Cass. Sez. III n.43829 del 31 ottobre 2023 (CC 11 ott 2023)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric.PM in proc. Ricci
Urbanistica.Impossibilità tecnica della demolizione

L’impossibilità tecnica di dare esecuzione all'ordine di demolizione, oltre a dover essere dimostrata, non assume rilievo quando dipende da una causa imputabile allo stesso condannato


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 11 aprile 2023 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli Nord, quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento della richiesta avanzata da Giovanni Ricci, ha revocato l’ordine di demolizione delle opere abusive impartitogli con il decreto penale di condanna n. 1454/14 del 14 ottobre 2014 del medesimo giudice, divenuto definitivo il 23 gennaio 2015, relativo all’intero piano rialzato di un edificio sito in Comune di Giugliano in Campania, di cui era illegittimamente stata mutata la destinazione, da deposito ad abitazione, ritenendo che l’esecuzione della demolizione avrebbe irrimediabilmente pregiudicato anche il piano soprastante del medesimo edificio, escluso dall’ordine di demolizione, con la conseguente sproporzione tra l’esecuzione della demolizione e i suoi effetti, che avrebbero coinvolto anche porzioni del medesimo fabbricato estranee all’ordine di demolizione.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord, affidandolo a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta l’inosservanza o erronea applicazione di disposizioni di legge penale perché il giudice dell’esecuzione, nel porre a fondamento del provvedimento di revoca l’impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolizione senza arrecare pregiudizio alla parte lecita del medesimo fabbricato, non avrebbe osservato il consolidato orientamento interpretativo secondo cui tale impossibilità andrebbe dimostrata e, in ogni caso, anche se dimostrata, non rileva laddove dipenda da causa imputabile al condannato (si richiamano le sentenze n. 7789 del 2021, n. 51056 del 2018 e n. 28740 del 2018).
Una diversa soluzione determinerebbe, ad avviso del pubblico ministero ricorrente, l’effetto di impedire, mediante la realizzazione non autorizzata di opere in aderenza, in appoggio o in sopraelevazione a porzioni lecite del medesimo fabbricato, l’esecuzione della demolizione delle porzioni abusive, in tal modo frustrando la necessità di ripristinare l’assetto urbanistico preesistente cui è strumentale l’ordine di demolizione (si richiamano le sentenze n. 46194 del 2021, n. 28747 del 2018 e n. 19538 del 2010).
Si aggiunge, a sostegno della erroneità della conclusione raggiunta dal giudice dell’esecuzione, che l’area di sedime della parte lecita del fabbricato, ossia del primo piano, non potrebbe corrispondere al solaio di copertura del manufatto illegittimo sottostante e da demolire, cioè del piano rialzato, in quanto ciò comporterebbe, in modo inverosimile e irrazionale, che la stessa porzione di un unico edificio sia legittima, per il primo piano, e destinata alla demolizione, per il piano rialzato.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta che il giudice dell’esecuzione, nel valutare la legittimità dell’ordine di demolizione, avrebbe compiuto valutazioni di opportunità e di merito, in tal modo eccedendo dai poteri attribuitigli dall’art. 670 cod. proc. pen.
Si rappresenta che in sede esecutiva sarebbe possibile riesaminare l’ordine di demolizione solo in presenza della dimostrata legittimità sopravvenuta dell’attività edificatoria, restando invece preclusa al giudice dell’esecuzione la rivalutazione della sussistenza dei presupposti dell’ordine impartito dal giudice della cognizione.
2.3. Con il terzo motivo si prospetta l’abnormità dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe ecceduto dai poteri suoi propri e tipici della fase esecutiva, emettendo un provvedimento che, per la singolarità del suo contenuto, risulterebbe abnorme in quanto avulso dall’intero ordinamento processuale.
2.4. Si conclude domandando l’annullamento dell’ordinanza impugnata e un nuovo esame della richiesta di revoca dell’ordine di demolizione avanzata dal condannato.

3. Il Procuratore Generale nelle sue richieste scritte ha concluso sollecitando l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, sottolineando l’irrilevanza della impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolire un manufatto abusivo senza danneggiare la parte lecita del fabbricato quando questa dipenda da causa imputabile al condannato, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo.

4. Con memoria pervenuta il 29 settembre 2023 il condannato Giovanni Ricci si è opposto, per il tramite del suo difensore di fiducia, Avvocato Antimo D’Alterio, all’accoglimento del ricorso del pubblico ministero, sottolineando la pertinenza dei rilievi sulla base dei quali il giudice dell’esecuzione era pervenuto alla decisione di revoca dell’ordine di demolizione, coerenti con il principio di proporzionalità da rispettare nella esecuzione di tale ordine, e la correttezza del rilievo della rilevanza della impossibilità tecnica di addivenire alla demolizione senza pregiudizio per le parti lecite del medesimo fabbricato (ossia del primo piano del medesimo fabbricato), in quanto le opere abusive non erano state eseguite in assenza di permesso di costruire ma in difformità dallo stesso.
Ha anche ribadito l’assenza di sistemazioni abitative alternative per il nucleo familiare del condannato e per quello di Baldassare Ricci, occupante del primo piano di detto fabbricato, estraneo all’abuso realizzato al piano rialzato e anche all’ordine di demolizione impartito con il decreto penale di condanna emesso nei confronti del solo Giovanni Ricci.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente.

2. È orientamento consolidato e univoco nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui è irrilevante l’impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolizione di un fabbricato abusivo senza pregiudizio per le parti lecite del medesimo fabbricato quando essa dipenda da causa imputabile al condannato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 7789 del 9/2/2021, Severino, Rv. 281474; Sez. 3, n. 28740 del 27/4/2018, Ferrante, non massimata, in tema di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato all’esecuzione della demolizione; Sez. 3 n. 51056 del 9/10/2018, Chimirri, non massimata; v. anche Sez. 3, n. 19387 del 27/04/2016, Di Dio, Rv. 267108, nonché, già in precedenza e sempre con riferimento alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, Sez. 3, n. 35972 del 22/09/2010, Lembo, Rv. 248569).
La sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione in conseguenza del pregiudizio che l’esecuzione dell’ordine comporterebbe per le parti legittime del fabbricato possono, dunque, essere disposte solo in caso di impossibilità assoluta di adempiervi (cfr. Sez. 3, n. 9859 del 21/01/2016, Fontana, Rv. 266466), che non sia imputabile al condannato (Sez. 3, n. 35972 del 22/09/2010, Lembo, Rv. 248569, cit., e Sez. 3, n. 32706 del 27/04/2004, Giardina, Rv. 229388).

3. Nel caso in esame il fabbricato nel quale si trovano le porzioni abusive che hanno determinato la condanna del ricorrente e l’emissione dell’ordine di demolizione del piano rialzato, è composto da un piano rialzato e da un primo piano ed era stato interamente condonato, essendo in origine stato realizzato abusivamente.
Successivamente al condono il ricorrente ha mutato la destinazione d’uso del piano rialzato, destinato a deposito e di cui è stata mutata la destinazione d’uso ad abitazione, cosicché l’impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolizione delle opere abusive senza arrecare pregiudizio alle parti lecite del fabbricato nel quale esse si trovano risulta imputabile al condannato che, quindi, alla stregua dell’orientamento interpretativo richiamato, non può utilmente dolersene.
Diversamente si consentirebbe di impedire l’esecuzione di un ordine di demolizione per effetto della realizzazione non autorizzata di opere in aderenza, in appoggio o in sopraelevazione a porzioni legittime del fabbricato, in tal modo frustrando la necessità di ripristinare l’assetto urbanistico preesistente cui è strumentale l’ordine di demolizione (Sez. 3 n. 46194 del 23/11/2021, Famao, non massimata; Sez. 3 n. 28747 del 11/5/2018, Pellegrino, Rv. 273291; Sez. 3 n. 19538 del 22.04.2010, Alborino, Rv. 247187; Sez. 3 n. 24661 del 15/4/2009, Ostuni, Rv. 244021; Sez. 3 n. 13978 del 25/2/2004, Tessitore, Rv. 228451).
L’unica ipotesi, diversa da quella in esame, nella quale rileva detta impossibilità tecnica di procedere alla demolizione, è quella degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire di cui all’art. 34 d.P.R. 380/2001, i quali devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio tecnico comunale e che, decorso tale termine, sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso.
Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite a usi diversi da quello residenziale.
Il provvedimento adottato dall'autorità amministrativa a norma dell'art. 34, comma 2 citato, di cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso edilizio, trova però applicazione solo per le difformità parziali (che è ipotesi diversa da quella del caso in esame, che riguarda un mutamento di destinazione d’uso con opere, costituite dalla realizzazione degli impianti fissi idraulici ed elettrici, dalla intonacatura e installazione degli infissi in ferro e dalla realizzazione di un ripostiglio esterno di circa 15 mq. e di un balcone esterno, per effetto delle quali è stato ottenuto dal preesistente deposito un appartamento composto da salone, cucina, due servizi igienici e tre camere, della superficie complessiva di circa 90 mq.), le quali vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente (v., oltre alla già citata sentenza Severino, Sez. 3, n. 28747 del 11/5/2018, Pellegrino, Rv. 273291; Sez. 3, n. 19538 del 22/4/2010, Alborino, Rv. 247187; conf. Sez. 3, n. 24661 del 15/4/2009, Ostuni, Rv. 244021; Sez. 3, n. 13978 del 25/2/2004, Tessitore, Rv. 228451).

4. Risulta, pertanto, errata la conclusione cui è pervenuto il giudice dell’esecuzione, che, considerando tale pregiudizio, ha ritenuto che l’esecuzione della demolizione determinerebbe conseguenze sproporzionate rispetto al suo scopo e alla sua funzione, pregiudicando anche porzioni del fabbricato legittime e non incise dall’ordine di demolizione, posto che tale circostanza non impedisce, se imputabile, come nel caso in esame, al condannato, l’esecuzione della demolizione.
E’, in ogni caso, inesatto il richiamo al principio di proporzione per giustificare la revoca dell’ordine di demolizione.
Secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice dell’esecuzione, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abitazione è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della Convenzione EDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell'interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così, diffusamente e con ampi richiami, Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, Esposito, Rv. 284627; nonché Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D'Auria, Rv. 282950, e Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270; nello stesso senso, Sez. 3, n. 48021 dell'11/09/2019, Giordano, Rv. 277994, secondo cui il diritto all'abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all'art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l'ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell'ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio).
Il richiamo compiuto dal giudice dell’esecuzione, in modo del tutto generico, alla “sproporzione” tra la demolizione del piano rialzato oggetto dell’ordine e il pregiudizio che ne sarebbe conseguito per le parti legittime del medesimo fabbricato, ossia per il primo piano, senza alcuna altra precisazione o specificazione, risulta, pertanto, improprio, non essendo stato indicato come e in che misura l’esecuzione di tale ordine pregiudicherebbe irrimediabilmente diritti fondamentali al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della Convenzione EDU, anche in considerazione della circostanza che l’ordine di demolizione è stato impartito nel 2014 e che quindi da tale epoca il condannato avrebbe potuto attivarsi per reperire una lecita sistemazione abitativa alternativa per sé e il proprio nucleo familiare, idoneo alla cura della figlia minore.
 5. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio per nuovo esame al medesimo giudice dell’esecuzione, che si atterrà al principio di diritto, che il Collegio ribadisce, secondo cui:
“L’impossibilità tecnica di dare esecuzione all'ordine di demolizione, oltre a dover essere dimostrata, non assume rilievo quando dipende da una causa imputabile allo stesso condannato”.
Ciò rende ultroneo l’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso, relativi all’improprio esercizio dei poteri attribuiti al giudice dell’esecuzione, risultando assorbente il rilievo della errata applicazione di disposizioni di legge penale da parte del giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Napoli Nord, come pure di  quelli fondati sulle esigenze abitative del condannato e del suo nucleo familiare e anche di quello di Baldassarre Ricci, abitante al primo piano del medesimo fabbricato, rappresentati con la memoria depositata dal condannato, che sono già state considerate dal giudice dell’esecuzione, escludendone la rilevanza, e non sono state poste a fondamento del provvedimento di revoca e non hanno costituito la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli Nord, Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, quale giudice dell’esecuzione.
Così deciso il 11/10/2023