministrativo in caso di inerzia dell’organo di vigilanza.
La ricostruzione del sistema che abbiamo proposto in questa sede ci sembra non solo costituzionalmente orientata, ma ci pare anche che possa garantire al contempo la tutela effettiva del bene protetto senza privare,  in modo ingiustificato, il contravventore della facoltà di utilizzare una causa di estinzione del reato, realizzando altresì l’esigenza di deflazione del processo penale che sta alla base della normativa del 1994 e del 2015.