Cass. Sez. III n. 35008 del 18 settembre 2007 (Ud. 26 apr. 2007)
Pres. Onorato Est. Fiale Ric. Bartolomei
Urbanistica. Esclusione dell’efficacia estintiva del reato a seguito di spontanea demolizione

Nei reati urbanistici, come affermato dalle Sezioni Unite, è lo stesso territorio che costituisce il bene oggetto della relativa tutela, e tale bene è "esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni in . danno del benessere complessivo della collettività e delle sue attività ed il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente". Ha altresì rilevanza penale l'elusione del controllo che l'autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull'attività edilizia assoggettata al regime concessorio e, quando un'attività siffatta venga iniziata senza il preventivo assenso dell'amministrazione comunale, si ha inesistenza di un danno urbanistico soltanto nell'ipotesi di cui all'art, 36 del T.U. n, 380/2001 (gjà art. 13 della legge n. 47/1985: conformità delle opere agli. Strumenti urbanistici fin dal momento della loro realizzazione), mentre, al di fuori di tale ipotesi, l'eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l'antigiuridicità sostanziale del fatto reato: il territorio, infatti, ha comunque subìto un vulnus, pur se vi è stata una successiva attività spontanea rivolta ad elidere le conseguenze dannose del reato,

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica

Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 26/04/2007

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA

Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1319

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - N. 34416/2006

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BARTOLOMEI Antonio Natale, nato a Giuncugnano (LU) il 13.10.1959;

avverso la sentenza 23.12.2005 del Tribunale di Massa;

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. Passacantando Guglielmo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

Udito il difensore, Avv.to Militerni Vincenzo, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del primo motivo di ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Massa, con sentenza del 23.12.2005, affermava la responsabilità penale di Bartolomei Antonio Natale in ordine al reato di cui:

- al D.P.R. n. 47 del 1985, art. 44, lett. b), (per avere realizzato, in assenza di permesso di costruire, un fabbricato per civile abitazione in struttura di bozze cementizie e copertura a due falde, avente dimensioni di mt. 14,20 x 9,80 ed altezza massima di mt. 3,80 - acc. in Massa, via Pradaccio, il 5.3.2004);

e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di giorni dieci di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda, sostituendo la pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente di Euro 380,00 di ammenda e concedendo il beneficio della non-menzione. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso "per saltum" il Bartolomei, il quale ha eccepito:

- la illegittimità della mancata applicazione del disposto del D.L. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8 quater, convertito nella L. 21 giugno 1985, n. 298, con cui si stabiliva la non perseguibilità in qualunque sede di coloro che avessero demolito o eliminato le opere abusive entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento normativo medesimo. - la illegittimità, per carenza assoluta di motivazione, della mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. Risulta accertato, in punto di fatto, che il manufatto edilizio abusivo in relazione al quale è intervenuta condanna è stato completamente demolito in epoca successiva all'accertamento dell'illecito.

Al riguardo, però, deve ribadirsi la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo la quale la demolizione delle opere abusive non comporta l'estinzione del reato commesso con la loro costruzione (vedi Cass., Sez. 3^: 15.2.2005, Scollato, 30.9.2004, D'Andolfo;

29.9.1998, n. 10199, Sanfilippo e 14.3.1992, n. 2706, Malchiodi ed altro), anche se può essere valutata ai fini della determinazione della pena, della mancanza di un danno penalmente rilevante e della buona fede dell'imputato.

Nei reati urbanistici (come affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 12.11.1993, ric. Borgia) è lo stesso territorio che costituisce il bene oggetto della relativa tutela, e tale bene è "esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni in danno del benessere complessivo della collettività e delle sue attività ed il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente". Ha altresì rilevanza penale l'elusione del controllo che l'autorità amministrativa è chiamata ad esercitare, in via preventiva e generale, sull'attività edilizia assoggettata al regime concessorio e, quando un'attività siffatta venga iniziata senza il preventivo assenso dell'amministrazione comunale, si ha inesistenza di un danno urbanistico soltanto nell'ipotesi di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 (già L. n. 47 del 1985, art. 13: conformità delle opere agli strumenti urbanistici fin dal momento della loro realizzazione), mentre, al di fuori di tale ipotesi, l'eliminazione spontanea del manufatto abusivo non vale ad eliminare l'antigiuridicità sostanziale del fatto reato: il territorio, infatti, ha comunque subito un vulnus pur se vi è stata una successiva attività spontanea rivolta ad elidere le conseguenze dannose del reato. 2. Nè può applicarsi la disposizione della L. 21 giugno 1985, n. 298, art. 8 quater (introdotta in sede di conversione del D.L. 13 aprile 1985, n. 146), secondo la quale "Non sono perseguibili in qualunque sede coloro che abbiano demolito a eliminato le opere abusive entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Tale disposizione, infatti, è testualmente riferita, e limitata sotto il profilo temporale, alle demolizioni di opere abusive eseguite entro la data di entrata in vigore (7 luglio 1985) della stessa legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 22.6.1985 (vedi, in tal senso, Cass., Sez. 3^: 29.9.1998, n. 10199, Sanfilippo; 30.9.2004, D'Andolfo; 15.2.2005, Scollato). Parte della dottrina, valutando l'aspetto politico della concessione di tale beneficio, ritenne che esso fosse stato concepito come alternativo e compensativo al diniego di una proroga della data finale di efficacia del primo condono edilizio, ma la Circolare 30.7.1985, n. 3356/25 del Ministero dei lavori pubblici optò per l'interpretazione limitativa dell'estensione del beneficio alle sole opere abusive ultimate entro il 1 ottobre 1983, cioè a quelle suscettibili di condono ai sensi della stessa L. n. 47 del 1985. La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 167 del 29/3/1989 - ha condiviso tale interpretazione limitativa della norma e ne ha affermato la legittimità costituzionale sull'essenziale rilievo che la demolizione dell'opera abusiva non elimina l'antigiuridicità del fatto, in quanto "la violazione della legge si è già perpetrata con il solo fatto della costruzione senza concessione e con la violazione si è realizzata necessariamente quell'antigiuridicità che la demolizione non può eliminare".

La L. n. 298 del 1985, art. 8 quater, dunque, secondo il giudizio della Consulta, integra una causa di non-perseguibilità con esenzione da pena "per ragioni di politica criminale e non certo come effetto della caduta di antigiuridicità per cause intrinseche attinenti al nucleo sostanziale dell'illecito". "Lo stabilire limiti temporali a taluni effetti di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità, riguarda i poteri discrezionali del legislatore e non può dar luogo a censura di irrazionalità per trattamento differenziato".

Nè può condividersi quell'opinione - pure espressa in dottrina - secondo la quale, in relazione al (secondo) condono edilizio, disciplinato dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39 ed esteso alle opere abusive realizzate entro il 31 dicembre 1993, la disposizione contenuta nella L. n. 298 del 1985, art. 8 quater, dovrebbe ritenersi applicabile a tutte le opere edilizie comunque demolite entro la data di entrata in vigore della stessa L. n. 724 del 1994 (non importa se spontaneamente o in adempimento di provvedimento della pubblica amministrazione), purché realizzate entro il 31 dicembre 1993.

Una prospettazione siffatta deve ritenersi esclusa allorché si consideri che:

- la L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, dichiara l'applicabilità delle disposizioni di cui alla L. n. 47 del 1985, capi 4^ e 5^, alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 ed espressamente prevede che i termini contenuti nelle disposizioni richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, o delle leggi di successiva modifica o integrazione, "sono da intendersi come riferiti alla data dì entrata in vigore del presente articolo";

- la disposizione di cui alla L. n. 298 del 1985, art. 8 quater non riguarda però termini connessi all'operatività della procedura di "condono" e non si connette alla L. n. 47 del 1985, capi 4^ e 5^, bensì al capo 1^ di quest'ultima legge, ed è rivolta, in particolare, a bilanciare l'entrata in vigore delle più gravi sanzioni amministrative e penali introdotte appunto da tale capo 1^ e la prevista applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative medesime.

Analoghe considerazioni possono svolgersi in relazione al terzo condono edilizio.

Deve rilevarsi, infatti, che il D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 25, convertito dalla L. n. 326 del 2003 fa anch'esso riferimento alle "disposizioni di cui ai capi 4^ e 5^ della L. n. 47 del 1985, come ulteriormente modificate dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39. 3. Il beneficio della sospensione condizionale della pena non era stato richiesto e perciò il giudice del merito non aveva alcun obbligo di motivazione in ordine alla mancata concessione dello stesso.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2007.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2007