Cass. Sez. III n. 15228 del 28 marzo 2017 (Ud 31 gen 2017)
Presidente: Savani Estensore: Aceto Imputato: Cucino
Urbanistica.Falso e domanda per il rilascio del permesso di costruire

Commettono il delitto di falsità ideologica in certificati (previsto dall'art. 481 cod. pen.), e non quello più grave di falsità ideologica in atto pubblico (previsto dall'art. 483 cod. pen.), il professionista che redige planimetrie finalizzate alla domanda per il rilascio del permesso di costruire non corrispondenti alla realtà, ed il committente che le allega alla domanda stessa, giacché dette planimetrie non sono destinate a provare la verità di quanto rappresentatovi, ma svolgono la funzione di dare alla P.A. - la quale resta pur sempre titolare del potere di procedere ad accertamenti autonomi - un'esatta informazione sullo stato dei luoghi.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. C.L. ricorre per l'annullamento della sentenza del 03/06/2015 della Corte di appello di Trento che, in parziale riforma di quella del 24/01/2014 del Tribunale di quello stesso capoluogo, lo ha assolto dal reato di cui all'art. 485 c.p., perchè il fatto non costituisce reato e ha rideterminato la pena nella misura di un mese e dieci giorni di reclusione, confermando nel resto l'affermazione della sua penale responsabilità per il reato di cui all'art. 483 c.p., a lui ascritto perchè, nel progetto trasmesso al Comune di Spormaggiore ai fini del rilascio di un permesso in sanatoria (permesso poi effettivamente rilasciato), aveva rappresentato nello "stato di fatto" una situazione diversa da quella reale con riferimento, in particolare, alla posizione dei fori di facciata, al tamponamento ligneo e alle piccole modifiche interne, alla rappresentazione di un servizio igienico, alla tipologia dei serramenti/finestre, alla omessa indicazione di scalini esistenti, alla indicazione di un locale lavanderia al posto del locale caldaia; il fatto è contestato come commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS).

1.1. Con il primo motivo, deducendo che le difformità contestate non incidono sulla consistenza e sulla rendita catastale dell'immobile e che rientrano nell'ambito della tolleranza del 2% di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, comma 2-bis, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione sul punto.

1.2. Con il secondo motivo, deducendo di essere persona esercente un servizio di pubblica necessità eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'erronea applicazione dell'art. 483 c.p.p., dovendo piuttosto applicarsi nei suoi confronti il reato di cui all'art. 481 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Le ipotizzate falsità riguardano gli elaborati tecnici redatti dall'imputato e trasmessi al Comune di Spormaggiore con la richiesta di rilascio di permesso di costruire in sanatoria (sanatoria effettivamente rilasciata). Risulta dal testo della sentenza impugnata e di quella di primo grado che la reale situazione di fatto non corrispondeva a quella rappresentata nei grafici. Tale diversità aveva indotto il promissario acquirente dell'immobile a pretendere il rilascio di un secondo permesso di costruire in sanatoria avente ad oggetto l'immobile nella sua reale consistenza.

3.2. Tanto premesso, osserva innanzitutto questa Corte che la questione posta con il primo motivo di ricorso dà per scontato il mancato superamento della soglia di tolleranza di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, comma 2-ter, argomento che non solo non trova alcun riscontro fattuale nella sentenza impugnata ma che sottende la possibilità di estendere tale soglia anche alla fase della progettazione.

3.3. La cd. "soglia di tolleranza" di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, comma 2-ter, si applica esclusivamente all'intervento e alle opere così come realizzati e costituisce unità di misura percentuale della eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e quel che è stato realizzato; tale criterio non si applica anche al modo con cui deve essere confezionato lo "stato di fatto" di progetto. Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze catastali, ciò perchè oggetto di valutazione, in sede urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua consistenza effettiva, non in quella catastale. E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto" di progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non sono fidefacenti e proprio per questo sono soggette a continue revisioni e aggiornamenti. Non a caso, con D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 (art. 19, comma 14), è stato espressamente previsto che "Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari".

3.4. Sicchè è del tutto inconferente l'argomento secondo cui le piccole modifiche dell'immobile che, non incidendo sulla rendita catastale, non necessitano di apposita variazione, consentono al progettista di non riportarle nello "stato di fatto" del progetto presentato a fini urbanistico-edilizi. L'eterogeneità dei fini (tributario il primo, conformità dell'opera agli strumenti urbanistici, il secondo) è evidente e non necessita ulteriori spiegazioni.

3.5. V'è piuttosto da aggiungere che, in materia urbanistica-edilizia, la necessità dell'accertamento della cd. "doppia conformità" dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell'opera stessa che a quello della presentazione della domanda, rende ancora più stringente la necessità che lo "stato di fatto" del progetto rappresenti in modo assolutamente fedele la reale consistenza dell'immobile.

4. E' invece fondato il secondo motivo.

4.1. Premesso che nella specie oggetto della condotta materiale è una planimetria relativa allo "stato di fatto", più volte questa Corte ha affermato il principio che le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall'esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poichè assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi. Ne consegue che rispondono del delitto previsto dall'art. 481 c.p. il professionista che redige le planimetrie e la committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele (Sez. 5, n. 5098 del 08/03/2000, Stenico, Rv. 216056; Sez. 5, n. 15860 del 21/03/2006, Stivalini, Rv. 234601; Sez. 3, n. 30401 del 23/06/2009, Zazzaro, Rv. 244588).

4.2. Erroneamente, pertanto, i Giudici di merito hanno ritenuto configurabile il delitto di cui all'art. 483 c.p., punito con pena più grave poichè, come detto, lo "stato di fatto" di progetto non è destinato a provare la verità di quanto in esso rappresentato, ma solo a fornire una corretta informazione, potendo in qualsiasi momento la pubblica amministrazione effettuare autonomi accertamenti.

4.3. Occorre piuttosto precisare che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, comma 13, punisce con pena ancor più severa la condotta di "chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al cit. comma è punito con la reclusione da uno a tre anni". In questo caso, oggetto materiale della falsità non è il progetto allegato alla domanda di permesso di costruire, bensì la specifica dichiarazione del progettista abilitato "che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, alle norme relative all'efficienza energetica".

4.4. E' evidente il diverso ambito applicativo delle due fattispecie poichè alla prima (art. 481 c.p.) è totalmente estraneo l'ambito valutativo; il professionista, nello "stato di fatto" non esprime giudizi, descrive la realtà. La seconda fattispecie, invece, incrimina proprio una falsa attestazione che presuppone necessariamente un giudizio di conformità.

4.5. Ne consegue che, qualificato il fatto ai sensi dell'art. 481 c.p., ferma restando l'irrevocabile affermazione della responsabilità dell'imputato, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Trento, altra Sezione, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.

Qualificato il residuo reato di cui all'art. 483 c.p., ai sensi dell'art. 481 c.p., annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Trento.