Cass. Sez. III n. 29730 del 11 luglio 2013 (Ud. 4 giu. 2013)
Pres. Teresi Est. Ramacci Ric. Stroppini ed altro
Urbanistica. Destinatari dell'obbligo di esposizione del cartello di cantiere
La violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai abrogata legge 47\85, è tuttora punita dall'art. 44, lettera a) del d.P.R. 380\01 in ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente tra le diverse disposizioni. I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 04/06/2013
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - N. 1704
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - N. 48063/2012
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
STROPPINI GIANLUCA N. IL 11/01/1968;
IONI PAOLO N. IL 12/05/1962;
ROSSETTI MASSIMO N. IL 29/07/1967;
avverso la sentenza n. 786/2010 TRIBUNALE di PESARO, del 27/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G. Volpe, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione. RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Pesare, in composizione monocratica, con sentenza emessa il 27.4.2012 a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, ha affermato la responsabilità penale di STROPPINI Gianluca, Paolo IONI e Massimo ROSSETTI, che condannava alla pena dell'ammenda, per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), perché, quali soci amministratori della "Stroppini Guerrini & C. s.n.c." ed esecutori di lavori per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria regolarmente assentite con permesso di costruire, in violazione dell'art. 40 del regolamento comunale omettevano l'affissione del prescritto cartello di cantiere (Pesaro 3.9.2007). Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione.
2. Con un unico motivo di ricorso deducono la violazione di legge, assumendo che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che l'obbligo di esposizione del cartello di cantiere e l'individuazione dei soggetti responsabili delle violazioni edilizie, già contemplato dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, non sarebbe previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, attualmente vigente e che, in ogni caso, la giurisprudenza di questa Corte non sarebbe univoca nell'individuare il costruttore tra i soggetti destinatari di tale obbligo e che di questo aspetto della vicenda il Tribunale non si sarebbe curato. Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile perché basato su un motivo manifestamente infondato.
Il reato previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), ha natura residuale rispetto alle altre violazioni menzionate dal medesimo articolo e sanziona, con la sola pena dell'ammenda, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal titolo IV del menzionato D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto applicabili, l'inosservanza delle disposizioni dei regolamenti edilizi, l'inosservanza di prescrizioni contemplate dagli strumenti urbanistici e l'inosservanza delle prescrizioni fissate dal permesso di costruire.
Questa Corte, vigente la L. n. 47 del 1985, ha avuto modo di rilevare la estrema genericità della disposizione allora contenuta nell'art. 20, lett. a) e la possibilità di una pluralità indiscriminata di utilizzazioni, con conseguente insufficienza della interpretazione letterale, se non altro perché in contrasto con il principio della tassatività delle fattispecie legali penali ed ha posto in evidenza la necessità di delimitarne l'ambito applicativo tenendo conto della sua collocazione in un contesto normativo volto a disciplinare l'attività edilizia, affermando, conseguentemente, che "le norme, prescrizioni e modalità esecutive" di cui all'art. 20, lett. a), dovevano intendersi riferite soltanto a quelle regole di condotta che sono direttamente afferenti all'attività edilizia (Sez. 3^ n. 8965, 21 giugno 1990).
Parimenti è stata rilevata la sua natura di norma penale in bianco poiché, mentre la sanzione è determinata, il precetto di carattere generico rinvia ad un dato esterno quale il titolo abilitativo, il regolamento edilizio, ecc. (SS.UU. n. 7978, 14 luglio 1992; v. anche SS.UU. n. 11635, 21 dicembre 1993).
4. Più recentemente (Sez. III n. 21780, 31 maggio 2011), si è evidenziato come il riferimento contenuto nella disposizione attualmente vigente alle disposizioni di legge "previste nel presente titolo" (titolo IV, Parte prima del D.P.R. n. 380 del 2001, comprendente gli artt. da 27 a 51) sia certamente riduttivo rispetto alla previgente fattispecie di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), la quale, punendo "l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalle presente legge, dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni", si riteneva effettuasse un rinvio aperto a tutta la legislazione urbanistico-edilizia, addirittura comprensiva, secondo parte della giurisprudenza, anche delle leggi regionali integrative. Ciò non di meno, pur in presenza di un ambito di operatività più contenuto, si è comunque ritenuto che la mancata apposizione del cartello di cantiere continui ad essere assoggettata alla sanzione penale prevista dalla richiamata disposizione.
Deve a tale proposito ricordarsi quanto già rilevato da questa Corte sull'argomento (Sez. 3^ n. 16037, 11 maggio 2006) ricordando come il contenuto della L. n. 47 del 1985, art. 4, comma 4, prevedesse, per coloro che eseguivano interventi edilizi, il duplice obbligo di esibizione della concessione edilizia e dell'esposizione del cartello di cantiere - a condizione che lo stesso fosse espressamente previsto dai regolamenti edilizi o dalla concessione - la cui violazione era penalmente sanzionata dati1 art. 20, lett. a) più volte menzionato (a tale proposito si richiamava quanto stabilito dalle precedenti decisioni: SS.UU. 7978/92, cit.; Sez. 3^ n. 10435, 5 ottobre 1994). Veniva altresì dato atto dell'intervenuta abrogazione della L. n. 47 del 1985, art. 4, rilevando, tuttavia, la riproduzione del suo contenuto nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27, comma 4, laddove si impone agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria l'obbligo di comunicazione immediata all'autorità giudiziaria nel caso in cui accertino che nei luoghi in cui vengono realizzate opere edilizie non sia esibito il permesso di costruire ovvero non sia apposto il prescritto cartello.
Contestualmente si individuavano i destinatari dell'obbligo in quelli già indicati dalla L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 1, e, segnatamente, nel titolare della concessione, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori.
5. Anche tale ultima affermazione è pienamente condivisibile, mentre del tutto destituita di fondamento risulta l'osservazione degli odierni ricorrenti, secondo i quali la mancata riproduzione del contenuto dell'ormai abrogato art. 6 legge 47/85 nel vigente Testo Unico dell'edilizia renderebbe dubbia l'attribuzione di responsabilità per la mancata esposizione del cartello di cantiere alla ditta costruttrice.
Infatti il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 1, riproduce attualmente il medesimo contenuto della disposizione previgente, con l'unica differenza del riferimento al titolo abilitativo, che non è più la concessione ma il permesso di costruire.
Dunque anche il costruttore è pacificamente annoverabile tra i soggetti destinatari dell'obbligo di esposizione del cartello di cantiere.
6. I ricorrenti rilevano anche che l'individuazione del costruttore tra i soggetti destinatari dell'obbligo di esposizione del cartello non troverebbe concorde la giurisprudenza di questa Corte e, a tale proposito, menzionano il contenuto di una risalente decisione (Sez. 3^ n. 5149, 4 febbraio 2003) ed il richiamo che ne fa altra pronuncia più recente (Sez. 3^ n. 46832, 9 dicembre 2009) per sostenere che unico destinatario dell'obbligo sarebbe il direttore dei lavori. Si tratta, tuttavia, di un evidente equivoco.
La massima riferita alla sentenza 5149/2003 così testualmente recita "in tema di violazioni edilizie, grava sul direttore dei lavori la responsabilità per la mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nell'atto di concessione o nelle disposizioni regolamentari locali, atteso che questi rientra tra i destinatari del precetto di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 6, (fattispecie relativa alla mancata esposizione del cartello indicante gli estremi della concessione edilizia e degli altri elementi prescritti)". Come è evidente, la massima non afferma affatto che il direttore dei lavori sia l'unico destinatario del precetto di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 6, perché indica chiaramente che questi rientra tra i destinatati del precetto medesimo, come peraltro inequivocabilmente indicato nella motivazione della sentenza, laddove si afferma "...ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 1, il direttore dei lavori, unitamente agli altri destinatari del precetto in bianco (il titolare della concessione, il committente, il costrutti) risponde penalmente, ai sensi dell'art. 20 lett. a), del rispetto delle prescrizioni ella concessione e delle relative modalità esecutive, tra le quali rientra, ove previsto nell'atto amministrativo o nelle disposizioni regolamentari locali (come nella specie non si contesta) l'obbligo di esposizione del cartello in questione (v, per tutte, S.U. penali 14-7-92 n. 7978)".
Tale aspetto era stato opportunamente chiarito dalla già citata sentenza n. 16037/2006 che riportava per esteso in motivazione il brano appena riprodotto, così confutando la diversa ed erronea lettura in quell'occasione datane dal ricorrente.
Tuttavia, nella successiva sentenza n. 46832/2009, nonostante quanto riportato nella sentenza 16037/06, espressamente menzionata, si è ritenuto di individuare un contrasto tra quest'ultima decisione (e le precedenti conformi) e quella n. 5149/2003. Della circostanza viene peraltro dato atto nella massima ove si precisa: "in motivazione la Corte ha precisato che sussistono invece dubbi sull'individuazione del soggetto attivo del reato, non essendo pacifica la configurabilità del reato solo a carico del direttore dei lavori". Come emerge tuttavia da quanto in precedenza illustrato, il contrasto rilevato è in realtà inesistente e la giurisprudenza di questa Corte è univoca nell'interpretazione delle disposizioni in precedenza richiamate.
7. I principi ricordati devono pertanto essere ribaditi, conseguentemente affermando che la violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai abrogata L. n. 47 del 1985, è tuttora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), in ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente tra le diverse disposizioni. I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori.
8. Resta da aggiungere che correttamente il giudice del merito ha ritenuto sussistente la penale responsabilità degli imputati in ragione dell'inequivoco contenuto delle disposizioni più volte in precedenza richiamate, opportunamente verificando che l'apposizione del cartello era espressamente imposta dall'art. 40 del regolamento comunale.
La sentenza impugnata si presenta, pertanto, giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata.
9. Il ricorso, conseguentemente, dovesse essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7 - 13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2013