Cass. Sez. III n. 35546 del 4 ottobre 2010 (Ud. 20 mag. 2010)
Pres. Onorato Est. Fiale Ric. Baldoni
Urbanistica. Demolizione opera abusiva e mantenimento in essere

Dal sistema delineato dall'articolo 31 del TU edilizia si evince la sussistenza di un criterio generale di preminenza dell’interesse al ripristino dell’assetto territoriale violato, derogabile soltanto in presenza di fondate ragioni, con riferimento alle quali la deliberazione consiliare di mantenimento dell’opera abusiva deve essere motivata. Mentre, infatti, l’art. 15 della legge n. 10/1977 prevedeva il ricorso alla demolizione solo qualora l’opera non fosse idonea ad essere utilizzata per fini pubblici, già con l’art. 7 della legge n. 47/1985 è stato previsto che sia disposta sempre la demolizione “salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici”.

 

 

UDIENZA del 20.5.2010

SENTENZA N. 1029

REG. GENERALE N.30502/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIERLUIGI ONORATO                             - Presidente
Dott. AGOSTINO CORDOVA                           - Consigliere
Dott. ALDO FIALE                                          - Rel. Consigliere
Dott. AMEDEO FRANCO                                - Consigliere
Dott. LUIGI MARINI                                         - Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) BALDONI LUCIANA N. IL ad/xx/xxxx
- avverso la sentenza n. 1739/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del 22/01/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/05/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vincenzo Geraci che ha concluso per la declaratiora di inammissibilità del ricorso;
- Udito il difensore Avv. Maria Antonella Maicaro, sostituto processuale dell'avv.to Lucio De Priamo, la quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 22.1.2009, confermava la sentenza 14.5.2007 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di Baldoni Luciana in ordine ai reati di cui:
- all'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire, un fabbricato in duplice elevazione su una superficie di mq. 11 x 11 -- acc. in Roma, via Alpette, dal 7.12.2004 al 12.1.2005);
- agli artt. 64, 65, 71 e 72 D.P.R. n. 380/2001;
- all'art. 349 cpv. cod. pen. (per avere, in qualità di custode, violato i sigilli apposti al manufatto abusivo il 7.12.2004 - acc. il 12.1.2005)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata per il delitto, ritenuta la continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., la aveva condannata alla pena complessiva di mesi 4, giorni 20 di reclusione ed euro 240,00 di multa, con ordine di demolizione delle opere abusive e concessione dei doppi benefici.


Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la Baldoni, la quale ha eccepito la illegittimità del disposto ordine di demolizione, poiché la costruzione abusiva ed il terreno in cui sorge sarebbero diventati di proprietà del Comune, a norma dell'art. 31, 3 comma, del D.P.R. n. 380/2001, ed il giudice penale non potrebbe compromettere le ulteriori scelte discrezionali dell'Amministrazione comunale (demolizione di ufficio o utilizzazione a fini pubblici).


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.


1. L'art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già l'art. 7 della legge n. 47/1985) - per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali - ha previsto un regime sanzionatorio amministrativo, che si articola secondo il seguente schema generale:
- il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, rilevata la violazione, deve obbligatoriamente ingiungere al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione dell'opera abusiva, che dovrà essere eseguita a spese dei soggetti responsabili;

- se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di 90 giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune;
- l'opera abusiva acquisita deve essere poi demolita, con ordinanza del dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, a spese dei responsabili dell'abuso;
- eccezionalmente, però, la demolizione può essere evitata in presenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione del manufatto - riconosciuti e dichiarati con deliberazione del Consiglio comunale - purché ciò non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.


Dal sistema dianzi delineato si evince la sussistenza di un criterio generale di preminenza dell'interesse al ripristino dell'assetto territoriale violato, derogabile soltanto in presenza di fondate ragioni, con riferimento alle quali la deliberazione consiliare di mantenimento dell'opera abusiva deve essere motivata. Mentre, infatti, l'art. 15 della legge n. 10/1977 prevedeva il ricorso alla demolizione solo qualora l'opera non fosse idonea ad essere utilizzata per fini pubblici, già con l'art. 7 della legge n. 47/1985 è stato previsto che sia disposta sempre la demolizione "salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici".

2. L'ordine di demolizione impartito dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, del T.U. n. 380/2001, assolvendo ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, ha natura di provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma svincolato rispetto a quelli dell'autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (vedi Cass., Sez. Unite, 24.7.1996, n. 15, ric. PM in proc. Monterisi; nonché Cass., Sez. III, 12.12.2006, De Rosa).


Deve ritenersi definitivamente superata, infatti, in materia urbanistica, "la visione di un giudice supplente dell'Amministrazione pubblica". Lo stesso territorio costituisce l'oggetto della tutela posta dalla normativa penale urbanistica ed a tale tutela sostanziale si riconnette l'attribuzione al giudice del potere di disporre provvedimenti ripristinatori specifici qualora perduri la situazione offensiva dell'interesse protetto dalla norma penale.


3. L'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi dell'art. 31, 3° comma, del D.P.R. n. 380/2001, non è incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale; infatti, nella prima parte del comma 5 dello stesso articolo, si stabilisce che l'opera acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita con ordinanza del dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, a spese del responsabile dell'abuso.


Si avrebbe incompatibilità soltanto se, con deliberazione consiliare, a norma della seconda parte dello stesso comma 5, si fosse statuito di non dovere demolire l'opera acquisita [vedi Cass., Sez. III: 31.1.2008, n. 4962, P.G. in proc. Mancini e altri; 23.1.2007, n. 1904, Turianelli; 29.11.2005, n. 43294, Gambino ed altro; 13.10.2005, n. 37120, Morelli; 20.5.2004, n. 23647, Moscato ed altro, 30.9.2003, n. 37120, Bommarito ed altro; 20.1,2003, n. 2406, Gugliandolo; 7.11.2002, n. 37222, Clemente; 17.12.2001, Musumeci ed altra; 29.12.2000, n. 3489, P.M. in proc. Mosca].


Si é già rilevato che l'acquisizione gratuita, in via amministrativa, è finalizzata essenzialmente alla demolizione, per cui non si ravvisa alcun contrasto con l'ordine demolitorio impartito dal giudice penale, che persegue lo stesso obiettivo: il destinatario di tale ordine non potrà ottemperarvi soltanto se il Consiglio comunale abbia già ravvisato (ovvero sia sul punto di deliberare) l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive.


Ove il Consiglio comunale non abbia deliberato - invece - il mantenimento dell'opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell'abuso. Non si comprende, dunque, perché il condannato non possa chiedere al Comune (divenuto frattanto proprietario) l'autorizzazione a procedere ad una ineludibile demolizione a proprie cura e spese ovvero perché, indipendentemente dalla proposizione o dalla sorte di una richiesta siffatta, l'autorità giudiziaria non possa provvedere a quella demolizione che autonomamente ha disposto, a spese del condannato.


4. Nella fattispecie in esame, non risulta che il Consiglio comunale di Roma abbia escluso (ex art. 31, 5 comma, del TU. n. 380/2001) la necessità di procedere alla demolizione dell'immobile abusivo in oggetto, ovvero abbia ravvisato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al suo mantenimento.


5. La inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati contravvenzionali venuta a scadere il 12.7.2009, cioè in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione del gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).


6. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.


P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.


ROMA, 20.5.2010


DEPOSITATA IN CANCELLERIA 4 ott. 2010